Questo articolo è una riflessione originata dalla recente chiusura del sito web “The Oil Drum”. Alcuni hanno preso questo avvenimento come la dimostrazione che il concetto di picco del petrolio sia morto e sepolto. Ma la situazione è molto più complessa: il picco del petrolio è un concetto fecondo, esso fornisce una visione del mondo che getta molta luce su quello che sta avvenendo nel mondo. Coloro che non capiscono la curva a campana sono condannati a seguirla.
Viviamo in un mondo dove le prove scientifiche vengono ignorate a favore dell'opinione ideologica, dove la gente che impara dall'esperienza viene accusata di essere voltagabbana, dove cambiare idea sulla base di nuovi dati viene visto come ammettere la propria mancanza di fibra morale. Il dibattito sul picco del petrolio non fa eccezione e la recente chiusura del sito “The Oil Drum” è stato spesso visto come un'ammissione che tutta l'idea del picco del petrolio fosse sbagliata dall'inizio.
Ma cosa sta sta succedendo esattamente col picco del petrolio e perché tutto questo trambusto intorno ad esso? Il problema potrebbe essere semplicemente che l'idea ha avuto troppo successo. Torniamo indietro al 1998, quando Colin Campbell e Jean Laherrere hanno risollevato il problema notato per la prima volta da Marion King Hubbert, nel 1956. L'esaurimento del petrolio, hanno ipotizzato Campbell e Laherrere, sarà graduale: la produzione passerà attraverso una curva simmetrica “a campana” che mostrerà un picco quando, approssimativamente, metà delle risorse disponibili saranno state usate. Secondo questo questo studio, il picco, che Campbell ha in seguito soprannominato “picco del petrolio”, sarebbe avvenuto nel 2005.
Il lavoro pionieristico di Campbell e Laherrere ha fatto emergere un intero campo scientifico che usava metodi analoghi per studiare l'esaurimento del petrolio. Gran parte di questi studi sono arrivati alla conclusione che i problemi col petrolio sarebbero iniziati entro il primo decennio del 21° secolo, o forse un po' più tardi. Era una visione del futuro in netto contrasto con l'atteggiamento generalmente ottimistico dell'industria petrolifera fino a tempi recenti. Solo come esempio, nel 1999 "The Economist" aveva pubblicato un articolo dal titolo “Drowning in Oil” (annegare nel petrolio), prevedendo il petrolio a meno di 10 dollari al barile.
Ma le previsioni basate sul concetto del picco del petrolio sono risultate azzeccate in maniera spettacolare, almeno nel contesto delle inevitabili incertezze coinvolte. La produzione di petrolio ha interrotto la propria crescita nel 2004 e i prezzi del petrolio si sono impennati fino a 150 dollari al barile nel 2008; un fattore di circa 5 volte più alto di quello che era considerato normale nei primi anni del decennio (e più di 15 volte più alto di quello delle previsioni dell'Economist del 1999). Oggi, i prezzi del petrolio rimangono alti, intorno ai 100 dollari al barile. Non stiamo osservando un declino della produzione, ma sicuramente abbiamo prove dei seri problemi che l'industria petrolifera ha per mantenere la produzione ad un livello costante. Per come stanno le cose, sembra impossibile che possiamo tornare alle tendenze di crescita costante ed ai prezzi relativamente bassi che erano la norma fino a circa 10 anni fa.
Quindi i “picchisti” hanno vinto la loro scommessa con i cornucopiani. I problemi previsti si sono materializzati e i picchisti sono stati anche in grado di identificare approssimativamente i tempi della crisi. Ma non va tutto bene nel mondo del picco del petrolio. L'elegante e simmetrica curva “a campana” alla base di gran parte dei modelli sul picco del petrolio non è apparsa nei dati della produzione globale. Ciò che vediamo invece è un plateau o, al massimo, un lento aumento, in gran parte generato dall'uso delle cosiddette “risorse non convenzionali”, dai biocombustibili al petrolio di scisto. L'atteso declino non sta comparendo, almeno al momento.
Cos'è successo? Per prima cosa, i modelli non sono mai universali e quello del picco del petrolio non fa eccezione. La curva di produzione simmetrica è stata osservata in molti casi storici dove una risorsa in declino è stata lentamente rimpiazzata da un'altra, diversa e più abbondante, come nel caso dal passaggio dall'olio di balena al petrolio greggio come combustibile per le lampade nel 19° secolo. Hubbert ha previsto qualcosa di simile nel 1956 per la produzione globale di petrolio ipotizzando che l'energia nucleare avrebbe lentamente sostituito il petrolio greggio come energia principale nel mondo. In quel caso, la curva di produzione del petrolio sarebbe stata probabilmente simmetrica ma, ovviamente, non è successo.; di fatto è stata fortemente osteggiata in tutti i settori della società. Ciò che è successo, invece, è stato che grandi quantità di risorse finanziarie sono state investite nello sfruttamento di tutto ciò che poteva essere perforato, fratturato, spaccato, strizzato, bollito o elaborato in altro modo per ottenere qualche goccia di prezioso combustibile liquido ed è questo che ha evitato il declino, fino a questo momento.
Ma questo risultato è venuto ad un prezzo alto, più alto di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare. Un problema è che questo sforzo tremendo sta semplicemente posticipando l'inevitabile. Quando comincerà il declino, potrebbe essere ben più rapido del suo tasso “naturale” lungo la curva a campana. Questo declino più rapido può essere definito “Effetto Seneca”, dal nome del filosofo Romano che ha notato che tutte le cose tendono a crescere lentamente, ma a declinare con rapidità.
L'effetto Seneca è lungi dall'essere il problema principale generato dall'esaurimento del petrolio. Il vero disastro sta rapidamente emergendo in termini di accelerazione del cambiamento climatico, con tutti i costi e i pericoli implicati. Oggi stiamo assistendo alla conclusione di un dibattito cominciato con l'inizio del movimento del picco del petrolio. Il picco del petrolio è più importante del cambiamento climatico? E, il picco del petrolio ci salverà dal cambiamento climatico catastrofico costringendoci a bruciare meno combustibili? All'inizio era quella la speranza, sì, il picco del petrolio ci avrebbe salvato, volenti o nolenti, dal distruggere il nostro stesso pianeta. Sfortunatamente, tuttavia, sta cominciando ad apparire chiaro che questa speranza era mal riposta. L'imminente picco sta in realtà peggiorando il problema climatico perché ha portato l'industria a sfruttare risorse meno efficienti e quindi più inquinanti.
Data la situazione, il picco del petrolio sta cominciando a sembrare sempre più solo un 'bip' sulla strada della catastrofe climatica. Non c'è da stupirsi che la gente stia perdendo interesse per il concetto! Curiosamente, sembra che i picchisti non fossero abbastanza catastrofisti nelle loro visioni del futuro!
Il picco del petrolio è quindi morto? Be', no. Per prima cosa, il picco del petrolio non è mai stato una lotteria catastrofista dove i giocatori cercavano di indovinare il giorno esatto della fine del mondo. No, era – ed è ancora – un concetto fecondo, un modo di vedere il mondo. Ci ha insegnato molto e ci insegna ancora molto.
Il picco dello sfruttamento delle risorse non rinnovabili (o lentamente rinnovabili) è una conseguenza necessaria del modo in cui l'economia umana funziona nel mondo reale. Avviene con tutti i tipi di risorse minerali ed anche con quelle biologiche, come la pesca. E' anche la caratteristica essenziale della “tragedia dei beni comuni”, proposta da Garrett Hardin nel 1966. E' parte integrante dei modelli dinamici del mondo che hanno generato lo studio sui “I Limiti dello Sviluppo” che, nel 1972, ha cambiato il modo in cui vediamo il mondo.
Infine, risulta che il nostro pianeta non è uno scrigno abbandonato dal quale possiamo saccheggiare tesori a nostro piacere. Le risorse minerali che abbiamo trovato in esso dovrebbero essere viste piuttosto come un dono che avremmo dovuto gestire con molta più attenzione. Ora affrontiamo una situazione difficile, schiacciati fra l'esaurimento delle risorse ed il cambiamento climatico catastrofico. Ma il concetto di “picco” ci può ancora aiutare ad essere preparati per il futuro. Ricordate che coloro che non capiscono la curva a campana sono condannati a seguirla.
Immagine: copertina de “I Limiti dello Sviluppo”, edizione del 2004