martedì 30 settembre 2014

Dieci scenari apocalittici assortiti

DaResource Crisis”. Traduzione di MR





Nella narrativa è permesso estrapolare alle loro conseguenze finali gli effetti di fenomeni normali, esaminando ipotesi estreme di eventi che potrebbero accadere, a prescindere dal fatto che siano improbabili. Quindi, l'interesse per il concetto di “fantaclima" (climate fiction  -- cli-fi-) come modo per esplorare le possibili conseguenze del cambiamento climatico in situazioni molto più estreme di quelle degli scenari, di solito molto sterilizzati, presentati dagli scienziati.

Sembra che, finora, solo poche delle possibili catastrofi collegate al clima siano state esaminate in dettaglio in film e racconti. Quindi, ho preparato qui un elenco di dieci scenari apocalittici, tutti collegati al cambiamento climatico. Non ho fatto alcun tentativo di stimare le probabilità di questi eventi, ma credo che nessuno di questi scenari sia fisicamente impossibile. Sono semplicemente un po' estremizzati (parecchio) per aumentarne gli effetti drammatici. L'elenco potrebbe servire come fonte di ispirazione per coloro che stanno cercando di cimentarsi nello scrivere racconti  di fantaclima. Qui, sono organizzati in un ordine approssimato di crescenti conseguenze catastrofiche.


1. “La grande fiamma di carbone” (o “Saddam al quadrato”). Un gigantesco fuoco di carbone che non può essere spento. Tutti sappiamo come, nel 1991, le truppe irachene che si ritiravano dal Kuwait hanno fatto saltare circa 700 pozzi di petrolio, provocando enormi incendi. Il danno generato non è stato terribilmente catastrofico e gli incendi sono stati spenti in meno di un anno, strozzandoli alla bocca del pozzo. Tuttavia, possiamo pensare a qualcosa di più difficile da spegnere se immaginiamo che l'incendio potrebbe colpire un grande deposito di carbone. Esistono già fuochi di carbone sotterranei che bruciano da decenni e sembrano essere impossibili da spegnere. Immaginiamo qualcosa di molto più grande, forse risultato di un'arma nucleare tattica che ha colpito per errore (o di proposito) una grande miniera di carbone. Il risultato sarebbe un gigantesco incendio che ricopre un'area enorme; sarebbe probabilmente molto più difficile da spegnere degli incendi localizzati nei pozzi di petrolio del Kuwait del 1991. Già adesso, gli incendi incontrollati di carbone equivalgono a circa il 3% delle emissioni mondiali di CO2. Se una grande miniera di carbone dovesse incendiarsiil disastro che ne risulterebbe potrebbe accelerare considerevolmente il cambiamento climatico. Per non dire niente dell'inquinamento generato localmente in termini di ceneri, ossidi di zolfo, mercurio ed altre sostanze chimiche velenose. Un disastro forse non globale, ma comunque notevole.

2. “Super Distacco” o "Il ritorno di Heinrich". Il rapido collasso in mare di grandi quantità di ghiaccio. Il “distacco”  ("calving" in inglese) è un fenomeno ben conosciuto per il quale grande quantità di ghiaccio si staccano dalle calotte glaciali e creano iceberg. Di solito, il processo non causa danni agli esseri umani (eccetto in casi speciali, come quello del Titanic). Ma immaginate che dei pezzi di ghiaccio molto grandi venissero rilasciati ad un tasso molto più rapido di quello attuale. Questo è avvenuto nel rempoto passato in quegli eventi chiamati "Eventi di Heinrich" che hanno visto interi eserciti di iceberg attraversare l'Oceano Atlantico. Se si verificasse oggi, il processo potrebbe interrompere la navigazione nelle aree intorno alle grandi calotte glaciali, come vicino alla Groenlandia, e potrebbe anche generare onde enormi – non tsunami, ma grandi abbastanza da fare danni a distanze considerevoli. Poi, la presenza di grandi quantità di ghiaccio galleggiante nell'oceano avrebbe effetti significativi sul clima e sulla circolazione oceanica termoalina. La combinazione di questi fenomeni interromperebbe il commercio e il trasporto in un'area vitale per l'economia mondiale.

3. “Ipertempeste!” Tempeste gigantesche che scatenano disastri. Un aumento della frequenza e della dimensione degli uragani è atteso come conseguenza del cambiamento climatico. In alcune condizioni, gli uragani possono essere davvero enormi e in questo caso prenderebbero il nome di “Iperagani" ("hypercanes" in inglese), supertempeste della dimensione di un continente che raggiungono la stratosfera, con effetti collaterali come la distruzione dello strato protettivo di ozono. A causa di questo effetto, è stato ipotizzato che alcune delle mega-estinzioni del passato fossero state dovute ad iperagani. Si ritiene che temperature della superficie del mare sufficientemente alte da creare un iperagano possano essere generate solo da circostanze eccezionali, come impatti di asteroidi. Tuttavia, non è impossibile che una combinazione di fattori collegati al riscaldamento globale possano generare tempeste sempre più grandi. Già nelle condizioni attuali gli uragani sono una grande forza distruttrice sulle strutture costruite dall'uomo, immaginate qualcosa di molto più grande e d anche più distruttivo. Anche così, il danno sarebbe più che altro locale, a meno che non riusciamo a far nascere un vero iperagano che va a distruggere lo strato di ozono creando un disastro globale


4. “Il grande disastro dell'anello di ghiaccio”. Tsunami generati dai movimenti tettonici causati dalla fusione delle calotte glaciali settentrionali.  “L'anello di ghiaccio” è una regione che comprende diverse faglie geologiche nell'Emisfero Settentrionale. Si tratta di una regione vulcanica già attiva, ma la fusione della calotta glaciale della Groenlandia genererebbe ulteriori instabilità. La Groenlandia “galleggia” al di sopra di un mantello semifluido e si solleverebbe se libera dalla massa di ghiaccio che la ricopre (viene chiamato “rimbalzo isostatico”). Il risultato sarebbe la destabilizzazione delle anomalie geologiche dell'area: un aumento dei fenomeni vulcanici, terremoti e grandi frane costiere. Il risultato più disastroso sarebbero gli tsunami atlantici, un fenomeno che finora è stato molto raro, ma che verrebbe incrementato e reso sempre più comune dal cambiamento climatico. Gli tsunami che provengono dalla Groenlandia potrebbero colpire in modo particolarmente duro Scozia, Norvegia ed Irlanda, ma anche la costa nordoccidentale dell'Europa (in particolare l'Olanda) interrompendo o distruggendo un nodo industriale e commerciale fondamentale per l'intera Europa.

5. “Il Grande Gelo" (o: “Younger Dryas reloaded”). Un rapido raffreddamento, qualcosa nell'ordine dei 5°C (23°F) dell'Emisfero Settentrionale. Il precipitare della calotta glaciale della Groenlandia nell'oceano potrebbe fermare la circolazione termoalina del Nord Atlantico. Come abbiamo visto nel film “The day after tomorrow”, questo genererebbe un rapido raffreddamento dell'Emisfero Settentrionale. Si crede che qualcosa di simile sia già avvenuto durante il periodo denominato “Younger Dryas”, circa 12.000 anni fa; probabilmente causato dal rilascio improvviso nell'Atlantico dell'acqua fredda di un lago (“Lago Agassiz”) quando la diga di ghiaccio che la teneva chiusa sul posto ha ceduto (sì, è la trama del secondo film della serie “Era Glaciale”, quello intitolato “La Fusione”). Nel caso di un Younger Dryas, il congelamento dell'emisferero settentrionale sembra aver avuto luogo in pochi anni. Immaginate se qualcosa di simile dovesse succedere oggi: le conseguenze non sarebbero nemmeno immaginabili, anche se dovessimo assumere che influirebbero soltanto sull'emisfero settentrionale.

6. “Il grande impeto del mare”. L'aumento del livello mare generato dalla rapida fusione delle calotte glaciali della Groenlandia e dell'Antartide Occidentale che spazza via la maggiorparte delle città e infrastrutture costiere.  Questa non è tanto un'ipotesi quanto una certezza virtuale, date le attuali tendenze. Ciò porterebbe ad un aumento del livello del mare più o meno di 7 metri (24 piedi) dalla sola Groenlandia, più circa 3 metri da parte dell'Antartide Occidentale ed un ulteriore contributo da parte della fusione più lenta di altre calotte glaciali. Tuttavia, normalmente si crede che questo evento si scatenerebbe in secoli o millenni e che gli esseri umani avrebbero tempo per adattarsi (forse). Dopo tutto, come spesso si dice, ciò che viene colpita dall'aumento del mare “è solo l'edilizia”. Ma immaginiamo che il processo sia molto, molto più rapido – e che avvenga in pochi decenni o anche meno. Non si vedrebbe l'impeto di onde gigantesche che sommergono le città costiere, come nel film “2012”, ma l'aumento del livello del mare sarebbe comunque così rapido che non ci sarebbe tempo per costruire argini o per riposizionare gli edifici e le strutture all'interno. Il risultato sarebbe una frenetica fuga verso l'interno, mentre l'infrastruttura industriale e dei trasporti vitale dovrebbe essere abbandonata.


7. “Solleticare la coda del drago” (o: "Spararsi con la pistola a clatrati”). Un gigantesco rilascio di metano causato dagli esseri umani e il conseguente rapido aumento della temperatura. Immaginiamo che qualcuno ben intenzionato cerchi di risolvere la crisi energetica estraendo metano dagli idrati (o clatrati) sepolti sul fondo dell'oceano. Ora, immaginate che trivellare queste riserve di clatrati inneschi un fenomeno auto-alimentato di rilascio. Proprio come la BP non sapeva come fermare la perdita nel pozzo di Macondo, le compagnie che trivellano – diciamo – nell'Oceano Artico scoprirebbero di non sapere come chiudere il buco che hanno trivellato e che, anche se potessero, appaiono comunque sempre altri buchi. Il risultato è un massiccio rilascio di metano nell'atmosfera, un gas serra molto più potente del biossido di carbonio. Di conseguenza si dispiegherebbe il “caso peggiore” fra gli scenari del IPCC in pochi anni anziché in un secolo. I risultati? Be', probabilmente tutti i quattro scenari precedenti: collasso delle calotte glaciali, interruzione della corrente termoalina oceanica e tutte le sue terribili conseguenze. Ma anche un'estesa distruzione climatica e la desertificazione delle regioni temperate. Non si parlerebbe più di “siccità in California” per le stesse ragioni per cui non si parla di “siccità nel deserto del Sahara”. La California diventerebbe come il deserto del Sahara (e non solo la California).


8. “Troppa Grazia" o “Il grande contraccolpo del clima”. La geoingegneria si ritorce contro chi la usa . Possiamo immaginare multipli disastri che emergono da tentativi ben intenzionati ma mal concepiti di ridurre il riscaldamento globale. Spruzzare particolato nell'alta atmosfera, o forse specchi giganti in orbita, raffredderebbero la Terra, ma non sappiamo come condizionerebbero gli eventi meteorologici. Per esempio, potrebbero indebolire i monsoni dell'Oceano Indiano e condannare almeno un miliardo di persone alla fame. Oppure potrebbero andare troppo nella direzione opposta (troppa grazia, Sant'Antonio), con effetti simili a quelli di un inverno nucleare. Infine, immaginate che una grande crisi economica sottragga i fondi al tentativo della geoingegneria. O, immaginate che una grande campagna pubblicitaria convinca la gente che era una truffa o era inutile (questo probabilmente è l'elemento più realistico di questo scenario). Poi, quando gli schermi solari cadono, la Terra torna a scaldarsi più di prima e le temperature schizzano verso l'alto così rapidamente che, prima che si possano riprendere i controlli, è troppo tardi. E questo sarebbe un vero disastro globale.


9. “Il mondo come una gigantesca camera a gas”. E se il CO2 risultasse non essere così innoquo come normalmente si crede che sia? Il CO2 viene spesso definito come “il cibo delle piante” e si crede che non possa condizionare negativamente la salute umana finché non raggiunge concentrazioni almeno 10 volte oltre i valori attuali. Tuttavia, è anche vero che la nostra specie si è evoluta in condizioni di concentrazioni di CO2 atmosferico al di sotto dei 300 ppm e che le attuali concentrazioni di 400 ppm non sono mai state sperimentate  dai nostri antenati. Man mano che le concentrazioni di CO2 atmosferico continuano ad accumularsi, potremmo raggiungere concentrazioni di quattro o cinque volte maggiori di quelle che sono state la regola negli ultimi milioni di anni, più o meno. Il CO2 è una molecola reattiva che, fra le altre cose, condizionerebbe il pH del sangue e qualcuno ha sostenuto che concentrazioni oltre i 425 ppm avrebbero già effetti negativi; per tacere di valori molto più alti. Quindi, se scoprissimo di aver trasformato il pianeta in una gigantesca camera a gas, cosa faremmo?

10 “Venere, il disastro finale”. Le temperature potrebbero salire abbastanza da uccidere tutto e tutti. Lo scenario “Venere” è una versione estrema dell'effetto serra fuori controllo. Mentre le temperature aumentano, sempre più vapore acqueo viene pompato in atmosfera. Siccome il vapore acqueo è un gas serra, esso causa ulteriore riscaldamento dell'atmosfera. Al suo limite estremo, il processo potrebbe auto-alimentarsi al punto che gli oceani evaporerebbero completamente. Le temperature potrebbero diventare così alte che i carbonati nella crosta terrestre si decomporrebbero, creando un'atmosfera densa e satura di CO2. Aggiungete un po' di acido solforico generato dai vulcani ed avrete trasformato la Terra in qualcosa di molto simile a Venere. Le temperature raggiungerebbero diverse centinaia di gradi Celsius in superficie; niente acqua allo stato liquido, niente vita. Oggi, si ritiene che la radiazione solare che arriva sulla Terra non sia sufficientemente intensa da generare il tipo di retroazione che trasformerebbe la Terra in una gemella di Venere. Ma ci sono sempre incertezze in questi calcoli e lo “scenario Venere” non può essere completamente escluso. La sola via di fuga dalla catastrofe di Venere sarebbe lasciare la Terra per un altro pianeta, sempre che gli esseri umani siano in grado di costruire astronavi in tempo. Si tratta, chiaramente, della catastrofe finale: la sterilizzazione dell'intero pianeta.


Si tratta di fantasia, solo di fantasia, ma...



domenica 28 settembre 2014

IL DIAVOLO, ESISTE?

Di Jacopo Simonetta

In un mio precedente post ho sostenuto che Godzilla non esiste, una notizia che spero non abbia traumatizzato i suoi molti fans.   Oggi vorrei invece cimentarmi con un altro soggetto di ben più illustre stirpe, ma parimenti ritenuto oggi un mero frutto di una perversa fantasia.   In effetti, dopo millenni di onorata carriera, questo personaggio chiave della cultura europea (e non solo) è stato malamente licenziato e bollato con la più infamante delle etichette: “superstizione medioevale”.   Un marchio d’infamia da cui neppure qualche esplicito richiamo da parte del pontefice lo ha potuto riscattare. Senza pretendere di riuscire laddove il papa ha fallito, vorrei qui proporre alcune considerazioni in merito alla natura ed alla funzione di quello che un tempo era indicato come “il Nemico”.

Innanzitutto, premetto che come fonte primaria non utilizzerò alcuno dei numerosi sapienti che in passato si sono cimentati sull'argomento, bensì il complesso della favolistica popolare, raccolta e pubblicata perlopiù nella seconda metà del XIX secolo, ma di origine molto più antica.  Trattandosi di dare la caccia ad uno o più archetipi, ho ritenuto che questa fonte fosse più promettente di quella rappresentata da autori di riconosciuto valore, ma legati alla Chiesa o, per contrasto, in aperta polemica con essa.   Una situazione che produce necessariamente uno stravolgimento del materiale di base che viene utilizzato, spesso molto sapientemente, a fini didattici o polemici.

Esistono infinite varianti e sono molte le vicende in cui il Nemico può giocare un ruolo importante, talvolta persino positivo.   Qui mi occuperò solamente di una casistica particolare, ma molto vasta: quella in cui il Diavolo si pone al servizio di qualcuno, o perlomeno si offre di farlo. In questo genere di favole, il Diavolo si manifesta in due ben diversi contesti: Attacca tramite tentazioni i più santi fra gli uomini; oppure offre aiuto a persone del tutto comuni.
    
Il primo caso ha un precedente nella tentazione di Cristo ed è presente nella favolistica popolare perlopiù come derivazione dall'enorme corpus delle vite dei santi di cui è un ottimo compendio la Leggenda Aurea.   In questo contesto, il demonio appare al santo (od allo stesso Salvatore) per distoglierlo dalla sua ascesi e contaminarne l’anima con una qualche forma di avidità (per il sesso, per il cibo, per il potere, ecc.).   Essendo la persona un santo, egli comprende però l’inganno e percepisce immediatamente la natura orripilante del Diavolo e l’intrinseca malvagità della sua offerta.

Il secondo caso, per me molto più interessante, è assai più frequente nella letteratura orale popolare per il semplice motivo che si riferisce a persone comuni, simili a chi narra ed a chi ascolta; persone dedite ai fatti propri e non alla purezza dell’ascesi.   Quindi molto più vulnerabili alla tentazione. In questi casi, normalmente, sono le persone che evocano il diavolo, sia pure indirettamente, tramite un atto di avidità o di disperazione.   Può trattarsi di un desiderio illecito oppure di una grave infrazione; in ogni caso, si noti bene, si tratta di una manifestazione di avidità per qualcosa cui il protagonista non ha diritto.   Qualcosa che si trova oltre un limite che non dovrebbe essere valicato.

Una variante a questa casistica è la persona che, sopraffatta dalle calamità o dalla miseria, dispera dell’aiuto e della giustizia divina; insomma il contrario di Giobbe che un tempo tutti conoscevano perfettamente.   Anche in questo caso, comunque, abbiamo a che fare con il rifiuto dei limiti che gli eventi pongono alla nostra vita. Una volta espresso questo tipo di sentimento con sufficiente forza di volontà, il Diavolo appare, spesso sotto le vesti di un signore affabile e ben vestito, ma riconoscibile per una qualche anomalia fisica (zampe di cavallo o simili) e/o per la puzza di zolfo.   Costui propone al protagonista un affare: la soluzione al suo problema od il soddisfacimento de suo desiderio in cambio dell’anima (non necessariamente quella del protagonista, può anche essere quella di qualcun altro). 

Se, eventualmente dopo un certo mercanteggiamento, il protagonista accetta, il demonio ottempera pignolescamente al contratto: soddisfa i desideri e risolve i problemi dell’umano (quasi sempre un maschio, attenzione al dettaglio).   In molti casi il protagonista scopre un grande tesoro e diventa ricco, oppure sposa la figlia del “re” (dove re, in genere, indica semplicemente una persona molto importante).  Ma la casistica è ampia ed in molti casi l’aiuto del demonio è necessario per riuscire in un’impresa come la costruzione di un ponte o perfino di una cattedrale.   Richiamo l’attenzione su questa tipologia di intervento demoniaco che ritengo particolarmente illuminante.   Non è infatti che ci sia qualcosa di intrinsecamente malvagio nel voler costruire un ponte o magari una chiesa; l’atto di avidità che evoca il demonio, in questi casi, è la volontà di realizzare un’opera che la gente ritiene impossibile.   In ultima analisi, il protagonista vuole  superare i limiti imposti dalla natura e dal costume per fare qualcosa di utile, ma eccessivo.   E non già per la maggior gloria del Signore, bensì per la maggior gloria di sé medesimo.

Una volta compiuta l’opera, il Diavolo esige il suo credito.   Il destino del protagonista è dunque la dannazione eterna, a meno che non riesca ad ingannare il Nemico con un trucco, di solito con l'aiuto di un  sant'uomo chiamato al soccorso.   Altre volte il protagonista si salva pentendosi delle sue colpe e, se il suo pentimento è sincero, l’opera crolla o scompare assieme al suo infernale artefice.  

Altre volte il diavolo assicura invece un’intera vita di sfacciata fortuna al protagonista il quale però, dopo un primo momento di euforia, si accorge che dietro una splendida apparenza la sua vita si sta trasformando in un inferno senza speranza.   I parenti e gli amici lo abbandonano, oppure muoiono, oppure cominciano a sfruttarlo, anziché amarlo.   Le sue proprietà aumentano, ma non danno benessere; il suo denaro attira ladri e tagliagole.   In sintesi, la sua fortuna diffonde paura, invidia e disgrazia fra chi viene in contatto con lui e tutto ciò che fa ottiene risultati opposti a quelli voluti.    Il finale è simile:   la dannazione; a meno che il protagonista (o più spesso sua moglie) non trovi un trucco per ingannare il demonio.   Talvolta anche un sincero pentimento può salvarlo dalla dannazione eterna, ma tutto ciò che ha realizzato nella sua vita si dissolve in una fumata maleodorante.

Dunque, sfrondando i dettagli che differenziano ogni singolo racconto, tento di riassumere i punti che caratterizzano il diavolo e la sua opera nella maggioranza delle favole:
  • Vive abitualmente sotto terra ed ha un’estrema affinità con il fuoco.  
  • Viene evocato tramite un atto di volontà motivato da un sentimento di avidità, superbia o ribellione contro i limiti imposti all'uomo dalll’ordine divino del mondo.
  • Quando si manifesta per la prima volta, ha un aspetto elegante e signorile, ma un cattivo odore.
  • Consente di realizzare opere ed imprese straordinarie, anche di pubblica utilità e perfino opere di bene.
  • Serve fedelmente le proprie vittime esaltandone nel contempo l’ambizione e la superbia.
  • Superata una soglia variabile da caso a caso, da servo diventa padrone e coloro che si servivano di lui si trovano prigionieri in un mondo di dolore senza speranza.   Dietro l’aspetto accattivante si rivela un mostro orribile.
  • Il suo passaggio lascia l’aria fuligginosa e maleodorante.
  • La dannazione è il destino normale di chi evoca il Diavolo, ma esiste la possibilità di sfuggirgli a condizione di rendersi conto in tempo della trappola ed ingannarlo; oppure pentirsi ed accettare le conseguenze dell’errore commesso.   
  • Generalmente, la salvezza comporta la perdita dei vantaggi ricevuti ed una dura penitenza. 
Esiste qualcosa nella realtà fisica comunemente riconosciuta che abbia queste caratteristiche?   Qualcosa che ha assicurato a molti di noi una vita di sfacciato benessere e di costante superamento dei limiti?   Nel contempo riempiendoci di orgoglio al punto di ritenere oggi un nostro diritto il continuare a disporre di tali privilegi, costi quel che costi?   Qualcosa, insomma, che servendoci fedelmente ci ha condotto sulle soglie della dannazione?   Io credo di si e tutti noi sappiamo di cosa si tratta.

Dunque, il diavolo è una fantasia medioevale, una metafora psicologica od una realtà fisica?   Oppure tutto questo ed altro ancora contemporaneamente?
La potenza del mito è che sempre ha numerose e contemporanee chiavi di lettura possibili; sta a noi capire quali siano quelle che, di volta in volta, ci possono aiutare ad intuire pericoli mortali e, forse, sfuggirvi.    Nelle favole sono i santi eremiti e le donne che possono, talvolta, sconfiggere il Nemico.


venerdì 26 settembre 2014

Un'estate strana: dov'è finito il riscaldamento globale?






Ecco dov'è finito il riscaldamento globale. Diciamo che per quest'anno siamo stati risparmiati dalle ondate di calore degli anni passati. Non è detto che ci vada sempre così, però. E il 2014 sta battendo tutti i record precedenti di riscaldamento in media. Altro che pausa!


Dati dal NOAA

Picco del petrolio? Per esempio, nel Golfo del Messico........

DaPeak Energy”. Traduzione di MR

DeSmog Blog ha dato un'occhiata alla produzione di petrolio nel Golfo del Messico - Il Golfo del Messico ha raggiunto il picco del petrolio?

Ci sono articoli sufficienti sul “mito del picco del petrolio” che girano su internet da riempire un libro e ci sono abbastanza libri sul tema da riempire una piccola biblioteca. Una delle discussioni comuni a tutte queste pubblicazioni è la loro mancanza di fonti credibili, perché non solo il picco del petrolio è reale, ma ci stiamo rapidamente avvicinando a quella soglia. Un esempio che sta colpendo in faccia proprio in questo momento gli Stati Uniti e l'intera industria petrolifera lo vediamo galleggiare nel Golfo del Messico. Secondo un nuovo rapporto governativo, la produzione di petrolio è gas naturale nel Golfo è andata costantemente declinando nell'ultimo decennio. Il rapporto ha considerato la produzione di petrolio nel Golfo del Messico solo su terre federali, non su terre private in cui la produzione sta avendo luogo. Dal 2010, secondo il rapporto, il rendimento annuale del petrolio proveniente dal Golfo è crollato di circa 140 milioni di barili. Mentre la regione del Golfo costituisce ancora il 69% del petrolio statunitense prodotto su terre federali, il drammatico declino della produzione ci racconta una storia che l'industria petrolifera non vuol sentire.

Il picco del petrolio sta chiaramente cominciando a giocare un ruolo nell'esplorazione degli Stati Uniti. Al contrario di quello che alcuni negazionisti del picco del petrolio vogliono che il pubblico creda, il picco del petrolio non significa che stiamo per finire il petrolio. Ciò che significa è che gli Stati Uniti stanno finendo il petrolio facilmente accessibile e sostenibile economicamente. Mentre questo petrolio facile da ricuperare scompare, le compagnie devono trivellare sempre più in profondità o in luoghi altrimenti inaccessibili per ottenere il loro petrolio. Ciò rende il processo molto più costoso ed alza i costi al punto che i profitti fanno fatica ad arrivare. Ed è questo che stiamo cominciando a vedere nel Golfo del Messico. Non è nemmeno perché le trivellazioni petrolifere nel Golfo stiano diminuendo. Di fatto, le trivellazioni petrolifere nell'area sono accelerate negli ultimi anni, quindi il declino della produzione non è il risultato del fatto che vengano trivellati meno pozzi.


mercoledì 24 settembre 2014

Il picco imminente della produzione di petrolio statunitense

Max Rupalti traduce per "Effetto Risorse" un solido studio di David Archibald sulla produzione di "tight oil" ("petrolio di scisto") ottenuto mediante fracking negli Stati Uniti. Il metodo usato per queste predizioni, la "linearizzazione di Hubbert" va preso con una certa cautela. Più di una volta, si è visto che la realtà può deviare dalle previsioni su tempi lunghi. Ma, quando i tempi coinvolti sono brevi, allora il metodo si rivela normalmente affidabile. In questo caso, sembra chiaro che le risorse esistenti di petrolio di scisto sono vicine al loro picco produttivo che dovrebbe verificarsi entro qualche anno al massimo, entro il 2015 secondo Archibald in questo articolo, verso il 2018-2019 in un articolo più recente sempre dello stesso Archibald. Una differenza di qualche anno cambia poco al concetto che, a meno di eventi inaspettati, il secondo ciclo di produzione petrolifera del Nord America si avvia verso la sua conclusione inevitabile. E' appropriato citare qui le parole recenti del geologo americano Arthur Berman che a questo proposito ha detto che "La produzione dagli scisti non è una rivoluzione, è una festa di pensionamento" ("Production from shale is not a revolution; it’s a retirement party.")  (U.B.) 



DaPeak Oil Barrel”. Traduzione DI MR

Questo è un guest post di David Archibald (NOTA: un articolo più recente dello stesso Archibald aggiorna le predizioni spostando in avanti di qualche anno il picco del "tight oil")



Il picco imminente della produzione di petrolio statunitense

I sette anni di produzione di tight oil negli Stati Uniti hanno prodotto dati sufficienti da permettere una stima della quantità di petrolio che verrà recuperato da questi sistemi e sulla tempistica del picco di produzione. Sulla base dei dati di maggio 2014, i quattro principali bacini di tight oil produrranno un totale di 7,7 miliardi di barili con un tasso di picco di produzione di 3,9 milioni di barili al giorno per metà 2015. Seguendo quel picco, la previsione è prevista seguire un declino altrettanto rapido della sua ascesa. Ci si aspetta che questo a sua volta causi una rivalutazione della capacità di produrre combustibili da trasporto sufficienti sulla base delle attuali politiche.

Bakken, Nord Dakota

Jean Laherrere ha tracciato la produzione di petrolio da Bakken Fm in Nord Dakota usando la linearizzazione di Hubbert:


FIG. 1

Chiamata anche tracciato di declino logistico, la linearizzazione di Hubbert traccia la produzione annuale divisa per produzione cumulativa fino a quella data sull'asse y contro la produzione cumulativa sull'asse x. Questo è il metodo che M. King Hubbert ha notoriamente usato nel 1956 per prevedere il picco della produzione di petrolio statunitense nel 1970. E' stato anche in gran parte corretto nel prevedere il tasso di declino da quel picco. Questa metodologia è basata sulla teoria del tasso di estrazione da una risorsa finita sviluppata originariamente dal matematico belga del 19° secolo Pierre Francois Verhulst (1804–1849). Il fatto che la produzione di Bakken dal 2012 viene tracciata come una linea retta su questo grafico riflette l'esaurimento di una risorsa vicino a 2.500 barili.

Quasi il 90% della produzione di Bakken del Nord Dakota proviene da quattro contee: Williams, Dunn, Mountrail e McKenzie. La Figura 2 mostra la storia della produzione mensile di queste contee dal 2005:




FIG. 2

Ognuna di queste contee mostra anche la linearizzazione di Hubbert come si vede nella Figura 3:






FIG. 3

L'analisi per contea conferma la valutazione su tutto l'affare. Sulla base dei dati al maggio 2014, la Tavola 1 rende in dettaglio la quantità di petrolio prodotto ad oggi, il recupero stimato finale (RSF) e la percentuale esaurita:


Tavola 1

Così come Bakken, gli altri tre principali bacini/formazioni statunitensi di tight oil sono Niobrara, Eagle Ford e il Permiano. Usando la linearizzazione di Hubbert il RSF, il tasso di picco di produzione e l'anno del picco di questi bacini è mostrato nella Tavola 2:



Il profilo di produzione atteso di questi bacini/formazioni fino al 2019 è mostrato nella Figura 4 seguente:


FIG. 4

Il contributo alla produzione statunitense del tight oil è stata benvenuto, ma avrà vita breve. Il boom del gas di scisto ha dinamiche diverse e durerà di più. La produzione di tight oil statunitense ha impedito alla produzione mondiale di petrolio di declinare negli ultimi 5 anni. Ci si può aspettare che il declino previsto della produzione statunitense di tight oil da metà 2015 abbia un impatto sul prezzo. Nella Figura 5 che segue è mostrato il prezzo del petrolio WTI e il prezzo del gas Henry Hub (x6) dal 1997 ed i tassi interni modellati di ritorno degli impianti di trasformazione del carbone in liquidi a 100, 120 e 140 dollari al barile sulla base di un capitale di spesa di 130.000 dollari al barile di capacità quotidiana: 


FIG 5

David Archibald, Fellow ospite dell'Istituto di Politiche Mondiali di Washington D.C., è l'autore de Il crepuscolo dell'abbondanza: perché la vita nel 21° secolo sarà brutta, brutale e breve "Regnery 2014). Gestisce anche cinque milioni di acri nel bacino di Canning nell'Australia Occidentale.  



lunedì 22 settembre 2014

Temperatura oceanica in aumento: è l'Oceano Pacifico che decide?

Da “Skeptical Science”. Traduzione di MR

Di Rob Painting

Punti chiave:


  • Anche se l'oceano si è fortemente riscaldato, la temperatura globale di 'superficie' nel 21° secolo è stata più lenta dei decenni precedenti. Uno dei primi sospettati di questo è stato l'aumento degli Alisei che aiutano a mescolare il calore al di sotto della superficie dell'oceano – parte di un'oscillazione naturale conosciuta come Oscillazione del Pacifico Interdecennale (OPI).
  • Una ricerca pubblicata di recente, Chen & Tung (2014), sostiene che sono i cambiamenti nella salsedine (salinità) dell'acqua di mare nel Nor Atlantico è responsabile della variazione su scala decennale nell'assorbimento di calore dell'oceano, piuttosto che la OPI, in quanto l'aumento di salinità rende l'acqua di superficie più densa e pertanto facilita lo sprofondamento dell'acqua trasportata in direzione del polo.
  • L'analisi personale di Chen & Tung, tuttavia, mostra che il riscaldamento dell'Oceano Atlantico del Nord ha raggiunto un picco nel 2006 ed è declinato da allora, mentre il riscaldamento delle profondità dell'oceano, nel suo complesso, no. 
  • Questa nuova ricerca conferma i precedenti lavori (Meehl et al [2011] e Meehl et al [2013]) implicando che l'aumento, anche se probabilmente temporaneo, della miscelazione del calore negli strati più profondi dell'oceano è un contributo chiave al tasso più lento del riscaldamento di superficie nel 21° secolo.  



Figura 1 – I tassi di riscaldamento dell'oceano nel suo complesso e per singoli bacini oceanici fino a 1.500 metri di profondità. In particolare le osservazioni mostrano un maggiore riscaldamento degli strati più profondi, col riscaldamento più forte dell'oceano profondo che avviene nell'Atlantico e negli Oceani meridionali. Immagine da Chen e Tung (2014).

Riscaldamento dell'oceano: contesto di fondo


Nonostante questo riscaldamento degli oceani indotto dai gas serra, l'oceano non si scalda in maniera lineare a causa di diversi fattori, uno dei quali è una variazione naturale su base decennale nel modo in cui il calore viene miscelato negli oceani dai venti – l'Oscillazione del Pacifico Interdecennale (OPI). La OPI è, essenzialmente, un'oscillazione della forza dei venti (principalmente degli Alisei tropicali) che promuovono la miscelazione del calore verso l'interno dell'oceano, condizionando così le temperature di superficie. 

Il principale meccanismo della miscelazione all'interno dell'oceano dovuta al vento (fino a circa 2.000 metri di profondità) avviene attraverso la convergenza dell'acqua calda tropicale di superficie nei vortici subtropicali oceanici. Questi vortici subtropicali oceanici sono grandi masse rotanti di acqua di superficie che occupano le medie latitudini di ogni bacino oceanico. L'acqua di superficie viene trasportata verso i vortici subtropicali a causa dei venti che la trascinano sulla superficie del mare. Piuttosto che viaggiare nella stessa direzione degli Alisei, il flusso netto di acqua degli strati di superficie condizionati dal vento sono a 90° rispetto alla direzione di viaggio – verso destra nell'Emisfero Settentrionale e verso sinistra in quello Meridionale. Ciò avviene perché la Terra ruota rapidamente al di sotto delle correnti di superficie e risulta in una “apparente deflessione”. L'impatto che questo ha è molto reale, tuttavia. 



Figura 2 – tensione annuale del vento (vedi vento medio) negli oceani globali fra il 1982 e  il 2004. Le macchie verde chiaro vicino all'equatore in entrambi gli emisferi rappresentano gli alisei e le aree da circa 35° verso i poli mostrano i venti occidentali dominanti di media latitudine. Da locazione e direzione di questi venti dominanti abbiamo la convergenza delle correnti oceaniche a circa 30-40° in entrambi gli emisferi. Immagine del GODAS del NOAA.

Mentre le acque calde tropicali di superficie viaggiano verso il polo, incontrano un flusso diretto verso l'equatore creato dai venti occidentali di media latitudine e questa convergenza di superficie causa l'accumulo di massa d'acqua al centro del vortice. Senza poter andare da nessun'altra parte, la convergenza di superficie forma una corrente verticale conosciuta come “pompa di Ekman” (Ekman [1905]) che trasporta il calore in profondità. Per mantenere un equilibrio, c'è un ritorno di flusso d'acqua, in profondità, verso l'equatore e i poli. Notate che c'è anche un trasporto verso il polo nelle correnti poco profonde al limite occidentale di ogni vortice oceanico subtropicale – conosciute come correnti del confine occidentale. 


Figura 3 – Un rafforzamento della circolazione del vortice fra il 2004 e il 2008 è indicato dall'aumento dell'altezza sterica per i 500 decibar di livello di pressione (quasi 500 metri) relativi a 2.000 decibar (quasi 2.000 metri). Immagine adattata da Roemmich & Gilson (2009).

L'Oceano Atlantico: un autista o un passeggero?

Chen e Tung (2014) analizzano i dati del contenuto di calore dell'oceano conservati da un gruppo di ricerca giapponese, Ishii et al (2005), e fanno diverse dichiarazioni sulle cause delle fluttuazioni multidecennali del tasso di miscelazione del calore dell'oceano. La principale fra tutte queste dichiarazioni è che il cambiamento di salinità del Nord Atlantico è responsabile delle fluttuazioni decennali, non i cambiamenti degli Alisei e dei venti occidentali di media latitudine (la OPI) – come suggerito da Meehl et al (2011), Meehl et al (2013) e England et al (2014), per esempio. Una delle motivazioni date da Chen e Tung per aver scartato il ruolo della OPI nel riscaldamento dell'oceano profondo è la previsione secondo la quale il bacino dell'Oceano Pacifico avrebbe dovuto scaldarsi di più durante l'attuale fase negativa della IPO (dal 2000 ad oggi). In un comunicato stampa Tung dichiara: 

“La scoperta è una sorpresa, visto che le teorie attuali avevano indicato l'Oceano Pacifico come colpevole per aver nascosto il calore”.

E nel saggio stesso gli autori scrivono:

“Ciononostante, neanche le serie di dati supportano il risultato del modello di  Meehl et al. secondo cui l'accumulo di calore in questo strato (300-700 metri) del Pacifico domini sui bacini oceanici durante i periodi di iato”.

Questo non è del tutto corretto. Come mostrato nella Figura 4, le simulazioni del modello climatico di Meehl et al avevano il grosso dell'immagazzinamento di calore dell'oceano che avveniva nell'Oceano Meridionale e nel Pacifico, ma gran parte dell'immagazzinamento nell'oceano profondo durante i decenni corrispondenti alla OPI è stato nell'Atlantico e negli Oceani Meridionali. Due ragioni per cui questo debba essere così nel mondo reale sono che, per prima cosa, i vortici subtropicali dell'Emisfero Meridionale sono situati prevalentemente nell'Oceano Meridionale e nell'Atlantico Meridionale e, secondo, che parte del calore in arrivo nel bacino dell'Oceano pacifico in realtà non resta lì. Non solo il calore viene trasportato verso il polo in direzione, e attraverso, i vortici e c'è solo un vortice subtropicale nel Pacifico (il Nord Pacifico), ma c'è una “perdita” dal Pacifico con le correnti che viaggiano attraverso l'Arcipelago indonesiano nell'Oceano Indiano. E la “perdita” verso l'Oceano Indiano e l'Oceano Pacifico (attraverso il Passaggio di Drake) nell'Oceano Atlantico (Dong et al [2011], Backeberg et al [2012]). In aggiunta, l'Oceano Atlantico è il solo bacino in cui ci sia una corrente calda di superficie in direzione dell'Equatore (parte della Meridional Overturning Circulation) e questo alla fine porta calore verso in Nord Atlantico – dove questo sprofonda.


Figura 4 – Tassi di riscaldamento dell'oceano per ogni bacino oceanico negli anni di iato (nesun riscaldamento o riscaldamento ridotto) e in tutti gli altri anni negli esperimenti del modello climatico effettuati in Meehl (2011). 

Quindi, nonostante gran parte del calore entri nell'oceano attraverso il Pacifico, non c'è nessuna aspettativa realistica per cui tutto il calore immagazzinato durante l'attuale fase negativa della OPI sarebbe immagazzinata lì. Il modello climatico del modello climatico del NCAR usato da Meehl et al potrebbe non simulare correttamente la durata della OPI (essendo ogni fase lunga circa 10 anni anziché 25-30) e il modo esatto di immagazzinamento di calore dell'oceano, ma ha simulato la maggior parte dell'immagazzinamento dell'oceano profondo che ha luogo nell'Oceano Meridionale e nell'Atlantico. La straordinaria intensità degli Alisei in tempi recenti (Merrifield [2011], England et al [2014]) potrebbero andare in qualche modo nella direzione di spiegare le discrepanze, o forse i modello climatico è solo insufficiente a questo riguardo. 

Il meccanismo della salinità

Chen e Tung dichiarano che sono i cambiamenti nel Nord Atlantico il motore di una variazione decennale della miscelazione dell'oceano, piuttosto che la OPI. Sfortunatamente gli autori non forniscono nessuna analisi o specifiche per sostenere questa dichiarazione. Non forniscono neanche una spiegazione in quanto al perché, quando il riscaldamento e la salinità del Nord Atlantico sono diminuiti dal 2006, il riscaldamento totale dell'oceano profondo è continuato. Il Capovolgimento di Circolazione dell'Atlantico Meridionale (CCAM) – il trasporto di acqua calda tropicale di superficie verso nord - è di fatto alimentato da acqua densa che sprofonda nel Nord Atlantico e che viaggia verso l'Equatore negli strati più profondi, ma ha anche una componente alimentata dal vento. 
Una spiegazione più probabile del forte riscaldamento del Nord Atlantico, una che spiegherebbe molte delle osservazioni in tutto il mondo, che che gli Alisei rafforzati dalla metà degli anni 90 in poi siano i principali responsabili. Mentre il vortice subtropicale del Nord Atlantico ha girato in risposta alla forzante degli Alisei, la corrente del golfo, la potente corrente del confine occidentale a forma di nastro che viaggia verso nord lungo la costa Nord Americana lungo il bordo del vortice, si è intensificata. Un volume più grande del normale di acqua calda e salata tropicale è stata trasportata verso nord con la corrente ed è stata poi tirata giù nell'oceano nella regione intorno ai 60° Nord – dove avviene lo sprofondamento dell'acqua densa. In una fase OPI negativa dovremmo attenderci di vedere  due regioni regioni di calore sprofondare nel Nord Atlantico; nell'area in cui avviene lo sprofondamento dell'acqua densa (circa 60° Nord) e al di sotto del vortice subtropicale del Nord Atlantico (fra i 30 e i 40° Nord) dove avviene la convergenza di superficie. Nell'analisi di Chen e Tung si mostra che è così.


Figura 5 – Riscaldamento dell'Oceano Atlantico fino a 1.500 metri nel periodo 1999-2012, un periodo che copre la maggior parte dell'attuale fase negativa della OPI. Immagine adattata da Chen e Tung (2014). 

Il riscaldamento accelerato della superficie potrebbe arrivare prima del previsto

Nel paragrafo conclusivo del loro saggio, Chen e Tung scrivono:

“Il prossimo El Niño, se avviene in un anno o qualcosa del genere, potrebbe temporaneamente interrompere lo iato ma, siccome il calore planetario sprofonda nell'Atlantico e negli Oceani Meridionali e rimane intatto, lo iato dovrebbe continuare su scala decennale”.

Gli autori si riferiscono al tasso rallentato del riscaldamento di superficie dal 2000. Potrebbero aver ragione sul fatto che questo continui ancora per un po', ma la loro analisi potrebbe anche suggerire una conseguenza piuttosto diversa. Come detto precedentemente, il riscaldamento del Nord Atlantico e l'anomalia della salinità hanno raggiunto un picco nel 2006 e poi hanno declinato fino al 2012 – la fine del periodo di analisi. Come Chen e Tung piuttosto giustamente evidenziano, il riscaldamento esteso nell'oceano Nord Atlantico (e la disintegrazione in corso della calotta glaciale della Groenlandia) devono avere causato un afflusso di acqua dolce e reso le acqua di superficie più galleggiante laggiù – forse rallentando lo sprofondamento di acqua densa. Ciò potrebbe aiutare a spiegare il rallentamento del Capovolgimento di Circolazione dell'Atlantico Meridionale (CCAM) dal 2006 in poi ma, a prescindere, il rallentamento del CCAM dovrebbe aiutare a far tornare il sistema climatico verso la fase OPI positiva. 

Forse il modo più rapido per illustrare questo, senza addentrarci in una lunga spiegazione, è guardare ai “decenni di accelerazione del riscaldamento” da Meehl (2013) – un analogo per la fase positiva della OPI. I tratti caratteristici dei “decenni di riscaldamento accelerato” sono un raffreddamento anomalo sulla superficie del vortice subpolare del Nord Atlantico (un vortice che circola in senso orario a sud della Groenlandia) e il raffreddamento di tutti i vortici subtropicali quando cominciano a girare verso il basso in risposta alla debole forzante del vento. La ragione del declino delle temperature di superficie del mare in queste località è a causa del trasporto ridotto di calore lungo la superficie dell'oceano dai tropici – dove il riscaldamento solare è più intenso. 


Figura 6 – Temperature di superficie dei decenni di riscaldamento accelerato fase positiva della OPI) nel modello climatico  CCSM4. Immagine da Meehl (2013). 

Non solo il CCAM ha rallentato (Cunningham et al [2013]), ma le temperature di superficie nel vortice subpolare del Nord Atlantico hanno cominciato a diminuire, così come le temperature di superficie del vortice subtropicale del Nord Pacifico - meglio illustrato dall'Oscillazione Decennale del Pacifico (ODP), fortement epositiva quest'anno. Queste osservazioni fanno pensare ad un rallentamento del trasporto di calore dai tropici – almeno nel Nord Atlantico e nel Nord Pacifico. Se sono solo aberrazioni o un'indicazione di un cambiamento della fase della OPI in arrivo diventerà più chiaro col tempo. 

Il riscaldamento globale è bloccato su “Play”

Gli oceani globali coprono circa il 93.4% delle riserve globali di calore della Terra e nonostante un tasso più lento di riscaldamento della superficie durante gli ultimi 16 anni, l'atmosfera si è comunque riscaldata  e gli oceani si sono riscaldati anche più di prima. Come rivelato da una ricerca precedente (Levitus [2012], Nuccitelli [2012] e Balmaseda [2013]), non solo gli oceani si stanno scaldando, ma l'oceano profondo si sta scaldando in un modo senza precedenti. 

Costruendo sul lavoro precedente, il modello climatico esaminato da Meehl et al (2011) e (2013) ha dimostrato che i decenni di iato (decenni nel modello con poco o nessun riscaldamento di superficie) sono avvenuti quando il calore anomalo è stato assorbito dall'oceano profondo. Lo schema delle temperature di superficie nei decenni di iato è molto simile alla fase negativa della OPI. Quindi, nonostante alcune discrepanze, il modello indica la OPI come una delle cause del rallentamento del riscaldamento di superficie. 
Dallo studio iniziale di Meehl et al, sono stati pubblicati una manciata di saggi che tendono a sostenere le loro scoperte chiave (per esempio, Kosaka & Xie [2013]). Anche se questi autori intimano diversamente, quello di Chen e Tung (2014) è un altro saggio su quella linea. Hanno confermato che gli oceani si sono riscaldati in modo sostanziale, in maniera più evidente negli strati più profondi, e che il più forte riscaldamento durante questa attuale fase negativa della OPI è stato nelle profondità degli Oceani Meridionale ed Atlantico. Benché abbiano proposto il meccanismo della salinità come motore della variazione decennale della variazione della miscelazione del calore nell'oceano, hanno fornito poco in questo saggio per supportarlo.