sabato 30 luglio 2022

Andazzi socio-culturali... Ma come si fa a non essere critici?


Di Fabio Vomiero

« L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare »... E' così che ogni tanto si esprimeva l'indimenticato campione toscano Gino Bartali, uomo di gamba e di cuore, quando si trattava di discutere dei problemi che affliggevano il ciclismo e il mondo dell'epoca o di analizzare criticamente le sue tattiche di gara. Espressione semplice, ma estremamente efficace e quanto mai attuale, caro "Ginetaccio". Sì, perchè nonostante molti non se ne siano ancora accorti e continuino a dormire sonni tranquilli comodamente sdraiati nel conforto dei loro personali micromondi, la situazione sistemica non è per niente promettente, anzi.

Ma non staremo qui a fare la solita conta dei diversi problemi conclamati che affliggono il nostro mondo, tutti oramai sanno, o dovrebbero sapere, del cambiamento climatico a forte componente antropica, dell'inquinamento ubiquitario oramai fuori controllo, della sovrappopolazione, della scarsità e della finitudine delle risorse, delle guerre, della disuguaglianza sociale, della povertà e della fame nel mondo, della riduzione della biodiversità, eccetera, eccetera.

Il problema però, è che il semplice "sapere" di quello che sta succedendo nel mondo non è sinonimo di vera comprensione o di consapevolezza, evidentemente, visto che la strategia dell'informazione, della divulgazione e della sensibilizzazione pare non stia affatto funzionando. Sono decenni, infatti, che se ne parla ovunque, nelle conferenze, nelle scuole, nei libri, nelle agende politiche... Risultati? Poco più che zero. Praticamente nessuna dinamica dei parametri ecologici chiave (aumento della popolazione, dei consumi energetici da fonti fossili, delle temperature, dei gas serra, ecc.) ha mai nemmeno minimamente accennato ad una inversione di tendenza. Soltanto parole, o al più qualche timida e disorganizzata azione coerente, utile per tentare di ripulire le coscienze, più che l'ambiente.

D'altra parte, anche la recente e drammatica esperienza sociale della pandemia da virus SARS-CoV-2 dovrebbe avere evidenziato con chiarezza i limiti dello status cognitivo delle nostre società. Si è passati, infatti, dall'iniziale paura e sconcerto (lockdown totale), alla solidarietà e all'ottimismo (vogliamoci tutti bene che andrà tutto bene), alla sentenza di condanna nei confronti dell'altro (sul rispetto delle regole, no vax), e infine alla quasi completa dimenticanza (tutto come prima, chi se ne frega). Un pattern comportamentale tutto sommato semplice, banale e anche molto prevedibile, in fondo, lo stesso che si realizza di fatto ad ogni evento "catastrofico" (alluvioni, terremoti, Marmolada) ed emblema perfetto di quello che si sta osservando anche a livello ecologico sistemico; ricordatevi sempre il trend dei parametri chiave.

Facciamo un altro esempio... La guerra in Ucraina. Bene, la Russia (anzichè Putin) ha invaso l'Ucraina, un Paese sovrano e democratico (Paese comunque pieno di problemi sociali), quindi la Russia è cattiva, imperiale, mangia i bambini e quindi deve essere punita e noi (noi chi... italiani, ucraini, americani, occidentali?) dobbiamo vincere la guerra e sconfiggere la Russia. Se poi qualcuno fa notare che le cose sono evidentemente molto più complesse di così, che ci sono dei motivi causali ovviamente di corresponsabilità che occorrerebbe chiarire e che non è questo il modo (vincere la guerra e distruggere il nemico) per gestire la pace e i rapporti nel complesso mondo di oggi e di domani, allora costui è un "filoputiniano", come il poveretto che paralizzato dalle proprie paure insuperabili non vuole farsi il vaccino a m-RNA anti-Covid e allora è un no-vax (e quindi va punito), o quell'altro che non condividendo la linea politica del governo dei migliori (migliori poi su quale base, con quale criterio?) è allora un disfattista e un irresponsabile.

Ma poi ci sarebbe quantomeno da chiedersi, chi sarebbe veramente "un migliore", magari una persona che con una carica di Presidente del Consiglio cade in fallacie logiche elementari come la "fallacia del falso dilemma", in cui si propongono come soluzioni ad un qualsiasi problema soltanto due alternative estreme, scelte arbitrariamente tra le molte possibili, tipo "o la pace o il condizionatore", oppure, "o ti vaccini o muori"? Ma ci tratta come cretini oppure è lui che proprio non se ne rende conto? Forse è questo il vero dilemma.

E poi si potrebbe anche discutere di questo grande amore popolare per l'autopoiesi delle credenze mitiche e ideologiche, del diffuso pensiero di tipo parmenideo anzichè eracliteo, del perduto rispetto verso la competenza e la preparazione di chi si è fatto il mazzo per studiare e alleggerire per quanto possibile il fardello della propria ignoranza, delle abitudini viziate e scorrette del tutto incoerenti con le problematiche globali, dei paradigmi socio-economici palesemente obsoleti, delle usanze e delle tradizioni che ci si intestardisce a perpetuare a tutti i costi nonostante il mondo cambi velocemente, per esempio come tutte quelle che ancora riguardano l'inaccettabile maltrattamento degli animali, e via dicendo. Di tutto di più, insomma.

Il problema, pertanto, è probabilmente molto più grave e importante di un problema meramente di tipo informativo e conoscitivo o di natura tecnica o tecnologica. Qui si tratta evidentemente di un problema (anche) di "costruzione mentale" (forma mentis). Non siamo per niente abili e allenati nel capire e gestire nè la complessità del mondo, nè la nostra predisposizione sociobiologica di "primate culturale", cioè di animale tra gli animali, per quanto bello, bravo, buono o tutto quello che volete.

Se non ci sforziamo quindi di cambiare l'assetto cognitivo e l'impostazione intellettuale standard, non si va da nessuna parte, almeno dalla prospettiva ecologica, questo oramai dovrebbe essere chiaro, ricordatevi sempre il trend dei parametri chiave che non si è mai spostato di un millimetro da decenni.

Ma se questo è vero, allora il punto fondamentale non è più quello di continuare a spendere sempre più tempo e risorse per informare e sensibilizzare persone cognitivamente impermeabili, o di inseguire l'illusione che saranno dei fantomatici valori morali ideologici a salvarci, ma diventa invece un altro, e cioè la necessità di concentrarsi finalmente sulla nostra vera natura e sul nostro essere. Qual è, infatti, la nostra reale predisposizione comportamentale individuale e sociale? Perchè siamo fatti così? C'è un modo per tentare di ovviare a questo problema bio-strutturale? Si può fare qualcosa in questo senso?

L'eventuale risposta, poi, dovrà essere ricercata come sempre nei fatti e nell'evidenza. Esiste per fortuna uno specifico territorio del sapere che si chiama "scienza", che per sua natura tenta di rinunciare da secoli alla pervasività dei miti e delle ideologie per dedicarsi invece, grazie a una continua revisione di sè stessa e ad un costante raffinamento dei suoi metodi empirici, all'indagine e alla conoscenza del mondo nel modo più affidabile e meno soggettivo possibile.

Del resto sono decenni che per esempio la scienza del clima ci avverte dei rischi concreti del cambiamento climatico antropico, o che le scienze biologiche ed ecologiche evidenziano la fragilità degli ecosistemi e dei cicli biogeochimici e alimentari, oppure ancora che le scienze della nutrizione ci ammoniscono per la nostra condotta alimentare poco salutare ed ecologicamente sconveniente.

C'è assolutamente bisogno pertanto di più scienza e meno ideologia, ma anche della consapevolezza del fatto che soltanto una reale rivoluzione intellettuale e culturale a questo punto potrà essere foriera di grandi cambiamenti nel modo di affrontare e di gestire i problemi sistemici. Una sfida titanica che non potrà non passare almeno per una revisione completa dei programmi scolastici, del modo di insegnare le scienze (perchè non è sufficiente studiarle, ma è necessario appropriarsene), e delle linee programmatiche delle agende politiche, investendo su persone sagge e intelligenti, che siano esse stesse garanti di un dimostrato cambiamento di mentalità e di prospettiva.

Un processo ambizioso che, comunque sia, se anche fosse studiato e ipoteticamente implementato fin da subito, potrebbe portare a qualche risultato significativo non prima di qualche decina d'anni, almeno.

Ecco perchè, personalmente, sono molto poco ottimista in termini di sviluppo sostenibile e di transizione ecologica, anche perchè, se anche "noi occidentali" e qualcun altro riuscissimo in qualche modo incredibilmente a rinsavirci, rimarrebbe comunque insoluto il problema delle popolazioni di vaste aree del mondo che devono paradossalmente confrontarsi con una serie di aspetti che hanno ancora a che fare più con una loro sopravvivenza decente, che con la loro intellettualità.