Ecco un post che fa parte di una mini serie sugli effetti politici e sociali del “picco del carbone” in Europa e che è stato pubblicato il 12 aprile del 2010 su “The Oil Drum”. Altri post pubblicati su Effetto Cassandra su questo tema sono”Il picco del carbone in Gran Bretagna” e “Perché l'Italia?”
Di Ugo Bardi
Dettaglio del capolavoro di Telemaco Signorini “L'alzaia”, dipinto nel 1864. Mostra il duro lavoro di cinque uomini che tirano una pesante chiatta controcorrente lungo il fiume Arno, vicino a Firenze. Molto probabilmente la chiatta era carica di carbone. In questo post, parto da questa immagine per raccontare la storia del carbone in Italia e di come le fortune del paese siano andate di pari passo con quelle del carbone fino a metà del 20° secolo. (Cliccate qui per l'immagine intera).
Ho una relazione emotiva speciale con il quadro di Telemaco Signorini “L'Alzaia”. La zona mostrata nel dipinto è cambiata molto poco dai tempi in cui è stato fatto il dipinto – metà del 19° secolo – ed oggi vi potrei portare esattamente i quel posto, a Firenze. Non è lontano da dove sono nato e cresciuto, è la zona dove la mia famiglia è vissuta per generazioni. Ogni volta che vedo quel dipinto (ed ho visto due volte l'originale, in due diverse mostre) non posso evitare la sensazione che quegli uomini, che lavorano così duramente, potrebbero essere miei antenati.
“L'Alzaia” è giustamente considerato un capolavoro. Guardatelo e vedrete che è veramente una cosa eccezionale. Non solo la composizione delle figure è originale. Pensate ai contemporanei impressionisti francesi. Nessuno di loro, pur grandi maestri quali erano, hanno mai dipinto niente del genere. Non sembra che fossero preoccupati dai problemi sociali del loro tempo, come lo era invece Signorini. Così, Signorini ci mostra il tremendo sforzo di questi cinque uomini che trascinano qualcosa che non vediamo, ma che può essere soltanto una pesante chiatta. Quasi sicuramente la chiatta era carica di carbone. Era il carbone inglese che era stato scaricato al porto di Livorno e che percorreva lentamente la sua strada verso Firenze.
Quando “L'Alzaia” è stato dipinto, nel 1864, l'era del carbone era in pieno corso. Già in tempi medievali la gente aveva iniziato ad usare il carbone come combustibile, ma nel 19° secolo la produzione era enormemente aumentata. E' stato nel 1866 che William Stanley Jevons ha detto, nel suo “La Questione del Carbone”, che “Il carbone si trova non di fianco ma al di sopra di tutte le merci. E' l'energia materiale del paese – l'aiuto universale – il fattore di tutto quello che facciamo. Col carbone, quasi ogni impresa è possibile o facile. Senza di esso siamo ricacciati nelle laboriosa povertà dei tempi che furono”.
Ma il carbone aveva un problema: non era facile da trasportare. Il carbone è pesante, è impensabile trasportarlo con un carro per lunghe distanze sulle strade. Per questa ragione le prime ferrovie sono state sviluppate all'inizio del 19° secolo espressamente per trasportare il carbone. Ba le ferrovie erano costose, soggette al fallimento, ed i primi motori a vapore erano così inefficienti che usavano la maggior parte del carbone trasportato a meno che la distanza da coprire fosse devvero breve. Queste prime ferrovie potevano essere usate solo per spostare il carbone dalle miniere ai porti fluviali, dove il carbone veniva caricato in imbarcazioni chiamate “carboniere”. Solo usando vie d'acqua era possibile trasportare il carbone su lunghe distanze. Gradualmente, le ferrovie ed i motori a vapore sono diventati più efficienti, ma ovunque ci fossero fiumi e canali, questi sono rimasti il modo più economico di trasportare il carbone.
Agli albori dell'era del carbone, il costo di trasporto ha posto un limite alla diffusione del carbone. Solo quelle miniere che si trovavano vicine a vie d'acqua potevano produrre carbone e solo quelle aree che erano accessibili via acqua potevano usare carbone. Questa condizione era presente in gran parte del Nord Europa ed è stato lì che l'uso del carbone è cresciuto più rapidamente, alimentando quella che chiamiamo rivoluzione industriale. Più carbone estratto significavano più industrie e più industrie significavano più carbone estratto. Più carbone significava anche più acciaio e più acciaio significava eserciti più grandi ed efficienti. Il carbone è stato l'origine ed il combustibile dell'Impero Britannico, ma la produzione britannica era così grande che c'era carbone disponibile per l'esportazione. Col carbone britannico e, più tardi, con quello tedesco, la rivoluzione industriale si è diffusa in tutta Europa, anche in paesi che non avevano miniere di carbone. Col carbone importato, le vie d'acqua erano la condizione necessaria e sufficiente per avere industrie. Ma gran parte dell'Europa del sud e del Nord Africa erano tagliate fuori dalla rivoluzione del carbone: troppo secche e montagnose per le vie d'acqua.
Il limite più a sud delle vie d'acqua in Europa nel 19° secolo era la Toscana, dove il fiume Arno collegava la città principale, Firenze, alla città portuale di Livorno. Già nel 18° secolo l'Arno era stato artificialmente trasformato in una via d'acqua. Con questa linea vitale, la Toscana poteva importare carbone in grandi quantità dall'Inghilterra e dar inizio alla propria rivoluzione industriale. E' stata una piccola rivoluzione rispetto a quella dei paesi nordeuropei, ma la forza lavoro in Toscana era conveniente e questo ha attratto capitali dal resto d'Europa. Proprio come oggi la produzione viene esportata nelle aree più povere del mondo, da metà del 19° secolo, la Toscana era diventata un centro manifatturiero, con industrie create prevalentemente da uomini d'affari nordeuropei.
Il Granduca di Toscana di quel tempo, Leopoldo Secondo, era elogiato come un uomo buono. E' stato anche un politico e, come tale, tendeva a promettere regali al suo collegio elettorale. Uno di questi regali è stata l'illuminazione pubblica di Firenze. Già nel 18° secolo, era stato installato un sistema di illuminazione pubblica basata su lampade a petrolio, ma era debole, limitato a pochi luoghi e le lampade finivano il combustibile a mezzanotte. Nel 1845, le cose sono cambiate con le prime lampade a gas. Quelle lampade venivano riempite da un “gasometro”, un enorme cisterna dove il carbone reagiva col vapore per formare “gas di città” che poi veniva intubato fino ad ogni lampada in strada (quel vecchio gasometro c'è ancora, quasi dimenticato, in un giardino pubblico di Firenze). Era una luce splendente che durava tutta la notte; una rivoluzione. Così, grazie al carbone, Firenze era splendidamente illuminata di notte. Ma il carbone ha anche un lato oscuro: quelle persone mostrate da Telemaco Signorini mentre tirano laboriosamente una chiatta carica di carbone controcorrente. Col tempo, le chiatte sono state sostituite dalle ferrovie. E' probabile che, dai primi decenni del 20° secolo, poche persone continuavano a tirare carichi pesanti controcorrente. Ma la natura del problema era cambiata: il carbone non era infinito.
Nel 19° secolo, il carbone italiano veniva principalmente dalla Gran Bretagna e il commercio di carbone era un collegamento che connetteva i due paesi. Lo stato italiano è stato creato nel 1861, unendo gli staterelli che avevano governato la penisola italiana. E' stato, in parte, il risultato del lavoro della diplomazia britannica. C'erano vantaggi evidenti per la Gran Bretagna nell'avere un'Italia forte come contrappeso alle ambizioni espansionistiche francesi in Nord Africa. Ma la creazione dell'Italia non è stata solo un freddo calcolo politico. C'era una simpatia genuina da parte dei britannici per l'Italia e per le tradizioni italiane. Per alcuni aspetti, l'Italia era una nazione-sorella per la Gran Bretagna: Negli anni, i britannici accorrevano in Italia; essi ne amavano il clima, la gente e la relativa libertà del posto. Anche alcuni italiani si spostavano verso la nebbiosa Gran Bretagna, anche se non come turisti. L'invenzione del fish and chips (pesce e patatine fritte) viene a volte rivendicata dagli italiani della città toscana di Barga, che erano emigrati nelle isole britanniche.
Ma le relazioni fra Italia ed Inghilterra si sono inasprite col picco del carbone in Inghilterra, nei primi anni 20. Dopo la Prima Guerra Mondiale, l'Italia aveva disperatamente bisogno di carbone per ricostruire le proprie industrie. Ma la Gran Bretagna non poteva più fornire il carbone così liberamente come prima. L'Italia Ha cominciato ad importare carbone dalla Germania, ma non era sufficiente: il consumo di carbone in Italia è rimasto stabile fra le due guerre mondiali. L'economia italiana è stata trascinata già anche dal debito di guerra ed essa non ha mai realmente recuperato dopo il trauma della Prima Guerra Mondiale. Tutto ciò ha avuto conseguenze politiche. La simpatia per l'Inghilterra e per tutto ciò che era inglese è evaporata in Italia e la stampa italiana ha cominciato a vituperare la Gran Bretagna ed a lamentarsi del “problema del carbone”. D.H. Lawrence, nel suo “Mare e Sardegna” (1921), ci racconta che il problema del carbone è stato uno dei principali temi di conversazione fra gli italiani. Nel 1922, Mussolini ed il partito fascista hanno preso il potere, in gran parte anche sfruttando il risentimento della popolazione per la cattiva situazione economica.
Si dice che Mussolini avesse fatto arrivare i treni in orario. Forse è vero, ma non ha potuto fare niente per creare carbone che non c'era. La crisi del 1929 è stato un brutto colpo per l'economia italiana e – forse come reazione – il governo ha cercato di dare sfogo alla frustrazione nazionale invadendo l'Etiopia nel 1935. Ci sono state diverse spiegazioni ufficiali per l'invasione – la più comune era che l'Italia aveva bisogno di “un posto al sole” - una giustificazione curiosa per un paese che ha comunque un bel po' di sole. Ma, chiaramente, l'invasione era intesa come uno schiaffo in faccia alla Gran Bretagna: Era un modo di dire ai britannici che anche gli italiani potevano avere il loro impero, che potevano farlo da soli e che non avevano bisogno di nessun dannato carbone britannico per questo.
E' stato un errore, un errore colossale. Mussolini non aveva capito che era il carbone che creava gli imperi, non il contrario. Niente carbone, niente impero, era tutto qui. Conquistando l'Etiopia l'Italia ha dissipato immense risorse umane e materiali ed ha guadagnato una cattiva reputazione come stato canaglia del tempo. Tutto questo per un pezzo di terra arida ed il dubbio onore per il Re d'Italia di guadagnarsi il titolo di “Imperatore d'Etiopia”. Quella terra era anche strategicamente impossibile da difendere, come si sarebbe visto solo pochi anni dopo.
La Gran Bretagna ha reagito all'invasione dell'Etiopia fermando le esportazioni di carbone all'Italia. Questo, congiuntamente ad altre sanzioni economiche internazionali, ha spinto l'economia italiana già a pezzi sull'orlo del collasso. Il governo ha reagito furiosamente, spingendo una serie di misure chiamate “autarchia”, l'uso delle sole risorse nazionali. Era principalmente propaganda e qualche idea che non ha mai funzionato, come provare a fare scarpe col cartone e vestiti in lana di vetro. Il tentativo di sviluppare nuove miniere di carbone non poteva funzionare come sostituto delle importazioni. Le miniere del Sulcis in Sardegna erano la principale risorsa nazionale di carbone, ma non sono mai riuscite a produrre molto di più del 10% del consumo dell'Italia fra le due guerre. La mancanza di carbone e la tensione della guerra in Etiopia hanno pesato sull'economia italiana con quasi il 25% del bilancio dello stato dedicato a sostenere i costi dell'occupazione militare delle colonie oltremare.
Data la situazione, gli eventi so sono svolti come se seguissero una profezia scritta molto prima. L'Italia ha dovuto affidarsi sempre di più al carbone tedesco e questo ha avuto conseguenze politiche. Potete leggere la storia in questi paragrafi scritti nel 1940 da Ridolfo Mazzucconi, un popolare giornalista e scrittore italiano del tempo. Mazzucconi, fra le altre cose, aveva reso popolare il concetto di “Perfida Albione” che ha avuto origine in Francia al tempo della rivoluzione francese (dal blog di ASPOItalia).
- L'Inghilterra ordinò, con provvedimento repentino, la sospensione dell'inoltro di carbone tedesco a noi diretto via Rotterdam. In compenso, si offrì di sostituire la Germania nelle forniture di carbone: ma il servizio era subordinato a condizioni tali che accettarli sarebbe stato aggiogarsi al carro dell'interesse politico britannico e pregiudicare nel modo più grave la nostra preparazione bellica. Il governo fascista rispose con la dovuta bruscheria; e il carbone tedesco che non poteva più venire per mare trovò più comoda e breve la strada del Brennero.
Questa faccenda del carbone fu una salutare crisi chiarificatrice dell'orizzonte politico. Il 9 e il 10 Marzo (1940), Ribbentrop era a Roma e la visita diede luogo a un affermazione netta e precisa. L'asse era intatto, l'alleanza fra Italia e Germania continuava. Qualche giorno dopo, il 18, Mussolini e Hitler si incontravano per la prima volta al Brennero e allora anche i ciechi furono obbligati a vedere e i corti di mente a capire.
Potete leggere la stessa storia vista dall'altra parte dell'Atlantico in questo articolo sulla rivista Time intitolato “Carbone Caldo”. Ci mostra, fra le altre cose, come gli Alleati avevano completamente frainteso la situazione italiana del tempo. E' una tradizione dei produttori di combustibili usare embarghi per cercare di ottenere potere politico sugli importatori di combustibili ma, normalmente, non funziona. In questo caso, la Gran Bretagna ha provato a indurre l'Italia alla sottomissione usando l'arma del carbone. E' stato un altro errore colossale che ha spinto l'Italia ad affidarsi completamente al carbone tedesco. Ciò ha alimentato ancora di più il risentimento degli italiani contro la Gran Bretagna e ha dato a Mussolini sufficiente ascendente politico per spingere l'Italia in guerra come alleata della Germania.
Ciò che è seguito è stato, forse, inevitabile, ma non doveva esserlo necessariamente. Sarebbe stato sufficiente dare un'occhiata alle statistiche del carbone perché “anche i ciechi venissero obbligati a vedere e i corti di mente a capire” come ci racconta Mazzucconi. A quel tempo, la dimensione dell'economia nazionale poteva essere soltanto proporzionale alla quantità di carbone consumato e, con quella misura, l'Italia non poteva nemmeno paragonarsi alla Gran Bretagna. Nel 1940, nonostante avesse superato il picco, la Gran Bretagna produceva ancora più di 200 milioni di tonnellate di carbone all'anno e ne usava gran parte per la propria economia nazionale e per quella dell'Impero Britannico. L'Italia, invece, consumava poco più di 10 milioni di tonnellate all'anno. L'economia britannica era 20 volte più grande di quella italiana. I “ciechi e i corti di mente” erano tutti nel governo italiano che ha grossolanamente sovrastimato il potenziale militare del paese. Pensavano ancora che una guerra fosse combattuta da contadini armati con le baionette. Avevano completamente ignorato il lato oscuro del carbone.
Si dice che la storia si ripete; la prima volta è una tragedia, la seconda una farsa. Dopo la tragedia della Prima Guerra Mondiale, la seconda ha avuto qualche elemento di farsa. Mussolini sembrava spesso un clown durante la guerra e l'Italia ha preso alcune decisioni davvero farsesche, come quella di spedire una piccola forza di bombardieri e caccia per unirsi alla Germania durante la Battaglia d'Inghilterra. L'assurdità dell'idea non era tanto nel vedere vecchi biplani italiani cercare di combattere contro Spitfire e Hurricane, ma nel concetto stesso che l'Italia stava cercando di bombardare un paese che era stato il suo tradizionale alleato: la Gran Bretagna. C'è una tradizione da parte dei paesi che importano combustibili di bombardare quelli esportatori, ma persino Mazzucconi stesso, con tutta la retorica sulla “Perfida Albione” sembra essere perplesso dall'idea quando ci racconta della bella fratellanza fra Italia e Gran Bretagna. Alla fine, non importa quanto sia sembrato clown Mussolini e quanto la sua decisione militare fosse stupida, non c'era niente di farsesco in un esercito impreparato mandato al macello ed in un itero paese distrutto ed umiliato. Era ancora una volta il lato oscuro del carbone.
Il tempo è passato, il carbone non è più il “re”. I paesi distrutti durante la Seconda Guerra Mondiale hanno ricostruito le proprie economie usando il petrolio greggio e il gas naturale. Il lato oscuro del carbone, oggi, sembra giocare più in termini di danno ambientale: il carbone è il combustibile che genera più gas serra a fronte della stessa energia generata. Le miniere di carbone sono diventate a loro volta un'attività estremamente distruttiva, con la rimozione delle cime delle montagne (mountaintop removal) che è diventata una pratica comune per raggiungere le vene di carbone. Ma il carbone non è più una merce globale che porta alla guerra, com'era fino a metà del 20° secolo. Quel ruolo è stato assunto dal petrolio greggio. I discendenti di quegli uomini che tiravano chiatte cariche di carbone controcorrente nel 19° secolo, ora guidano auto scintillanti alimentate a petrolio e lavorano davanti a schermi di computer. Ma il problema del petrolio è lo stesso che è stato per il carbone: non è infinito e non c'è n'è a sufficienza per tutti. Ora è il petrolio greggio che fa e disfa gli imperi. La storia si ripete ancora e lo farà finché avremo combustibili fossili da bruciare.
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Ho pubblicato un altro saggio sul tema del carbone in Europa sulla “newsletter ASPO” n° 73 del gennaio 2007. Lo potete trovare qui: http://www.energiekrise.de/e/aspo_news/aspo/newsletter073.pdf Un grafico preso da quel saggio mostra la produzione britannica di carbone, qui:
Un grafico quantitativo che mostra come le importazioni dell'Italia sono variate nel tempo, si può vedere qui, preso dal saggio di Walter H. Voskuil “Carbone e potere politico in Europa” (Coal and Political Power in Europe), pubblicato su Economic Geography, Vol. 18, No. 3 (luglio 1942), pp. 247-258
Un post che ho scritto si può trovare su http://aspoitalia.blogspot.com/2007/01/davvero-viviamo-in-tempi-oscuri.html
E' una discussione sul ruolo del carbone in Italia fra le due guerre.
Potete trovare dati sulla produzione di carbone nelle miniere sarde del Sulcis a questo riferimento. Il fatto che l'Italia spendesse il 25% del proprio bilancio per mantenere le proprie colonie oltremare può essere trovato a questo riferimento.