sabato 20 aprile 2013

Cambiamento climatico: l'esempio di Fiesole

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Fiesole, una cittadina vicino a Firenze, è stata colpita dal cambiamento climatico proprio come qualsiasi altro luogo sul pianeta. Ecco il resoconto di un'iniziativa per portare il problema all'attenzione dei cittadini e per motivarli all'azione. In questa occasione ho cercato di usare alcune strategie che ho tratto principalmente da un documento sul cambiamento climatico di Peter Sandman, un professionista esperto di gestione del rischio. Fra queste strategie, Sandman suggerisce che dovremmo raccontare la verità sulla situazione, ma che non dovremmo cercare di far sentire la gente colpevole o di spaventarla. Dovremmo enfatizzare le misure concrete e le azioni che portano risultati che, nel caso del cambiamento climatico, significano considerare la mitigazione come qualcosa di importante quanto la prevenzione (e forse di più). Questo è un test, ma finora sembra aver funzionato a Fiesole. Ecco un elaborato del discorso che ho fatto all'incontro.  

di Ugo Bardi




Buongiorno a tutti. Per prima cosa, lasciate che vi dica che è un vero piacere essere qui a parlare tutti insieme di cambiamento climatico. Devo ringraziare l'amministrazione della nostra città per aver organizzato questo incontro ed anche i cittadini fiesolani che hanno trovato il modo di passare un intero venerdì mattina per occuparsi di questo tema.


E' qualcosa di nuovo: il cambiamento climatico è una di quelle cose di cui non si sente parlare così spesso, di recente. Era citato molto di più in passato, ma ora sembra che ci sia una specie di cospirazione del silenzio in proposito. In TV, sentite parlare di ogni sorta di stranezze, da quella cosa chiamata “Spread” al debito, ai bond, alla borsa e tutto il resto. E' come se non ci fosse niente di importante nel mondo se non il sistema finanziario.

Tuttavia, credo tutti noi abbiamo notato che c'è qualcosa d'altro che sta accadendo nel mondo reale. Vedete, io non sono uno specialista in scienza del clima, anche se ho fatto del mio meglio per studiare il tema. Ma penso anche che non ci sia alcun bisogno di essere uno specialista per notare cosa sta accadendo. Lasciate che vi mostri questa immagine:


Sono sicuro che riconoscerete questo edificio: è quanto rimane della ghiacciaia di Monte Senario, non lontano da dove ci troviamo oggi. Certamente saprete anche che, un secolo fa, la gente scaricava tonnellate e tonnellate di neve invernale nella pancia di quell'edificio cavernoso per farci il ghiaccio. Ghiaccio che poi vendevano a Firenze durante l'estate.  

Naturalmente, questo oggi non è possibile. Quest'inverno non abbiamo avuto per niente neve a Fiesole. Anche due anni fa, quando abbiamo avuto una grande tempesta di neve, è durata soltanto 2 o 3 giorni e poi la neve si è sciolta. Così, oggi, al più saremmo in grado di raccogliere in inverno ghiaccio sufficiente per fare qualche cono gelato in estate – se siamo fortunati. Infatti, le cose sono cambiate molto!

Ora, se il problema fosse solo che non possiamo più avere ghiaccio dalla neve invernale, be', potremmo dire che non è importante: abbiamo inventato i frigoriferi! Ma il cambiamento climatico prende altre forme e crea altri effetti. Lasciate che vi mostri questa foto, scattata la scorsa estate a Fiesole:



Ho raccolto fichi dagli alberi in estate per tutta la mia vita. Ma non avevo mai visto i fichi seccarsi sui rami prima di maturare. Questo è qualcosa di completamente fuori dal normale e fa il paio con altri cambiamenti nella vegetazione che si possono osservare. Molta gente ha notato come le valli di Fiesole stiano diventando gialle in estate. Questa è una cosa molto fuori dal normale: se ci pensate, potrete sicuramente ricordare che, fino a pochi anni fa, Fiesole rimaneva verde per tutta l'estate. Ora, questo è un grande cambiamento: potrebbe essere collegato alle temperature, alla siccità o all'inquinamento. Ma è un cambiamento che non possiamo ignorare. 

E non è tutto. Come sapete, lo scorso anno ci sono stati due grandi incendi nella valle. Lasciate che vi mostri una foto del fuoco che ha quasi distrutto il borgo di Monte Rinaldi.


Stavo tornando a casa quel giorno e, mentre passavo di fronte alla collina, ho visto fiamme gigantesche innalzarsi da dietro la collina. Posso dirvi che faceva veramente paura. Così, sono andato a casa, ho preso la mia macchina fotografica e sono tornato lì per fare qualche foto. Fortunatamente, a quel punto le fiamme erano quasi spente. Ma ci sono volute diverse ore e due elicotteri per estinguere completamente il fuoco. A parte tutte le altre considerazioni, pensate a quanto sia costato mantenere in volo quegli elicotteri così a lungo! E questo è un costo che dobbiamo pagare tutti noi come cittadini. 

Naturalmente, non si può attribuire un singolo evento, un incendio in questo caso, al riscaldamento globale. Sì, ma io ho vissuto per più di 40 anni in questa valle e ricordo un solo incendio sufficientemente grande da richiedere un elicottero per essere spento. Forse ce ne sono stati altri, non ne sono a conoscenza, ma quest'anno, come sapete, ci sono stati due grandi incendi vicino a Fiesole in un solo anno. Questo dovrebbe dirci qualcosa. 

Allora, cosa sta accadendo? Cambiamenti, grandi cambiamenti. E non solo siccità ed incendi. Oggi tendiamo ad usare il termine “cambiamento climatico” piuttosto che “riscaldamento globale”, come si usava fino a non molto tempo fa. Questo perché gli effetti del riscaldamento globale sono molto più complessi di quanto ci sembrassero all'inizio. Non si tratta solo del fatto che fa un po' più caldo, è l'intero clima che cambia in modi imprevedibili. Lo scorso anno c'è stata una terribile siccità, quest'anno è piovuto per sei mesi quasi ininterrottamente. Il clima sta diventando caotico. Gli specialisti su questo argomento possono dirci il perché, ma tutti noi ne vediamo le conseguenze. 

Fra le conseguenze del cambiamento climatico, ci sono alluvioni e tempeste di neve. Lasciate che vi mostri una foto di una grande tempesta di neve di due anni fa a Fiesole.


Bello, certo. Ma dobbiamo ricordare che la neve era così comune nella nostra città qualche decennio fa, che la gente doveva esserci abituata. Oggi, quando ci sono due giorni di neve, è un disastro! Nessuno sa più cosa fare. La cose cambiano! 

La stessa cosa vale per la pioggia. E' sempre piovuto a Fiesole ma, ora, quando piove lo fa così forte che crea grandi problemi. Ricordate cosa ci diceva l'assessore all'agricoltura proprio prima del mio intervento? Ha detto che ogni anno subiamo qualcosa come 3 milioni di euro di danni a causa dei fenomeni atmosferici. Questo non può essere totalmente attribuito al cambiamento climatico, naturalmente, ma una buona parte sì. 

Così, penso che non serve che gli scienziati del clima ci dicano che il clima sta cambiando. Lo possiamo vedere coi nostri occhi. E non è necessario che ci addentriamo in una di quelle orrende discussioni sul fatto che sia vero o meno, che sia causato o meno dagli esseri umani, se sia una grande truffa è tutto il resto. Potete pensarla come volete su questo argomento; forse non è così grave come dice certa gente. Forse qualcuno ci sta facendo i soldi sopra. Forse non è colpa nostra o, perlomeno, non completamente. Potremmo discutere di queste possibilità fino a che ci cadono le mascelle sul pavimento. Ma il punto è che tutti stiamo vedendo il cambiamento e non lo possiamo ignorare. 

E il punto è che questo corrisponde a quello che gli specialisti ci hanno sempre raccontato. Guardate questa immagine:



Guardate la linea rossa. E' la temperatura media della Terra secondo lo studio più recente. Comincia a salire rapidamente più o meno da quando abbiamo cominciato a bruciare carbone, circa due secoli fa. E, come vedete, la temperatura al tempo in cui era attiva la grande ghiacciaia di Monte Senario era perlomeno di circa mezzo grado (centigrado) inferiore di quella odierna. Così, solo mezzo grado è sufficiente a portare cambiamenti molto grandi. Pensate quindi a cosa potrebbe accadere con 2 o 3 gradi in più, come gli scienziati dicono che accadrà se continuiamo a bruciare combustibili fossili – come pare probabile che continueremo a fare. 

Ora, guardate questa immagine:

E' il mondo come potrebbe essere nel 2030-2039 secondo uno studio di “UCAR”. Le aree rosse della mappa indicano siccità. Fate attenzione su questo punto: è un “indice di siccità”. Non significa solo che piove meno. Significa anche che la pioggia arriva al momento sbagliato e fa più danno che guadagno. Guardate il Mar Mediterraneo: non è una regione solo rossa, è viola. Così, le siccità che abbiamo visto intorno a noi hanno senso – è qualcosa che ci si aspettava e che ci si aspetta che aumenti nei prossimi decenni. Siamo proprio nel posto sbagliato del mondo, in termini di siccità future. 

Quindi, vedete cosa stiamo affrontando. Potrebbe non essere politicamente corretto dire quello che dico, ma siamo tutti adulti. Non ci piace quando scopriamo che la gente ci sta “addolcendo la pillola”. Credo che si debbano dire le cose come stanno. Dobbiamo affrontare un futuro, nei prossimi decenni, in cui avremo più siccità, più incendi, più ondate di calore, più inondazioni improvvise e, probabilmente, più tempeste di neve. Questo è ciò che vedremo, a prescindere da quello che faremo come cittadini di Fiesole e a prescindere da ciò che verrà fatto a livello di governi e di trattati internazionali. Il cambiamento climatico e qui con noi per restarci, almeno per qualche decennio. Lo stiamo vedendo, lo vedremo di più in futuro. Così, quando pensiamo alla nostra città, pensiamo a qualcosa di verde e bello: 



Ma ecco lo stesso luogo, visto da un'angolazione diversa dopo l'incendio dell'anno scorso. Per quanto ancora avremo una Fiesole verde?



Vedete che abbiamo un problema. Un grosso problema. Così, cosa facciamo?. Be', il primo passo per risolvere il problema è riconoscere che esiste e il fatto che ci troviamo tutti qui oggi, significa che riconosciamo che il cambiamento climatico esiste e che dobbiamo fare qualcosa. Questo è un grande passo avanti.

Io credo che il problema climatico sia risolvibile. Ma abbiamo bisogno di metterci insieme e fare qualcosa. Molto può essere fatto a livello internazionale, attraverso trattati per ridurre le emissioni e passare a forme di energia più pulita. Ma per ottenere questi trattati dobbiamo costruire un consenso che renda questi trattati necessari. E il consenso parte a livello locale – parte dalla gente e siamo noi la gente! Così, il nostro primo compito è quello di cominciare a costruire questo consenso qui a Fiesole. Pensateci: lo stiamo facendo proprio adesso! Vedo che state annuendo. Vedete? Non è difficile cominciare ad agire sul problema climatico!

Stavo guardando le vostre facce quando vi stavo mostrando quelle proiezioni di future siccità e incendi. Lo so, fa paura guardare al futuro e la tentazione e di girare gli occhi da un'altra parte o gridare qualcosa tipo “non è vero, è una truffa, un imbroglio, un trucco”. Ma ora che sapete che siete attivi, che state facendo qualcosa, vi sentite meglio, no?

Questo è un piccolo trucco che ho appreso da uno psicologo svedese di nome Lennart Parknas. Ha scritto un bel libro su come motivare le persone all'azione. Dice che l'azione è fondamentale: non si può fare niente per risolvere un problema finché non si è convinti di poter fare qualcosa per risolverlo. E' ciò che Parknas definisce essere "attivi". Il cambiamento climatico è un grande problema, ma i metodi per risolvere i grandi problemi sono gli stessi di quelli per risolvere quelli piccoli. Abbiamo bisogno di sapere che possiamo risolverli per risolverli.

Naturalmente, c'è molto di più che possiamo fare in più oltre a riunirci in una stanza e annuire a quello che qualcun altro dice. Ho discusso questo argomento con l'amministrazione della nostra città e ci sono un sacco di cose che possiamo fare insieme. Una è proteggere il nostro territorio dal fuoco: non vogliamo altri incendi come quelli dell'estate scorsa. Abbiamo bisogno di sorveglianza ma, più di tutto, ci serve preparazione. Probabilmente sapete che l'incendio di Monte Rinaldi è partito da un tale che ha pensato che fosse una buona idea bruciare foglie secche nel giardino in un caldo giorno di agosto. Non era preparato, ma nessuno gli ha detto, apparentemente, che quella non era un'idea così buona. Vedete? Non siamo preparati, non solo non lo era quel tale. Dobbiamo lavorare su questo!

La prevenzione degli incendi è un esempio di quella che viene chiamata “mitigazione” degli effetti del cambiamento climatico. Naturalmente, la mitigazione non risolve il problema climatico alla sua radice (quella viene chiamata “prevenzione”). Ma la mitigazione ha questo grande vantaggio di darci qualcosa di vero e pratico da fare. E se preveniamo gli incendi abbiamo una situazione doppiamente vantaggiosa. Facciamo qualcosa di buono in sé, ma creiamo anche consapevolezza sul cambiamento climatico intorno a noi. Creiamo il consenso, che è ciò di cui abbiamo bisogno.

Questo non significa che non possiamo fare prevenzione sul cambiamento climatico, qui a Fiesole – naturalmente possiamo. Dobbiamo procedere in parallelo con cose come le energie rinnovabili, una migliore efficienza in molte aree, dal riscaldamento di casa al trasporto. Ma la cosa più importante è lavorare per ottenere il consenso che il problema climatico esiste e per ottenere il consenso dobbiamo essere potenziati. Dobbiamo agire e lo stiamo facendo.

Così, il fatto che voi siate tutti qui mi dice che abbiamo una possibilità di fare qualcosa di buono e dare allo stesso tempo l'esempio ad altre città e paesi! Noi siamo una piccola città, naturalmente, ma dopotutto tutte le cose grandi all'inizio sono piccole!



giovedì 18 aprile 2013

L'era delle conseguenze



Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


“L’era dei rinvii, delle mezze misure, degli espedienti ingannevolmente consolatori, dei ritardi è da considerarsi chiusa. Ora ha inizio l’era delle (azioni che producono) conseguenze.” . Winston Churchill.

Di Antonio Turiel

Cari lettori,

nella conferenza/dibattito di venerdì scorso, nella quale ho avuto l'onore di condividere il podio con Ferran Puig (autore dello straordinario blog sul cambiamento climatico “Usted no se lo cree”), questi ha citato la frase di Winston Churchill che oggi da il titolo al post. Churchill pensava, naturalmente, alle conseguenze che avrebbe avuto il non aver saputo o voluto contenere le velleità espansioniste della Germania nazista e Ferran la portava a paragone delle conseguenze che porterà all'Umanità intera non aver saputo o voluto far fronte al problema del Mutamento Climatico – ed è curioso vedere come l'aforisma si adatti tanto bene a questa situazione. In realtà la frase di Churchill riflette un aspetto di reazione profondo della psiche collettiva umana quando deve far fronte a sfide comuni che implicano certe rinunce, certe incapacità di tornare allo stato precedente, certe necessità di reagire e sforzarsi. E, come vediamo, tale molla psicologica è abbastanza senza tempo.

Ferran è riuscito anche a sintetizzare con grande tatto le sue preoccupazioni e le mie, con un diagramma sul funzionamento dell'economia. Nello schema classico, il pezzo centrale, il mercato, è l'unico rilevante. In uno schema più realistico e integrato, nel lato sinistro le risorse essenziali per lo sviluppo economico (energia e materiali) entrano nel mercato, mentre nel lato destro si tiene conto dei sottoprodotti dello stesso, sotto forma di inquinamento. E così, la mia preoccupazione sono le entrate nel sistema, mentre quelle di Ferran sono le uscite. Entrambe implicano l'impossibilità di mantenere un sistema che fondamentalmente si basa sul fatto che le entrate potranno aumentare all'infinito se così serve, mentre le uscite non generano nessun effetto nocivo significativo. Il trionfo di questa visione, con la quale il mercato occupa tutto il modello economico ed anche il trascendente, essendo considerato applicabile anche alle relazioni umane, è ciò ha portato ciò che è chiamato neoliberismo, noe-conservatorismo (neo-con) e ultimamente (visto che i termini sono assai obsoleti) anarco-capitalismo o teoria austriaca. Tale visione è, naturalmente, completamente ideologica. Parte da una visione del mondo che ha poco o nulla a che fare con la realtà e quando le si presentano elementi che confutano i suoi postulati si cercano spiegazioni contorte (dal tipo di modello logico-deduttivo impiegato, oltre il metodo scientifico che si pretende di superare, fino ad argomenti costruiti ad hoc per non accettare ed evadere dalla realtà). Ciononostante, l'evidenza che ci circonda è talmente clamorosa che sembra incredibile che si neghi ancora.

Una di queste evidenze alle quali è difficile sfuggire, è quella del cambiamento climatico. Il tema è stato trattato diverse volte da questo blog e la sua semplice evocazione è solita provocare l'infuocata reazione immediata di alcuni campioni del libero mercato che qui hanno il loro immaginario. Siccome per di più io non sono un esperto del tema, non mi inoltro ulteriormente dentro di esso. Semplicemente metto qui un grafico che Ferran ha messo su Facebook l'altro giorno per una vostra riflessione: è l'evoluzione del ghiaccio minimo di ogni anno nell'Artico.




Notate che dico volume, non superficie: la superficie diminuisce progressivamente, ma il volume lo sta facendo più rapidamente perché il ghiaccio è sempre più sottile e più giovane. Non c'erano molte sttime fino a poco tempo fa, il grafico è stato elaborato da Andy Lee Robison a partire dai dati di un un articolo di prossima pubblicazione nella prestigiosa rivista Geophysical Research Letters, usando fra le altre fonti dati del satellite Cryosat. La riduzione è di circa l'80% dal 1979. Ora provate a stimare quando arriverà a zero...

Il cambiamento climatico è l'effetto di una esternalità non tenuta in considerazione e in preventivo, in questo caso l'emissione di biossido di carbonio. Ma il biossido di carbonio è invisibile, inodoro e per lo più chimicamente sufficientemente inerte (a parte quando si combina con l'acqua, la quale viene acidificata) e in particolare non è tossico, per cui è difficile associare causa ed effetto. In altri casi l'esternalità residuale è ben visibile e tangibile, ma anche così si verifica su scala massiva in un buco, dove portano la nostra spazzatura tossica e dove nessuno guarda che popoli interi ne soffrono le conseguenze. E' il caso, per esempio (e ce ne sono diversi altri), della Somalia. Sulle coste somale la mafia italiana sta sversando tonnellate di rifiuti tossici e radioattivi che arrivano da tutte le parti del mondo, senza controllo e senza coscienza, causando gravi problemi ambientali, mettendo fine alla pesca locale ed intossicando la popolazione. Se avete stomaco vi raccomando il seguente documentario: Toxic Somalia.

I problemi ambientali sono gravi non solo nei paesi del Terzo Mondo che il mondo industrializzato usa sconsideratamente come discariche dei propri sottoprodotti, approfittando del lassismo o dell'inesistenza di regole che renderebbero impossibile tali cose da altre parti. Sono molto gravi anche in altre nazioni ed in particolare in una che ora tutto il mondo ammira come esempio di prosperità e buon fare: la Cina. Abbiamo da poco saputo dei "paesi del cancro" in Cina, problema che sta già raggiungendo una dimensione tale che i poteri politici dovranno prendere delle misure, anche in un paese tanto chiuso e controllato come quello. La Cina ha basato il suo benessere economico su un modello di sviluppo industriale accelerato che fornisce servizi a tutto il mondo ad un costo più basso, ma questo comporta sempre conseguenze (come sono state portate in India negli anni 70 e 80 del secolo passato: ricordate il disastro di Bhopal).

Ed uno dei maggiori drammi della Cina viene dallo sfruttamento delle cosiddette terre rare: metalli fondamentali per le nuove ed avanzate tecnologie che, nonostante il loro nome, sono relativamente frequenti sulla crosta terrestre, ma appaiono sempre in concentrazioni molto basse e si possono sfruttare economicamente soltanto se si presentano associate ad altri metalli più comuni in concentrazioni di interesse economico e, inoltre, si usano tecniche di lavorazione poco rispettose dell'ambiente, tecniche naturalmente proibite in occidente. Questo fa sì che, nonostante siano passati quasi tre anni da quando ho scritto “La guerra delle terre rare”, La Cina oggi continua, controllando il 97% della produzione mondiale di terre rare (le peculiarità dell'economia delle terre rare è qualcosa che sfugge al radar dei campioni del libero mercato e sono convinto che qualcuno farà un commento sul particolare, nonostante la clamorosa evidenza – tre anni dopo – del fatto che non sono sfruttabili in occidente. Rimando il lettore interessato al post di tre anni fa).

E' inoltre curioso verificare come, nonostante i ripetuti annunci del fatto che la produzione di neodimio al di fuori della Cina sarebbe sostanzialmente aumentata – e vedete che lo discutiamo nei commenti al post “Il documento sul neodimio nella generazione eolica“ -, il fatto è che la Cina continua ad essere il principale fornitore mondiale. Ma una cosa simile non si ottiene in cambio di niente: l'inquinamento all'interno della Cina è mostruoso. Non solo questo: il nostro modello di sviluppo rinnovabile si basa in parte su questo grande inquinamento (più che lo sviluppo rinnovabile, che ne fa un uso solo in termini di maggiore efficienza, le terre rare sono in gran parte utilizzate per l'elettronica di consumo: televisori lcd e plasma, iPhone, ecc, tutte cose non proprio necessarie... ndt), come denuncia – forse in modo interessato – il Daily Mail. Un semplice sguardo alla zona nord di Baoutou con Google maps ci mostra i segni visibili della devastazione dallo spazio: la miniera di ferro, gli stagni di percolato per recuperare le terre rare... Risulta scioccante che allora si parlasse di ultra protezionismo cinese nel limitare le esportazioni di terre rare raffinate, tenendo conto dell'enorme costo ambientale che stanno pagando e che probabilmente non potranno continuare ad assumersi in eterno. E se alla fine non si crea un conflitto generalizzato per le terre rare è perché un occidente malaticcio ha minore appetito di questi materiali, visto che gli manca ciò di cui ha veramente bisogno, che è il petrolio a basso prezzo. Quello che mi pare curioso è che alcuni perdano tempo in misurate riflessioni sui modelli di integrazione di un tipo di energia generata (elettricità) che non si può facilmente assimilare alla nostra società senza capire che quello che la carta supporta non sempre si trasporta e che tentare semplicemente di mettere cerotti a quello che c'è è in realtà allungare inutilmente l'agonia del BAU.

Come vedete, quindi, le conseguenze vengono non solo dal tentare di mantenere un sistema insostenibile basato su un gran consumo di combustibili fossili ed altri materiali, ma anche con un altro sistema basato sulle energie rinnovabili ma che usa sistemi di captazione concepiti nella grandiosità industriale attuale e che pertanto consumano a loro volta una grande quantità di combustibili fossili ed altri materiali (fino al punto che si pone la questione se siano in realtà mere estensioni dei combustibili fossili). Ma ancora adesso, i nostri gestori e pianificatori sembrano ignorare il principio di Merton delle conseguenze inaspettate e non tiene presente – a volte nemmeno conoscono – le esternalità del nostro sistema produttivo attuale e nemmeno quelle del sistema che proponiamo come alternativa.

La questione delle esternalità, delle conseguenze di un modello di sviluppo che non tiene conto dei rifiuti che si lascia dietro, è abbastanza poco apprezzata dalla teoria economica dominante oggi. Peggio ancora, l'atteggiamento generalizzato verso queste questioni è di disprezzo, come se coloro che portano l'argomento che non si potrà sfuggire eternamente dalle conseguenze fossero idealisti infantili e qualcosa di peggio: cospiratori contro il benessere comune o contro il capitale. Così, è diventata moneta comune, fra certi economisti di prestigio mediatico, quella di attaccare la scienza del cambiamento climatico, nonostante la loro ignoranza della stessa. In un lancio di dadi in più, alcuni usano epiteti squalificanti per gli scienziati e i gruppi di divulgazione che lavorano sul tema, come allarmisti o 'riscaldologi' ed altre qualifiche. Questa strategia di dare etichette facili serve al fine di screditare senza necessità di discutere; è il vecchio errore di appello al ridicolo. Un'altra strategia di ridicolizzazione mediatica del problema consiste nel prendere la parte per il tutto (i problemi di una persona concreta si estendono a tutta la comunità, compreso chi non vi appartiene). A volte si esagera anche l'importanza degli errori (come nella trascrizione del rapporto del IPCC della data stimate della fusione dei ghiacciai dell'Himalaya – dove si è scritto 2050 anziché 2500 e a partire da questo piccolo errore di battitura sono state ridicolizzate le migliaia di pagine del rapporto).

Siccome non tutto si può risolvere nell'attaccare, i gruppi negazionisti del cambiamento climatico devono fare le proprie previsioni e così ripetono certi errori che in seguito abbandonano, quando diventa evidente che non sono certi, cambiando sempre il contenuto ma mai l'atteggiamento. Per esempio, ricordo che fino a cinque anni fa dicevano che il mondo si era raffreddato durante l'ultimo decennio, senza tenere in considerazione che fenomeni ciclici come El Niño e La Niña modulano il segnale climatico e che la temperatura non sale ad un ritmo costante ma in modo complicato, sfalsato e che per vedere le tendenze bisogna osservare periodi lunghi. Di fatto nei cinque anni seguenti la temperatura è aumentata in modo accelerato ed ora quello che dicono è che non c'è stato riscaldamento negli ultimi 16 anni... Ricordo che qualche anno fa, per le stesse fluttuazioni, si insisteva sul fatto che la maggioranza dei ghiacciai del mondo avanzavano anziché retrocedere. Ora, perduta questa battaglia e con il ghiaccio artico in palese ed allarmante ritiro, il focus si centra sul ripetere che cresce il ghiaccio marino in Antartide, senza tenere conto degli studi recenti che mostrano che il volume del ghiaccio antartico a sua volta è in diminuzione – e probabilmente sta in parte cadendo in mare.

In ultima istanza, queste discussioni – che sicuramente torneranno ad emergere nel contesto di questo post – non cercano di convincere, ma di seminare il dubbio nell'opinione pubblica in modo che si paralizzi qualsiasi azione efficacie per frenare l'emissione di gas serra. Di fatto, ripetutamente si tenta di porre il dibattito in termini di accusa-difesa e non secondo il principio di precauzione. In questo modo, si ottiene che l'opinione pubblica interiorizzi che si deve dimostrare la colpevolezza dell'industria inquinante oltre ogni ragionevole dubbio, senza capire che in realtà siamo tutti questa industria inquinante e che non si tratta di giudicare, ma di evitare un male più grande. Come siamo arrivati a questo? Perché questa perseveranza nel mantenere un corso chiaramente dannoso per la nostra specie e la nostra continuità sul pianeta? Cos'è che c'è in gioco?

Siamo franchi. La verità è che tentare di adattare il mercato ai limiti reali del mondo implica diminuire la ricchezza. Non c'è la pallottola d'argento, solo diminuzione della ricchezza. Le energie rinnovabili, che gli entusiasti pongono come alternativa, non hanno la capacità economica dei combustibili fossili e probabilmente senza di essi non sono redditizie; dopo tanti decenni di prova di queste tecnologie, gli investitori sanno già cosa danno di per sé e per questo non scommettono su di esse, si ribellano anche contro coloro che le vogliono imporre argomentando i lor probabili benefici economici. Dobbiamo essere sinceri con noi stessi: non ci sono. Non è nei termini classici, nell'ottica del beneficio economico che dobbiamo fare i cambiamenti. Li dobbiamo fare perché la vita su questo pianeta non sarà possibile se non teniamo conto di queste esternalità. E accadranno, a prescindere da quello che faremo, che lo vogliamo o no, perché i combustibili fossili non possono già più seguire il nostro ritmo, perché questa crisi non finirà mai.

Una volta ho letto (anche se non riesco a recuperare la fonte) che qualche anno fa, forse cinque, c'è stata una riunione di esperti del Regno Unito per parlare delle misure necessarie per la mitigazione e l'adattamento al cambiamento climatico. C'era un dibattito infiammato fra scienziati ed attivisti, che dicevano che il Regno Unito dovrebbe ridurre le proprie emissioni di CO2 del 80% prima del 2050, ed i rappresentanti dell'industria, che dicevano che una cosa del genere presupporrebbe una perdita di competitività tanto grande per il Regno Unito che distruggerebbe la sua industria. E tutta la discussione si centrava su quale modello economico si dovrebbe mettere in moto per garantire la piena occupazione e la competitività, con un'adeguata frazione rinnovabile nel mix, combinata con risparmio ed efficienza. A un certo punto, hanno chiesto ad un rinomato ambientalista, un uomo già anziano ma forte di spirito, un uomo che si manteneva giovane andando ovunque in bicicletta e che fino a quel momento si era mantenuto ai margini della discussione: “A cosa somiglierebbe, secondo te, un Regno Unito che avesse diminuito le proprie emissioni di un 80%?”. Con sorpresa di molti, il rinomato ambientalista ha detto, imperterrito: “Il Regno Unito somiglierebbe ad un paese povero del Terzo Mondo”. Il fatto è che è questa la realtà, disgraziatamente. Se non cambiamo il modello economico, se non riformuliamo le relazioni produttive e di consumo, la nostra inevitabile discesa energetica ci porterà ad una povertà estrema ed alla crescita di enormi sacche di esclusione sociale.

Sta qui la vera ragione di questo accanimento contro la scienza del cambiamento climatico e il disprezzo verso le esternalità in generale, al di là delle prove scientifiche. I più convinti dal libero mercato si ribellano, anche in buona fede, contro qualcosa che pare loro un'insensatezza. E lo è veramente, dalla prospettiva di breve termine del paradigma economico attuale. E' per questo che non si convinceranno mai gli economisti con tali argomenti. Sono stati educati per un'economia senza limiti di risorse e senza conseguenze nell'ambiente, e tale educazione non serve più nella nuova era, l'era dei limiti, l'era delle conseguenze.

Saluti.
AMT.



martedì 16 aprile 2013

La trappola di Desdemona: affrontare il negazionismo nel dibattito sul cambiamento climatico

Di Ugo Bardi

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


La trama dell'Otello di Shakespeare ci può raccontare qualcosa su come affrontare il negazionismo nel dibattito sul cambiamento climatico. Nella figura, vediamo Desdemona in un'interpretazione di Dante Gabriel Rossetti.



Nell'Otello di Shakespeare, vediamo un bell'esempio di quanto facilmente la mente umana possa essere manipolata. Nel dramma, il cattivo Iago convince Desdemona, moglie di Otello, a supplicare suo marito per il suo amico, Cassio. Lei non sa che, allo stesso tempo, Iago ha instillato nella mente di Otello il sospetto che lei stia avendo una tresca con Cassio. Così, più Desdemona supplica per Cassio, più Otello si convince che lei lo stia tradendo. Il risultato è una catena di fraintendimenti che si auto rinforza e che alla fine porta al disastro.

Otello, chiaramente, ha sofferto di una sindrome che oggi verrebbe chiamata “cospirazionismo”. Non è raro come tratto della personalità umana. Jared Diamond, nel suo libro “Il mondo fino a ieri”,  sostiene che la “paranoia costruttiva” sia un tratto genetico orientato alla sopravvivenza. Infatti, potrebbe essere meglio essere spaventati da un pericolo inesistente piuttosto che infilarsi inconsapevoli in una trappola. Ma, se la paranoia potrebbe essere stata un bene nel mondo pericoloso dei cacciatori-raccoglitori di un tempo, nel nostro mondo sfruttare la paranoia è diventato un modo facile per manipolare le menti; i governi lo fanno in continuazione. Ma i governi non sono i soli attori in questo gioco e la mentalità paranoide potrebbe essere anche il fattore principale che genera il comunemente definito atteggiamento “negazionista” nel dibattito sul cambiamento climatico.

Il “Negazionismo” è una forma di rifiuto di accettare la realtà che avviene in molti campi della conoscenza, ma che assume un aspetto particolarmente virulento nel dibattito sul cambiamento climatico. Quelli che sono attivamente impegnati nella negazione della validità della scienza del clima e dei sui risultati vengono spesso definiti “negazionisti” o “falsi scettici”. Hanno raramente credenziali scientifiche in campo climatico, o anche in generale in campo scientifico, e le loro dichiarazioni sono solo superficialmente scientifiche. Sembrano essere concentrati sull'idea che gli scienziati non solo sbagliano le loro conclusioni, ma piuttosto che sono coinvolti in un piano per diffondere bugie sul clima per guadagnare prestigio e soldi.

Gli studi di Lewandowsky e dei sui collaboratori mostrano che i negazionisti hanno spesso un'impostazione mentale cospirazionista; cioè, tendono a credere più della persona media a cospirazioni come “scie chimiche”, “petrolio abiotico”, leggende assortite sul 11/9, falsi atterraggi sulla luna e cose simili. Così, sembra che i negazionisti elaborino le informazioni sul cambiamento climatico secondo la struttura del proprio specifico “meccanismo cognitivo”, che è dominato dal concetto di cospirazione. La loro paranoia costruttiva gioca loro degli scherzi, portandoli alla conclusione che il cambiamento climatico sia un'enorme cospirazione che vede gli scienziati del clima ed i governi allearsi per portare l'umanità alla sottomissione ed alla schiavitù (1).

Questo non significa che non ci siano delle lobby potenti che diffondono disinformazione in rete e nei media – esistono. Ed abbiamo anche le prove di singoli scienziati e professionisti pagati per diffondere menzogne. Tuttavia, non c'è alcuna prova che i singoli negazionisti climatici del tipo che passa il tempo a “trollare” sulla rete siano pagati per quello che fanno. Non possiamo escludere che alcuni di loro possano esserlo, ma importa poco. Pensate a questo: quanto vorreste essere pagati per aiutare a distruggere il mondo (compresi voi stessi)? Nessun pagamento sarebbe abbastanza, a meno che non crediate veramente che il cambiamento climatico sia una cospirazione malvagia per schiavizzare tutti. Quindi, la aziende di pubbliche relazioni che gestiscono le campagne di negazione per conto delle lobbie dei combustibili fossili sfruttano semplicemente questo atteggiamento, senza bisogno in realtà di pagare realmente i troll.

Una volta che capiamo la mentalità dei negazionisti, vediamo come sia facile per gli scienziati cadere nella trappola di Desdemona. Normalmente, gli scienziati hanno cercato di usare argomenti scientifici per difendere i loro punti, senza rendersi conto che più perorano la realtà del cambiamento climatico, più i negazionisti vedono le loro credenze rinforzate. Per le loro menti orientate alla cospirazione, ogni argomento razionale portato nella discussione diventa ulteriore prova della cospirazione in atto (pensate alla situazione di Desdemona!).

Allo stesso tempo, chi ha una mentalità scientifica trova il comportamento dei negazionisti completamente impossibile da capire in termini razionali. Di conseguenza, tendono a pensare di avere a che fare con disinformatori di professione. Il che significa, naturalmente, cadere ancora di più nella trappola di Desdemona. Se queste accuse vengono espresse esplicitamente (e qualche volta lo sono), i negazionisti vedranno ancor di più confermate le proprie credenze. Queste posizioni contrastanti portano ad un anello che sia auto rinforza in cui i partecipanti di entrambe le parti si trincerano sempre più nelle proprie credenze opposte.

Alla fine, la tragedia di Shakespeare si sta svolgendo di fronte a noi. La lobby dei combustibili fossili sta interpretando il ruolo di Iago; i negazionisti il ruolo di Otello; gli scienziati quello di Desdemona, tutti completamente immersi nei loro ruoli diversi. Finora, Iago sta vincendo a mani basse giocando sull'ingenuità sia di Desdemona sia di Otello. Se il “dibattito” (si fa per dire) continua in questi termini, il risultato finale può solo essere, giustamente, una tragedia – in questo caso per l'intera umanità.

Quindi come facciamo ad evitare la trappola di Desdemona? Be, ci sono alcuni errori che possiamo evitare. Il primo è pensare che possiamo convincere i negazionisti con argomentazioni scientifiche. Dovrebbe essere chiaro che non funziona: più provi a farlo, più cadi nella trappola. Ma il vero errore cardinale che possiamo fare quando discutiamo con un negazionista è quello di perdere la calma e di usare il sarcasmo, gli insulti o – peggio ancora – di accusarla/o di essere un troll pagato. Questo è il modo perfetto per cadere a testa in giù nella trappola di Desdemona. Pensate all'impressione che date alle persone che seguono il dibattito e che non sono orientate alla cospirazione (2) – penseranno che siete voi i cattivi! A questo punto, il gioco è finito – avete perso.

Cosa dovremmo fare quindi? Be' ricordiamo che i negazionisti climatici orientati alla cospirazione sono una piccola minoranza nel mondo, anche se possono essere molto rumorosi. Così, l'obbiettivo della vostra azione non sono loro, è la grande maggioranza della gente che non è cospirazionista e che non ha ancora elaborato l'informazione sul cambiamento climatico nella propria mente. Così la cosa migliore è quella di evitare il confronto coi negazionisti (a meno che non sia assolutamente necessario) e concentrarsi nella diffusione del concetto di cambiamento climatico al pubblico in generale. Per esempio, lasciate che citi  da “DarwinSF”:

“Il nostro progetto di un giorno per le scuole elementari, il Cambiamento Climatico è Elementare, aggira il solito discorso negativo presupponendo che ogni persona colta concordi che sia un “fatto” scientifico che il clima stia cambiando e che l'uomo è ampiamente responsabile. Noi non ci confrontiamo coi negazionisti e gli scettici, noi li eludiamo portando la scuola di famiglia direttamente ad una visione di un futuro verde e pulito. Ci concentriamo anche sul lavorare con gli innovatori, gli anticipatori e la maggioranza agli inizi, che tendono ad essere d'accordo con noi. Noi ignoriamo la maggioranza tardiva ed i ritardatari, o negazionisti, che semplicemente si aggiungeranno al nostro programma più tardi”.

Visto? E' questo il modo di procedere. Pensare positivo, eludere i negazionisti e concentrarsi sulla realtà. E' una battaglia che possiamo ancora vincere se capiamo come combatterla.

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Note

(1) C'è una domanda interessante circa la mentalità cospiratoria dei negazionisti: se sono così preoccupati di essere vittime della cospirazione messa in piedi dagli scienziati del clima, come mai non sono preoccupati dalla cospirazione opposta, messa in piedi dalla lobbie dei combustibili fossili? Questo è un punto che secondo alcuni prova che siano dei troll pagati. Ma questo non è necessariamente vero. Siccome sto citando Shakespeare in questo post, potrei commentare dicendo che, “In questa pazzia c'è del metodo!”. La mia impressione è che il “metodo” sia nell'impostazione mentale dei negazionisti che è piuttosto coerente con le loro varie sfaccettature mentali. I negazionisti vedono sé stessi come combattenti per la libertà, pensatori indipendenti immuni dalla macchina di controllo mentale messa in piedi dai governi. Come tali, tendono a proiettare sé stessi nella figura dello “scienziato-solitario-che-lotta-contro-l'establishment” e ad avere molta fiducia in sé stessi (raramente sé stesse). Questo spiega, per esempio, il perché le persone che credono che l'esaurimento del petrolio sia una bufala per farci pagare prezzi più alti per la benzina, spesso cadano in una gioia estatica quando ascoltano nuove promesse di energia libera ed abbondante  da parte del genio solitario del giorno. Infatti, molte truffe di successo sono basate sulla narrazione del singolo individuo che lotta contro l'establishment. E, tornando a Shakespeare, pensate a questo: come mai Otello sospetta di Desdemona ma non di Iago?, Be', perché Otello proietta la sua stessa personalità in quella del suo compagno d'armi, Iago, mentre non può fare la stessa cosa con Desdemona. Noi umani siamo così: tendiamo a credere quello che pensiamo di capire (e Shakespeare ha capito gli umani probabilmente meglio di ogni altro umano nella storia)

(2) Pensate ad un'altra sfaccettatura della tragedia di Shakespeare: come il protagonista, Otello, reciti il ruolo dell'idiota totale nella storia – così facilmente abbindolato nel distruggere sé stesso e tutto intorno a lui. E, tuttavia, Otello non ci appare come uno sfigato idiota. No, noi lo vediamo come una figura tragica con la quale simpatizziamo. Sapete perché? Perché lui comincia il gioco con un grande handicap, quello di essere nero in un mondo tutto bianco. Il fatto che Otello sia nero è il punto cruciale della trama che, altrimenti, sarebbe semplicemente ridicola. Ora, pensate ai negazionisti nel dibattito sul clima: partono con un handicap ancora più grande di quello di Otello. Sanno poco o niente della scienza del clima e tuttavia hanno intrapreso una lotta coi migliori esperti di quel campo. Curiosamente, questo handicap genera un forte effetto psicologico in loro favore: è chiamato il “fascino del perdente”(o anche l'effetto “Silvestro contro Titti”). Lo vedete usato di continuo nell'industria cinematografica – il vincitore finale della battaglia è sempre quello che sembrava il perdente all'inizio. Quindi, se siete degli scienziati climatici, state attenti ad evitare di mettervi nel ruolo del cattivo dei film!

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Date anche un'occhiata al blog “Desdemona's Despair”, definito come “la stanza di compensazione per le peggiori notizie sul futuro della vita sulla Terra, come riscaldamento globale, cambiamento climatico, deforestazione, sovrasfruttamento della pesca, acidificazione, perdite di petrolio, esaurimento delle risorse, siccità, inquinamento, sovrappopolazione, zone morte, estinzione di massa e condanna”. Le ragioni per la scelta del nome “Desdemona” non sono dichiarate da nessuna parte nel blog, ma potrebbe ben essere la stessa che ho descritto in questo post.




lunedì 15 aprile 2013

Il mito del consumo sostenibile

Da “Is Sustainability still possible?”. Traduzione di MR


Di Alison Singer




L'etichettatura ecologica fornisce ai consumatori
 scelte socialmente ed ecologicamente rispettose,
ma incoraggiano anche un ulteriore consumo
 (Foto: per gentile concessione di jetalone via flickr)
In tutto il globo, il concetto di consumo sostenibile viene propagandato come la strada per il futuro, un cambiamento nello stile di vita e nei valori che promette “crescita verde” - crescita economica che non danneggia la natura. Anche se non senza ostacoli e controversie, questo concetto è stato abbracciato dai politici, dai consumatori e dall'industria. L'idea è che, fornendo ai consumatori una gamma di prodotti che riflettono i loro nuovi valori ambientali, il mercato si auto regolerà nel suo percorso verso un futuro più sostenibile, uno in cui gli scaffali dei supermercati vi siano allineati prodotti amici dell'ambiente e in cui lavoratori dei paesi in via di sviluppo ricevano salari equi per il loro lavoro. Etichettatura ecologica, tasse sul consumo di acqua ed energia, incentivi sul riciclaggio, campagne di educazione e comunicazione e pubblicità, sono esempi dei metodi per promuovere il consumo sostenibile, e tutto quanto è approvato dall'OCSE.

Il riciclaggio può rendere perpetuo il paradigma dell'alto
 consumo? (foto per gentile concessione di timtak via flickr)
Tuttavia, il consumo sostenibile non affronta la radice del problema: che la crescita economica senza limiti – a prescindere da quanto ecologicamente orientata – è ugualmente insostenibile. Nello Stato del pianeta 2013, Annie Leonard indica che la concentrazione sul consumo sostenibile “ci distrae dall'identificare e richiedere il cambiamento da parte dei veri motori del declino ambientale... Descrivere i problemi e le soluzioni ambientali di oggi come problemi individuali ha anche un effetto di perdita di potere, lasciando percepire alle persone che il loro più grande potere risiede nel perfezionare le proprie scelte quotidiane”. Un gruppo di ricerca del nord sta cercando di sfatare il mito del consumo sostenibile per aiutare i politici as attuare le politiche veramente efficaci. I miti più dannosi, evidenziati in un recente seminario sul Web (webinar) sono i seguenti:


  • la credenza che piccole azioni individuali avranno un effetto di propagazione;
  • se tutti fanno qualcosa otterremo molto collettivamente;
  • più informazione porta ad un comportamento sostenibile.

La ragione per cui questi miti sono così pericolosi è che essi piazzano il fardello della responsabilità sui consumatori anziché sui produttori e questo a sua volta influenza il tipo di politiche attuate dallo stato. Tuttavia, il focus è ancora sul consumo in sé, anziché su un profondo cambiamento di comportamento verso il ridimensionamento e la decrescita. Questi miti permettono ai governi di emanare politiche di breve termine e minimali, come tasse sull'acqua in bottiglia e sacchetti di plastica, o richiedere etichette energetiche sugli elettrodomestici. Mentre lo sforzo individuale è certamente importante ed un buon punto di partenza, è un terribile punto di arrivo. La Leonard sostiene che il cambiamento radicale comporta tre stadi – una grande visione di come le cose potrebbero funzionare meglio, un impegno per andare oltre l'azione individuale e, infine, l'azione collettiva. Il focus su un consumo sostenibile tiene la società fermamente ancorata sugli individui e aumenta le barriere per intraprendere un'azione collettiva.







sabato 13 aprile 2013

Il cambiamento climatico è qui e ora!


da Cassandra's Legacy - 12 Aprile 2013 - di Ugo Bardi

La "ghiacciaia" di Monte-Senario, non lontana da Fiesole, così com'era circa cento anni fa. Era usata per immagazzinare neve in inverno, che poi veniva venduta come ghiaccio in estate. La ghiacciaia è ancora lì ma, oggi, la neve invernale che ci potreste buttare dentro sarebbe abbastanza per farci qualche cono gelato o poco più. Questa è una dimostrazione visibile degli effetti del cambiamento climatico nella regione, ma molte altre cose sono cambiate e stanno cambiando proprio di fronte a noi. I cittadini e gli amministratori della città di Fiesole si sono riuniti per discutere di questi cambiamenti in un incontro organizzato il 12 Aprile 2013. 


C'è un po' di speranza, dopotutto. C'è un consenso che sta crescendo a proposito del cambiamento climatico. Il negazionismo potrebbe non essere un ostacolo così terribile come sembrava e potremmo avere ancora una possibilità di fare qualcosa di buono prima che sia troppo tardi. E' una sensazione che mi è arrivata con l'incontro sul clima organizzato oggi, il 12 Aprile 2013 dall'amministrazione della mia città: Fiesole.

Non era un incontro di scienziati, non di specialisti, non di attivisti. Era un raduno di persone comuni: agricoltori, impiegati, professionist, studenti e politici locali. Erano venuti ad ascoltare un piccolo gruppo di esperti che parlavano, per una volta, non di idee remote e astratte, ma della realtà concreta del cambiamento climatico. Certo, gli orsi polari hanno i loro problemi, povere bestie, ma il ragionare era a proposito di quello che sta succedendo qui: come il cambiamento climatico sta avendo effetti sull'agricoltura, sull'economia della città, e sulla vita di tutti noi.

E, per una volta, politici, esperti, e il pubblico sono stati d'accordo su tutto. L'hanno detto a voce alta: nessuna paura di essere politicamente scorretti. Il cambiamento climatico è qui e ora. Non è qualcosa che leggiamo sui giornali o ci sentiamo dire in TV. E' nella nostra città: è qui che le cose stanno cambiando e noi vediamo il cambiamento tutti i giorni.

E' stato un piccolo miracolo per un tranquillo Venerdì mattina. Tutti hanno potuto finalmente accorgersi che non erano i soli a pensare quello che stavano pensando. Tutti avevano notato le stesse cose: che le sorgenti si stanno seccando, le cascate spariscono, le piante si seccano e le foglie diventano gialle in Estate. Ora, questo è veramente strano: Fiesole non è come la California. In estate, qui, le foglie sono sempre rimaste verdi. Fino a qualche anno fa.

E non c'erano negazionisti climatici. Se ce ne fosse stato uno, avrebbe dovuto fronteggiare persone reali - avrebbe dovuto mostrare la sua faccia; non si sarebbe potuto nascondere dietro uno pseudonimo, non avrebbe potuto giocare i soliti giochetti. Non c'era proprio spazio per il negazionismo: sarebbe stato come negare la realtà. Avrebbe voluto dire negare quello che la gente stava vedendo con i loro occhi.

Un momento rinfrescande, una piccola epifania di comprensione. Vedete, l'Internet è un ambiente avvelenato. Gente senza faccia e senza nome che si tirano frasi addosso come se fossero pietre. Come diavolo abbiamo fatto a convincerci che possiamo discutere qualcosa in questo modo? E a pensare che potremmo mai metterci d'accordo su qualcosa? Non è possibile: le persone senza faccia non si possono mettere d'accordo su niente. Dobbiamo guardarci l'uno con l'altro negli occhi. Allora le cose possono cambiare.

Non so se questo tipo di incontri siano l'unica, o la migliore, strada per risolvere i problemi. Ma sono sicuro che non stiamo andando in nessun posto con l'infinito batti e ribatti di Internet nel quale ci siamo trovati impelagati fino ad oggi. Dobbiamo guardarci in faccia per capire che il cambiamento climatico non è soltanto una cosa vera, è qui e sta succedendo ora. Se lo facciamo, ci accorgeremo che c'è un consenso che sta crescendo sulla necessità di fare qualcosa per fermare il disastro prima che sia troppo tardi. La prossima cosa che faremo a Fiesole sarà lavorare su questo.

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Ringrazio l'amministrazione di Fiesole per l'organizzazione di questo in contro. In particolare, il vice-sindaco Giancarlo Gamannossi, il sindaco Fabio Incatasciato, e l'assessore regionale all'agricoltura e le foreste, Gianni Salvadori. Ringrazio anche gli oratori: Toufic El Asmar (FAO), Federico Spanna (AIMAT) and Cristiano Bottone (Transition Town Italia). Infine, grazie a tutti quelli che hanno trovato il modo di passare un intero venerdì mattina a discutere di cambiamento climatico nonostante le tante altre cose che sicuramente avevano da fare


Nella foto, da sinistra a destra, Gianni Salvadori, Fabio Incatasciato, e Giancarlo Gamannossi, organizzatore del convegno.


Cristiano Bottone, di Transition Town Italia, parla al convegno di Fiesole e pone la domanda: "Sapevamo del cambiamento climatico già dagli anni 1970s. Perché non abbiamo fatto niente fino ad oggi?" 


Il pubblico nella sala del Basolato, a Fiesole. Quasi completamente piena; niente male per un venerdì mattina. 






giovedì 11 aprile 2013

Debito ed energia

Da “The Oli Crash”. Traduzione di MR


Immagine da http://sjgcpa.com/


di Antonio Turiel


Cari lettori,

Ancora una volta Javier Perez ci coccola con una riflessione interessante, in questo caso sulla connessione fra disponibilità di energia netta e indebitamento. I grafici del posto sono tratti da in rapporto fondamentale, la “Tempesta Perfetta”, che la ditta di intermediazione finanziaria ha fatto uscire da qualche settimana, causando una profonda impressione per la chiarezza con la quale esprime che il problema del nostro sistema è la diminuzione dell'energia netta.

Vi lascio con Javier. Saluti.
AMT


Debito, crescita energia ed altre modalità di stregoneria e spiritismo

di Javier Perez


Il tema del debito diventa un po' come quello della logica, cioè che tutti credono di capirla, però poi cascano come le pere cotte quando gli studenti devono essere esaminati. Il nostro cervello è fondamentalmente lo stesso, di partenza, di quello di duecentomila anni fa, ma la società in cui viviamo e l'uso che ci vediamo obbligati a dare al nostro principale strumento evolutivo sono cambiati in modo vertiginoso, per cui il nostro adattamento è, spesso, più superficiale che realmente integrato. Per questo, credo che la prima cosa sia definire il debito e cercare di conoscere la sua vera natura. Il debito non è consumare i soldi di un altro con la promessa di ridarglielo insieme ad un interesse, come crede la maggioranza. Per comprendere la portata di questo fenomeno, bisogna utilizzare un'altra definizione: il debito è consumare i soldi del futuro, più una parte del miglioramento che il futuro offrirà rispetto alla situazione attuale.

Chiedere un prestito, quindi, è fare una specie di magia o di atto spiritistico nel quale si fa comparire adesso la ricchezza di un anno a venire e la si obbliga a lavorare per noi. La capacità di indebitarsi dipende, vista così, dalla capacità di utilizzare questa ricchezza in modo che in quel momento in cui scade il termine convenuto si possa restituire il prestito più l'interesse corrispondente. Allora cos'è l'interesse? L'interesse misura la fiducia nel futuro, nella crescita dell'economia e nella capacità di produrre sempre più cose di maggior valore. Perché in caso contrario mai si potrebbe restituire il prestito. L'interesse, pertanto, misura in un certo senso la speranza di redditività, o di crescita, anche se può anche misurare l'inflazione attesa, ma questa è già un'altra storia, molto collegata, di sicuro, con l'ossessione della lotta contro l'inflazione da parte delle banche emittenti.

E cos'è successo in questi anni di apparente prosperità? Ebbene l'Europa, gli Stati Uniti e, in generale, i paesi sviluppati si sono indebitati in modo rapidissimo. Questo è possibile per vari fattori, quasi tutti molto complessi, dei quali cercherò di citare quelli che credo più importanti:

-La democrazia: i paesi sviluppati sono democrazie e questo sistema suppone che per consolidarsi al potere bisogna mantenere la popolazione contenta, passando alla legislatura successiva il più possibile le cattive notizie. Più che la statua della libertà, il vero simbolo della democrazia come sistema sarebbe qualche rappresentazione allegorica dell'affermazione “che ci pensi chi viene dopo di me”. Nessun politico può sperare di essere rieletto dicendo alla gente che bisogna aumentare le tasse per mantenere gli stessi servizi e che bisogna tagliare i servizi. Chi fa una cosa simile crollerà in modo irrimediabile rispetto al populista disposto a continuare a dare di tutto senza chiedere sforzi. A cosa porta questo? A indebitarsi.

-La globalizzazione: i governi che si sentivano nella necessità di aumentare le tasse ai più ricchi per creare una redistribuzione più giusta della ricchezza si ritrovavano a vedere che, in un secondo, in un battito di ciglia, centinaia di migliaia di milioni volavano via dal loro territorio. Ci potrà piacere o no, ma è certo che i nostri voti hanno potere ed influenza sul nostro territorio e solo sul nostro territorio. Il capitale, invece, può scappare tranquillamente da una frontiera e schiantarsi dal ridere, da fuori, prima di qualsiasi imposizione di aumento. Così le cose, i governi si sono visti coinvolti in una concorrenza fiscale, cioè, nella necessità di competere fra loro per attrarre gli investimenti. E a cosa porta questo? A raccogliere meno di quello che ti serve o desideri spendere. Ovvero, a indebitarsi.

-L'abbondanza di capitali: mentre i paesi più sviluppati avevano bisogno ogni volta di più soldi di quanti ne avevano, i paesi i via di sviluppo desideravano investire il surplus della loro nuova economia. E dove sembrava più sicuro e più redditizio farlo? Nei paesi sviluppati, naturalmente, sempre che questi reinvestissero il prestito nella delocalizzazione di fabbriche e investimenti nei loro paesi. E' il caso della Cina, per esempio, che ha dato un credito praticamente illimitato ai buoni del tesoro americano. E' stato così che hanno abbassato il tipo di interesse, producendo bolle immobiliari tanto gravi. Voglia di spendere e denaro facile, cosa producono? Indebitamento, naturalmente.

-L'ottimismo tecnologico: come ho già spiegato sopra, i soldi si prestano quando si crede che il futuro sbloccherà grandi opportunità che permettano di ripagarlo. I progressi tecnologici, più di facciata che reali, dall'inizio di questo secolo hanno fatto credere gli investitori in enormi tassi di crescita. I tecno-ottimisti, pertanto, non sono solo coloro che oggi dicono che troveremo sicuramente una fonte di energia che sostituisca in tempo il petrolio, ma anche quelli che hanno detto che ci sarebbe stata una qualche invenzione o settore che avrebbe mosso l'economia ad un ritmo sufficiente per poter ripagare i prestiti abbondantemente. E hanno detto la stronzata così, senza riserve. Il problema principale, come lo analizzano alcuni, è che si sperava che Internet, per esempio, producesse più ricchezza di quella che distrugge ed è qualcosa che non sembra essere ancora del tutto chiaro, visto che la concentrazione della ricchezza è una distruzione nascosta al ridursi della domanda aggregata effettiva. E a cosa ha portato questo ottimismo? A più indebitamento.

Vediamo un paio di grafici che illustrano perfettamente che aspetto hanno preso le cose:




Questo grafico mostra il rapporto fra il debito e il PIL degli Stati Uniti fra il 1945 e il 2012. Fra il 1945 e il 1980, si mantiene ad un alto tasso di circa il 150% del PIL, ma ciò che succede a partire dagli anni 80 è brutale. Vediamo un altro grafico della stessa cosa, ma forse più intuitivo:




In questo vediamo l'evoluzione del PIL e quella del debito. L'apparente discrepanza è dovuta al fatto che in questo grafico è stata scontata l'inflazione e si fanno i calcoli in dollari reali del 2011. E quando comincia a scompigliarsi la cosa? All'inizio degli anni 80, che è proprio quando gli Stati Uniti raggiungono il loro personale picco del petrolio. O forse, detto meglio, quando gli effetti del loro personale picco del petrolio hanno cominciato ad essere palpabili dopo il relativo periodo di adattamento.

E QUESTO E' FONDAMENTALE: mentre gli Stati Uniti hanno usufruito di una fonte di energia abbondante e a buon prezzo hanno potuto mantenere il proprio livello di crescita con le proprie risorse ed un indebitamento più o meno stabile ma, nella misura in cui si sono visti più colpiti dai prezzi esteri dell'energia, sono dovuti ricorrere ad un indebitamento sempre più voluminoso per mantenere il proprio livello di crescita. Vediamo lo stesso grafico per la Gran Bretagna, dove il picco del petrolio è arrivato alcuni decenni più tardi:


La relazione pertanto, nei paesi che contavano sul proprio petrolio, fra indebitamento e restrizioni di questa fonte di energia e denaro è molto chiara. E ora, visto che andiamo di grafici, vediamo il costo totale dei consumi petroliferi dei paesi dell'OCSE. Siccome ci sono paesi che oltre che consumatori sono anche produttori, differenziamo le importazioni dalla spesa totale:





E quando è arrivata la grande caduta, con lo sparo d'inizio di Lehman Brothers? Nel 2008, e non è un caso. Nella misura in cui i costi energetici aumentano, l'economia si vede sempre in maggiori difficoltà per funzionare, quindi la crescita diminuisce, il che rende impagabile il debito. Suona difficile? Non lo è; il debito cresce costantemente, e in modo esponenziale, grazie all'interesse. Se l'economia non cresce costantemente, e a sua volta in modo esponenziale, la differenza fra quello che dobbiamo pagare e quello che abbiamo si ingrandisce inesorabilmente. Allora cosa si prova? Qualsiasi cosa che faccia crescere l'economia, dai tassi zero alla danza della pioggia, passando per la magia nera e l'invocazione degli unicorni. Quello che sia. Ma il metodo non funziona né può funzionare, perché la cresita è possibile solo impiegando più energia e l'energia è sempre più cara e più scarsa. Per aumentare l'energia disponibile si tentano allora nuovi investimenti, ma per questo manca il capitale, ricchezza reale, proprio quello che non abbiamo perché siamo indebitati fino alla punta dei capelli.

Ed è lì il problema: non possiamo avere più soldi per pagare il debito perché scarseggiamo di energia ed ottenere più energia richiede del denaro che non abbiamo, perché siamo tecnicamente falliti. Le conclusioni ovvie sono la disoccupazione e la stagnazione. Il passo successivo sarà competere per l'energia disponibile, sottraendola dove si può. All'inizio, e secondo gli economisti classici, si sottrarrà dove sia meno efficiente, ma il concetto di efficienza è molto sfuggente e per un politico americano è più efficiente, per esempio, che i suoi votanti possano andare in macchina e farsi un giro che un keniano abbia un trattore per arare le sue terre. E se siamo sinceri, mi piacerebbe sapere cosa ne sarebbe di un candidato spagnolo che proponesse di razionare la benzina perché in Kenia possano continuare ad arare. Solo per sapere eh... Ma della competizione per le risorse e del nuovo scenario che si profila in questo senso parlo un altro giorno, sempre che non abbia già esaurito la vostra pazienza. La pazienza che, di sicuro, a sua volta non è una risorsa infinita...

Javier Pérez
www.javier-perez.es












martedì 9 aprile 2013

Jorgen Randers: il futuro che verrà

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR



di Ugo Bardi

Jorgen Randers ha presentato la versione italiana del suo libro “2052” a Roma il 5 aprile 2013. Quello che segue è un sunto di quello che ha detto in quell'occasione, secondo la mia interpretazione. Mi scuso in anticipo per quello che potrebbe essermi sfuggito o male interpretato del lungo discorso di un'ora di Randers, ma penso che questo testo ne descriva lo spirito.



Presentando il suo libro “2052”, Jorgen Randers comincia con una dichiarazione audace: “Non vi racconterò come potrebbe essere il futuro, ma come sarà il futuro”. Potreste pensare che ciò dimostri un bel po' di tracotanza ma, se seguite il ragionamento di Randers vedrete che ha le sue ragioni.

Randers è uno degli autori del famoso rapporto su “I Limiti dello Sviluppo” al Club di Roma. Pubblicato nel 1972, il libro ha provocato un bel po' di trambusto ed è stato ampiamente male interpretato come una profezia di sventura. Non era così e, in questo discorso, Randers riassume quello che lui e i suoi coautori hanno fatto. Non hanno fatto alcuna profezia, ma piuttosto hanno creato un 'ventaglio' di 12 scenari diversi per il futuro del mondo fino al 2100. Alcuni di questi scenari vedevano il declino e il collasso dell'economia, alcuni vedevano la stabilizzazione e la prosperità. Quale dei due gruppi di scenari si sarebbe manifestato dipendeva dal fatto che la razza umana facesse le scelte giuste o sbagliate nell'affrontare l'inquinamento, lo sfruttamento delle risorse e la crescita della popolazione.

Un problema coi “Limiti dello Sviluppo” è stato che gli autori non hanno mai specificato per mezzo di quale meccanismo la civiltà umana avrebbe potuto sviluppare il consenso necessario per fare le scelte giuste, le quali avrebbero comportato tutte qualche sacrificio a breve termine. Dopo 40 anni di lavoro, Randers è giunto ad una conclusione: non esiste nessun meccanismo del genere. Le scelte giuste non sono state fatte e non saranno mai fatte.

Oggi, dice Randers, non c'è più un ventaglio di scenari buoni e cattivi, ce n'è solo uno. E non è piacevole. Può solo essere quello del declino della nostra società sotto l'effetto della sovrappopolazione, del declino della disponibilità di risorse e del danno diffuso causato dall'inquinamento e dal cambiamento climatico. L'inizio del declino potrebbe arrivare prima o dopo, il collasso potrebbe essere più rapido o più lento, ma la forma del futuro è determinata.

Randers afferma che c'è un modo semplice per descrivere le ragioni che ci stanno portando a questo futuro spiacevole: la gente fa sempre la scelta che comporta i costi minori a breve termine. Il problema è tutto lì: finché scegliamo la strada più semplice non abbiamo alcun controllo su dove stiamo andando.

Immaginate di essere in una foresta. Credete che scegliendo sempre il sentiero più facile di fronte a voi vi possa riportare a casa? Ma questo è quello che facciamo: anche se sapessimo che non è questo il modo per andare dove ci piacerebbe essere. Siamo riluttanti, per esempio, ad investire in energia rinnovabile finché i combustibili fossili rimangono anche leggermente meno cari e possiamo negare i loro costi esterni sotto forma di inquinamento e cambiamento climatico. Ma questa scelta è basata su considerazioni a breve termine e ci causerà danni terribili a lungo termine.

Perché non riusciamo a fare meglio. Qui Randers propone che la “visione a breve termine” è profondamente radicata nella mente delle persone e si riflette nel nostro sistema decisionale democratico. E' stato accusato di essere contro la democrazia, ma lui sostiene di non avere nulla contro la democrazia: il problema è che la democrazia è il risultato della “visione a breve termine” umana. Fa l'esempio di un politico illuminato che decide di introdurre una carbon tax. Gli elettori scoprono presto che la carbon tax sta rendendo più care benzina ed elettricità. Di conseguenza, quel politico non sarà rieletto. E' semplice e succede in continuazione.

Naturalmente, potreste obbiettare che se le persone venissero istruite sul cambiamento climatico, a quel punto accetterebbero una carbon tax – di fatto la reclamerebbero. Forse, ma Randers è scettico. Dice che ha passato decenni della propria vita a formare generazioni di manager sulla sostenibilità e la scienza dell'ecosistema. Ed ha visto quelle generazioni prendere esattamente le stesse decisioni sbagliate che prendevano le generazioni precedenti che non avevano avuto quella formazione.

La natura umana è difficile da battere. Randers racconta come lui e i suoi colleghi hanno discusso sulla dimensione di un disastro naturale che avrebbe potuto svegliare il pubblico alla realtà della distruzione dell'ecosistema. Poi è arrivato l'uragano Katrina e, più tardi, Sandy. Entrambi sono stati disastri della dimensione che serviva. Ma sono stati inutili come sveglie: il pubblico non ha reagito. Oggi, tre americani su otto pensano ancora che il riscaldamento globale sia una truffa.

Randers ha visto il nemico e il nemico siamo noi.