domenica 26 giugno 2011

Il Ritorno dei "Limiti dello Sviluppo"




 
Questo testo è la traduzione in italiano del primo capitolo del libro “The Limits to Growth Revisited” di Ugo Bardi, pubblicato da Springer nel Giugno 2011. Il libro è una completa rivisitazione della storia del libro noto in Italia come “I Limiti dello Sviluppo” pubblicato nel 1972 da un gruppo di autori che includeva Dennis e Donella Meadows, Jorgen Randers e altri. Il testo di Ugo Bardi racconta la storia del libro, di come fu accolto inizialmente con grande interesse e di come fu poi demonizzato e consegnato al ludibrio pubblico. Ugo Bardi esamina i modelli alla base dello studio e le critiche fatte principalmente da economisti. Bardi descrive poi come il processo di demonizzazione ha avuto origine e come sia stato costruito sulla base di una falsa interpretazione di alcuni dei dati contenuti nel libro. Infine, Bardi esamina come gli scenari del primo “Limiti dello Sviluppo” del 1972 e delle successive edizioni siano sempre più rilevanti per descrivere la situazione globale in termini di esaurimento delle risorse e di riscaldamento globale.

Traduzione di Andrea Schenone; questo testo è pubblicato anche sul blog "Slow Tech"



Capitolo 1. Origine dei “Limiti dello Sviluppo”

La fine della seconda guerra mondiale portò un periodo di grande prosperità per il mondo occidentale. Fu il tempo delle case suburbane, di due auto per ogni famiglia, del frigorifero in cucina, e del fatto che viaggiare in aereo non fosse più un privilegio per ricchi. Fu anche il tempo delle materie plastiche, degli antibiotici, della televisione e dei primi computer. Furono anche gli anni dell'inizio dell'esplorazione dello spazio. Il primo satellite Sputnik fu lanciato nel 1957. Solo 12 anni dopo, nel 1969, un uomo metteva piede per la prima volta sulla Luna. Tutto questo avveniva insieme a un rapido aumento dell'uso dell'energia e delle materie prime. Verso la fine degli anni sessanta il petrolio greggio strappò al carbone il titolo di fonte di energia più importante del mondo. I combustibili a basso prezzo ottenuti dal petrolio hanno prodotto la realtà urbana che vediamo oggi nella maggior parte del mondo occidentale: grandi aree suburbane abitate da pendolari che usano la propria auto per raggiungere i loro posti di lavoro nei centri urbani.

Il petrolio non era solo una fonte di carburanti per le auto private. Solo con l'energia a basso costo che proveniva principalmente dal petrolio era possibile generare il flusso di materie prime minerali che era indispensabile per l'industria moderna. Le materie plastiche diventarono un bene di tutti i giorni, in sostituzione del legno e dei tessuti naturali. L'acciaio, una volta un costoso segno distintivo del potere militare, diventò a buon mercato e abituale anche per usi civili. L'alluminio diventò un materiale standard per tutti i tipi di applicazioni, dalla cucina all'industria aeronautica. La nascente industria hi-tech poté trovare elementi esotici e rari a prezzi ragionevoli per le applicazioni dell'elettronica, dell'industria aerospaziale, della chimica e dell'ingegneria. Infine, la "rivoluzione verde " in agricoltura fu il risultato di una combinazione di meccanizzazione e di fertilizzanti artificiali; entrambi furono resi possibili dal basso costo del petrolio greggio e del gas naturale. E' stato il grande aumento della produttività agricola generato dalla rivoluzione verde che ha reso possibile nutrire la crescente popolazione mondiale, una tendenza che continua fino ad oggi.

Si sapeva che il petrolio greggio - e i combustibili fossili in generale - erano una risorsa finita, ma questo non influenzava l'ottimismo generale della stragrande maggioranza degli scienziati, degli ingegneri, degli economisti e degli altri pensatori. Già negli anni Cinquanta, si credeva che nuove forme di energia fossero pronte a inaugurare una abbondanza ancora maggiore di quella che avevano portato i combustibili fossili. Il primo reattore nucleare progettato per la produzione di energia elettrica entrò in funzione negli Stati Uniti nel 1951. Fu l'inizio di ciò che venne vista come un'onda montante di reattori che, alla fine, avrebbero dato all'umanità una nuova era di prosperità; più grande di qualsiasi cosa sperimentata prima. La finitezza delle risorse di uranio minerale fu riconosciuta, ma si riteneva che potesse essere superata con lo sviluppo di reattori “autofertilizzanti” ed, eventualmente, da reattori a fusione che ci avrebbero fornito energia "troppo a buon mercato per misurarla" [Strauss 1954].

Con tanta prosperità e con una crescita che sembrava inarrestabile, qualche idea bizzarra non sembrava inverosimile. Negli anni Cinquanta, le persone pensavano seriamente alle auto volanti, ai vestiti usa e getta, agli aerei atomici, e ai fine settimana sulla Luna per tutta la famiglia. E perché non colonizzare altri pianeti? Cosa ci impediva di esplorare l'intera galassia? La crescita del progresso tecnologico aveva convinto la maggioranza delle persone che l'ingegno umano potesse superare tutte le problematiche che provenivano dalle risorse limitate. Eppure, nel bel mezzo di tanto ottimismo, stava apparendo una nuova coscienza. Se il mondo occidentale stava vivendo tanta prosperità, era anche facile vedere che il resto del mondo veniva lasciato indietro. Quelle regioni ottimisticamente definite come "paesi in via di sviluppo" non erano per niente in via di sviluppo e questo era vero anche per alcune parti dei paesi ricchi [Harrington 1962]. È vero, la rivoluzione verde aveva ridotto la frequenza delle carestie nel mondo, ma, tuttavia, qualcosa impediva al benessere occidentale si estendersi a persone che non potevano neanche sognare due auto per famiglia o di volare alle Hawaii per le loro vacanze.

Era solo una questione di tempo? Forse, aspettando soltanto abbastanza a lungo, la magia del libero mercato avrebbe compiuto il miracolo di mettere tutti sul cammino dello sviluppo. O era un problema culturale? Forse, diffondendo le idee occidentali, la cultura occidentale, e il modo di vita occidentale, compresi hamburger e hot dog, tutti nel mondo avrebbero imparato come avviare un'impresa e a essere pronti per la rivoluzione industriale locale. Ma, forse, il problema era diverso. Forse c'era solo qualcosa di sbagliato nell'idea che la terra avesse sufficienti risorse naturali per fornire a tutti lo stesso modo di vita che era diventata uno standard nel mondo occidentale. Così, cominciò ad apparire chiaro ad alcuni che c'erano dei limiti alla crescita umana su un pianeta finito.

Il concetto di limite alla crescita non era niente di nuovo. Anche nei tempi antichi, i periodi di crisi aveva portato la gente a farsi domande su quello che oggi chiamiamo "sovrappopolazione". In tempi moderni, il problema fu studiato da Thomas Robert Malthus, che pubblicò il suo "Saggio sul principio della popolazione" a partire dal 1798 fino al 1826, un lavoro che rimane ancora oggi una pietra miliare nella comprensione dei limiti fisici che l'umanità deve affrontare. Ma Malthus fu frainteso già ai suoi tempi, con Thomas Carlyle che definì l'economia come "scienza senza speranza" con riferimento al lavoro di Malthus. In tempi più recenti, Malthus è stato accusato di ogni sorta di errori, in particolare di aver previsto una catastrofe che non si è verificata - un destino comune a tutti coloro che predicono un futuro non così luminoso. Ma Malthus non fu "solo un predittore di catastrofi a venire" [McCleary, 1953]. Piuttosto, fu il primo a capire che le popolazioni biologiche tendono a crescere finché non hanno raggiunto il limite che l'ambiente può sostenere. Ebbe una profonda influenza in biologia, per esempio, dove influenzò il pensiero di Darwin, e anche in economia. Gli economisti classici del XVIII e XIX secolo, Adam Smith, Ricardo, Mills, Jevons e altri, avevano una visione chiara dei limiti del sistema economico e adattarono di conseguenza il loro pensiero.

La visione degli economisti classici divenne obsoleta con il grande flusso di ottimismo che iniziò nella seconda metà del XX secolo. Ma, anche nel bel mezzo di quella che fu forse la fase con il ritmo di crescita economica più veloce della storia umana, alcune persone si stavano ponendo una domanda fondamentale: quanto può durare? Infatti, gli anni dopo la seconda guerra mondiale furono forse la prima occasione della storia in cui i limiti fisici del nostro pianeta diventarono chiaramente riconoscibili a tutti. Era passato il tempo in cui le mappe mostravano aree bianche con la scritta "hic sunt leones": "qui ci sono i leoni". Già nel 1953, Edmund Hillary e Tenzing Norgay si erano arrampicati fino alla cima del monte Everest, la montagna più alta della Terra, uno degli ultimi luoghi sulla superficie del pianeta che fosse rimasto fuori dalla portata degli esseri umani. Negli anni Sessanta, le foto della Terra dallo spazio, riportate dagli astronauti delle astronavi Apollo, mostrarono le immagini del nostro pianeta come una palla blu-verde. Era finita, era limitata; tutti lo potevano vedere. Nessun uomo è un'isola, aveva detto John Donne. Ora era facile capire che stavamo tutti vivendo su una piccola isola blu che galleggiava nel buio dello spazio.

L'idea che tutti gli esseri viventi erano parte della stessa entità risale agli anni Venti, quando Vladimir Vernadsky aveva coniato il termine "biosfera" [Weart 2003]. Il concetto divenne noto negli anni Sessanta, quando James Lovelock sviluppò il concetto di "Gaia" [Lovelock, 1965], prendendo a prestito il nome dell'antica divinità della terra per descrivere l'ecosistema planetario. Gaia incarnava il concetto che tutte le creature della Terra sono collegata in un complesso sistema di feedback che mantiene la temperatura del pianeta a livelli tollerabili per la vita. Negli anni, Gaia si è rivelata molto diversa da quella entità benevola che Lovelock aveva immaginato [Ward, 2009]. Ma il concetto di Gaia rimane una metafora valida anche oggi per la descrizione della ecosistema planetario [Karnani e Annila 2009]. Poi, se la vita è un unico, gigantesco organismo, ne consegue che questo organismo è legato ai limiti di tutto il pianeta. E, se la generosità del pianeta è limitata, come potremmo continuare per sempre la rapida crescita sperimentata negli anni Cinquanta e Sessanta?

Nel 1968, Garrett Hardin fornì ulteriori spunti di riflessione su questo problema con il suo articolo "La tragedia dei beni comuni" [Hardin 1968]. Hardin descrisse il caso in cui la terra è un bene comune, cioè, è gratuita per tutti i pastori come pascolo (“usi civici” in Italiano). Ogni pastore sa che troppi animali danneggiano la terra. Eppure, ogni pastore tende ad aggiungere altri animali al suo gregge proprio perché il suo vantaggio individuale è più grande del danno causatogli dalla perdita collettiva. Il risultato è un disastro: con troppi animali al pascolo, il terreno fertile viene distrutto dall'erosione e tutti ne risentono di conseguenza. Eppure, anche se la situazione è evidente a tutti, resta conveniente per ogni singolo pastore sfruttare eccessivamente anche gli ultimi ritagli di pascolo rimanenti. Il modello di Hardin era schematico e, sicuramente, il mondo reale è molto più complesso dei pascoli ipotetici che aveva descritto. Tuttavia, con la sua analisi, Hardin metteva in dubbio il cuore del concetto di "mano invisibile" che Adam Smith aveva sviluppato quasi due secoli prima. Mentre gli economisti neoclassici vedevano il perseguimento dell'interesse personale come portatore del massimo bene comune, Hardin lo vedeva come portatore della distruzione della risorsa che veniva sfruttata.

Mentre il modello qualitativo di Hardin spiegava le ragioni per l'eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, negli anni Cinquanta, il geologo americano Marion King Hubbert sviluppò un modello empirico che descriveva con quale velocità venivano sfruttate le risorse. Hubbert propose che la curva di produzione per il petrolio greggio, in ogni grande regione produttiva, dovesse essere "a forma di campana." Applicando il suo modello al petrolio greggio nei 48 stati meridionali degli Stati Uniti, predisse nel 1956 che la produzione massima avrebbe dovuto essere raggiunta intorno al 1970 e che sarebbe dovuta essere in declino nel seguito. Questo fu quello che successe, con il picco che fu raggiunto nel 1971 [Campbell e Laherrere, 1998]. Oggi, la curva di produzione a "campana" è stata osservata per molti minerali diversi dal petrolio greggio [Bardi e Pagani, 2007] e anche per risorse non minerali lentamente rinnovabili (ad esempio per le balene [Bardi 2007, 2]). La curva a campana è conosciuta anche come la "curva di Hubbert", mentre il massimo è spesso chiamato il "picco di Hubbert" [Deffeyes 2001]. Il picco mondiale della produzione di petrolio è spesso chiamato "picco del petrolio" [Campbell e Laherrere 1998]

Il petrolio greggio negli Stati Uniti non fu il primo caso di una risorsa mineraria importante che aveva raggiunto il suo picco di produzione. In precedenza, intorno al 1920, anche la produzione di carbone inglese aveva raggiunto il picco e aveva iniziato il suo declino [Bardi 2007]. Questi e altri picchi storici di produzione passarono in gran parte sotto silenzio e, anche se discussi, vennero normalmente attribuiti a fattori di mercato. Tuttavia, questi dati dimostravano che le risorse, anche quelle importanti, esistevano in quantità finite e che la produzione non poteva essere mantenuta crescente per sempre.

Un'altra preoccupazione di quei tempi era la crescita della popolazione umana, un fattore cruciale del modello dei "commons" di Hardin [Hardin 1968]. Fino ad allora, la crescita della popolazione era stata sempre vista come una cosa buona. Più gente significava più soldati per l'esercito, più contribuenti per lo Stato, più contadini per i proprietari, più lavoratori per i proprietari della fabbrica, in breve, più ricchezza per tutti. Ma, negli anni Cinquanta e Sessanta, la crescita demografica aveva preso una tendenza inquietante. All'inizio del XIX secolo, la popolazione umana aveva raggiunto il miliardo. Nel 1927, aveva toccato i 2 miliardi. Il limite dei tre miliardi era stato raggiunto negli anni Sessanta. La crescita sembrava seguire una curva esponenziale ed era un incubo estrapolare la tendenza nei decenni futuri. Preoccupazioni per la sovrappopolazione furono diffuse in un libro di successo di Paul Ehrlich "The Population Bomb" [1968] in cui l'autore prediceva carestie diffuse in tutto il mondo.

Infine, sembra che il termine "inquinamento", che ci è così familiare, sia stato utilizzato con il significato di "contaminante ambientale" per la prima volta negli anni Cinquanta. Inizialmente, il termine si riferiva principalmente ai rifiuti radioattivi generati dalle esplosioni nucleari, ma, col tempo, cominciarono ad apparire altre forme di inquinamento. Lo "smog", i fumi derivanti dalla combustione del carbone, diventò una minaccia mortale. L'episodio di smog a Londra nel 1952 fu particolarmente letale, con circa 4.000 vittime [Stegerman e Solow 2002]. Questo evento produsse una normativa contro l'inquinamento: il Clean Air Act, emanato in Gran Bretagna nel 1956 e l'"Air Pollution Control Act" promulgato negli Stati Uniti nello stesso anno. Più tardi, un altro pezzo, più completo, della legislazione federale negli Stati Uniti, il "Clean Air Act", fu promulgato nel 1963.

L'inquinamento prendeva molte forme, spesso inattese. Una era l'effetto dei pesticidi. Nel 1962 la biologa statunitense Rachel Carson pubblicò il suo libro "Primavera silenziosa" [Carson 1962], dove criticava l'uso indiscriminato dei pesticidi, che definì "biocidi". L'affermazione di Carson era niente di meno che rivoluzionaria. Fino a quel momento, una verità ovvia era che le creature viventi possano essere suddivise in "utili" e "nocive" e che era una buona cosa sterminare quelle del secondo tipo. Il concetto di "ecosistema", dove molte specie interagiscono tra di loro, e in realtà hanno bisogno le une delle altre, era relativamente nuovo in un mondo dominato da concetti quali "una vita migliore attraverso la chimica". Carson fu probabilmente la prima autrice a descrivere questi temi in un libro di successo e la risonanza fu enorme. Per questo è correttamente accreditata come la persona che diede origine a quello che oggi chiamiamo il "movimento ambientalista".

Questi anni videro anche i primi accenni al fatto che l'attività umana stava creando una minaccia ancora più preoccupante per gli esseri umani: il riscaldamento globale. Nel 1957 Robert Revelle e Hans Suess ripresero un precedente lavoro sugli effetti dei gas serra e pubblicarono uno studio che evidenziava come la crescita osservata di biossido di carbonio derivante dalle attività umane si sarebbe tradotta in un aumento delle temperature planetarie. L'evidenza del riscaldamento globale non diventò completamente chiara prima degli anni Settanta ma, già nei Sessanta, era un altro indizio preoccupante degli effetti degli esseri umani sugli ecosistemi.

Negli anni Cinquanta e Sessanta, le preoccupazioni circa l'esaurimento delle risorse, la sovrappopolazione e l'inquinamento non erano in testa alle notizie quotidiane, ma stavano facendosi lentamente strada dentro la coscienza di molte persone preoccupate per la sorte del genere umano. Qualcosa doveva essere fatto, chiaramente, ma non era sufficiente dire che, un giorno, avremmo dovuto venire a patti con il nostro ambiente. Il punto era quando. Avevamo millenni, secoli, o forse solo decenni? E non solo: come si sarebbe svolto lo scontro del genere umano contro i limiti planetari e quali sintomi ci avrebbero potuto allarmare e aiutarci a prevenire le peggiori conseguenze? C'era un tremendo bisogno di capire che cosa aveva in serbo il futuro per l'umanità.

La quantificazione di questo tipo di problemi globali non era mai stata tentata prima, ma il progresso della tecnologia stava iniziando a fornire il giusto tipo di strumenti per tale scopo. Negli anni cinquanta e sessanta, i computer digitali erano in rapido sviluppo e in diverse aree della scienza cominciavano a essere utilizzati come strumenti per prevedere il futuro. Alla fine degli anni quaranta, un giovane professore al Massachusetts Institute of Technology di Boston, Jay Wright Forrester, avevano iniziato ad utilizzare una nuova generazione di computer digitali per simulare le interazioni dei diversi elementi dei macchinari e dei sistemi elettronici. Nel tempo, Forrester spostò il suo interesse verso la gestione e la modellazione dei sistemi economici. Etichettò il nuovo campo "dinamica industriale", ma, più tardi, il termine "dinamica dei sistemi" diventò quello più usato. Il metodo poteva essere utilizzato per simulare situazioni commerciali [Sterman 2002] e sistemi socioeconomici come intere città [Forrester 1969, Madden 1979, Burdekin 1979]. Da lì, un altro passo avanti era chiaro per Forrester: simulare l'intero sistema economico mondiale. Sviluppò il suo primo modello del mondo a metà degli anni Sessanta, quando il suo computer era diventato abbastanza potente per effettuare simulazioni che coinvolgessero i principali elementi dell'economia mondiale e dell'ecosistema.

Mentre Forrester era impegnato in questi studi, altri stavano esaminando gli stessi problemi. Nel 1968 Aurelio Peccei (1908-1985) e altri formarono il "Club di Roma", un gruppo di intellettuali provenienti dall'industria e dal mondo accademico che si era riunito per studiare e discutere i problemi economici e politici globali. All'inizio, l'attenzione del Club non era specificamente sui limiti planetari. Il documento intitolato "Il dilemma dell'Umanità" [Club di Roma, 1970] mostra che la principale preoccupazione del Club in quel momento era di trovare metodi pratici per migliorare le condizioni di vita degli esseri umani, in particolare riducendo le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza. Ma i membri del Club giunsero rapidamente alla conclusione che dovevano trovare il modo di quantificare i limiti delle risorse mondiali, se volevano essere in grado di agire in relazione alle loro preoccupazioni. Nel 1968 Aurelio Peccei incontrò Jay Forrester a una conferenza sui problemi urbani in Italia, sulle rive del Lago di Como [Forrester 1992]. Tale riunione fu la scintilla che innescò la serie di eventi che avrebbero portato allo studio de "I limiti dello sviluppo".

Peccei fu colpito dalle idee di Forrester e lo invitò a partecipare ad una riunione che il Club di Roma organizzava a Berna nel 1970. Nel corso della riunione, Forrester convinse i membri del comitato esecutivo del Club a viaggiare fino al MIT, a Boston, per discutere la possibilità di utilizzare dinamiche di sistema per i loro scopi. Si dice che Forrester annotò gli elementi di base del suo modello del mondo sull'aereo mentre tornava dall'Europa. A Boston, i membri del Club di Roma discussero con Forrester e anche con uno dei suoi collaboratori, Dennis Meadows, che aveva 28 anni a quell'epoca. A quanto pare, Meadows era l'unico nel gruppo Forrester che non fosse già gravato da altri progetti. Quindi, scrisse una nota di diverse pagine in cui sottolineava come avrebbe potuto essere gestito un progetto di modellazione del mondo basato sulla dinamica dei sistemi ed i membri del Club decisero di provare a usarlo. Più tardi, Meadows, in seguito a un suggerimento di Peccei, fece una richiesta di fondi alla fondazione Volkswagen, per fornire un finanziamento allo studio [Meadows, comunicazione privata, 2010]. La proposta fu accettata e Meadows riunì un team di 16 ricercatori per lavorare al progetto. Il gruppo comprendeva la moglie di Dennis Meadows, Donella Meadows, Jorgen Randers, William Behrens, e altri. Nel 1971, Forrester pubblicò i risultati del suo lavoro sulla modellizzazione del mondo in un libro dal titolo "World Dynamics" [Forrester 1971]. Il lavoro del team diretto da Dennis Meadows fu pubblicato nel 1972 come un libro dal titolo di "The Limits to Growth" (LTG) al [Meadows et al. 1972].

Forrester e la squadra LTG avevano lavorato indipendentemente l'uno dall'altra, ma erano arrivati alla stessa conclusione scioccante che può essere riassunta come: l'economia del mondo tende a fermare la sua crescita e a collassare come risultato di una combinazione della ridotta disponibilità delle risorse, della sovrappopolazione, e dell'inquinamento. Questa conclusione era una caratteristica "robusta" delle simulazioni, cioè, cambiava poco al variare delle ipotesi iniziali.

Né i calcoli di Forrester né quelli di LTG avevano lo scopo di determinare esattamente quando il crollo sarebbe iniziato, ma, usando i migliori dati disponibili, entrambi gli studi indicarono che l'inizio del declino economico poteva essere atteso entro i primi decenni del XXI secolo, cioè circa trenta o quaranta anni nel futuro. Nello studio LTG, questo scenario era denominato il "caso base" o "Standard Run ".

Figura 1 Modello Caso base dall'edizione 1972 di LTG


Sia Forrester sia il gruppo LTG effettuarono le loro simulazioni per una varietà di ipotesi possibili, comprese radicali innovazioni tecnologiche o il fatto che la popolazione potesse essere stabilizzata da azioni politiche a livello globale. Nella maggior parte dei casi, anche per ipotesi molto ottimistiche circa la disponibilità delle risorse e del progresso tecnologico, il collasso non poteva essere evitato, ma, nella migliore delle ipotesi, solo ritardato. Solo un insieme di politiche mondiali scelte con cura e progettate per arrestare la crescita della popolazione e per stabilizzare il consumo delle risorse avrebbe potuto evitare il collasso e condurre l'economia mondiale verso uno stato stabile; pur mantenendo un livello medio di consumo di risorse non diverso da quello degli anni Settanta. I due libri che descrivono questi concetti, "World Dynamics" e LTG, entrambi ebbero un notevole successo. Il libro di Forrester vendette circa 100.000 copie; un risultato notevole per un libro che era concepito come un testo tecnico e che era pieno di equazioni e diagrammi. Ma l'impatto reale arrivò con lo studio LTG, che mirava fin dall'inizio al pubblico in generale. Il numero totale di copie vendute di LTG non è noto con certezza. Tuttavia, gli autori dello studio [Meadows, comunicazione privata, 2010] stimano che il totale delle vendite sia stato sicuramente più di un milione. Il libro è stato anche tradotto in più di 30 lingue. Evidentemente il libro ha dato voce a qualcosa che era profondamente sentita in tutto il mondo: che i limiti alle risorse planetarie non potevano essere ignorati a lungo.

Nonostante il successo e l'interesse suscitato, il lavoro di Forrester e del team di LTG incontrò anche forti critiche. Gli economisti, per esempio, si compattarono per respingere i metodi e le conclusioni di questi studi come non compatibili con l'economia come era intesa in quel momento. Ma dove il dibattito esplose veramente fu in termini politici. Qui, il successo stesso del libro LTG generò una forte reazione. Le rassegne di Giorgio Nebbia [1997] e di Mauricio Schoijet [1999] ci dicono come differenti atteggiamenti politici diedero forma alle reazioni a LTG a livello mondiale. In Unione Sovietica, la reazione fu che il libro avrebbe potuto ben descrivere il crollo che era in serbo per il capitalismo, ma che non aveva niente a che fare con le società comuniste, che avrebbero evitato il collasso per via delle loro economie pianificate. In molti paesi poveri, gli intellettuali locali spesso videro LTG come un tentativo di perpetuare il dominio del ricco Occidente, una truffa per imporre riduzioni di popolazione ai poveri o anche il presagio di un ritorno al colonialismo. Nel mondo occidentale, diversi orientamenti politici dettarono la reazione a LTG e, in molti casi, sinistra e destra furono uniti nel rifiuto. La sinistra vedeva spesso LTG come un tentativo di giustificare la posizione subordinata della classe operaia, mentre la destra lo vedeva come una minaccia per la sua visione del libero mercato e della crescita economica. Positive reazioni politiche a LTG vennero più spesso da posizioni liberali-moderate, che vedevano le minacce descritte negli scenari LTG come reali, ma anche come opportunità per ridurre le disuguaglianze e creare un mondo più libero [vedi, ad esempio Peccei e Ikeda, 1984].

Se, all'inizio, il dibattito su LTG era sembrato essere equilibrato, a poco a poco l'atteggiamento generale verso lo studio divenne più negativo. Si rovesciò decisamente contro lo studio, quando, nel 1989, Ronald Bailey pubblicò un articolo su "Forbes", dove accusò gli autori di aver previsto che l'economia mondiale avrebbe già dovuto esaurire alcune materie prime minerali vitali, mentre questo non era, ovviamente, successo. La dichiarazione di Bailey era solo il risultato di una lettura errata dei dati in una singola tabella dell'edizione 1972 di LTG. In realtà, nessuno dei diversi scenari presentati nel libro dimostrava che il mondo avrebbe esaurito una qualunque materia prima della fine del XX secolo, e neanche del XXI secolo. Tuttavia, il concetto degli "errori del Club di Roma" prese piede. Con gli anni Novanta, divenne un luogo comune affermare che LTG era stato un errore se non uno scherzo concepito per stuzzicare il pubblico, o anche un tentativo di forzare l'umanità verso una dittatura planetaria, come era stato sostenuto in alcune valutazioni precedenti [Golub e Townsend 1977, Larouche 1983]. Entro la fine del XX secolo, la vittoria dei critici di LTG sembrava essere completa. Ma il dibattito era ben lungi dall'essere risolto.
L'interesse per LTG e, in generale, per la modellazione del mondo, sembra essere di ritorno adesso, quando il crollo previsto in tutti gli scenari di LTG inizia a manifestarsi in termini di crollo dei mercati e di crisi economica. Con il nuovo secolo, stiamo assistendo a una crescente consapevolezza che abbiamo bisogno di nuove idee e nuovi approcci per affrontare i gravi problemi economici e ambientali che vanno dall'esaurimento delle risorse al cambiamento climatico globale. Oggi, possiamo guardare indietro ai quasi 40 anni della storia di "The Limits to Growth" e rivedere il messaggio che abbiamo ricevuto nel 1972. Quello che a quel tempo era il futuro è ormai il passato e siamo in grado di riconoscere la validità degli scenari presentati nel libro [Turner 2008, Hall e Day 2009], con il sistema economico mondiale che ha seguito fino a ora da vicino lo scenario "caso base" di LTG. Quindi, possiamo dire che LTG non si è mai "sbagliato", nel senso che i suoi critici intendevano. Avevano capito male, avevano dimenticato o ignorato che la scala temporale dello scenario del “caso base” era tale per cui non bisognava attendersi un crollo prima di un tempo che era stimato essere approssimativamente entro i primi due decenni del XXI secolo.
C'è anche un fattore più profondo nel fraintendimento del messaggio LTG. E 'stato un avvertimento, non una previsione e, come tale, non poteva essere "sbagliata". Non importa se si verifica o no il collasso alla data specifica che corrisponde a uno scenario specifico di quelli presentati nel libro. Ciò che conta è che, ignorando lo studio per gli ultimi quattro decenni, probabilmente abbiamo perso la capacità di fare qualcosa per evitare, o almeno attenuare, i problemi che ci aspettano.

La storia di "The Limits to Growth" continua. Possiamo ancora imparare molto dallo studio del 1972 e dalle sue versioni più recenti [Meadows et al. 1992, 2004]. Quindi, non è troppo tardi per mettere in pratica alcuni dei metodi e delle raccomandazioni che possono essere ricavate dallo studio.

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