giovedì 30 luglio 2015

Problemi diabolici e soluzioni diaboliche: il caso della fornitura mondiale di cibo

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




Sono appena tornato da due giorni di full immersion ad un incontro su una cosa per me piuttosto nuova: la fornitura mondiale di cibo. Mi devo ancora riprendere. Ogni qualvolta si vada ad una certa profondità in qualsiasi cosa si vede quanto le cose siano immensamente più complesse in confronto all'ombra pallida del mondo che si percepisce dallo schermo scintillante della vostra TV. Tutto è complesso e tutto ciò che è complesso diventa diabolico una volta che si comincia a vederlo come un problema. E i problemi diabolici di solito generano soluzioni diaboliche (immagine da  Wikipedia)


Riuscite a pensare a qualcosa di peggio di un problema diabolico? Sì, è del tutto possibile: è una soluzione diabolica. Vale a dire, una soluzione che non solo non fa nulla per risolvere il problema ma, di fatto, lo peggiora. Sfortunatamente, se si lavora nella dinamica dei sistemi, spesso si apprende che gran parte dei sistemi complessi non sono solo terribili, ma soffre di soluzioni diaboliche (vedete, per esempio, qui).

Detto questo, passiamo ad uno dei problemi più diabolici a cui possa pensare: quello della fornitura mondiale di cibo. Qui cercherò di riportare almeno una parte di ciò che ho imparato alla recente conferenza su questo argomento, tenuta congiuntamente dalla FAO e sezione italiana della System Dynamics Society. Due giorni di discussioni tenutisi a Roma durante una mostruosa ondata di calore che ha messo a dura prova il sistema di aria condizionata della sala conferenze e reso la camminata da lì all'hotel un'impresa confrontabile alla camminata su un pianeta alieno: ciò ha portato la sensazione netta di aver bisogno di una tuta spaziale refrigerata. Ma è valsa la pena esserci.

Per prima cosa, è il caso di dire che la fornitura mondiale di cibo è un “problema”? Sì, se notate che circa la metà della popolazione umana mondiale è malnutrita, se non veramente affamata. E della metà rimanente, una grande percentuale non è nutrita nel modo giusto, perché l'obesità e il diabete di tipo II sono malattie in espansione – alla conferenza hanno detto che se la tendenza continua, nel futuro metà della popolazione mondiale soffrirà di diabete.

Quindi, se abbiamo un problema, è davvero “diabolico”? Sì, lo è, nel senso che trovare una buona soluzione è estremamente difficile e i risultati sono spesso l'opposto di quelli desiderati all'inizio. Il sistema alimentare mondiale è un sistema diabolicamente complesso e coinvolge una serie di sottosistemi collegati vicendevolmente che interagiscono fra loro. La produzione di cibo è una cosa, ma la fornitura di cibo è una storia del tutto diversa, che comporta trasporto, distribuzione, immagazzinamento, refrigerazione, fattori finanziari ed è condizionata da cambiamento climatico, conservazione del suolo, popolazione, fattori culturali... ed altro, compreso il fatto che le persone non mangiano semplicemente “calorie”, hanno bisogno di cibo, cioè una miscela bilanciata di nutrienti. In un sistema del genere, ogni cosa che si tocca si ripercuote su tutto il resto. E' un caso classico del concetto conosciuto in biologia come “non puoi fare una cosa sola”.

Una volta che ti fai una vaga idea della complessità del sistema di fornitura del cibo – come è possibile in due giorni di full immersion ad una conferenza – allora puoi anche capire quanto siano spesso scarsi e in malafede i tentativi di “risolvere il problema”. L'errore di fondo che quasi tutti fanno a questo punto (e non solo nel caso del sistema di fornitura del cibo) è cercare di linearizzare il sistema.

Linearizzare un sistema complesso significa che si agisce su un suo singolo elemento, sperando che tutto il resto non cambi di conseguenza. E' l'approccio “guarda, è semplice”, quello preferito dai politici (*). Recita così, “guarda, è semplice: facciamo semplicemente questo e il problema sarà risolto”. Quello che si intende per “questo” varia a seconda della situazione. Col sistema alimentare, spesso comporta qualche trucco tecnologico per aumentare i rendimenti agricoli. In altri ambienti comporta l'urlo a squarciagola “passiamo agli OGM!”.

Sfortunatamente, anche ipotizzando che i rendimenti agricoli possano essere aumentati in termini di calorie prodotte usando gli OGM (possibile, ma solo in sistemi agricoli industrializzati), allora il risultato è una cascata di effetti che si ripercuotono sull'intero sistema, di solito trasformando un sistema di produzione rurale resiliente in un sistema di produzione fragile e parzialmente industrializzato – per non dire niente del fatto che queste tecnologie spesso peggiorano le qualità nutrizionali del cibo. E ipotizzando che sia possibili aumentare i rendimenti, come si trovano le risorse finanziarie per costruire l'infrastruttura necessaria per gestire l'aumentato rendimento agricolo? Servono camion, frigoriferi, impianti di stoccaggio ed altro. Anche se si riuscisse a mettere insieme tutte queste cose, molto spesso il risultato è semplicemente quello di rendere il sistema più fragile e meno resiliente, vulnerabile agli shock esterni come l'aumento del costo di forniture come combustibili e fertilizzanti.

Ci sono altri esempi egregi di quanto sia profondamente errata la strategia “guarda, è semplice”. Uno è l'idea che possiamo risolvere il problema sbarazzandoci dello spreco di cibo. Ideona, ma come lo si può fare esattamente  e quanto costerebbe? (**) E chi pagherebbe per l'aggiornamento dell'intera infrastruttura di distribuzione? Un altro approccio “guarda, è semplice” è 'se diventassimo tutti vegetariani ci sarebbe moltissimo cibo per tutti'. In parte è vero, ma non è così semplice, a sua volta. Di nuovo, c'è una questione di distribuzione e trasporto e il fatto che i ricchi occidentali che comprano “cibo verde” nei loro supermercati ha un impatto minimo sulla situazione dei poveri nel resto del mondo. E quindi, alcuni tipi di cibo “verde” sono ingombranti e quindi difficili da trasportare, inoltre si rovinano facilmente e quindi serve refrigerazione e così via. Una cosa analoga vale per la strategia “cibo locale”. Come si affrontano le inevitabili fluttuazioni della produzione locale? Una volta, queste fluttuazioni erano causa di carestie periodiche che venivano accettate come un fatto della vita. Tornare a quello non è esattamente “risolvere il problema della fornitura di cibo”.

Un modo diverso di affrontare il problema è concentrato sulla riduzione della popolazione umana. Ma, anche qui, spesso facciamo l'errore “guarda, è semplice”. Cosa sappiamo esattamente sul meccanismo che genera la sovrappopolazione e come interveniamo su di esso? A volte, coloro che propongono questo approccio sembrano pensare che tutto ciò che dobbiamo fare è sganciare profilattici sui paesi poveri (se non altro, è meglio che sganciare bombe). Non è così facile, ma supponiamo che si possa ridurre la popolazione in modi non traumatici, poi si interviene in un sistema in cui “popolazione” significa un complesso misto di diverse nicchie sociali ed economiche: ci sono popolazioni urbane, periurbane e rurali. Una riduzione della popolazione potrebbe spostare le persone da un settore all'altro, potrebbe significare perdita di capacità produttive nelle aree rurali o, al contrario, una ridotta capacità di finanziare la produzione se si potesse diminuire la popolazione in aree urbane. Di nuovo, la riduzione della popolazione, di per sé, è un approccio lineare che non funzionerà come si pensa che faccia, anche se potesse essere implementata.

Di fronte alla complessità del sistema, ascoltando gli esperti che ne discutono, hai la raggelante sensazione che si tratti di un sistema davvero troppo difficile da afferrare per gli esseri umani. Si dovrebbe essere allo stesso tempo esperti in agricoltura, in logistica, in nutrizione, in finanza, in dinamiche della popolazione e molto altro. Una cosa che ho notato, come modesto esperto in energia e combustibili fossili, è quanto gli esperti di cibo di solito non si rendano conto che la disponibilità di combustibili fossili deve necessariamente diminuire nel prossimo futuro. Ciò avrà effetti spaventosi sull'agricoltura: pensate ai fertilizzanti, alla meccanizzazione, al trasporto, alla refrigerazione ed altro. Ma non ho visto questi effetti presi in considerazione  nella maggior parte dei modelli presentati. Diversi ricercatori hanno mostrato diagrammi che estrapolano le attuali tendenze per il futuro come se la produzione di petrolio dovesse continuare ad aumentare per il resto del secolo ed oltre.

La stessa cosa vale per il cambiamento climatico. Alla conferenza non ho sentito dire molto riguardo agli effetti estremi che un rapido cambiamento climatico potrebbe avere sull'agricoltura. E' comprensibile, abbiamo buoni modelli che ci dicono come aumenteranno le temperature e come condizioneranno alcuni sottosistemi del pianeta (per esempio i livelli del mare), ma nessun modello che possa dirci in che modo il sottosistema agricolo reagirà al variare dei modelli meteorologici, alle diverse temperature, alle siccità e alle alluvioni. Pensate solo a quanto i rendimenti agricoli in India siano profondamente collegati ai modelli annuali dei monsoni, e non si può che rabbrividire al pensiero di cosa potrebbe accadere se il cambiamento climatico li condizionasse.

Quindi l'impressione che ho avuto dalla conferenza è che nessuno sta realmente afferrando la complessità del problema; né a livello di singoli individui, né a livello di organizzazioni. Per esempio, non ho mai sentito un termine cruciale usato nelle dinamiche planetarie che è “overshoot” (superamento). Cioè, è vero che adesso siamo in grado di produrre più o meno cibo a sufficienza – misurato in calorie – per la popolazione attuale. Ma per quanto tempo saremo in grado di farlo? In diversi casi potrei descrivere gli approcci a cui ho assistito come il tentativo di aggiustare un orologio meccanico usando un martello. O di guidare un transatlantico usando uno stuzzicadenti incastrato nell'elica.

Ma ci sono anche elementi positivi che emergono dalla conferenza di Roma. Uno è che la FAO anche se è un'organizzazione grande ed a volte goffa comprende il fatto che la dinamica dei sistemi è uno strumento che potrebbe aiutare molto i politici a capire le conseguenze di quello che facciamo. E, probabilmente, ad aiutarli ad escogitare idee migliori per “risolvere il problema del cibo”. Ciò è più difficile di quanto sembri: la dinamica dei sistemi non è per tutti e insegnarla ai burocrati è come insegnare ai cani a risolvere equazioni: ci vuole tanto lavoro e non funziona tanto bene. Inoltre, i professionisti della dinamica dei sistemi spesso sono vittime della sindrome da “diagramma degli spaghetti”, che consiste nel disegnare modelli complessi pieni di scatoline e di freccette che vanno da una parte all'altra per poi guardare la confusione che hanno creato; annuendo in segno di grande soddisfazione interiore. Ma è anche vero che alla conferenza ho visto molta buona volontà fra i vari attori sul campo per trovare un linguaggio comune. E' una cosa buona, difficile, ma promettente.

Alla fine, qual è la soluzione al “problema della fornitura di cibo”? Se me lo chiedete, proverei a proporre un concetto: “in un sistema complesso, non ci sono né problemi né soluzioni. C'è solo cambiamento ed adattamento”. Come corollario, potrei dire che puoi risolvere un problema (o provarci) ma non puoi risolvere un cambiamento (nemmeno puoi provarci). Ti puoi solo adattare al cambiamento, preferibilmente in un modo non traumatico.

Visto in questo senso, il miglior modo di affrontare l'attuale situazione della fornitura di cibo è quello di non cercare soluzioni impossibili (terribili) (per esempio gli OGM), ma di aumentare la resilienza del sistema. Ciò comporta lavorare a livello locale ed interagire con tutti gli attori che lavorano nel sistema di fornitura di cibo. E' un approccio ragionevole. La FAO lo sta già seguendo e può assicurare una fornitura ragionevole anche in presenza di inevitabili shock che stanno per arrivare in conseguenza dei problemi di cambiamento climatico e di fornitura di energia. La dinamica dei sistemi può essere di aiuto? Probabilmente sì. Naturalmente, c'è molto lavoro da fare, ma la conferenza di Roma è stata un buon inizio.


H/t: Stefano Armenia, Vanessa Armendariz, Olivio Argenti e tutti gli organizzatori della conferenza congiunta Sydic/FAO  a Roma.

Note

* Una volta che si affronta il problema del cibo, non si può ignorare la situazione del “terzo mondo”. Di conseguenza, la conferenza non è stata solo fra occidentali ed il dibattito ha preso un aspetto più ampio che ha anche coinvolto diversi modi di vedere il mondo. Una discussione particolarmente interessante che ho avuto è stata con una ricercatrice messicana. Secondo lei, “linearizzare” i problemi complessi è una caratteristica tipica (e piuttosto diabolica) del modo di pensare occidentale. Lei ha contrastato questa visione lineare con l'approccio “circolare” che, secondo lei, è tipico delle antiche culture mesoamericane, come i Maya ed altri. Quell'approccio, ha detto, potrebbe aiutare molto il mondo ad affrontare problemi diabolici senza peggiorarli. Riporto semplicemente la sua opinione, personalmente non ho conoscenza sufficiente per giudicarla. Tuttavia, mi sembra vero che ci sia qualcosa di diabolico nel modo in cui il pensiero occidentale tenda a plasmare tutto a sua immagine. 

** Nel sistema alimentare, l'idea che “guarda, è semplice: liberiamoci semplicemente degli sprechi” è esattamente parallela all'approccio “rifiuti zero” per i rifiuti urbani ed industriali. Ho una certa esperienza in questo settore e posso dirvi che, nel modo in cui spesso viene proposta, l'idea di “rifiuti zero” semplicemente non può funzionare. Comporta costi alti e rende semplicemente il sistema sempre più fragile e vulnerabile agli shock. Ciò non significa che i rifiuti siano inevitabili, niente affatto. Se si non può costruire un sistema industriale a “rifiuti zero” si possono costruire sottosistemi che possono gestire quei rifiuti. Questi sottosistemi, tuttavia, non possono funzionare usando la stessa logica del sistema industriale standard, devono essere adattati per funzionare su risorse a basso rendimento. In pratica, è l'approccio della “gestione partecipata” (vedete, per esempio, il lavoro del professor Gutberlet). Si può fare coi rifiuti urbani, ma anche con lo spreco di cibo ed è un altro modo per aumentare la resilienza del sistema.





23 commenti:

  1. Come vegano consiglio questo link https://it.m.wikipedia.org/wiki/Impatto_ambientale_dell%27industria_dei_cibi_animali
    tuttavia dubito che servira' a far cambiare tipo di alimentazione a chi consuma carne.

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    1. Guardi che il problema più che il consumo di carne è l'industrializzazione del processo stesso che porta a massimizzare la "produttività" non consideranto i tempi normali di allevamento.
      In ogni caso oggi consumiamo TROPPA carne e questo non và bene anzitutto dal punto di vista nutrizionale e poi anche ambientale

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    2. L'impatto ambientale di un'alimentazione 100% vegetale e' 4,5 volte minore di quella onnivora "ideale" http://www.nutritionecology.org/it/news/news_dett.php?id=1466. Peraltro si puo' essere vegani senza far ricorso a cibi esotici o a costosi prodotti d'importazione.

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    3. Il senso dell'articolo è proprio il fatto che non c'è 'una soluzione' ai problemi complessi, mi pare che non sia stato colto. Ridurre il consumo di carne è solo una parte, non il tutto. Gli animali fanno parte del ciclo agricolo e non possono esserne esclusi, pena l'inaridimento dei suoli. E se non li si mangiasse si riprodurrebbero fino a invadere la biosfera, provocando a loro volta il il loro stesso collasso e quello di altre specie. L'alimentazione vegana è impossibile in gran parte dei paesi del mondo (tutti quelli in cui l'agricoltura fornirebbe ben poco nutrimento e varietà a causa di inadeguatezza del clima e/o dei suoli). Cionondimeno è certamente buono che si riduca il consumo di carne, laddove la cosa è possibile. Mangiare vegano in Islanda comporterebbe un uso spropositato di combustibili fossili (serre, trasporto dall'estero, ecc.) così come sarebbe insensata una dieta a base di carne in luoghi dove l'agricoltura è in grado di fornire vegetali di ogni genere e tutti i nutrienti necessari. E si potrebbe continuare pressoché all'infinito, ad analizzare ed a scoprire che i sistemi non funzionano come noi pensiamo (o desideriamo che funzionino). Non è facendo una cosa e replicandola senza tenere conto delle dinamiche locali che si risolvono i problemi. Sempre che sia ancora possibile risolverli...

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    4. Sono l'anonimo del primo intervento. Non voglio contestare la complessita' del sistema anche perche' non ne ho le competenze, sta' di fatto che il consumo di carne e' aumentato a dismisura, non in Islanda o in qualche regione semidesertica dell'Africa ma in Asia orientale e occidentale e nellEuropa orientale. Quelli che vengono macellati non sono animali che fanno parte del ciclo agricolo bensi' animali da allevamento che sicuramente non scappano per riprodursi per invadere la biosfera.

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    5. Il consumo di carne è aumentato anche perché è aumentata la popolazione, oltre che a causa dei cambiamenti di comportamento. Gli esempi che ho fatto erano solo indicativi di un concetto: non esiste una soluzione univoca. Nemmeno quella vegana. Il problema della sostenibilità della nostra specie/civiltà viene da lontano, molti lo fanno coincidere con l'avvento dell'agricoltura, altri vanno anche più indietro nel tempo, tutti sono d'accordo che è stata la rivoluzione industriale a rendere definitivamente insostenibile la specie umana. E il cibo tutto dipende da una filiera industriale, quindi ha una serie di interrelazioni che lo rendono insostenibile a 360°, animali e vegetali. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di slegare il cibo dall'industria e dall'uso di combustibili fossili. La mia esperienza è limitata, ma conosco quella di molti altri. Nell'agricoltura di scala ridotta non è possibile prescindere dalla presenza/uso degli animali. Poi uno può non mangiarli, ma con la scarsità di risorse che si profila non mi pare tanto saggio. Il problema è che quando ci si confronta con la produzione del proprio cibo ci si rende conto che la sola cosa che si possa fare è adeguarsi a ciò che offre l'ambiente in cui ci si trova, alle modalità ed ai tempi che ha. Le filiere alimentari di lunga distanza alla lunga non si potranno sostenere che per beni di grandissima importanza o per avere un back up in caso di carestia, ma la stragrande maggioranza del cibo dovrà forzatamente provenire dal luogo in cui si vive o da poco lontano. Questo pone molti limiti a scelte esclusive come quella vegetariana e/o vegana.

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    6. premetto che ho grande stima delle persone che gestiscono questo blog al cui confronto io sono solo un ingenuo sprovveduto, quindi quello che aggiungo non è per far polemica, ma per concludere un ragionamento che potrei anche ammettere che sia sbagliato. Non ho mai affermato che non si debbano mangiare gli animali in caso di necessità, il punto è che attualmente se ne mangiano troppi, immaginiamo che per mancanza di risorse gli attuali 7 miliardi di persone si trovino improvvisamente a dipendere dalla produzione agricola locale, potranno continuare a mangiare bistecche e pollo a pranzo e a cena oppure in breve tempo si troveranno a dover andare in cerca delle erbe nei fossi? Quindi se bisogna pianificare un sistema alimentare sostenibile prima che sia troppo tardi deve essere poco avido di risorse. Va' benissimo la Permacultura che comunque contempla l'allevamento degli animali, anche l'acquacoltura sembra essere tornata d'attualita' (vedi Resilence.org) pero' basta con gli allevamenti intensivi.

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    7. Gli allevamenti intensivi sonocausa ed effetto dell'impronta ecologica eccessiva su un territorio e della filiera non-corta.
      In molti luoghi del pianete gli animali (erbivori) trasformano cellulosa in grassi e proteine.
      In un maso walser o in una fattoria finlandese difficile che si possa vivere senza di essi.
      Già nel nostro Appennino ci sono zone dove la stagione vegetativa è troppo breve per sostenere una popolazione così numerosa.
      La popolazione numerosa mangia più proteine animali e concorre all'aumento degli allevamenti inyensivi. Ecco due o tre fattori che.molto velocemente passano ad essere cause del problema.

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  2. Andrea, in realtà la voce citata dall'anonimo su Wikipedia, per quanto vagamente di parte, evidenzia in maniera chiara che "l'allevamento biologico non sarebbe di per sé una soluzione al problema delle emissioni di gas serra del settore zootecnico, poiché sarebbe in grado di ridurre le emissioni solo del 15-20%, inoltre una completa conversione degli allevamenti attuali in sistemi di tipo estensivo necessiterebbe del 60% di superficie in più, che in Europa non sarebbe comunque disponibile."

    Quindi non è l'allenamento intensivo il problema, ma semmai l'allenamento in sè.

    Il che ovviamente riporta al tema del post, ossia che le soluzioni che ci immaginiamo alla fine non sono affatto soluzioni.

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    1. Eh si....troppo allenamento fà male, magari con un pò di yoga si ottengono lo stesso dei buoni risultati

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    2. E' quello sciocchino del correttore automatico, ma so che l'hai capito. ;-)

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  3. La soluzione è semplice:
    1) dovete smettere di mangiare carne, perché è figlia del dolore degli animali e dello sfruttamento delle risorse agricole;

    2) dovete smettere di mangiare vegetali, perché nella nazione dove siete nati, il footprint è già maggiore di 1;

    3) dovete smettere di respirare, perché emettete troppa anidride carbonica nell'atmosfera;

    4) dovete smettere di vivere, perché il mondo è già sovrappopolato.

    Della serie:
    armiamoci e... partite!

    Se i problemi non li risolviamo noi, ci penserà la natura.
    Magari l'uomo si farà la guerra (civile).
    Magari la natura è saggia e con una peste fa morire sia ricchi che poveri...

    che tristezza!

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    1. Se il problema e' la tristezza non vedo cosa ci sia di allegro nel mangiare un cadavere di animale magari (quasi sicuramente) imbottito di antibiotici e quant'altro.

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    2. Anonimo, questa è ideologia che non aggiunge granché ad una discussione, se non alzare il tasso medio di aggressività.

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    3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    4. 1) capisco che qualcuno preferisca commentare in anonimo, ma alla fine del commento mettere almeno l'iniziale del nome o uno pseudonimo sarebbe meglio, perché quando ci sono più persone che commentano in anonimo diventa difficile seguire il senso del discorso.

      2) Io non sono in grado di uccidere nessun essere vivente che sia più grande di uno scarafaggio (qualche eccezione c'è stata con qualche topo, ma mi ha fatto pena).

      3) La nostra natura è di essere onnivori (mangiare carne e vegetali). Chi vuole andare contro natura sappia che è inutile che facciate tante critiche, se poi, quando non vuole (tipo nell'alimentazione), fate come vi pare andando contro la nostra natura di onnivori.

      La natura non si difende a convenienza.

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    5. Supponiamo che alcune popolazioni di climi "non favorevoli" passino al veganesimo. Supponiamo che ciò comporti una maggiore disponibilità di cibo im quelli (sub)tropicali. Ma quelli sono paesi nei quali la crescita demografica è Il Problema.
      Più cibo in comunità in crescita così grave significa più crescita demografica.
      I cadaveri di animali sono fonto di cibo preziose in non pochi contesti dove non ci sono cadaveri di legumi o cereali a sufficienza.

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  4. mi sembra logico che i problemi della fame e della malnutrizione siano irrisolvibili e per lo stesso motivo per cui è valido il teorema di Jevons. La dinamica dei sistemi può aiutare, ma basta ricordarsi che fine han fatto Peccei e LTG. L'intelligenza umana non può nulla contro il diavolo. Solo chi ha il timor di Dio (ma è un dono dello Spirito Santo) può scansare qualcuna delle trappole demoniache e se mi guardo intorno in cerca di persone timorate, lo spettacolo è quantomeno avvilente.

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  5. Io credo che i sistemi sono TROPPO complessi e che noi dobbiamo essere realisti ed umili ed accettare che non abbiamo la capacità di gestirli.
    La Natura è saggia.
    Sa come si fa.

    La natura non trasporta i cibi da una parte all'altra del mondo.
    La natura non fa monocolture.
    La natura concima dove preleva.
    La natura non privilegia la crescita di una specie animale a discapito delle altre.

    Gianni Tiziano

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  6. il problema è semplicemente irrisolvibile, come altri.
    Se considerate il paradosso di Jevons e la teoria della massima potenza comprenderete che se si riuscisse a ridurre il problema relativo alla fornitura di cibo si avrebbe un aumento della popolazione

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    1. Grazie CD.
      E un altro problema è che noi qui, che siamo in quattro gatti accomunati dal pensarla (chi più chi meno) in un certo modo accedendo a queste informazioni, non saremmo nemmeno in grado di metterci d'accordo. Nemmeno tra di noi riusciremmo a capirci, perché non esistono vere soluzioni e pochi arrivano a intravedere davvero la complessità.
      Andrea

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  7. Sono senz'altro d'accordo che "il problema non e' semplice" e chi i sistemi complessi (quelli del cibo ed altri) con tutti i loro sottosistemi e gli altri sistemi che gli sono collegati e che interagiscono con loro (clima, energia, trasporti, logistica ed ecc. ) e spesso in modi contro-intuitivi sono molto difficili da cambiare ed anche da guidare ed orientare o solo da plasmare (ed anche solo da piu o meno capire ed illustrare)….la multi-disciplinarita può essere d'aiuto ma senz'altro non automaticamente…e spesso crea solo una cacofonia di voci e di idee…e chi farà poi il vero lavoro di integrazione o di sintesi o di "conclusione" ? penso che la ricercatrice messicana sia sulla strada giusta…ma tutto l'ambiente sociale ed economico interno e quello esterno (e quello quantitativo) delle antiche culture meso-americane era completamente diverso da quelli attuali…(ma quasi tutte le culture indigene tendono a ragionare in modo piu olistico) …(a mio parere ottima "tendenza")...comunque credo che non bisogna nemmeno lasciarsi paralizzare dalla complessità e che alcune soluzioni "semplici" potrebbero anche essere provate su scala ridotta per vedere come reagisce il sistema…prima di ampliarle….qualcosa bisogna pure fare ed e' molto facile parlare di "resilienza" e di "adattabilità" senza dare un significato operativo e pratico e concreto a questi termini…fra poco su tutte le agenzie specializzate dell'ONU arriveranno (piomberanno?) i cosiddetti SDG's (sustainable development goals)…già molto piu complicati degli MDG's (piu di 17 invece di 7 e con molti sub-objectives) i quali sono appena finiti… (ma ovviamente NON portati a termine)…i diversi paesi ed i sistemi complessi che attraversano diversi paesi li accetteranno e sapranno come implementarli?…quelli che ci lavorano dentro sembra abbiano molti dubbi…e li si può capire….

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