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lunedì 23 febbraio 2015

La scommessa di Seneca: perché la strada per la rovina è rapida

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




Perché le persone possono così facilmente distruggere le risorse che danno loro da vivere? I pescatori, per esempio, hanno distrutto la loro risorse di pesca ripetutamente ed ogni volta si sono rifiutati di prendere la benché minima precauzione per evitare il disastro. Alla fine, sono giunto a pensare che tutto sia da attribuire a degli errori di cablaggio della mente umana: è “la fallacia dello scommettitore”. I pescatori, a quanto sembra, vedono la pesca come se fosse una lotteria e raddoppiano i loro sforzi pensando che, alla fine, saranno fortunati e diventeranno ricchi. Ahimè, non funziona in questo modo e tutto ciò che ottengono è di distruggere le riserve di pesce e creare uno spettacolare collasso dei rendimenti della pesca. Questo modo di creare la propria rovina potrebbe essere chiamato “Scommessa di Seneca”, dalle parole del filosofo Romano Lucio Anneo Seneca che ha affermato che “la strada per la rovina è rapida”.


La “Martingala” è una strategia che si gioca con giochi che hanno un 50% di possibilità di vincita. Consiste nel raddoppiare la scommessa dopo ogni perdita. L'idea è che, alla fine, una vincita pagherà per tutte le perdite e fornirà un guadagno. La Martingala è un esempio della “fallacia dello scommettitore”. Tipicamente, gli scommettitori tendono a pensare che un alcuni eventi – come i numeri che escono alla roulette – siano collegati fra loro. Così, credono che se il rosso esce diverse volte di fila, sia più probabile che uscirà il nero al giro successivo. Questo non è vero, naturalmente, e la Martingala è un modo infallibile per rovinarsi e di farlo molto rapidamente. Ciononostante, molte persone trovano l'idea affascinante, senza rendersi conto che questo è l'effetto di un errore di cablaggio della mente umana.

La fallacia dello scommettitore potrebbe spiegare alcuni aspetti del comportamento umano che sarebbero altrimenti impossibili da capire. Per esempio, in un post precedente mostravo questa figura che descrive i rendimenti dell'industria ittica del Regno Unito (da Thurstan et al.).


Confrontate il riquadro superiore e quello inferiore e vedrete che l'industria ittica stava incrementando ad una velocità incredibile la sua “potenza di pesca” proprio quando i rendimenti della pesca avevano cominciato a declinare. Notate anche come avesse ancora molta potenza di pesca quando le rese della pesca erano completamente collassate. Come poteva essere che continuassero a pescare così tanto anche quando era rimasto poco o niente da pescare?

Pensando a questo argomento, possiamo solo giungere alla conclusione che i pescatori ragionassero come gli scommettitori ad un tavolo da gioco. Gli scommettitori sanno – o dovrebbero sapere – che le scommesse in un casinò sono un gioco a somma negativa. Eppure, la fallacia dello scommettitore li fa pensare che una sequenza di cattivi risultati aumenterà in qualche modo la probabilità che la scommessa successiva sarà quella giusta. Così, continuano a provare finché non si rovinano da soli. 

Ora, considerate i pescatori: forse loro sanno – o dovrebbero sapere – che a un certo punto il rendimento generale della pesca è diventato negativo. Ma, come gli scommettitori che giocano alla roulette, credono che una sequenza sfortunata aumenterà in qualche modo la probabilità che la successiva battuta di pesca sarà quella giusta. Quindi continuano a provare finché non si rovinano con le proprie mani. 

L'errore di cablaggio mentale che da adito a questo comportamento di scommettitori e pescatori può creare anche grandi disastri. Con le risorse minerali stiamo assistendo a qualcosa di analogo: gli operatori raddoppiano gli sforzi di fronte ai ritorni decrescenti dell'estrazione. Forse questo viene fatto sperando che – in qualche modo – la distruzione di una riserva minerale aumenterà la probabilità di trovarne una nuova (o di crearne una con qualche miracolo tecnologico). Così, al posto di cercare di far durare le riserve minerali il più a lungo possibile, ci affanniamo a distruggerle il più velocemente possibile. Ma, a differenza delle riserve di pesce che possono rigenerarsi da sole, i minerali non si riproducono. Una volta che avremo distrutto i ricchi depositi minerali che hanno creato la nostra civiltà, non ci resterà niente. Avremo rovinato noi stessi per sempre. 

Alla fine, la fallacia dello scommettitore è uno dei fattori che portano le persone, le imprese e intere civiltà ad un rapido collasso. E ciò che ho chiamato “Dirupo di Seneca”, dalle parole dell'antico filosofo Romano che per primo ha osservato che “la strada per la rovina è rapida”. In questo caso, potremmo chiamarla la “Scommessa di Seneca” ma, in ogni caso, è una rovina che creiamo con le nostre stesse mani. 



lunedì 13 agosto 2018

Cosa c'è in fondo alla tana del bianconiglio?

Un post di Michele Migliorino (pubblicato anche su Appello per la Resilienza)


Chi ha il coraggio di guardare "cosa c'è in fondo alla tana del bianconiglio" (cit. da Matrix)?



Chi afferma che "la società potrebbe collassare" si spinge molto in là rispetto a quanto può essere accettato dal senso comune (che è dominato dalla paura); chi afferma che "la società collasserà" senza aver dubbi, si spinge ancora oltre e ha ancora meno speranze di essere ascoltato, perchè viene scambiato o per un cialtrone o per un esaltato, un "millenarista" o altro ancora.

La mia impressione è che nella seconda categoria di collassologi vi siano però molti che, consciamente o meno, tendono a spostare avanti l'asticella. "Si, crollerà tutto (fra 20 anni)" per esempio. In effetti, non è rassicurante sapere di avere ancora degli anni davanti per poter sistemare le cose? 

Non intendo dire che io sono sicuro che sarà presto - come potrei? - ma osservo una diffusa convinzione, umana troppo umana, secondo la quale Demain (come recita un film recente...) saremo in pericolo, mai "oggi".

L'atteggiamento dominante non mira a operare dei cambiamenti concreti nell'esistenza quotidiana, non mette in opera strategie nel presente di adattamento creativo e aumento della resilienza qui e ora. Generalmente si punta sull'informare gli altri; sono in pochi quelli che "fanno" qualcosa, anche perchè non si sa bene cosa fare. Del resto cosa si dovrebbe fare? Costruirsi un bunker? Cominciare ad accumulare riserve di cibo?

In breve il nostro alibi è questo: poichè non si sa quando sarà, come avverrà e che conseguenze avrà - nel frattempo continuo con la mia vita attuale.

Bisogna ammettere che la nostra mente e tutta la nostra essenza - in particolare per noi che siamo occidentali e dunque temiamo la morte più di ogni altra cosa - non può accettare l'idea di un cambiamento troppo grosso. Figuriamoci dell'estinzione della vita umana. In molti lo affermano, ma lo rimandano alla fine del secolo. E' quasi impossibile accettare che il collasso dell'economia potrebbe anche accadere nei prossimi anni o addirittura mesi.

In realtà è proprio questo il tema di cui volevo parlare: collasso economico. Parlare di collasso senza parlare di come l'economia in ultima istanza ne sarà affetta, è parlare di nulla. E' come dire che una casa sta crollando senza sapere dove sono le crepe (il che significa che non si può neanche essere davvero certi che stia crollando, se ne ha solo un sentore).

Come crollerà l'economia? Per Effetto domino - ecco qual è la risposta che otteniamo se vogliamo guardare in fondo alla tana. Fino adesso il dibattito si è focalizzato sul picco del petrolio e sulle dinamiche ad esso inerenti: come varierà la domanda e l'offerta con l'aumentare dei costi di estrazione?

La nostra mente è portata a pensare che vi sarà un lento declino o magari una stagnazione secolare... sebbene "qualcuno" da un pò di tempo ci inviti a pensare che non sarà così. Sto parlando ovviamente dell'Effetto Seneca: il declino sarà molto più rapido della crescita. Ma, ancora, come sarà questo declino?

Si parlava del Grande Rollover che dovrà accadere quando "l'offerta non sarà più in grado di sostenere la domanda" perchè avremo raggiunto il picco massimo della produzione. Bene, ma cosa accadrà esattamente? Qualcuno è in grado di dirlo?

Vorrei parlare di David Korowicz - ancora sconosciuto in Italia - come dell'unico (che io conosca) che è entrato da scienziato nei meccanismi economici specifici che porteranno la società contemporanea alla rovina.

Immagine correlata

Ritengo che Trade-Off: Financial system supply-chain cross contagion - a study in global systemic collapse sia uno dei lavori più illuminanti e importanti che ci siano su questo tema.

 Vi sarà un punto, un Tipping Point (altro testo di Korowicz) superato il quale cominceranno degli effetti a catena? Qui sotto ho riprodotto lo schema di Korowicz traducendo in italiano i riquadri.

Risultati immagini per david korowicz trade off


Korowicz considera il "declino nella produzione di petrolio a buon mercato" come l'innesco di una reazione a catena che porta al crollo dell'economia - un'economia, la nostra totalmente irresiliente vale a dire completamente integrata e interdipendente nelle sue parti. Il grande problema infatti è la mancanza assoluta di Resilienza del sistema economico, concepito com'è allo scopo di centralizzare il potere invece che modulandolo e decentralizzandolo.

Con il declino del petrolio comincia una spirale deflattiva (frecce rosse) di "declino delle attività economiche" fino a che quelli che chiama "keyston-hub", i pilastri-chiave che reggono il super-sistema, escono dal loro equilibrio. Ne elenca 7, di cui il principale è il sistema bancario e monetario che agisce nella nostra società come una infrastruttura invisibile ma che governa tutte le cose.

Tale spirale deflattiva (diminuzione generale dei prezzi) porta a ciò che si chiama feedback positivo o circolo vizioso in cui il primo mutamento genera delle strutture che lo alimentano sempre di più.

Parlando più semplicemente, ciò che ci possiamo aspettare innanzitutto, è che l'effetto del picco della produzione globale di petrolio sarà il fallimento di quelle aziende e corporations che incorporano il prezzo al barile nelle loro merci (per esempio quelle che dipendono dal trasporto su gomma).

Una volta generato il contagio, questo si espanderà sino ad infettare una serie di altri settori che dipendevano dai primi e così via fino alla destabilizzazione di tutti i pilastri su cui si regge la nostra economia (basta pensare alle catene di produzione e distribuzione del cibo). Questa infatti, nella forma che conosciamo, si regge su di un flusso continuo sempre crescente di energia che può essere fornito solo estraendo e raffinando ogni anno una quantità di fossili maggiori del precedente. Questo è ciò che vuole la crescita economica.

graph of world energy consumption by energy source, as explained in the article text

E' fondamentale comprendere che la "fiducia" nella nostra organizzazione sociale basata sul denaro, si basa sulla disponibilità (illimitata) di energia. Quando questa comincia a declinare (e gli economisti non riescono a capirlo) comincia ad influenzare le attività economiche, che entrano in fase di recessione, fino a che, più gravemente, comincia anche a diminuire la domanda di energia e di beni, ed è proprio questo a far precipitare la situazione.

E poi? quando i fallimenti cominciano ad espandersi? E' probabile che ci potremo aspettare fenomeni di bank-run, corsa agli sportelli, ognuno a ritirare in fretta i propri risparmi, così aggravando ancora di più la crisi e accelerando il circolo vizioso. Se questo processo si spingerà fino alle ultime conseguenze - e non sembrano affatto esserci vie di mezzo dato che non vi è resilienza del sistema, non c'è una sorta di generatore ausiliario che si possa accendere per fare andare ancora il sistema - dobbiamo aspettarci l'annullamento del valore del denaro. Il denaro non avrà più valore: ecco il grande problema. Da qui le immani conseguenze del collasso. 




martedì 23 dicembre 2014

La soluzione al Paradosso di Jevons: energia per la transizione

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


di Antonio Turiel

Cari lettori,

una cosa che sono solito spiegare nei discorsi di divulgazione è che risparmio ed efficienza, di per sé, non servono a risolvere la crisi energetica “se non c'è un cambiamento del sistema economico”. Questa precisazione di solito viene perfettamente ignorata da alcune persone consapevoli del problema della crisi energetica e che hanno preso una posizione eccessivamente disfattista, perché sono giunte a pensare che non c'è futuro né speranza.

Camino a Gaia - "La strada verso Gaia" (come lo conosceremo qui, autore del blog omonimo) ha scritto questo articolo, spiegando perché ol paradosso di Jevons non è necessariamente un problema in un mondo in transizione (molto in linea con un altro saggio molto recente del mio compagno Jordi Solé. L'articolo di Camino a Gaia che oggi vi propongo è, senza dubbio, un testo molto interessante e pertinente che sono sicuro che sarà utile a più di una persona.

Saluti.
AMT



La natura del problema: limiti ed obbiettivi

Non c'è vento favorevole per la nave che non sa dove andare. 
Seneca

I paradossi sono spesso frutto della relazione fra gli obbiettivi e i mezzi per ottenerli. La realtà è piena di irregolarità di condizioni e di limiti e se viaggiamo su una nave, può essere che la rotta migliore per arrivare in un porto sia costeggiare un continente. Potremmo chiederlo alla scienza che studia la definizione degli obbiettivi, ma tale scienza non esiste, la scienza ha già il proprio obbiettivo: cercare la verità. Certo che la cibernetica e la Teoria Generale dei Sistemi hanno contribuito molto allo studio dei sistemi teleologici, che inizialmente era, e continua ad essere, parte della metafisica, dell'etica e della religione. Ma sono le persone e le società che, in definitiva e in modo più o meno condizionato, devono rispondere ad una domanda tanto semplice come questa: a che scopo?

Nella pratica, le discipline della conoscenza più vicine alla definizione degli obbiettivi in una società sono l'economia, la politica e la religione (o l'etica). La scienza non ha tutte le risposte, nemmeno la religione, ma possiamo sempre cedere alla tentazione di chiudere il tempo delle domande. Alla fine, l'obbiettivo del potere non è che tutti abbiano accesso alla verità, ma il dominio.

L'energia ha molto a che fare col potere: senza energia non possiamo niente. Per questo la Fisica, l'ecologia e la biologia hanno molto da dire quando la “scienza” economica non informa correttamente la società sulle conseguenze del mantenere la crescita infinita come obbiettivo in sé. E forse anche nella politica, quando le élite dominanti, prede della stupidaggine, dall'isteria e dalla miseria morale, invocano il sacrificio umano per immolare immolare sul rogo l'obbiettivo del bene comune che dovrebbe caratterizzarle, per dilapidare il poco tempo e risorse di cui ancora disponiamo per tentare di mantenere ancora per un po' il modello economico che sostiene i loro privilegi. Perché non solo gli obbiettivi ben intenzionati sono sottoposti a paradossi, lo sono anche gli obbiettivi malvagi ed egoistici. Non siamo esseri sociali con emozioni altruistiche e solidali perché crediamo negli unicorni rosa, ma per pura convenienza per la sopravvivenza. Spesso partiamo dal pregiudizio che la malvagità e l'egoismo sono intelligenti e che la bontà o la solidarietà sono stupide e ridicole. Interroghiamoci, per esempio, sui costi di un po' di solidarietà nella gestione dell'attuale epidemia di ebola ai suoi inizi e su quelli che stanno avendo ed avranno in futuro per tutta l'umanità.

Soluzione al Paradosso di Jevons

Qualificare come soluzione ciò che verrà esposto qui di seguito potrebbe sembrare esagerato, ma non lo è, in quanto tenta di risolvere un problema nei termini in cui è stato espresso in questo blog. Il Paradosso di Jevons è inconfutabile nella misura in cui lo sono i fatti ai quali si riferisce; tuttavia, i fatti sono storia, ciò che li trasforma in leggi o tendenze più o meno deterministe è che si ripetano date circostanze analoghe senza che possiamo fare niente per evitarlo. Ma come vedremo, il Paradosso di Jevons, chiamato anche effetto rimbalzo, non è una legge fisica, ma dipende dagli obbiettivi che diamo al sistema, dal fatto che il sistema possa crescere fisicamente e dal fatto che prendiamo o meno le misure politiche per controbilanciarlo. Non c'è neanche motivo per cui debba significare qualcosa di negativo. Detto in altro modo, possiamo tentare di evitarlo o di sfruttarlo, visto che condiziona tutte le forme di energia. Così, se il picco del petrolio segna la fine della crescita fisica di questa fonte di energia e ci sono altre fonti rinnovabili che possono ancora migliorare in efficienza e che ancora non sono giunte ai propri limiti, i guadagni in efficienza tanto nel loro uso quanto nella loro raccolta (EROEI) sarebbero un effetto chiave nel processo di sostituzione di alcune fonti con altre. E tutto ciò ancora all'interno dell'attuale paradigma economico. Dobbiamo anche tenere conto che i limiti condizionano in modo diverso le fonti rinnovabile non rinnovabili. Mentre per le risorse finite giungere ai limiti segna l'inizio del loro declino e la loro tendenza allo zero, le risorse rinnovabili sfruttate in modo sostenibile possono mantenersi al loro massimo in modo indefinito. Pertanto, le implicazioni del giungere al limite di una risorsa non rinnovabile sono molto diverse dal giungere al limite di una risorsa rinnovabile usata in modo sostenibile.



Il Paradosso di Jevons è importante per discernere le difficoltà nella sostituzione di alcune fonti di energia non rinnovabile e finite con altre rinnovabili e sostenibili, ma giunte ai limiti della crescita di una fonte di energia, l'effetto rimbalzo semplicemente non può più verificarsi, salvo mediante l'effetto leva nella crescita di altre fonti.

In realtà, una volta che giungiamo al limite di una fonte di energia è privo di senso preoccuparsi del fatto che l'efficienza possa provocare una crescita del suo uso. Quando i sistemi dinamici giungono ai propri limiti, il loro comportamento può essere molto diverso da quello abituale. Giunti a quel punto, si verifica il paradosso per cui l'effetto rimbalzo può smettere di essere un problema e diventare parte della soluzione. Ciò che ci deve preoccupare in questo momento è il crollo di disponibilità di energia netta per la società e, nel caso dei combustibili fossili, il grado di sostituzione che possono apportare le energie rinnovabili  e la dipendenza che hanno attualmente dai suddetti combustibili, l'uso insostenibile delle stesse e curiosamente l'efficienza della loro raccolta (EROEI) ed uso. Ci deve preoccupare che le funzioni vitali per l'essere umana come la produzione e la distribuzione di alimenti nella nostra agricoltura industriale dipendano totalmente dai combustibili fossili come avverte già un rapporto dell'ONU. Ci deve preoccupare che il sistema finanziario in un'economia in recessione si può mantenere solo fagocitando il sistema produttivo e generando esclusione sociale e un abisso di disuguaglianza economica. 

Ci avviciniamo ad un cambiamento di fase, al punto in cui uno sparo in una via, una bambina che suona il tamburo ad un mercato o forse la più elementare delle creature come può essere un virus o l'immaterialità di un meme, possono segnare la direzione in cui si muovono i fatti, l'effetto farfalla dove ciò che fino a quesl momento risultava altamente improbabile può cambiare la sua sorte. Sarebbe buono aver qualcosa da dire ai nostri figli quando ci domanderanno cosa facevamo quando il loro presente era nelle nostre mani. 


Efficienza, risparmio e crescita


Per un sistema funzionale possiamo dividere l'energia consumata in due concetti: l'energia necessaria per il suo mantenimento e quella investita nella sua possibile crescita. Tuttavia la seconda legge della Termodinamica impedisce di ottenere uno sfruttamento del 100%, per cui avremo sempre una quantità più o meno grande di energia persa. Questo modello potrebbe essere portato in scala e con le dovute precauzioni potrebbe servirci per rappresentare un essere vivente, un paese o il nostro sistema capitalista globalizzato. 


Il Paradosso di Jevons dice formalmente che aumentare l'efficienza diminuisce il consumo istantaneo ma incrementa l'uso del modello che provoca un incremento del consumo globale. Detto con altre parole, in un sistema in crescita, gli sforzi fatti nell'efficienza finiscono per essere investiti in crescita, per cui a lungo termine otteniamo un maggior consumo e non un maggior risparmio. Pertanto, le proposte di efficienza che non mettono in discussione la crescita economica, finiscono per provocare un maggior consumo di risorse. Jevons ha scoperto questo principio a partire dall'osservazione empirica. Il picco del petrolio segna il momento a partire dal quale non possiamo più ottenere il petrolio né l'energia che proviene dallo stesso in modo crescente. L'impatto che ciò ha sull'economia è facile da dedurre tenendo conto della sua importanza strategica: se il nostro modello ha bisogno di ottenere energie in modo crescente, il picco di questa energia segna inevitabilmente la fine della crescita economica. Ma vediamo il ruolo che rappresenta l'efficienza in questo processo. 


Il destino dell'energia risparmiata in efficienza dipende dagli obbiettivi che si danno al sistema. Se l'obbiettivo è la crescita otterremo il Paradosso di Jevons. Se l'obbiettivo è mantenere un modello stazionario, allora l'efficienza riesce a ridurre i costi di mantenimento del sistema. Se abbiamo bisogno di un cambiamento di modello possiamo investire il guadagno di efficienza nei costi di transizione. 

Il sistema dispone di energia per crescere e sceglie di crescere: Il surplus di energia liberata dall'efficienza viene impiegata per crescere. Ma un sistema più grande necessita di più energia di mantenimento, per cui l'energia totale consumata aumenta nel ciclo seguente. Paradosso di Jevons.
Il sistema non dispone di energia per crescere ma può mantenersi (picco dell'energia netta):  Il picco dell'energia definisce il momento in cui il sistema non può più ottenere energia in modo crescente. Così, il sistema potrebbe crescere limitatamente solo a costo dell'efficienza.

Il sistema non dispone più di energia sufficiente per crescere né per mantenersi: Il guadagno in efficienza può essere trasformato in crescita solo se prima ha coperto i costi di mantenimento. Quando questa condizione non viene soddisfatta il sistema entra in fase di collasso e degrado. Condizione in cui si trova attualmente la Spagna, l'Europa e il mondo, se prescindiamo dalle manipolazioni statistiche. La realtà è molto più complessa perché non abbiamo una sola fonte di energia, ma diverse ed interconnesse. Perché non siamo di fronte ad un sistema semplice ma di fronte ad una grande quantità di sistemi e sottosistemi aperti. Ma le leggi della termodinamica sono immuni dalla complessità dei sistemi. Per cui avviene che se in un sistema continuiamo a mantenere la crescita economica come obbiettivo in sé stesso, questo può avvenire solo a costo di accelerare la decrescita di altri, entrando in una spirale di cannibalismo sistemico dove oggi siamo commensali e domani pietanza, fino a che non rimangono più commensali o alla pietanza non spuntino i denti, li mostri e tutto diventa sangue ed escrementi. 

E' quindi ora di impostare il chip in modalità catastrofe, che sembra il più vicino alla solidarietà, e abbandonare gli eufemismi che ormai non ingannano più nessuno: Abbiamo un nemico comune, ma non è il risparmio e nemmeno l'efficienza, e dobbiamo affrontarlo prima che si attivi la modalità guerra o la modalità fallimento, mentre come in un disturbo bipolare passiamo da un ottimismo fondamentalista ad un disfattismo impegnato. Sopravvivere ad un declino brusco e brutale dell'energia disponibile per la società non si può fare depurando i processi, ma prescindendo da essi. L'efficienza, pertanto, è un pilastro fondamentale tanto nella transizione quanto nella definizione di un nuovo modello. In quanto al risparmio, è conveniente ricordare che non risparmiamo per consumare, ma per regolare il consumo nel tempo, che sia per ottenere potenza o per affrontare tempi di scarsità. L'espressione “ciò che non consumi tu, lo consumerà un altro, non è necessariamente certa né negativa. Ciò che possiamo affermare è che ciò che consumiamo noi non lo possono consumare altri. Così, le risorse usate per restaurare un paese abbandonato non potranno essere usate per costruire o fare manutenzione di autostrade. Il combustibile che usiamo per i macchinari per la riforestazione di un terreno incolto e trasformarlo in un bosco non potrà più essere usato per tagliarlo. I soldi che spendiamo per costruire una scuola non possiamo più spenderli per costruire un carro armato. L'energia che usiamo per la transizione non potrà essere usata per mantenere il BUA. Il tempo che dedichiamo a lavorare per un mondo migliore non potrà essere pascolo per l'indolenza. Può essere che questo risulti insufficiente per giungere ad una meta, ma costituirà sempre un passo in avanti. Le strutture del possibile sono ambienti dinamici che si stanno restringendo in modo accelerato lasciandoci sempre meno opzioni. Come un veicolo al quale finisce il combustibile, possiamo scegliere sempre meno luoghi in cui andare. Ciò ha almeno il vantaggio che abbiamo sempre meno cose su cui essere in disaccordo... sempre che abbiamo le giuste informazione. 

Conclusione

Le cose sono messe male, ma il Paradosso di Jevons non è una legge fisica. E' un problema di assegnazione di obbiettivi a breve termine senza tenere conto di ciò che può accedere sul lungo termine. Tuttavia, l'assegnazione di obbiettivi non può né deve essere decisa dalla scienza. L'obbiettivo della scienza è cercare la verità e informare la società, con la maggior certezza possibile, delle conseguenze dell'optare per un obbiettivo o per un altro. La cura non è tanto questione di esperti quanto di sensatezza e responsabilità collettiva. Tuttavia, ciò che di dicono i paradossi è che le intenzioni, buone o cattive, non garantiscono che le cose vadano come sperato. Ciò significa in assoluto che le intenzioni, la definizione degli obbiettivi, siano qualcosa di irrilevante. E' molto più facile distruggere che costruire, perché per costruire, per avanzare in senso contrario al principio di entropia, serve energia, intelligenza e moderazione.  

Continueremo ad affrontare paradossi. Dovremo fare attenzione al fatto che le distopie si trasformino in profezie auto-avverate. Salvare le persone può significare dimenticarsi di stare sul Titanic e salire sulle scialuppe di salvataggio, non consumiamo la semente di cui abbiamo bisogno oggi per poter ottenere il raccolto di domani. Forse oggi questo ci sembra impensabile, ma il tempo è una risorsa che non possiamo accumulare e nemmeno fermare. Ciò che rende inevitabile il disastro è che non facciamo niente per evitarlo. Ciò che facciamo definirà meglio ciò che siamo che ciò che abbiamo. Oltre all'energia abbondante, il mezzo che ci ha permesso di giungere fin qui è stata la nostra facoltà di capire; tuttavia, l'obbiettivo è stato crescere e dominare. Sarebbe un peccato se sacrificassimo la nostra intelligenza trascinati dallo stesso desiderio di domino. 

Riferimenti:

martedì 26 marzo 2013

La decadenza delle infrastrutture

A “The Oil Crash”. Traduzione di MR






















Di Antonio Turiel

Cari lettori,

Il 29 di ottobre dello scorso anno, relativamente tardi per la stagione, l'uragano Sandy – gia' trasformatosi in tempesta tropicale – e' giunto sulla terraferma nello stato del New Jersey. Ancora dopo i due giorni che ha impiegato per esaurirsi mentre entrava nel territorio continentale degli Stati Uniti, ha causato danni apprezzabili, anche se non paragonabili al suo tragico bilancio dei giorni precedenti. Si trattava di un uragano minore, di categoria 2, mentre si muoveva su acqua tropicali e di categoria 1 quando si è avvicinato alla costa del New Jersey, mentre cominciava a degenerare. Il caso ha voluto che arrivasse contemporaneamente da un grande sistema frontale di origine polare, il che ha intensificato i suoi effetti, soprattutto sulla zona costiera, generando una mareggiata ciclonica di grandi dimensioni

Fra tutte le devastazioni che ha causato Sandy, con un elenco di decine di morti, i mezzi di comunicazione si sono concentrati sui danni personali e materiali che ha causato nella città di New York, forse perché quella città è la capitale economica del mondo, forse perché non è tanto normale che una tempesta tanto devastante arrivi a queste latitudini (non discuteremo ora se un tale evento sia veramente anomalo o semplicemente l'evento che deve avvenire ogni tot di tempo relativamente lungo). Ciò che è certo è che l'arrivo di Sandy nelle vicinanze di New York ha portato al mondo una sensazione di impotenza e di fragilità non usuali in una urbe tanto potente (forse un po' meno dopo l'11 settembre 2001).

Varie infrastrutture critiche sono mancate in quei giorni, compresa la metropolitana. Il caso della metropolitana di New York è stato paradigmatico. Questo impianto, di grande estensione e complessità, si trova, per la maggior parte del suo percorso, sotto il livello del mare. L'aumento del livello del mare a sommerso le installazioni e il sale marino ha aggiunto la corrosione alla complessità del drenaggio. Secondo le autorità, la metropolitana di New York non aveva mai fatto fronte ad una sfida tanto grande nei suoi 108 anni di storia. Per vari giorni i newyorkesi hanno dovuto subire l'interruzione del servizio di molte linee e ancora oggi alcune linee non funzionano a piena capacità. La situazione sta tornando ad una certa normalità... una normalità nella quale i problemi della metropolitana sono ricorrenti ad un certo livello, con interruzioni abituali del servizio in alcune occasioni per vari mesi.

Il caso della metropolitana di New York esemplifica abbastanza bene come la nostra società occidentale ed industrializzata si è arrischiata a costruire infrastrutture dalle quali ora dipendiamo a livello vitale ma che la cui manutenzione richiede grandi quantità di energia e materie prime. Tali costruzioni diventano sempre più fragili al passare del tempo, in parte per l'invecchiamento (la “curva della vasca da bagno” che è solito menzionare Rafa Íñiguez) e in parte perché sull'infrastruttura iniziale si vanno aggiungendo nuovi impianti per fornire servizi maggiori e migliori. In molti casi, queste aggiunte sovraccaricano la struttura precedente, che non era dimensionata per quelle capacità e questo fa dell'insieme una cosa tanto fragile quanto un castello di carte e con costi operativi e di manutenzione che crescono esponenzialmente col numero di funzionalità che le si vanno ad aggiungere. Il problema è che a un certo momento si arriva ad un punto nel quale, per la decrescita degli ingressi energetici che giungono alla società e per i costi crescenti della manutenzione, le infrastrutture non possono essere mantenute oltre e, senza un piano appropriato per il loro ridimensionamento, queste continueranno in un processo simile a quello della necrosi negli esseri viventi, cosa che può portare alla loro completa distruzione. Disgraziatamente, ideare un programma di ridimensionamento è qualcosa di politicamente molto impopolare e contrario al programma del progresso che sostiene la psicologia collettiva in occidente, così i rappresentanti politici preferiranno sempre mettere in marcia programmi complessi e costosi di riqualificazione ed estensione prima di progettare programmi di ridimensionamento e di di sfruttamento della parti più recuperabili ed essenziali dell'infrastruttura compromessa.

Il problema dell'insostenibilità delle infrastrutture della società moderna è molto più grave ed ha una portata molto più profonda di quanto la maggior parte della gente immagini e probabilmente anche di quanto sappiano molti dei lettori abituali di questo blog, al punto che si può dire, senza esagerare, che il possibile collasso di queste infrastrutture costituisce una delle minacce più grandi alle quali dovremo far fronte nei prossimi anni. Farò alcuni esempi.

Uno dei problemi che dovrà affrontare una società dalle risorse magre è quello della gestione delle installazioni nucleari. Abbiamo già parlato diverse volte dei vari rischi associati all'energia nucleare  e in particolare dei problemi di manutenzione degli impianti nucleari. Per esempio, in questo momento il costo della catastrofe di Fukushima in Giappone è valutata in 100.000 milioni di dollari. Un costo esorbitante che supera ampiamente i benefici netti che potevano dare le 6 centrali per tutta la loro vita utile: con una potenza installata per tutto il gruppo di 4,7 Gw e assumendo un Fattore di Capacità del 80% (quello usuale per una centrale nucleare), queste centrali producevano 33.000 Gw/h di elettricità all'anno. Considerando un prezzo medio approssimativo di 20 centesimi di dollaro per Kw/h come valore commerciale di tutta questa elettricità annua sarebbero 6.600 milioni di dollari. Anche con un margine commerciale del 50%, queste centrali darebbero un beneficio annuo di 3.300 milioni di dollari, per cui rimediare a questo disastro equivale a tutto il beneficio economico atteso dalle centrali in 30 anni (e questo senza tenere conto di altri costi variabili e dando per buona la cifra di 100.000 milioni di dollari di prima, che alcuni portano a 600.000 milioni di dollari). E in queste stime non si fornisce un orizzonte temporale, per quanto tempo dureranno le contenzioni impiegate. Ricordando l'altro grande incidente nucleare, quello di Cernobyl, recentemente si è saputo che una parte del reattore distrutto è cadente e questo mette più pressione perché si proceda alla costruzione del secondo sarcofago, visto che si sono rilevate numerose infiltrazioni nel primo (frutto dell'azione dell'inclemenza del clima e dell'erosione radioattiva), il quale ha un costo stimato di 1.500 milioni di euro e si spera che duri 100 anni. E' facile supporre che entro 100 anni dovrà essere di nuovo sostituito e che pertanto il costo dell'installazione (ora improduttiva in termini energetici) possa essere facilmente di varie migliaia di milioni di euro da oggi per diversi decenni (è difficile credere che durerà un secolo intero quando i process di deterioramento che agiscono su tale installazione sono in parte sconosciuti). Senza arrivare a questi casi estremi, vale la pena di ricordare che non è stata ancora smantellata nessuna centrale nucleare nel mondo alla fine della sua vita utile, processo che è molto lento – dura circa 50 anni. L'Amministrazione per lo Smantellamento Nucleare britannica stimava un costo di 70.000 milioni di sterline (circa 81.000 milioni di euro) per smantellare i 19 gruppi esistenti nel Regno Unito, anche se la valutazione di un processo tanto lento è complicata e probabilmente sarà molto maggiore – soprattutto per il fatto che non ne è avvenuta nessuna ad oggi.

Un altra infrastruttura la cui complessità è andata crescendo senza che ci sia alcun piano di sostenibilità associato è la rete elettrica nel suo insieme, tenendo in considerazione sia la distribuzione sia la produzione. I costi impliciti della folle espansione e dell'incapacità di conservare sia la forza generatrice sia la capacità di trasporto in rete portano a interruzioni ripetute e dalle gravi conseguenze. In Argentina è avvenuto un grande black out alla fine dell'anno scorso, anche se sembra uno scherzo in confronto con quello avvenuto in India la scorsa estate (l'8% dell'umanità è rimasto senza luce). Ad altre latitudini si prendono misure per evitare prevedibili black out: mentre in Giappone il disciplinato popolo nipponico ha tollerato pazientemente le restrizioni al consumo fino al 30%, necessarie dopo l'incidente di Fukushima, in Francia il presidente François Hollande ha proibito di mantenere accese le luci delle vetrine dei negozi e parte dell'illuminazione pubblica durante la notte (ma soprattutto non si dica che la Francia sia in Mali per garantirsi l'accesso all'uranio che le manca). E non è solo la generazione è in discussione, anche la stessa rete presenta problemi di costi di manutenzione crescenti. Spesso si è denunciata la complessità e l'alto costo della manutenzione della rete elettrica degli Stati Uniti, al punto che la Società degli Ingegneri Elettrici ed Elettronici (IEEE) denunciava anni fa la necessità di sostituire più del 40% della rete, antica di circa 100 anni, con un costo elevatissimo, se si voleva evitarne il collasso. In Spagna i problemi con la rete sono ricorrenti, anche se qui il problema viene più dal de-investimento delle compagnie elettriche che controllano il mercato che non dall'obsolescenza delle reti. In ogni caso, il ringiovanimento e la sostituzione della rete elettrica si prospetta problematica se dovesse sopravvenire il picco del rame, come sembra, verso il 2018 e se in realtà le riserve di rame rimanenti dipendono strettamente dalla disponibilità di energia abbondante per il suo sfruttamento. Sicuramente il rame si può riciclare, ma a quale costo energetico? E come si possono soddisfare le necessità delle potenze emergenti?

Se la rete elettrica è in pericolo, in un mondo che non può permettersi di pagare fatture energetiche sempre più care, la situazione non è migliore per il resto delle infrastrutture. Il cemento armato soffre di un problema di obsolescenza gravissimo che limita la vita utile delle infrastrutture fatte con esso ad un secolo come massimo, 50 anni nella maggior parte dei casi e molte infrastrutture cruciali stanno già raggiungendo quell'età. Il costo di rimpiazzare tutti i ponti, le strade, i canali sotterranei, le dighe e gli edifici è stimato in 3 miliardi di dollari solo negli Stati Uniti. Il problema è conosciuto da molto tempo e la sua soluzione è tecnicamente semplice, ma l'alternativa costruttiva è più lenta, cara e al fine di mantenere un BAU sfrenato e crescente è sempre stata disdegnata. Di nuovo, il sistema che è stato imposto si basa sull'ipotesi di avere accesso a quantità illimitate di energia e la mancanza della stessa genera un problema che si aggrava esponenzialmente nella misura in cui la durata di vita dell'infrastruttura si sta esaurendo. I Romani hanno costruito strade ed acquedotti che sono sopravvissuti 2000 anni; la nostra civiltà lascerà poche tracce che possono sopravvivere ai nostri nipoti.

Non è solo il capitale fisico quello che, per la sua scarsa qualità e per la sua grande dipendenza dall'energia futura, viene distrutto. Sta svanendo anche il capitale umano e la capacità di trasformarsi propria di una società industriale. Un aspetto di ciò è lo sprofondamento sempre più rapido del settore dell'automobile, che porta alla chiusura di fabbriche di moto e auto. La scomparsa delle industrie è grave per la perdita di lavoro e per il dramma della disoccupazione in primo luogo, ma su un secondo piano si produce un altro effetto indesiderabile: la perdita di base industriale. Visto che tutta questa industria, con le sue grandi dimensioni, è quella che ha reso possibile la costruzione su grande scala di componenti molto sofisticati che in altro modo non sarebbero praticabili economicamente. E non solo questo, ma che si possa garantire una manutenzione specializzata a prezzi ragionevoli. La maggioranza della popolazione è così abituata a questi miracoli tecnici quotidiani che non si rendono conto di quale impresa sia fabbricare un pannello fotovoltaico o fare manutenzione ad un aereo. Con lo sprofondamento dell'industria si perdono le fabbriche, gli strumenti specifici e si perde anche il capitale umano che un giorno gli aveva dato un senso. Inoltre, non si danno gli incentivi adeguati perché i più giovani scelgano strade professionalmente più difficili e socialmente meno riconosciute. Continuando con questa, tendenza potremmo incontrarci in poco tempo con una incapacità reale di provvedere a certe forniture chiave e di mantenere certe infrastrutture la cui riparazione aveva una complessità della quale non eravamo coscienti.

Il degrado delle infrastrutture e del capitale fisico e umano che le sostengono hanno una radice profonda, come sappiamo, nel declino energetico, e disgraziatamente lo va a ri-alimentare. Proprio nel momento in cui avremmo bisogno di incrementare più che mai la nostra disponibilità energetica, questa diminuisce. Proprio quando la bolla finanziaria è più grande che mai e che il capitale che abbiamo preso in prestito dal futuro è il più grande della Storia, ci troviamo in una situazione nella quale la crescita economica è impossibile. E' la tempesta perfetta. Questo nome Tempesta Perfetta è, giustamente, il titolo di un rapporto portato alla luce una settimana fa da un'importante firma finanziaria su scala globale, Tullet Prebon. E' un documento contrassegnato da preziose immagini di rovine di civiltà che sono collassate, il che da indicazioni su quali letture debbano aver ispirato il suo autore. In esso si suppongono le quattro cause per le quali l'attuale crisi è tanto grave e non ha precedenti e delle quattro una è posta in rilievo come la principale: il declino dell'energia netta. Risulta scioccante e allo stesso tempo confortante leggere, in un rapporto di una grande firma esclusiva britannica, che l'economia è solo il linguaggio e che la vera sostanza è l'energia, che l'economia deve essere ridotta alla sua dimensione energetica o che il concetto chiave è quello del Ritorno Energetico (in inglese EROEI). Tutta una rivendicazione del lavoro di Charles Hall e dei postulati economici delle teorie post capitaliste. Ma ciò che è veramente allarmante è vedere espresso con nitidezza il concetto di “abisso dell'energia netta” che avviene quando l'EROEI scende sotto una certa soglia, fenomeno del quale abbiamo già parlato qui tempo fa. Soprattutto quando gli analisti di Tullet Prebon considerano che l'EROEI di tutte le nostre fonti di energia potrebbe cadere a 11 in pochi anni. Data la non linearità del rapporto fra l'energia netta e l'EROEI, all'inizio le diminuzioni progressive dell'EROEI si traducono in diminuzioni molto piccole dell'energia netta. Tuttavia, oltre il valore limite di 10, piccole diminuzioni dell'EROEI conducono a grandi diminuzioni dell'energia netta. E' il precipizio o abisso dell'energia netta.

Che l'energia netta del petrolio stia diminuendo rapidamente è una cosa sempre più evidente. Qualche mese fa il costo marginale di un barile di petrolio superava i 92 dollari, un prezzo prossimo alla soglia del dolore per le economie industriali. Il prezzo del petrolio, pertanto, non si mantiene alto per piacere, ma per necessità. Come dimostrano un paio di dati significativi. Il primo, che nonostante i grandissimi investimenti effettuati, la produzione delle 5 grandi compagnie petrolifere occidentali, eredi delle “7 sorelle”, diminuisce a ritmo costante, come mostra il seguente grafico preso dall'articolo di Matthieu Auzanneau dove si spiega:



Il secondo è ancora più allarmante. In questo momento la maggior parte delle riserve di petrolio non sono in mano alle multinazionali che abbiamo analizzato, ma in quelle delle compagnie nazionali del Medio Oriente e delle compagnie più o meno statali che controllano gli scambi in Russia, Cina e Brasile. Data la collusione fra gli interessi degli affari duri e puri e gli Stati che, di fatto o di diritto, ostentano il controllo di queste compagnie, queste compagnie possono imbarcarsi in investimenti che vanno oltre la logica imprenditoriale e a favore di una logica di protezione degli interessi strategici degli stati che le sostengono. Mentre il mondo viveva i giorni dolci dell'espansione del credito e dell'energia sempre più abbondante non c'erano problemi, ma quando le risorse hanno iniziato a scarseggiare queste compagnie si sono lanciati in investimenti in nuove prospezioni oltre il ragionevole dal punto di vista dell'investitore. Non si può essere contemporaneamente compagnia pubblica e privata e gli investitori stanno cominciando a punire duramente queste compagnie che investono più di quello che guadagnano e in alto si spartiscono dividendi per proiettare una falsa immagina di cuccagna e normalità. Le azioni di Petrobras (Brasile) e Gazprom (Russia) crescono, mentre altre compagnie come Sinopec (Cina) sono sotto tiro per la loro pessima politica di investimento. Il grande affare che si supponeva fosse investire nel settore degli idrocarburi in quei paesi è risultato essere un'altra bolla finanziaria, semplicemente perché il petrolio e il gas non sono tanto abbondanti come si diceva. Esattamente la stessa cosa succede col fracking da queste parti. Ma ancora è difficile accettare che in realtà il settore è cambiato, che stiamo vivendo il tramonto del petrolio...

E se questa situazione non è di per sé affatto buona, il problema si vede aggravato di nuovo dalla decadenza delle infrastrutture. Quando calcoliamo l'EROEI del petrolio attualmente in estrazione, il risultato è migliore di quello che darebbe se realmente potessimo calcolarla in relazione a tutto il suo ciclo di vita, perché una parte dell'infrastruttura imprescindibile per il suo sfruttamento sta già lì e bisogna solo conservarla – finché si può. Il problema si pone, per tanto, quando l'infrastruttura è ammortizzata e si deve costruirne una nuova che la sostituisca. E' il caso, per esempio, delle raffinerie nel mondo occidentale. E' da più di 30 anni che non se ne costruiscono e, al contrario, per problemi di rendimento associati alla difficoltà di raffinare il diesel, molte stanno chiudendo. Se tutti questi costi, che un giorno si dovranno pagare, si tenessero in conto, l'EROEI risultante sarebbe minore e vedremmo che la società è condannata ad un collasso improvviso. Ma tale collasso non avviene mentre le infrastrutture siano operative, mentre non è necessario ripetere l'investimento di energia fatto per metterle in funzione. La nostra situazione è simile a quella dei passeggeri che viaggiano in un vecchio aereo che ha già esaurito la sua vita utile e si trova in mezzo all'oceano. Le sue ali sgangherate non permetteranno di attraversare la vasta estensione di acqua ma non sappiamo né quando né come cadrà.

Carlos de Castro è solito segnalare che l'EROEI del petrolio in realtà è minore di quello che si presume sempre e tuttavia ciò non comporta il collasso della società. Questa affermazione è vera a metà: il petrolio in questo momento beneficia del fatto di non dover pagare gli investimenti precedenti necessari per il suo sfruttamento sotto forma di infrastruttura (oleodotti, raffinerie, canali di distribuzione, rete di distributori), il che permette che il suo rendimento energetico sia molto maggiore che se si contasse la spesa energetica di tutto questo sfoggio in esso dovuto alla contabilità energetica. Tuttavia, un giorno o l'altro arriverà il momento in cui dovremo lasciar perdere tutto questo e le eccedenze che lascerà il petrolio allora probabilmente non saranno sufficienti. In quel momento, il dramma dell'EROEI molto basso affiorerà di colpo e la discesa sarà molto più improvvisa di quanto immaginato.

Il concetto di EROEI è molto utile per poter analizzare la sostenibilità della società, ma si deve tener conto che è un concetto termodinamico e pertanto ha un senso pieno solo quando si calcola in situazioni di equilibrio, pertanto statiche, nelle quali le cose non variano nel tempo o lo fanno molto lentamente. Per molto lentamente bisogna intendere che i fattori che cambiano lo fanno in periodi più prolungati della vita utile delle installazioni energetiche, così c'è tempo sufficiente per vedere se l'energia generata da alcune fonti è sufficiente per poter mantenere una società e allo stesso tempo pagare tutti i costi di ripristinare l'infrastruttura che richiedono. Tuttavia, noi stiamo applicando il concetto di EROEI in situazioni non statiche e così l'informazione che otteniamo da esse è molto erronea. E' la stessa cosa che fa sì che, per esempio, non siamo capaci di riconoscere se alcune fonti di energia non siano altro che estensione dei combustibili  fossili. Complica ancora di più le cose il fatto che l'essere umano ha una visione statica delle cose, anche quando sono dinamiche, e questo ci rende difficile riconoscere i cambiamenti se sono sufficientemente lenti rispetto al tempo interno della psiche umana. Abbiamo costruito tutto un complesso modello di società dando per scontato che il petrolio sarà sempre lì ad alimentarlo, senza tenere conto non solo che mancava il petrolio abbondante e a buon mercato, ma che avrebbe dovuto mantenere tutta una infrastruttura che lo puntellava e i cui costi iniziali erano stati pagati quando ci avanzava quello che ora ci andrà a mancare.

Questo declino delle infrastrutture, questa incapacità di sostituire ciò che si è potuto finanziare quando l'energia era a buon mercato, potrebbe essere alla fine la causa ultima e profonda del rapido declino della società teorizzato dal Prof. Ugo Bardi. Bardi osserva che le fasi di declino e collasso delle civiltà sono più rapide di quelle di ascesa, chiamandolo “Effetto Seneca”, in onore dell'insigne filosofo che già rilevava questo effetto nei suoi scritti sulla decadenza dell'Impero Romano  (“Il cammino verso la rovina è rapido”):

Bardi ipotizza che questo declino accelerato sarebbe dovuto ai costi crescenti del far fronte all'inquinamento, inteso in forma ampia, come qualsiasi effetto di degrado dell'ambiente o dell'habitat umano. Dato che l'habitat di un essere umano ha già una componente “artificiale” (antropizzata, sarebbe il termina più appropriato) , la decadenza delle infrastrutture si potrebbe intendere come un effetto di degrado del tipo menzionato. Pertanto, potrebbe ben essere il caso che una delle cause più importanti del declino precipitoso delle civiltà, quando superano l'abisso dell'energia netta, non sia tanto l'inquinamento in senso stretto, ma la capacità di assumersi i costi differiti incorporati nelle infrastrutture e i loro inevitabile collasso trascinerebbe con sè il la società intera.  

La conclusione di questa lunga discussione è che le nostre infrastrutture, che oggi diamo per scontate nella loro grandiosità ed efficienza, sono condannate a decadere a un ritmo simile a quello della nostra disponibilità energetica netta (Dario ha portato nel post precedente un interessante caso pratico con la relazione fra la diminuzione del consumo di benzina e le difficoltà di manutenzione delle strade). Tale prospettiva introduce una nuova variabile di preoccupazione, che si aggrava anche di più se teniamo conto che conservare un buon EROEI per lo sfruttamento delle fonti di energia rimanenti dipende, per l'appunto, dalla conservazione di quelle stesse infrastrutture che sono condannate. E' un nuovo effetto non lineare del declino energetico, uno dei più perniciosi e probabilmente la chiave dell'Effetto Seneca.

In realtà, al posto di cercare di mantenere a tutti i costi queste infrastrutture che inevitabilmente decadranno, ciò che si dovrebbe studiare ed analizzare è ciò che si può ragionevolmente mantenere su base locale. Altrimenti, queste infrastrutture grandiose ci trascineranno nella loro caduta col loro peso gigantesco, facendoci spendere rapidamente le poche risorse che ci restano. 

Saluti.
AMT







domenica 16 settembre 2012

Punti di leva nell'accumulo di energia

Da Cassandra's Legacy. Traduzione di Massimiliano Rupalti



Questa è una versione scritta di una lezione che ho tenuto ai miei studenti del corso di “Tecnologia Avanzata dei Materiali”. In questo caso il tema della lezione, l'accumulo di energia, mi ha portato a sviluppare alcune considerazioni che hanno a che fare con il tipico modo umano di prendere così spesso la decisione sbagliata. Non sono sicuro se c'è una ragione termodinamica alla base di questa tendenza, ma questo post fornisce alcuni suggerimenti sul fatto che potrebbe essere così. L'immagine della cascata sopra è usata per indicare il flusso che risulta da un potenziale energetico. 


Salve a tutti e benvenuti. Oggi vorrei cominciare raccontandovi una cosa che mi è capitata ieri. Stavo facendo una presentazione sull'energia a un incontro pubblico e c'erano diverse persone politicamente schierate che assistevano. Durante il dibattito, qualcuno ha detto qualcosa tipo: “Vede, Professore, penso che se lei si candidasse alle prossime elezione prenderebbe zero voti”.

Lasciatemi dire che non era da intendersi come un'offesa. No, era la constatazione di un fatto ed era corretta. Ma cosa ho detto da rendermi totalmente ineleggibile? Be', ho detto che le risorse naturali sono limitate e che dovremmo sforzarci di consumarne di meno, non di più. Ma, naturalmente, non puoi presentarti alle elezioni con un programma del genere! C'è qualcosa, credo, che impedisce la connessione della realtà fisica con la politica ed è per questo che a volte ho l'impressione che la politica si possa definire come l'arte di prendere le decisioni sbagliate.

Naturalmente, la politica non è il tema della lezione di oggi, ma ho pensato di citarvi il dibattito di ieri perché penso che sia importante inquadrare il problema in modo ampio, altrimenti ci potremmo ritrovare in una situazione in cui spendiamo un sacco di energia e soldi per sviluppare tecnologie sofisticate per risolvere il problema sbagliato. Penso sia una situazione molto comune, molto più comune di quanto vorrei che fosse. E potrebbe anche essere così per l'accumulo di energia. Si spendono molti soldi ed energia per trovare soluzioni tecnologiche per accumulare l'energia prodotta dalle rinnovabili, ma molto poche per capire quale sia il vero problema. Di quanto accumulo di energia abbiamo veramente bisogno? Ed è vero che se non abbiamo il 100% dell'accumulo di energia allora le rinnovabili sono inutili, come dice qualcuno?

Su questo tema, vorrei partire citando una cosa detta qualche decennio fa da Jay Forrester, lo sviluppatore della dinamica dei sistemi. Lui diceva che i sistemi complessi hanno qualcosa che lui chiamava “punti di leva”, cioè, punti in cui si può agire per controllare il sistema facendo un piccolissimo sforzo. E aggiungeva un altro concetto: in genere la gente capisce molto chiaramente dove siano le “leve” del sistema, ma spesso tendono a tirarle dalla parte sbagliata, peggiorando il problema anziché risolverlo. L'idea di Forrester è stata resa popolare da un saggio piuttosto famoso di Donella Meadows intitolato "Leverage Points" (Punti di Leva). E' un saggio molto interessante, ve ne raccomando caldamente la lettura. Ma, oggi, concentreremo la nostra discussione sull'accumulo di energia.

Ricorderete sicuramente, dalle lezioni precedenti, che la dinamica dei sistemi è un modo curioso di disegnare rettangoli e piccole frecce. Così, quando disegniamo un rettangolo lo intendiamo come “stock” (riserva); una quantità di qualcosa. Quindi, fatemene disegnare uno sulla lavagna.
Questo riquadro rappresenta uno stock di risorse e l'ho contrassegnato con una “R”. Ora, con “risorse” possiamo intendere qualsiasi cosa, dai soldi nelle nostre tasche al grano in un granaio. La cosa interessante, tuttavia, è quando intendiamo queste risorse come energia. Quindi possiamo chiamare questo riquadro energia accumulata.

Pensate a questa energia accumulata come, ad esempio, a un serbatoio di benzina. Finché quest'energia rimane chiusa dentro il serbatoio, non fa niente per noi. Per far sì che l'energia sia utile per qualcosa, dobbiamo usarla, e per usarla, dobbiamo fare in modo che questa energia scorra; per far andare un motore bisogna bruciare benzina. Questo ha un valore generale ed è qui che le leggi della Termodinamica entrano in gioco. Sappiamo che l'energia dev'essere conservata e anche che dev'essere degradata. Quindi modifichiamo il diagramma per fare in modo che mostri i flussi di energia. 


Lasciate che vi spieghi. Vedete che c'è una doppia freccia che va dal riquadro “risorse” ad una nuvoletta in basso. Assumiamo che il riquadro abbia un potenziale termodinamico più alto della nuvola (che è un altro “stock”, ma non ci preoccupiamo di misurarne la dimensione). Così, l'energia scorre dal riquadro alla nuvola e si degrada nel processo. Potrebbe essere benzina che viene bruciata, acqua che scorre verso il basso da un bacino o cose simili. 


Lo scorrimento verso il basso dell'energia è regolato da una valvola rappresentata da un simbolo simile a una farfalla. Potete aprire e chiudere la valvola. Questo viene rappresentato nel modello dai valori variabili della costante “K1”. Questo regolerà il flusso, ma non è il solo fattore. Anche la dimensione del bacino avrà effetti sul potenziale e quindi sul flusso. Se fate uscire l'acqua dal fondo di una cisterna, la velocità del flusso dipenderà da quanta acqua c'è nella cisterna. Mentre fate uscire l'acqua, il flusso diminuirà gradualmente. Questo è un effetto comune anche ad altri tipi di sistemi, ma non sempre. Se pensassimo, invece, ad un serbatoio di benzina, il motore ovviamente non rallenterebbe quando la benzina diminuisce! 
Ho anche aggiunto un altro aspetto al modello: un modo per riempire il bacino. Qui abbiamo un altro tasso di flusso regolato da una valvola. L'energia scorre nel bacino da un altro stock ad un potenziale più alto. Anche questo stock è rappresentato da una piccola nuvola – il che sta a significare che non ci interessa la sua dimensione. Qui, assumo che non ci sia effetto da parte della dimensione dello stock sul tasso di flusso (pensate alla pioggia che riempie un bacino), che viene regolato semplicemente da una costante chiamata K0. Così abbiamo costruito un modello molto schematico di quello che intendiamo per accumulo di energia.  

Naturalmente, se scendiamo nei dettagli, vediamo che le reali caratteristiche fisiche dell'accumulo e della valvola varieranno a seconda del tipo di sistema con cui abbiamo a che fare. Immaginate di avere un carico immagazzinato in un condensatore (o in una batteria). E che possiate regolare il flusso di corrente attraverso una resistenza variabile. Se la resistenza obbedisce alle leggi di Ohm, allora il flusso (la corrente) è direttamente proporzionale al potenziale (voltaggio). Nel caso di batterie di automobile, viene fatto un grande sforzo per assicurarsi che il potenziale rimanga costante mentre la batteria si scarica. Questo fa sì che il sistema si comporti in modo molto diverso da una diga, ma assicura che la tua auto elettrica continui ad andare sempre con la stessa potenza a disposizione. Altrimenti sarebbe come una grande auto giocattolo che rallenta mentre si muove. 

Qualsiasi siano i dettagli del sistema, il punto è che il costo dell'energia in relazione al controllo delle valvole è spesso molto piccolo in confronto alla quantità di energia che può essere accumulata in un sistema. Quindi, avete il potere di controllare il potenziale del sistema. Naturalmente, avete bisogno di avere la giusta tecnologia, l'attrezzatura, l'ingegneria ed altro. Ma una volta che avete questa capacità – e spesso non è così difficile – allora controllare il flusso diventa una decisione che può essere presa indipendentemente dalla termodinamica. Penso che ora possiamo capire cosa avesse in mente Forrester con la sua idea dei “punti leva”. I parametri termodinamici del sistema non possono essere cambiati facilmente, ma grandi stock di energia possono essere controllati da una valvola relativamente minuscola, come un condotto di una diga o le barre di controllo di un reattore nucleare. E' un bel po' di potere che potete avere su quei sistemi.

Ma, allora, cosa significa quello che diceva Forrester, “tirare le leve nella direzione sbagliata”? Be', questa è la parte interessante. Torniamo al semplice modello di stock e flussi che abbiamo fatto prima. Pensiamo all'energia accumulata, stavolta, in termini di petrolio greggio accumulato nel sottosuolo, nei sui depositi naturali. Ora, sapete cosa dice la maggior parte dei politici su questo. Dicono che dovremmo investire sull'aumento della produzione di risorse petrolifere nazionali. Dicono che in questo modo creeremo lavoro, faremo ripartire la crescita economica e tutto il resto. Ma, nei termini del diagramma di stock e flusso, cosa significa esattamente? Ecco, qualcosa del genere:

“R” sta per giacimenti petroliferi. Ovviamente, non c'è il flusso in input, cioè non c'è petrolio che arriva nello stock, visto che il petrolio si è formato milioni di anni fa e nessuna attività politica può influenzare eventi che hanno avuto luogo nel Giurassico. Così, quello che è avvenuto è questo: mentre stavamo estraendo (o producendo, se volete) petrolio, la quantità dello stesso rimasta nel sottosuolo è scesa gradualmente. Questo ha cambiato il potenziale dei pozzi. La quantità di energia che potete ottenere da un barile di petrolio non è cambiata, ma l'energia totale che potete ottenere dal sistema è minore, visto che ci vuole più energia per estrarre la stessa quantità di petrolio. Questo cambiamento dei parametri termodinamici del sistema appare sotto forma di parametri economici. Ci vuole sempre più denaro per estrarre il petrolio e questo tende a ridurre il flusso segnato come “tasso 1” (rate1). Qui stiamo incrociando il concetto di “picco del petrolio”, ma non entriamo nei dettagli adesso.

Tornando a Jay Forrester, molta gente è perfettamente in grado di capire dove siano le “leve” e i nostri politici non fanno eccezione. Dicono che dovremmo agire sulla valvola del diagramma. Dovremmo aumentare il coefficiente K1 in modo da compensare la tendenza del sistema o rallentare il suo tasso di produzione. Questo è certamente possibile con investimenti, tecnologia ed altre cose. Ma capite che è un errore, vero? Aumentando il tasso di produzione finiremo il petrolio più rapidamente! E' quello che ho chiamato “Effetto Seneca”, in un post dove ho preso ispirazione dall'antico filosofo Romano, Seneca, quando diceva che la rovina è molto più rapida della fortuna. Spingendo per estrarre più petrolio dalle riserve rimaste, potremmo forse avere una breve abbondanza di petrolio,   ma poi lo vedremmo finire molto più velocemente del “normale” tasso di esaurimento delle riserve. Sfortunatamente, sembra che non molti politici leggano i miei post, ahimè... 

Quindi potete capire perché ieri all'incontro mi hanno detto che avrei preso zero voti come candidato alle prossime elezioni. Vedete? Proporre di produrre meno petrolio significa aumentare i prezzi della benzina, il che non è mai molto popolare in un contesto politico. Penso che non sarebbe impopolare quanto se proponessimo, diciamo, di abolire il calcio qui in Italia. Ma ci andrebbe sicuramente vicino. 

Questo illustra l'errore che viene dall'aprire troppo la valvola. Naturalmente, la gente può fare l'errore opposto, anche se questo caso è un po' più delicato. Torniamo al caso di una diga. Se non lasciate scorrere l'acqua, cioè se tenete chiusa la valvola, allora la diga strariperà.
Potete vedere questo caso come una valvola che si comporta in modo non lineare – che ha una soglia. Ancora peggio, se c'è troppo potenziale nel bacino, la diga potrebbe cedere. Questo è un altro tipo di soglia per la valvola; uno molto pericoloso, naturalmente. Ci sono altri esempi. Al tempo dei motori a vapore, la gente tendeva ad aumentare la pressione nei bollitori agendo sulle valvole di regolazione. Questo dava loro più potenza, certo, ma a volte il tutto esplodeva. Pensate al controllo di un reattore nucleare ed avete lo stesso problema. E' quello che è accaduto col disastro di Chernobyl. I tecnici del reattore avevano i mezzi per controllare il flusso di energia generata dal reattore ma hanno lasciato accumulare troppo potenziale. Quando si sono accorti di quello che succedeva, si sono affrettati a cercare di spegnere il reattore, ma era troppo tardi. Così, il punto è che ogni volta che hai un potenziale energetico, se lo lasci accumulare, esso cercherà di liberare o “sfogare” questo potenziale in modi che possono non avere niente a che fare con una leva (o valvola) che siete in grado di controllare. Molti incidenti accadono a causa di questo effetto. Purtroppo.

Un fenomeno tipico, qui, è che potreste pensare di avere tutto sotto controllo; cioè anche se la vostra “leva” lavora bene, non sarete in grado di gestire il sistema come vorreste. Se ci sono ritardi nel sistema, gli esseri umani dovranno faticare per capirli e il risultato sarebbero delle grandi oscillazioni; molto difficili da controllare e che possono causare un sacco di danni. Questo fenomeno è stato studiato da – indovinate da chi! - Jay Forrester che lo ha chiamato “effetto frusta”. Viene normalmente applicato ai sistemi aziendali, ma anche i sistemi aziendali devono obbedire alle leggi della termodinamica. I sistemi possono oscillare e collassare anche senza l'intervento umano. E' il caso della cosiddetta “criticità auto-organizzata”. Potreste averne sentito parlare come del “modello della pila di sabbia”. E' un modello di tipo diverso, ma le valanghe nel mucchio di sabbia sono, alla fine, causate dal potenziale gravitazionale che agisce sui granelli.

Così, penso che abbiamo afferrato il punto che volevo evidenziare in questa presentazione. Leve o valvole sono modi di creare potenziali e di lasciarli accumulare. E' cosa buona avere tali valvole, ma dobbiamo essere molto attenti con quello che facciamo. A volte sperperiamo il potenziale accumulato e a volte potremmo creare alti potenziali che poi non riusciamo a controllare. Il risultato potrebbero essere delle oscillazioni incontrollabili. 

Ora, torniamo al problema col quale eravamo partiti: accumulo di energia per le rinnovabili. Ciò che dice spesso la gente in questo - specialmente i politici – è che dovremmo costruire un grande sistema di accumulo di energia che ci permetterebbe di avere energia “su richiesta” quando ci serve. Ma, siccome sarebbe troppo costoso, il problema è spesso considerato come la ragione definitiva per la quale le rinnovabili non saranno mai utili. 

Ma analizziamo la questione più in profondità. Energia “a richiesta” significa che vogliamo prezzi stabili e piena disponibilità ad ogni momento. Ma l'accumulo, in sé, non è garanzia di stabilità. Considerate il petrolio greggio: non c'è problema nell'accumularlo; di sicuro non abbiamo il problema di doverlo usare prima che sparisca, come è invece per il vento o per la luce solare. Ma i prezzi del petrolio fluttuano parecchio, come sappiamo tutti. Noi attribuiamo ciò che chiamiamo “volatilità dei prezzi” a fattori di mercato. Ma possiamo anche vederli come manifestazione del “effetto frusta” che Forrester ha descritto molto tempo fa. Così, l'accumulo non garantisce in sé la stabilità dei prezzi, al contrario potrebbe aumentare la grandezza delle fluttuazioni!

Lasciatemi spiegare. Se c'è poco spazio di accumulo disponibile, i produttori devono ridurre i prezzi per vendere l'energia che producono prima di doverla buttar via. E' esattamente l'opposto quando i produttori hanno molto spazio di accumulo. Col petrolio al sicuro nei pozzi, i produttori potrebbero essere tentati a lasciarli lì e aspettare che i clienti diventino disperati e disposti a pagarlo qualsiasi prezzo. Temo che qualcosa del genere dev'essere successo più di una volta nel mercato mondiale del petrolio. E potrebbe diventare sempre più frequente quando i produttori capiranno che le loro risorse si stanno esaurendo gradualmente.

Così, l'idea di Forrester risulta essere corretta ancora una volta. Richiedendo sempre più accumulo di energie rinnovabili, stiamo tirando le leve nella direzione sbagliata. Se vogliamo ridurre la volatilità dei prezzi dovremmo fare esattamente l'opposto: dovremmo ridurre l'accumulo al posto di aumentarlo. Naturalmente, non fatemi dire che non abbiamo affatto bisogno di accumulo. Abbiamo bisogno di accumulo per servizi essenziali, per ospedali e cose simili. Abbiamo bisogno di essere in grado di accendere le luci anche in una notte senza vento. Ciò di cui non abbiamo affatto bisogno è un sistema che miri a fornire energia “su richiesta” ad ogni momento a prezzo costante. Sarebbe enormemente caro e avremmo grandi problemi nel mantenerlo stabile. 

Piuttosto, il miglior compromesso in termini di costi sarebbe un sistema con un accumulo limitato che usi i prezzi come un mezzo per gestire la domanda. Con un sistema simile potreste avere tanta energia quanta ne volete, in ogni momento, ma dovete anche essere disposti a pagare per averla. Questo potrebbe essere visto come un problema, ma anche come un'opportunità. Potreste dover pagare parecchio per l'energia in certi momenti, ma potreste anche averne di molto a buon mercato in altri momenti. Questa è un'opportunità se potete essere flessibili. E' un po' come col viaggio aereo. Se siete flessibili col vostro viaggio, potete viaggiare a prezzi bassi. Altrimenti dovete essere pronti a pagare molti soldi per il vostro biglietto. Incidentalmente,  queste tecniche di “gestione della domanda” usate dall'industria delle compagnie aeree danno la possibilità di viaggiare anche a persone che altrimenti non si sognerebbero nemmeno di permettersi un biglietto aereo. Qualcosa di simile potrebbe avvenire per l'energia in futuro – limitare la quantità di accumulo potrebbe rendere l'energia più abbordabile anche per i poveri.

Vorrei concludere questo discorso con considerazioni anche più generali sull'intero sistema economico. Possiamo vedere l'economia come una macchina che accumula energia in forma di “capitale” e gradualmente lo rilascia sotto forma di rifiuti (o “inquinamento” se preferite). Il punto interessante è che anche qui si applica la legge di Forrester, cioè che tendiamo a tirare le leve nella direzione sbagliata. Uno di questi modi sbagliati sarebbe quello di aprire troppo la valvola. E' ciò che chiamiamo “consumismo”. Naturalmente, consumare qualcosa significa distruggerla ed io ho la sensazione che forse lo stiamo facendo davvero troppo in fretta, non siete d'accordo con me? Questo è certamente un problema. L'altro modo possibile di operare sulla valvola nel modo sbagliato è che in qualche caso accumuliamo così tanto capitale – cioè, così tanto potenziale – che perdiamo il controllo su come viene dissipato. Potremmo superare qualche soglia che rende la dissipazione molto rapida, di fatto disastrosamente rapida. Chiamiamo questo tipo di fenomeno “guerra”, cioè, a proposito, un altro esempio di come la politica riesca  molto spesso a prendere la decisione sbagliata. 

Così, vedete che esiste qualcosa come il troppo accumulo e penso che vi stiate facendo qualche idea di come la dinamica dei sistemi, se accoppiata con la termodinamica, vi da una visione ampia di molti tipi di fenomeni. Molti sono parecchio rilevanti per la nostra vita. Ora, naturalmente questa lezione non è sull'economia e nella prossima entreremo ulteriormente nei dettagli della tecnologia dell'accumulo di energia; batterie, celle a combustibile e simili. Ma penso che questa introduzione potrebbe esservi utile e spero che abbia chiarito, almeno, che sapere di termodinamica non sarà molto utile alla vostra futura carriera politica, nel caso ne stiate programmando una!