lunedì 12 novembre 2012

Intervista a Kevin Anderson: “Riduzioni rapide e profonde delle emissioni potrebbero non essere facili, ma da 4 a 6°C in più sarebbe molto peggio”

Guest post di Rob Hopkins

Da “Transition Culture”. Traduzione di Massimiliano Rupalti




Kevin Anderson è il Vice Direttore del britannico Tyndal Centre ed è un esperto di tendenze delle emissioni di gas serra. Egli darà la lezione annuale al Cabot Institute, ‘Abiti Reali per l'Imperatore’ il 6 novembre a Bristol, che registra già il tutto esaurito. Speravo di essere in grado di andarci e di farvi una relazione qui, ma non posso più, quindi come sostituzione, ho parlato la scorsa settimana con Kevin via Skype. Gli sono molto grato per il suo tempo e per questa intervista onesta, vigorosa e che fa pensare. 


Potresti condividere con noi le tue analisi su dove pensi che ci troviamo in termini di cambiamento climatico e quale sia la nostra attuale traiettoria se continuiamo così?

In termini di linguaggio intorno al cambiamento climatico, ho l'impressione che ci sia ancora un'opinione ampiamente diffusa secondo alla quale possiamo probabilmente far riferimento per evitare un pericoloso cambiamento climatico, caratterizzata da questo quasi magico aumento di 2°C della temperatura media della superficie terrestre. Questo è l'obbiettivo che abbiamo stabilito a Copenhagen e che abbiamo ripetuto a Cancun e per il quale gran parte delle nazioni del mondo hanno firmato. Penso che la retorica del fatto che non dovremmo eccedere i 2°C sia ancora presente. Ma ora non si tratta solo delle nostre emissioni. Se guardiamo le emissioni che abbiamo già immesso in atmosfera dall'inizio  di questo secolo e a quelle che probabilmente emetteremo nei prossimi anni, penso che questo dica un'altra cosa. E' difficile immaginare che, a meno che non abbiamo un cambiamento radicale del mare nelle sue attitudini nei confronti delle emissioni, eviteremo un aumento  di 6°C per la fine di questo secolo.

Possiamo dire con certezza, secondo te, che gli eventi atmosferici estremi di quest'anno possano essere collegati al cambiamento climatico?


Certamente no. Penso sia onesto dire che è improbabile che saremo mai in grado di collegare in modo forte singoli e particolari eventi al cambiamento climatico. Ora, ciò non vuol dire che non abbiamo un più alto livello di attribuzione, nel quale possiamo cominciare a dire che le cose che vediamo sono ciò che ci aspetteremmo di vedere con un clima che si riscalda. Stiamo lottando per trovare una qualsiasi altra ragione per questi eventi e per questo sembra una buona possibilità che questi eventi siano causati, se non esacerbati, dall'aumento di emissioni di CO2 ed altri gas serra e dal relativo aumento di temperatura. Ma credo che sia improbabile che saremo mai capaci di dire che ogni singolo evento sia un 'evento di cambiamento climatico'. 

Ma potresti affermare che, se ci trovassimo ancora a 280 ppm, un'estate del genere sarebbe molto meno probabile?

Sì, penso che sarebbe una considerazione giusta. Sarebbe molto meno probabile. Prima di quest'estate, la probabilità di avere questo meteo estivo sarebbe stata minore se non avessimo avuto aumenti significativi dei gas serra ed il loro impatto cumulativo nell'atmosfera. Stiamo cominciando a vedere eventi che sono difficili da spiegare in termini di normali probabilità. Ci sono eventi atmosferici estremi, abbiamo sempre avuto eventi simili, gli estremi avvengono. Ma se gli estremi cominciano ad avvenire regolarmente non sono più estremi e quello che vediamo non è un estremo meteorologico, vediamo un cambiamento nel clima. Ma è difficile dire che ogni evento particolare fra una gamma di eventi sia una conseguenza del cambiamento climatico e non semplicemente un evento atmosferico estremo. 

A volte la gente parla di questa 'nuova normalità', del fatto che le condizioni di base intorno a noi siano cambiate. In ciò che accade in termini di cambiamento climatico, come caratterizzeresti la 'nuova normalità' nella quale ci troviamo dato l'aumento che abbiamo avuto finora nelle emissioni?  

Penso che probabilmente sarebbe una normalità molto breve, non penso affatto che questa sia la normalità. E' la normalità di oggi, ma credo che il tasso di aumento delle emissioni, e non c'è alcun segno che quel tasso stia diminuendo significativamente, suggerisce che stiamo raggiungendo una nuova normalità, poi un'altra e poi un'altra. Sono una di quelle persone che conclude che stiamo probabilmente per vivere impatti significativi da cambiamento climatico nei prossimi 1-3 decenni e, ovviamente, anche oltre. Al momento, a meno che non cambiamo i nostri percorsi e traiettorie nelle emissioni, la normalità cambierà regolarmente. 

Hai già detto, e lo dirai a Bristol il 6 novembre, che per rispondere  adeguatamente al cambiamento climatico la crescita economica non è più compatibile. Potresti arricchire un po' questo aspetto per noi?

Ora parlerò specificatamente dell'Allegato 1, la parte ricca del mondo, i paesi OCSE, in generale i paesi che sono molto ben industrializzati. In quelle parti del mondo, il tasso di riduzione delle emissioni che sarebbe necessario anche solo per rientrare all'interno di una remota possibilità di evitare un pericoloso cambiamento climatico, caratterizzato dall'aumento di 2°C  per il quale ci siamo impegnati a livello internazionale, sarebbe nell'ordine di circa il 10% all'anno. Anche se una guida molto approssimativa è molto lontana dal rimuovere l'1,2 o 3% che molti scenari energetici o di emissioni considerano. E' ben oltre qualsiasi cosa siamo stati in grado di appoggiare, virtualmente ben oltre qualsiasi cosa abbiamo analizzato finora. Quello che sappiamo è che a breve termine, a causa del fatto che abbiamo bisogno di cominciare ora, non possiamo semplicemente disporre della fornitura sufficientemente in fretta. Per questo, nel breve e nel medio termine il solo grande cambiamento che possiamo fare è nel consumare meno. Ora questo sarebbe un bene, potremmo diventare più efficienti in quello che consumiamo con una riduzione del 2-3% all'anno, probabilmente. Ma tenete presente che nella nostra economia si diceva di crescere del 2% all'anno e noi stiamo qui a cercare di ottenere una riduzione del 3% all'anno nelle nostre emissioni, ciò significa un aumento del 5% nell'efficienza di ciò che facciamo ogni anno, anno dopo anno. 

La nostra analisi per i 2°C suggerisce che abbiamo bisogno di un 10% assoluto di riduzione all'anno, e non c'è analisi che suggerisca che questo sia in qualche modo compatibile con la crescita economica. Se consideriamo il Rapporto Stern, Stern è stato molto chiaro sul fatto che non ci fosse prova del fatto che qualsiasi tasso oltre l'1% annuo di riduzione delle emissioni sia mai stato associato a nient'altro che “recessione economica o sommossa”, credo sia la citazione esatta. Quindi non abbiamo precedenti storici di niente che sia più grande di una riduzione del 1% annuo nelle emissioni. Stiamo dicendo che ci serve una riduzione di circa il 10% all'anno ed è qualcosa che abbiamo bisogno di fare oggi. E per questo possiamo trarre una conclusione molto chiara da ciò, che nel breve e medio termine, la strada per l'Allegato 1, le parti ricche del mondo per soddisfare i loro obblighi ai 2°C, dovrebbero tagliare significativamente i consumi. E questo significherebbe di conseguenza dal breve al medio termine, una riduzione della nostra attività economica, per esempio non potremmo avere crescita economica. Ora, potremmo avere un'economia di stato stazionario, ma la mia sensazione generale è che probabilmente la matematica ci indica di consumare meno ogni anno per i prossimi anni, forse un decennio, più o meno. 

Questo è mai accaduto prima? Da quanto ho capito, quando l'Unione Sovietica è collassata c'è stato un taglio del 9% ed è durato solo un anno. Come potrebbe essere un taglio del 10% all'anno?

Ciò che ho capito del collasso dei paesi del blocco orientale è stato che la riduzione è stata del 5% all'anno per circa 10 anni. Quindi quello che abbiamo visto là è stato relativamente prolungato, completamente non pianificato ed è risultato essere molto caotico, una riduzione delle emissioni irregolare, ed anche allora ha consegnato solo la metà a un quarto, il tasso di riduzione, di quanto ci servirebbe per i 2°C. Quindi quando la loro economia è collassata, le loro emissioni sono crollate di circa il 5% all'anno per circa 10 anni. Avremmo bisogno almeno di un 10% all'anno se non considerevolmente di più e più a lungo di un periodo di 10 anni. Per l'Unione Sovietica il collasso economico, anche se un periodo terribile per molte persone, non ha tuttavia raggiunto il tasso di riduzioni di cui avremmo bisogno di vedere qui. Naturalmente la nostra visione è che per consentire i 2°C dovremmo pianificare la contrazione economica. Non ha necessariamente bisogno di avere l'impatto devastante, e molto iniquo, che ha molto chiaramente avuto in Russia in particolare. 

Dato che l'attuale amministrazione, o di fatto ogni amministrazione che venisse eletta in questo paese, non sarebbe mai in grado di fare campagna su un programma di contrazione dell'economia del 10% all'anno, quali sono le implicazioni? Come può il bisogno di fare questo convivere con la democrazia? 

Innanzitutto non dico che dobbiamo ridurre il nostro livello di consumo del 10% all'anno in termini di beni materiali. Non sto dicendo che la nostra economia deve ridursi del 10% all'anno. Le emissioni devono scendere del 10% all'anno, ma dovremmo essere in grado anche di ottenere qualche miglioramento nell'efficienza. Quindi l'economia non dovrebbe scendere quanto il tasso di emissioni. E' molto importante fare questa distinzione e naturalmente più il frutto che possiamo trovare sta in basso, e penso che ce ne siano molti di più là fuori di quanti ne abbiamo scoperti in precedenza, meno la contrazione materiale dell'economia sarà necessaria. Da alcuni dei nostri lavori provvisori abbiamo identificato alcuni miglioramenti molto significativi nell'efficienza di come facciamo ciò che facciamo; alcune tecniche, altre comportamentali. Non credo sia necessariamente disastrosa come la si dipinge da un punto di vista economico. 

Ciononostante qui stiamo parlando, bene che vada, di un'economia di stato stazionario. Le analisi che io ed i colleghi al Tyndall Centre abbiamo intrapreso suggeriscono che probabilmente ci dovrà essere una riduzione dei nostri consumi ed una contrazione economica. Come la possiamo vendere? Be', l'abbiamo venduta al momento. E' molto chiaro che ciò che stiamo vedendo nel Regno Unito e molte parti d'Europa è al massimo stagnazione, se non una riduzione economica nel nostro livello di consumo. Quindi siamo realmente arrivati al momento topico. Non tutti troviamo questo assolutamente terribile... non che sia stato equamente distribuito, credo che sia stato distribuito iniquamente. Penso che l'equità dovrebbe essere una delle considerazioni principali in questo. Dobbiamo tener presente che anche se abbiamo una contrazione economica, il che significherà necessariamente che molte persone dovranno consumare meno. Ritengo molto chiaro su questo che gli effetti distributivi significheranno molto probabilmente che molta gente, nel Regno Unito per esempio, non vedrà una riduzione nei propri livelli di consumo o nei propri livelli di benessere, ma altri di noi nel Regno Unito, come me, dovranno certamente vedere una riduzione nel livello dei consumi. 

Quindi penso che gli impatti della distribuzione possono significare che potrebbe essere molto più attraente, o meno repellente, per i politici di quanto possa sembrare a prima vista. In particolare, dato che affrontiamo molti problemi ora con la disoccupazione, la riduzione dell'assistenza sociale, ecc., problemi che colpiscono le persone in modo sproporzionato nella fascia dei redditi medio-bassi, è questa gente che potrebbe in effetti beneficiare di una transizione ad un'economia molto più efficiente e a basso tenore di carbonio. Le implicazioni dovranno ovviamente essere pensate nel processo, ma ogni governo che abbia abbracciato un'analisi più sofisticata del cambiamento climatico probabilmente riconoscerà la situazione economica in cui ci siamo comunque cacciati col nostro modello attuale. Mettete insieme queste due cose e ci sono reali opportunità ora per una transizione significativa di come e di ciò che facciamo, una transizione lontana dal modello dogmatico della crescita economica e in direzione di una alternativa stazionaria a basso tenore di carbonio. 

Quale ruolo vedi, certamente in termini di approccio di Transizione - come molte risposte analoghe a tutto ciò che vengono dal basso e guidate dalla comunità -  qual è la tua sensazione sul ruolo che le comunità possono svolgere nel far sì che questo accada?

Credo che l'approccio della comunità, l'approccio dal basso, sia assolutamente centrale per risolvere alcune delle sfide e dei problemi che ci troviamo ad affrontare ora. Quindi penso che le comunità siano molto importanti. Sono importanti in diversi modi. Si potrebbe pensare che le azioni individuali, di ogni famiglia, di ogni comunità locale in sé e per sé siano insignificanti, ho sentito dire questo troppo spesso. Il punto riguarda meno le emissioni di un individuo, anche se importanti, ma più l'esempio che rappresenta. Da ad altra gente l'opportunità di vedere che puoi fare le cose in modo diverso. Se le comunità, anche se fossero solo una o due comunità, cominciassero a fare le cose in modo significativamente diverso, costituiscono un esempio di quello che possiamo fare. Se quegli esempi hanno successo si possono diffondere. Una volta che si sono diffusi, i politici possono cominciare a vedere quegli esempi all'opera e possono cominciare a metter giù un programma dall'alto che coincida con quello dal basso. Possiamo realmente indirizzare i politici dove  funziona e formulare argomenti per implementare politiche che faciliterebbero questo tipo di cambiamenti. Se abbiamo intenzione di uscire dal buco nel quale ci siamo ficcati, c'è una reale possibilità di collaborazione fra azioni dal basso individuali, attraverso le comunità, ecc. e quelle dall'alto che cercano di facilitare le iniziative quando emergono. E' il tipo di collaborazione di cui abbiamo bisogno se vogliamo vedere un cambiamento reale e sostanziale. E se vediamo questo nel Regno Unito, ciò aiuta all'interno dell'unione Europea e può indicare una transizione più ampia e globale. Credo che tutti noi abbiamo una responsabilità nel provare a portare questi cambiamenti nelle nostre vite e nel nostro ambiente circostante e questo può essere davvero significativo. Quello che facciamo noi stessi è assolutamente centrale per portare cambiamenti sostanziali. 

Quale pensi che sia il ruolo degli scienziati in tutto questo? Dovrebbero concentrarsi solo sulla scienza definitivamente provata o muoversi verso una presa di posizione da attivisti come James Hansen? Come vedi questo equilibrio fra scienza ed attivismo?  

Questa è una domanda molto difficile. Secondo me come scienziati dobbiamo comportarci da scienziati. Ora, siamo esseri umani, quindi la scienza non sarà mai la professione perfetta, obbiettiva e neutrale come tentano di descrivere i libri di testo. Ciononostante penso che sia molto importante nella nostra scienza rimanere neutrali e obbiettivi quanto più possiamo. La scienza non è in bianco e nero, c'è una grande incertezza in molta scienza, ci sono grandi probabilità e chiaramente il cambiamento climatico è avvolto in tutto questo. Ma penso che sia assolutamente centrale che come scienziati ci comportiamo da scienziati. Come individui, come cittadini (possiamo essere scienziati, ma siamo anche cittadini), non ci vedo niente di male nel sollevarsi e dire “penso che i miei colleghi ed altra gente di scienza abbiamo delle preoccupazioni per la società e quindi devo scegliere di agire sulla base di questa analisi”. C'è una dualità qui. Un individuo può, come scienziato, fare il suo lavoro in modo neutrale e quindi usare quel lavoro per informare il modo in cui agisce come cittadino. Se Hansen ed altri voglio incatenarsi a dei bulldozer che costruiscono nuove autostrade, che è la loro scelta come cittadini, non sono in disaccordo con questo. Quello che non mi troverebbe d'accordo sarebbe se tutti cominciassero ad usare la scienza impropriamente per sostenere altre serie di vedute. Perché la gente, come l'analisi di Hansen, sembra più estrema, la gente quindi presume che lui stia spingendo i confini della scienza. Penso che gli scienziati che spingono i confini della scienza siano coloro che si attengono deliberatamente, e conosco molte di queste persone, ad una linea che è politicamente appetitosa, perché questo è ciò che i politici, quello che i loro padroni che li pagano, quello che la società, vogliono sentire.

Lo scienziato del clima James Hansen mentre viene arrestato durante una protesta contro l'oleodotto di Keystone XL.

In realtà credo che Hansen e alcuni di quegli scienziati che sono preparati per sollevarsi e fare dichiarazioni molto forti provenienti dalla loro ambito scientifico, siano coloro che sono più neutrali ed obbiettivi; fin troppi degli scienziati che lavorano sul cambiamento climatico sono trascinati, secondo me, da una linea politica. Sembra neutrale perché non suona estrema, è compatibile con l'ortodossia. Ma non è questo il modo in cui dovremmo fare scienza. Che rientri o meno nell'ortodossia, dovremmo essere obbiettivi, robusti, diretti e onesti riguardo la scienza.

Passi molto del tuo tempo circondato da tutti quegli studi, ricerche e pubblicazioni, tutti quei modelli che peggiorano sempre di più. Come lo affronti questo da un punto di vista personale e cosa fai nella tua vita che sia motivato da ciò che incontri nella tua vita professionale?

Devo dire che diventa sempre più difficile, ha condizionato la mia vita personale in modo considerevole durante gli ultimi anni e sta peggiorando. Trovo molto difficile impegnarmi nella scienza e quindi non collegarla a quello che noi individui,  società e decisori politici stiamo facendo o non facendo in modo evidente. E' stato molto impegnativo per me con alcuni colleghi di lavoro, meno all'interno del gruppo più ristretto nel quale sono coinvolto qui a Manchester, ma sicuramente è così col gruppo più allargato di colleghi coi quali lavoro sul cambiamento climatico, i quali, mi pare, non hanno alcun riguardo per ciò che le loro ricerche gli indicano. Per molti, ma con eccezioni significative, il proprio lavoro sembra essere poco più di qualcosa che serve a pagarsi il mutuo. Lo trovo molto difficile. Sono dell'avviso che incomba su di noi come scienziati e cittadini il fatto che dovremmo cambiare quello che stiamo facendo nelle nostre vite e penso che la gente prenderebbe molto più in considerazione l'analisi che facciamo se decidessimo di vivere ampiamente in accordo con la nostra scienza. Secondo me, sono troppo pochi gli scienziati che lavorano sul cambiamento climatico che facciano realmente questo. Ma trovo anche sempre più difficile non sfidare amici e famiglia, che spesso sembrano ignorare completamente gli impatti delle loro azioni.

 Ora sono arrivato al punto in cui penso che quando emettiamo in modo dissoluto, noi stiamo consapevolmente danneggiando la vita e le prospettive di alcune delle persone più povere della nostra comunità, sia nel Regno Unito sia, più significativamente, a livello globale. Ciononostante continuiamo oscenamente a farlo. Siamo felici di mettere pochi centesimi in una ciotola, al centro della città, per aiutare la gente che vive nelle zone più povere del mondo, ma non sembra che siamo preparati a fare cambiamenti sostanziali nel modo in cui viviamo anche quando ci rendiamo conto dell'impatto che hanno le nostre emissioni. Eppure la scienza è molto chiara su questo, sul fatto che la gente vulnerabile nelle aree più povere del mondo soffriranno ripercussioni terribili da ciò stiamo facendo ora e da quello che abbiamo già fatto. Trovo quasi riprovevole che gli scienziati siano in grado di ignorare completamente un messaggio tanto chiaro; sappiamo che la gente che vive nella fascia costiera del Bangladesh soffrirà molto significativamente del nostro comportamento come accadrà a molta altra gente, gente povera in tutto il mondo. E noi non dimostriamo, collettivamente come società e spesso come individui, nessun interesse o compassione che siano significativi. Ho eliminato molte delle attività che seguivo in precedenza. Molte delle mia amicizie legate alle attività. Come scalatore, viaggiavo molto in aereo durante le festività. Questo è dovuto cambiare considerevolmente. 

Ho amici vicini del periodo in cui lavoravo per l'industria del petrolio, amici che pensano che il cambiamento climatico sia un problema serio ma che non sono preparati a fare nessun cambiamento ai propri stili di vita. Sono sorte alcune sfide serie per me nel mantenere le relazioni personali. Non voglio far finta che sia facile. Non credo che il futuro, per coloro fra di noi che hanno la posizione molto fortunata di vivere in occidente, sia pieno di opportunità vincenti. La gente che ha sfruttato bene, che ha ricavato molto dal nostro sistema occidentale e vive stili di vita che sprecano molto carbonio, affronterà sfide difficili e non dovremmo fingere il contrario. Finché non abbracciamo strumenti alternativi per trovare valore nelle nostre vite. Penso che questa transizione da dove siamo oggi, stili di vita ad alto tenore energetico e di carbonio, agli stili di vita finali a basso tenore di carbonio sarà sia difficile sia impopolare. Ma alla fine dei conti, non vedo alternative. Riduzioni rapide e profonde delle emissioni potrebbero non essere facili, ma da 4 a 6°C in più sarebbe molto peggio. 

Vedi qualche possibilità che questo possa essere guidato dal governo?

No, non credo che sarà guidato dal governo. Penso che non sarà guidato da nessuno. Penso che sarà una conseguenza emergente di una società che se ne occupa, di cui il governo è una parte e di cui cittadini e individui sono a loro volta parte, non mi è mai piaciuta particolarmente l'idea di grandi personaggi, di meravigliose guide, credo molto di più in un sistema emergente, le proprietà ed i valori che sono compresi all'interno di un sistema. Ora possiamo vedere che questo si manifesta qualche volta in un leader, ma è in realtà una conseguenza di quella società che va in una certa direzione. Ecco perché, non sono in cerca di grandi personalità che si facciano carico di tutto e di portarlo avanti. Sto cercando che tutti noi ci impegniamo e da questo emerga un nuovo modo di pensare il mondo. Date le sfide economiche, le crisi (o comunque le vogliamo chiamare) che stiamo vedendo in questo momento, questa è una vera opportunità di cambiamento. Un'opportunità che abbiamo bisogno di cogliere. Abbiamo bisogno di pensare in modo diverso, di pensare positivo, ma di riconoscere, dal mio punto di vista, che non sarà facile. Possiamo istituire questi cambiamenti noi stessi sia dal basso sia dall'alto. E' questo il tipo di guida di cui abbiamo bisogno, la guida da parte di ognuno di noi.

Pensi che, da una prospettiva di cambiamento climatico, in realtà una prospettiva di approfondimento e peggioramento della recessione sia la cosa migliore che ci possa accadere?

Al momento vedo solo come se riguardasse tutti gli altri. L'iniquità sta aumentando, non diminuendo. Le recessioni non sono bei momenti – non siamo chiaramente tutti in recessione contemporaneamente. Molti di noi non hanno fatto alcun cambiamento, i ristoranti in cui andiamo, gli hotel in cui andiamo, le vacanze che ci prendiamo e inoltre c'è l'altro aspetto, cioè che stiamo smantellando le politiche sociali e non investiamo in infrastrutture verdi. Buttiamo costantemente soldi, un terzo di trilione nelle banche, non in una nuova rete e in un nuovo insieme di tecnologie rinnovabili o nell'adeguamento delle case. Quindi, abbiamo la prospettiva di fare le cose in modo diverso, offertaci dalla recessione, ma ci stiamo facendo sfuggire queste opportunità, giorno dopo giorno stiamo buttando via queste opportunità. Andare verso una società a basso tenore di carbonio e resiliente, potrebbe essere molto più positivo di quanto non si stia rivelando.  

Bill McKibben sostiene che dobbiamo tornare a 350 ppm. E' possibile?

Be' lo è, a termine molto lungo. Ma non entro il tipo di quadro temporale di cui stiamo parlando al momento, a meno che le strade della geo-ingegneria funzionino, e penso che dobbiamo essere molto cauti riguardo al succhiare CO2 dall'aria quando non riusciamo ancora nemmeno a spegnere la luce quando lasciamo una stanza! Trovo che questo sia particolarmente bizzarro, ma non per dire che ora non dovremmo spendere un po' di soldi nella ricerca di tecnologie per emissioni negative. Ritengo altamente improbabile che torneremo indietro a 350 ppm anche entro parecchie generazioni. Ciò non significa che non dovremmo averlo come obbiettivo, ma quello che penso che dovremmo cercare di fare è di stabilizzare la concentrazione più rapidamente possibile ai livelli ai quali si trova oggi. Essi saranno più alti domani e ancora più alti dopodomani. Quello che abbiamo bisogno di fare immediatamente è di fermare questo tasso di crescita e poi togliere la CO2 via dall'atmosfera più velocemente che possiamo. Non so se saremo capaci di risucchiarla. Al momento è una cosa molto lontana. E' un futuro alla Dr. Stranamore. Non per dire che non abbia qualche possibilità nel lungo termine, ma al momento stiamo estraendo gas di scisti e sabbie bituminose e un sacco di carbone. Stiamo per scavare sotto l'Artico. Non dobbiamo preoccuparci troppo della Geo-ingegneria per il futuro, abbiamo semplicemente bisogno di smettere di estrarre combustibili fossili dal sottosuolo, oggi. 

Hai parlato della necessità di tagliare le emissioni del 10% all'anno, di quanto sarà difficile, di come non sarà una cosa facile e che condizionerà ogni aspetto di ciò fa che la gente, in particolare la gente abituata ad avere il meglio. Puoi descrivere un po' come pensi che sarà quando ci arriveremo? Che visione hai, come pensi che saranno le cose se realmente abbiamo successo, se saremo in grado mettere insieme la volontà e lo spirito collettivo e riusciremo realmente a tirarcene fuori? Puoi descrivere come potrebbe essere arrivarci? 

Questo è molto difficile... come sarà il futuro? E' difficile per noi come scienziati ed ingegneri non imporre i nostri modi personali di vedere il mondo. Ci sono cambiamenti particolari che mi piacerebbe che il mondo raggiungesse che non sono collegati al carbonio o al clima, non metterci questi nella mia visione del futuro non è facile. Ora ho 50 anni. Ho vissuto molto bene negli anni 70 e molto bene negli anni 80. Non penso che la mia qualità di vita sia aumentata significativamente dagli anni 70 e 80, tuttavia le mie emissioni e le emissioni pro capite sono davvero schizzate in modo significativo. Così, abbiamo vissuto una buona qualità di vita, vita relativamente a più basso tenore di carbonio di quelle che viviamo oggi, non troppo tempo fa. Ora, molto di questo è stato perché consumavamo meno. Vivevamo già vite di grande consumo e penso che se ci avessimo abbinato le conoscenze tecniche che abbiamo oggi, questo potrebbe realmente migliorare le tecnologie che usiamo nella realtà per avere stili di vita molto buoni – non stiamo parlando di tornare troppo indietro nel tempo, quando la gente era molto povera. Abbiamo avuto buoni trattamenti medici, buone scuole, buone reti di trasporto. Quindi penso che possiamo creare un'alleanza fra le nostre capacità tecniche attuali con il riconoscimento del fatto che abbiamo consumavamo considerevolmente di meno di quanto consumiamo oggi ma non avevamo stili di vita notevolmente diversi – tornare agli anni 50, 40 o 30 sarebbe molto diverso, ma non penso che questo valga per gli anni 70 e 80. 

Una transizione tale sarebbe certamente impegnativa, con un po' di equità e distribuzione e con uno spostamento dell'enfasi da una società fortemente individuale e basata sul consumo ad una che abbracci di più la collaborazione. Ammetto che questa sarebbe più attraente per me, ma riconosco che alcune persone non vedrebbero un cambiamento tale sotto una luce positiva. Ciononostante, penso che sia dura immaginare che usciamo dal buco in cui siamo senza un più alto grado di sforzo collettivo. Non credo che dovremmo cercare di tornare indietro al punto in cui non possiamo viaggiare e in cui viviamo vite austere. Con un più alto grado di equità, le scarse risorse energetiche possono essere bilanciate da vite di grande benessere. E' un futuro di sufficienza più che di avarizia e voglie, che sia radicalmente diverso dal punto in cui siamo oggi dipenderà da quanto rispondiamo rapidamente adesso, ma non credo debba necessariamente esserlo. Avremo molte opportunità per comportarci diversamente, adottare abitudini di minor consumo e combinare questo con cambiamenti significativi nel tipo di tecnologie già disponibili e nella loro efficienza. Tutto questo potrebbe orientarci in una direzione resiliente e a basso tenore di carbonio. 

Pensi che le Tradeable Energy Quotas (TEQ's) introdotte da David Fleming possano essere uno strumento utile a questo scopo? 

Io e il mio collega Richard Starkey, abbiamo lavorato molto su questo allora, infatti conoscevamo David molto bene. Sì, penso che sia certamente una strada molto seria da considerare e infatti David Maliband vi si era molto appassionato allora, la DEFRA (Departmente for Environment, Food and Rural Affairs) alla fine lo ha respinto come “uno strumento economico troppo avanti rispetto al proprio tempo”, quindi era per il futuro. Be', forse il futuro è qui adesso e dovremmo riconsiderare di usarlo. Esso aggiunge una dimensione di equità molto buona che richiede cambiamenti più grandi da coloro di noi che emettono di più degli altri. Casualmente, è questo aspetto di onestà che potrebbe guidare l'innovazione e i primi che l'adotteranno, più che tasse o strumenti economici, per cui chi emette molto potrebbe essere in grado di comprarsi il proprio cambiamento. 

Penso che ci sia qualche merito significativo in questo approccio. Approntarlo non sarà facile. Ma dobbiamo ricordare – la gente dice che sia come un razionamento - che il razionamento esiste già in ciò che chiamiamo salario, il nostro reddito. Quindi il razionamento ci è famigliare. Ci destreggiamo in continuazione con le nostre razioni di risorse a causa di quello che possiamo permetterci o no. Questa non è altro che una ulteriore razione. Non sono sicuro che sia molto difficile, come qualcuno dice di immaginare, dover razionare, in particolare se questo riguarda soltanto i consumi delle nostre famiglie, l'elettricità, il gas e così via e il consumo dei nostri veicoli. Penso che quando cominci a estenderlo oltre, questo cominci a diventare problematico ma, credo, applicato alle famiglie e ai trasporti potrebbe essere uno strumento utile nel catalizzare un impegno diffuso e più equo e nel guidare più efficacemente l'innovazione e lo sviluppo di quanto farebbero gli strumenti economici standard.  






































giovedì 8 novembre 2012

Abbiamo dato la caccia al demone sbagliato!


Guest post di Graeme Maxton. Questo testo è apparso su diversi quotidiani il primo novembre 2012. Viene qui riprodotto col permesso dell'autore.

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di Massimiliano Rupalti

Guardati le spalle!

E' il riscaldamento globale di cui dobbiamo preoccuparci, non la crescita economica o Al-Qaeda

Sembra quasi che ci siamo.

Il paese che usa più petrolio, che ha prodotto la più grande quantità di emissioni di CO2 per decenni è che ha costantemente negato l'evidenza del cambiamento climatico, ha ricevuto lo schiaffo di cui aveva bisogno. Con decine di morti, un'infrastruttura fatta a pezzi e miliardi di dollari di danni, l'Uragano Sandy è stata la sveglia di cui l'America aveva bisogno. Oltre a questo, è stato un evento al quale tutti dovremmo prestare attenzione. E' tempo di smettere di sprecare soldi in false guerre e cominciare a spenderli per proteggerci da una minaccia molto più grave. 

Nell'ottobre 2012 ho partecipato all'Assemblea Generale del Club di Roma a Bucharest. La ci sono state presentate le ultime prove sugli effetti del cambiamento climatico, ed erano spaventose. Le previsioni fatte solo cinque anni fa si sono già rivelate ampiamente sbagliate. Nel 2007 gli scienziati hanno detto che pensavano che l'Artico sarebbe stato libero dai ghiacci dalla fine di questo secolo. Al ritmo attuale di fusione tuttavia, sarà senza ghiacci dall'estate del 2015. E sarà libero dai ghiacci tutto l'anno dal 2030.  

Tuttavia questa non è la preoccupazione principale, visto che questo è ghiaccio galleggiante, marino. Quando si fonde non fa aumentare i livelli del mare. La vera preoccupazione è la Calotta Glaciale della Groenlandia, che si sta a sua volta fondendo ad un ritmo senza precedenti. Se anche quello sparisce, gli effetti saranno catastrofici. I livelli del mare nel mondo salirebbero fra i 6 e i 7 metri, cancellando città come New York, Londra e Shanghai. L'aggiunta di così tanta acqua dolce fredda nei mari cambierebbe anche le correnti oceaniche e gli schemi meteorologici in modi che non possiamo a malapena immaginare. Allo stesso tempo, l'aumento delle temperature nell'emisfero nord  ora rischia di fondere gran parte del Permafrost siberiano, che rilascerà grandi nubi di metano lì intrappolato e accelerando la velocità del cambiamento climatico ancora di più. Questi rischi danno il via ad una reazione a catena, per fermare la quale non potremmo fare nulla. 

Gli effetti di quello che stiamo facendo al pianeta sono intorno a noi. Dalle tempeste e le alluvioni alle siccità di quest'anno. Dal 1980, il numero di catastrofi naturali è salito di una media di 400 all'anno fino alle circa 1.000 attuali, secondo il Munich Re. Ironicamente, il Nord America è stato già più colpito dal “meteo estremo” di qualsiasi altro luogo. 

Abbiamo bisogno di fare cambiamenti urgenti al modo in cui viviamo se vogliamo evitare la crisi. I cambiamenti ora anticipati non colpiranno solo i nostri figli e nipoti. Colpiranno tutti noi. 

Quando sono state fatte le previsioni qualche anno fa, gli scienziati hanno detto che più o meno sarebbe stato a posto se avessimo limitato l'aumento delle temperature medie entro i 2°C. Tuttavia mancheremo quell'obbiettivo. Perché non abbiamo fatto effettivamente niente per fermare il danno che stiamo facendo. Se non cambiamo, ora siamo diretti verso un aumento di 4°C, il che porterà le temperature della Terra indietro ai livelli visti 40 milioni di anni fa. Questo provocherà la fusione anche dell'Antartico, con un aumento del livello del mare di 60-70 metri. Le siccità e le alluvioni che vivremo lungo il percorso renderebbero il pianeta virtualmente inabitabile.  

Mentre questi cambiamenti stavano avvenendo, mentre sono stati negati e ignorati, stavamo combattendo invece due guerre insensate. La prima è stata la guerra della crescita. I governi del mondo hanno speso trilioni per cercare di sostenere le loro economie, per fare in modo che continuassero a crescere e che le persone spendessero. Nel processo, hanno fatto in modo che continuassimo a scavare sempre di più per i materiali grezzi del mondo e a consumare sempre di più cose di cui non abbiamo bisogno., rendendo i cambiamenti del clima anche peggiori. 

La seconda guerra insensata è stata la Guerra al Terrorismo. Secondo uno studio della Brown University dello scorso anno, il costo per l'America dei primi 10 anni dopo l'11 settembre sono la cifra sconcertante di 4 trilioni di dollari. Altri trilioni sono stati spesi dall'Europa ed altrove. Durante tutto questo tempo, ci sono stati soltanto 251 morti legati al terrorismo nel mondo sviluppato e nessuna negli Stati Uniti. Nello stesso periodo, in decine di migliaia sono stati uccisi dal cambiamento climatico. Secondo Munich Re, 30.000 persone sono state uccise solo in Nord America, fra il 1980 e il 2011, a causa di incidenti legati al meteo. 

Per più di un decennio abbiamo dato la caccia al demone sbagliato. E' la Terra stessa. A meno che non impariamo a trattarla con rispetto e cominciare e a rispondere ai segnali che ci sta mandando, ci consumerà tutti. 

Graeme Maxton è Membro del Centro Internazionale del Club di Roma

martedì 6 novembre 2012

E' il Riscaldamento Globale, stupido


Di Paul M. Barrett
Da “BloombergBusinessWeek” del 1 novembre 2012. Traduzione di Massimiliano Rupalti


Foto della Nasa attraverso Getty Images

L'uragano Sandy si avvita al largo della costa della Florida mentre una linea di nuvole associate ad un potente fronte freddo si avvicina alla Costa Est degli Stati Uniti il 26 ottobre

Sì, va bene, è poco fine dare la colpa di ogni tempesta al cambiamento climatico. Uomini e donne in camici bianchi da laboratorio ci dicono – ed hanno ragione – che sono molti i fattori che contribuiscono ad ogni grave episodio atmosferico. I negazionisti del clima sfruttano la complessità scientifica per evitare ogni discussione. La chiarezza, tuttavia, non si trova fuori portata. L'uragano Sandy la richiede: almeno 40 morti statunitensi. Le perdite economiche sono previste raggiungere i 50 miliardi di dollari. Otto milioni di case senza elettricità. Centinaia di migliaia di persone evacuate. Più di 15.000 voli costretti a terra. Fabbrice, negozi ed ospedali chiusi. La Lower Manhattan al buio, silenziosa e sott'acqua.

Una ricerca non scientifica della letteratura dei social network su Sandy rivela un tweet (avete letto bene) di Jonathan Foley, direttore dell'Istituto per l'Ambiente dell'Università del Minnesota. Il 29 ottobre, Foley diceva così: “Questo tipo di tempeste accadrebbero senza il cambiamento climatico? Sì. Alimentate da molti fattori. La tempesta è più forte a causa del cambiamento climatico? Sì”. Eric Pooley, vicepresidente del Fondo per la Difesa dell'Ambiente (Environmental Defense Fund) ed ex caporedattore di Bloomberg BusinessWeek, ci offre un'analogia col baseball: “Non possiamo dire che gli steroidi siano responsabili di nessuna Home Run di Barry Bonds, ma gli steroidi lo hanno sicuramente aiutato a colpirne di più e a colpirle più lunghe. Ora abbiamo il meteo sotto steroidi”.In un post del 30 ottobre Mark Fischetti di Scientific American ha fatto un giro nel territorio dei dottorati ed ha scoperto sempre più esperti accreditati disposti a scrollarsi di dosso gli ammonimenti del clima. Il consenso sempre più ampio: “Il cambiamento climatico amplifica altri fattori di base che contribuisco alle grandi tempeste. Per esempio, gli oceani si sono scaldati, apportando più energia alle tempeste. L'atmosfera terrestre si è scaldata, quindi trattiene più umidità, che viene riversata nelle tempeste e quindi scaricata su di noi”. Anche gli allergici alla scienza possono afferrare la sostanza di questo. 

Sandy è stata caratterizzata da una spaventosa e ulteriore svolta che implica il cambiamento climatico. Un uragano atlantico che si sposta sulla Costa Est che si è scontrato con aria fredda che scendeva dal Canada. La collisione ha sovraccaricato il livello d'energia della tempesta ed esteso la sua portata geografica. A spingere l'aria fredda verso sud era uno schema atmosferico, conosciuto come blocco alto, sopra l'Oceano Artico. Gli scienziati climatici Charles Greene e Bruce Monger, dell'Università di Cornell, scrivendo a inizio anno su Oceanography, hanno fornito le prove che la fusione dei ghiacci legati al riscaldamento globale contribuiscono allo stesso schema atmosferico che ha spinto la bolla gelida giù attraverso il Canada e gli Stati Uniti orientali.  

Se tutto questo non impressiona, dimenticate gli scienziati apparentemente dediti all'avanzamento del sapere e a salvare vite. Ascoltate invece le compagnie assicurative impegnate nella compilazione statistica dei profitti. Il 17 ottobre il gigante assicurativo tedesco Munich Re ha pubblicato un rapporto preveggente intitolato “Meteo estremo in Nord America”. Globalmente, il tasso degli eventi atmosferici estremi sta crescendo e “in nessun altro posto al mondo il numero di catastrofi naturali è evidente come in Nord America”. Dal 1980 al 2011, i disastri meteorologici hanno causato perdite per 1,06 trilioni di dollari. La Munich Re ha scoperto “un numero quasi quintuplicato di eventi di perdite legati al meteo in Nord America negli ultimi tre decenni”. Invece c'è stato “un aumento di un fattore 4 in Asia, di 2,5 in Africa, di 2 in Europa e di 1,5 in Sud America”.

Il cambiamento climatico antropogenico “è ritenuto contribuire a questa tendenza”, dice il rapporto, “anche se esso influenza i diversi pericoli in modi diversi”. Il riscaldamento globale “colpisce particolarmente la formazione di ondate di calore, siccità, eventi di precipitazioni intense e, a lungo termine, probabilmente anche l'intensità dei cicloni tropicali”, ha detto Munich Re. Lo scorso luglio è stato il mese più caldo registrato negli Stati Uniti da quando sono iniziate le registrazioni nel 1895, secondo il NOAA. Il Drought Monitor degli Stati Uniti ha riportato che i due terzi degli Stati Uniti continentali hanno sofferto condizioni di siccità l'estate scorsa. E' certo, la Munich Re vuol stipulare più contratti di riassicurazione (il supporto di polizze comprate da altre compagnie assicurative), quindi può darsi che abbia una ragione egoistica per provocare ansia. Ma essa non ha nessun motivo evidente per indicare il riscaldamento globale al di sopra delle altre cause. “Se i primi effetti del cambiamento climatico sono già percettibili”, ha detto Peter Hoeppe, il capo della Geo Risk Research della compagnia, “tutti gli allarmi e le misure contro di esso sono diventate ancora più urgenti”. 

Il che fa sorgere la questione di quali allarmi e misure intraprendere. Nel suo libro Conundrum, David Owen, uno scrittore dello staff del New Yorker, sostiene che finché l'Occidente pone un valore alto e insindacabile sulla crescita economica e la gratifica del consumatore – con la Cina ed il resto del mondo in via di sviluppo subito dietro – continueremo a bruciare combustibili fossili le cui emissioni intrappolano il calore nell'atmosfera. Treni veloci, auto ibride, lampadine compatte fluorescenti e compensazioni del carbonio non sono semplicemente sufficienti, dice Owen. 

Tuttavia, anche lui è d'accordo sul fatto che il primo passo responsabile sia di rimettere il cambiamento climatico sul tavolo delle discussioni. Il problema è stato assente durante il dibattito presidenziale e, a prescindere da chi vince il 9 novembre, è improbabile che appaia nel calendario del Congresso a breve termine. Dopo Sandy, ciò sembra folle. Mitt Romney è passato dall'essere un sostenitore, anni fa, dell'energia pulita e delle limitazioni delle emissioni, all'essere, più di recente, un agnostico del clima. Il 30 agosto, ha  sminuito la promessa del suo avversario di fermare il cambiamento climatico fatta durante la campagna presidenziale del 2008. “Il Presidente Obama ha promesso di cominciare a rallentare l'innalzamento degli oceani e di guarire il pianeta”, ha detto Romney alla Convetion Repubblicana Nazionale a Tampa, città sballottata dalle tempeste. “La mia promessa è quella di aiutare voi e i vostri famigliari”. Due mesi dopo, sulla scia di Sandy, famiglie sommerse in New Jersey e New York hanno avuto bisogno d'aiuto per affrontare quella cosa dell'innalzamento dell'oceano. 

Obama e i suoi strateghi hanno chiaramente deciso che, in una lotta serrata in tempi di fragilità economica, egli avrebbe dovuto competere con Romney promettendo di estrarre più carbone e perforare più pozzi petroliferi. Nel percorso della campagna, quando Obama parla di ambiente, lo fa solo per stimolare “lavori verdi”. Durante il suo periodo di carica, Obama ha fatto un modesto progresso sui problemi climatici. Gli standard di efficienza energetica della sua amministrazione ridurranno della metà le emissioni di gas delle nuove auto e dei nuovi camion dal 2025. I suoi regolamenti e le regole proposte sulle emissioni di mercurio, carbonio ed altri elementi dalle centrali a carbone stanno obbligando le imprese a chiudere gli impianti più sporchi e vecchi. E il paese ha raddoppiato la generazione di energia da fonti rinnovabili come solare ed eolico. 

Ciononostante, l'energia rinnovabile conta ancora per meno del 15% dell'elettricità del paese. Gli Stati Uniti non possono scrollarsi di dosso la loro dipendenza dai combustibili fossili andando in crisi d'astinenza. Uffici e fabbriche non possono lavorare al buio, Gli armatori, gli autotrasportatori e le compagnie aeree non abbandoneranno il petrolio in una notte. Mentre gli scienziati e gli imprenditori cercano tecnologie di rottura, il prossimo presidente dovrebbe spingere un piano energetico che sfrutti le generose disponibilità di gas naturale interno. Bruciate per produrre corrente, emettono circa la metà della CO2 rispetto al carbone. Questo è un avvicendamento già in corso e vale la pena che si espanda. Gli ambientalisti che tengono una linea dura 'niente gas' sbagliano (se riferito al fracking, non si sbagliano affatto... ndt.). 

Le forze conservatrici paladine del mercato – come fanno i liberali intelligenti – e gli incentivi finanziari dovrebbero essere parte di un programma sul clima. Nel 2009 la Camera dei Deputati ha approvato una legge di limitazione e scambio che avrebbe premiato gli operatori industriali più agili che capiscono come usare energia più pulita. La proposta è morta in Senato nel 2010, vittima dell'ostruzionismo Repubblicano ispirato dal Tea-Party e dalla decisione di Obama di spendere il suo capitale politico per spingere la riforma della sanità. Nonostante il fanatismo Repubblicano riguardo a tutte le forme di intervento governativo sull'economia, l'idea di tassare il carbonio deve rimanere una parte del dibattito nazionale. Un modo politicamente plausibile di tassare le emissioni di carbonio è quello di trasferire gli introiti agli individui. L'Alaska, che paga dei dividendi ai propri cittadini dai diritti imposti alle compagnie petrolifere, potrebbe dare ispirazione (proprio come la cura Romney in Massachussets ha indicato la via alla cura di Obama). 

Alla fine, la crisi del riscaldamento globale richiederà soluzioni globali. Washington può diventare un fautore dello spostamento dal carbone verso le alternative delle economie cinese e indiana solo se gli Stati Uniti intraprendono azioni politiche concertate. All'ultima conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico a Durban, in Sudafrica, i governi del mondo si sono accordati per cercare un nuovo accordo legale che costringa i firmatari a ridurre le loro emissioni di carbonio. I negoziatori hanno convenuto di elaborare un nuovo trattato per il 2015 da rendere operativo dal 2020. Per funzionare, il trattato avrà bisogno di contenere un modo per penalizzare i paesi che non soddisfino gli obbiettivi di riduzione delle emissioni, cosa che gli Stati uniti hanno sinora rifiutato di sostenere. 

Se non altro, l'uragano Sandy potrebbe suggerire che abbiamo bisogno di impegnarci di più nel prepararci ai disastri e a come rispondere. Come col cambiamento climatico, Romney ha mostrato un atteggiamento disinvolto allarmante sulle emergenze meteorologiche. Durante un dibattito Repubblicano preliminare dello scorso anno, gli è stato chiesto di punto in bianco se le funzioni del Federal Emergency Management Agency – FEMA -  (Protezione Civile statunitense) dovessero tornare agli Stati. “Assolutamente”, ha replicato. Lasciamo che gli Stati si difendano da soli o, meglio ancora, incarichi di questo il settore privato. Un servizio “paghi quando sali sul tetto” potrebbe essere attraente per i plutocrati; quando le acque alluvionali salgono, la gente comune gradisce la Guardia Nazionale. 

E' possibile che l'affermazione contro la FEMA di Romney fosse soltanto una ruffianata nei confronti della Destra, piuttosto che una proposta politica seria. Tuttavia, il bisogno riconfermato di una capacità federale di affrontare i disastri – il FEMA e Obama hanno ricevuto commenti entusiastici dal Governatore del New Jersey Chris Christie, un sostenitore di Romney – rende la dichiarazione del candidato presidenziale Repubblicano tanto più riprovevole. Gli Stati Uniti hanno lasciato che i trasporti e ad altre infrastrutture di diventassero obsolete e deteriorate, il che rappresenta una minaccia non solo alla sicurezza pubblica ma anche alla salute economica del paese. Con le alluvioni che avvenivano ogni secolo che ora avvengono con  pochi anni di intervallo, il Governatore di New York Andrew Cuomo ed il Sindaco di New York Michael Bloomberg hanno detto che la città più grande del paese avrà bisogno di considerare l'installazione di protezioni da sovratensione e di rendere in qualche modo impermeabile il suo enorme sistema di metropolitana. “Non è prudente sedere qua e dire che non accadrà ancora”, ha detto Cuomo. “Io credo che accadrà di nuovo”. 

David Rothkopf, il capo esecutivo ed editore generale di Politica Estera, ha indicato in un post del 29 ottobre che Sandy ha portato anche la sua città natale, Washington, ad un fermo che impedisce di svolgere gli affari di Stato. Per diminuire gli impatti futuri, ha consigliato di sotterrare le linee elettriche urbane e suburbane, un miglioramento costoso ma sensibile. Dove prendere i soldi? Rothkopf ha proposto di spostare i fondi ai pachidermi burocratici del dopo 11 settembre come il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale, che sostiene sia uno spreco. In realtà, ciò che manca nell'approccio americano al cambiamento climatico non sono le risorse per agire, ma la volontà politica di farlo. Un sondaggio del Pew Research Center, condotto in ottobre, ha scoperto che due terzi degli americani dicono che ci sono “prove solide” che la Terra si stia scaldando. Sono 10 punti in meno rispetto al 2006. Fra i Repubblicani, più della metà dicono sia che non è un problema serio sia che un problema non lo è affatto. Tali numeri riflettono il successo dei negazionisti climatici nell'inquadrare il cambiamento climatico come nemico della crescita economica. Questo è sia miope sia pericoloso. Gli Stati Uniti non possono permettersi distruzioni regolari delle dimensioni di Sandy nelle attività economiche. Per limitare i costi dei disastri legati al clima, sia i politici sia il pubblico devono accettare la misura in cui stanno partecipando a causarli.












venerdì 2 novembre 2012

Il Cambiamento Climatico è qui (ed è peggiore di quello che pensavamo)


Di James E. Hansen (Direttore dell'Istituto per gli Studi Spaziali Goddard della NASA).

Dal “Washington Post” del 4 agosto 2012. Traduzione di Massimiliano Rupalti


Da notare che questo pezzo è stato scritto prima del record storico della fusione dei ghiacci artici in Settembre e prima dell'Uragano Sandy. Vedendo le cose in prospettiva, Hansen era addirittura  un ottimista ai primi di agosto!


Quando ho parlato di fronte al Senato, nella calda estate del 1988, ho avvertito circa il tipo di futuro che il cambiamento climatico porterebbe a noi e al pianeta. I dipinto un quadro truce delle conseguenze delle temperature in costante aumento provocato dall'uso dei combustibili fossili da parte degli esseri umani.

Ma devo confessarvi una cosa: sono stato troppo ottimista.

Le mie proiezioni sull'aumento della temperatura globale si sono rivelate vere. Ma ho sbagliato nel non esplorare pienamente quanto l'aumento medio avrebbe portato ad un aumento del tempo meteorologico estremo.  

Nella mia nuova analisi degli ultimi sei decenni di temperature globali, che verrà pubblicata lunedì, io e i miei colleghi abbiamo rivelato un aumento mozzafiato nella frequenza delle estati estremamente calde, con implicazioni preoccupanti, non solo per il nostro futuro ma anche per il presente.


Questo non è un modello climatico o una previsione, ma l'osservazione reale degli eventi atmosferici avvenuti e delle temperature. La nostra analisi mostra che non è più sufficiente dire che il riscaldamento globale aumenterà la probabilità di tempo estremo e per ripetere l'ammonimento che nessun evento meteorologico può essere collegato direttamente al cambiamento climatico. Al contrario, la nostra analisi mostra che, per il tempo estremamente caldo del recente passato, non c'è virtualmente altra spiegazione se non il cambiamento climatico. E una volta raccolti i dati, fra poche settimane, è probabile che sarà vera la stessa cosa per l'estate estremamente calda di cui stanno soffrendo proprio ora gli Stati Uniti.

Questi eventi atmosferici non sono solo un esempio di quello che il cambiamento ci potrebbe portare. Sono proprio causati dal cambiamento climatico. Le probabilità che una variabilità naturale abbia creato questi estremi sono minuscole, infinitamente piccole. Fare affidamento su quelle probabilità sarebbe come lasciare il proprio lavoro e giocare la lotteria tutte le mattine per pagare le bollette.

Ventiquattro anni fa ho introdotto il concetto di “dadi climatici” per aiutare a distinguere le tendenze a lungo termine del cambiamento climatico dalla variabilità naturale del tempo meteorologico giorno per giorno. Alcune estati sono calde, altre fredde. Alcuni inverni brutali, altri miti. Questa è la variabilità naturale.

Ma quando il clima si scalda, anche la variabilità naturale viene alterata. In un clima normale senza il riscaldamento globale, due lati del dado rappresenterebbero il tempo atmosferico più freddo del normale, due il tempo meteorologico normale e due il tempo meteorologico più caldo del normale. Tirando il dado in continuazione, stagione dopo stagione, avremmo una variazione ugualmente ripartita fra le tre possibilità nel tempo.

Ma mettendo sul dado i riscaldamenti del clima cambia le probabilità. Finisci con l'avere un solo lato più freddo del normale, un lato nella media e quattro lati più caldi del normale. Anche col cambiamento climatico potremmo avere di tanto in tanto estati più fredde del normale o inverni normalmente freddi. Non lasciatevi fregare da questo.

Il nostro nuovo studio peer-reviewed, pubblicato dall'Accademia Nazionale delle Scienze, chiarisce che mentre la temperatura media globale è aumentata stabilmente a causa del clima che si riscalda (fino a 1,5°F durante l'ultimo secolo), gli estremi stanno realmente diventando più frequenti e più intensi in tutto il mondo.

Quando abbiamo tracciato le variazioni delle temperature mondiali su una curva a campana, gli estremi eccezionalmente freddi e, ancora di più, quelli estremamente caldi sono risultati alterati, così stanno diventando sia più comuni sia più forti.

Il cambiamento è così drammatico che una faccia del dado ora deve rappresentare il tempo meteorologico estremo per rappresentare la maggior frequenza degli eventi meteorologici estremamente caldi.

Tali eventi erano oltremodo rari. Le temperature estremamente alte hanno interessato dallo 0,1 allo 0,2% circa del globo nel periodo base del nostro studio, dal 1951 al 1980. Negli ultimi tre decenni, mentre le temperature medie sono lentamente salite, gli estremi solo volati ed ora interessano circa il 10% del globo.

Questo è il mondo che abbiamo cambiato e sul quale ora dobbiamo vivere – il mondo che ha causato l'ondata di calore in Europa nel 2003, che ha ucciso più di 50.000 persone, e la siccità del 2011 in Texas, che ha causato più di 5 miliardi di dollari di danni. Tali eventi, come mostrano i nostri dati, diventeranno anche più frequenti e più gravi.

C'è ancora tempo per agire ed evitare il peggioramento del clima, ma stiamo sprecando tempo prezioso. Possiamo risolvere la sfida del cambiamento climatico con una tassa che aumenti gradualmente sul carbonio richiedendola alle industrie dei combustibili fossili, col 100% del denaro redistribuito a tutti i residenti legali su base pro-capite. Questo stimolerebbe le innovazioni e creerebbe una robusta economia basata sulle energie pulite, con milioni di nuovi posti di lavoro. E' una soluzione semplice, efficace ed onesta.

Il futuro è ora. Ed è caldo.


martedì 30 ottobre 2012

Nel frattempo, in Antartide......


Di Ben Cubby

Da “The Age”. Traduzione di Massimiliano Rupalti.



Un Iceberg si stacca dalla costa di Knox in Antartide. Foto: Reuters


Secondo uno studio di riferimento che ha usato i satelliti per “pesare” le vaste terre emerse, l'Antartide sta perdendo 190 milioni di tonnellate di ghiaccio al giorno. Anche se parti dell'Antartide dell'est stiano crescendo, i ghiacciai nell'Antartide occidentale si stanno fondendo più velocemente, portando così ad una perdita netta di ghiaccio nel continente, secondo lo studio pubblicato sulla rivista Nature. “Siamo sicuri che la copertura di ghiaccio si stia riducendo e lungo la costa del Mare di Amudsen il ritmo sta accelerando”, ha detto il capo ricercatore Professor Matt King dell'Università della Tasmania. La rapida fusione in alcune parti del continente viene parzialmente compensata da forti nevicate altrove, il che significa che la perdita netta di ghiaccio è di circa 69 milioni di tonnellate. Studi precedenti erano riusciti a mappare accuratamente le terre emerse sotto gran parte dell'enorme piattaforma di ghiaccio dell'Antartide e questa conoscenza è cruciale per misurare lo spessore del ghiaccio.

Mentre il ghiaccio fonde, le stesse terre emerse si alzano gradualmente a un ritmo di 2 millimetri all'anno, come una torta che si cuoce lentamente nel forno. “E' come se steste in piedi su una spiaggia con della sabbia bagnata e spostate il piede, l'impronta scompare molto rapidamente, essa torna al suo posto”, ha detto il Professor King. La risposta è stata un nuovo modello analitico che era in grado di mettere insieme i dati satellitari con le osservazioni sul posto, riguardo alla fusione del ghiaccio e al sollevamento del terreno, ed ha rivisto verso il basso la velocità di sollevamento dello stesso. Lo studio fa un uso unico dei dati satellitari, dal progetto noto come GRACE, acronimo di  Gravity Recovery and Climate Experiment (Recupero della Gravità ed Esperimento Climatico). Satelliti gemelli orbitano sulla Terra a 220 chilometri di distanza fra loro e a 500 chilometri dalla superficie. Mentre orbitano, dei piccoli cambiamenti nella massa terrestre sotto di loro condizionano la loro posizione relativa fra di loro. Sono equipaggiati con strumenti sensibili al punto di misurare un cambiamento di distanza di circa 10 micrometri, circa un decimo dello spessore di un capello umano.


Accoppiati con sistemi di posizionamento globale, i satelliti possono rimandare indietro informazioni dettagliate sulla gravità terrestre e quindi delle sue terre emerse, anche quando la superficie del pianeta si trova nascosta in profondità sotto il ghiaccio. Un risultato delle scoperte è che la fusione del ghiaccio in Antartide non contribuisce molto all'aumento del livello globale dei mari così come presumevano alcuni altri studi. Mentre il continente contiene sufficiente acqua ghiacciata da far salire il livello dei mari di 59 metri, se si dovesse fondere tutta, le scoperte mostrano che al momento esse contribuiscono per meno di un millimetro all'anno. Il Professor King ha detto che le scoperte hanno mostrato che i livelli del mare erano già saliti più velocemente di quanto non avessero fatto per secoli senza gran parte dell'acqua extra della calotta di ghiaccio dell'Antartide. “La fusione in alcune aree chiave ha accelerato fra il 2006 e il 2010, quando lo studio si è concluso”, ha detto. “Quindi, esso mostra che c'è da attendersi che l'aumento del livello del mare cambi piuttosto nettamente se il tasso di fusione continua ad aumentare, al di là di quanto sta già accadendo”.



lunedì 29 ottobre 2012

Il Potere delle Leggende

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di Massimiliano Rupalti


Negli ultimi anni, Ryanair è stata oggetto di diverse voci, compresa quella secondo la quale i passeggeri dovessero pagare per l'uso dei bagni, che c'erano voli in cui si stava in piedi, che avrebbe chiesto un extra per i passeggeri grassi, che ripara i propri aerei col nastro adesivo ed altro. Molto probabilmente, fa tutto parte di una campagna pubblicitaria che ha l'obbiettivo di creare interesse intorno alla compagnia, ma illustra anche il potere delle leggende sulla mente umana. (Immagine sopra dalla CNN).


Pochi giorni fa, seduto a tavola con alcuni amici al ristorante, stavamo parlando del più e del meno, quando è venuto fuori il soggetto di quanto i viaggi in aereo siano diventati affollati e scomodi. Una delle mie amiche, che sedeva di fianco a me, ha detto: “e, sai, ti faranno anche fare il viaggio in piedi!” Ho pensato che stesse scherzando, ma mi sono reso conto in fretta che non era così. Credeva realmente che le compagnie aerea stessero pianificando di trasformare gli aerei in vagoni della metro con le ali. 

A quel punto ho fatto il mio errore quotidiano (sembra che io abbia un blocchetto di biglietti per le gaffe sociali, a volte penso di doverne obliterare almeno uno al giorno). Le ho detto che la storia della gente che viaggia in piedi negli aerei è ovviamente una leggenda, una montatura pubblicitaria destinata a creare interesse verso la compagnia aerea che l'ha creata. Ho aggiunto che mi sorprende sempre che la gente cada così facilmente in questo tipo di raggiro. Come potete immaginare, è stato un errore. Lei si è irrigidita e ha detto, con rabbia, che era sicura che fosse vero. Ho provato a rimediare come potevo ma era troppo tardi. Penso che se ne sia andata a casa ancora arrabbiata con me e ancora convinta che il suo prossimo viaggio aereo lo avrebbe fatto in piedi, probabilmente aggrappata ad una maniglia appesa al soffitto. Questo mi è valso l'obliterazione di almeno cinque biglietti per le gaffe. 

Ora, questa mia amica è bionda, ma non è una bionda stupida. E' un'avvocatessa cinquantenne, in ogni modo una persona intelligente che, nel suo lavoro, non sarebbe facile da prendere in giro. Ma non è certo un caso eccezionale nel cadere nella trappola delle leggende. Avrei altri esempi e di sicuro ognuno di noi ha avuto esperienze simili. Gente normale, intelligente, che cade in pieno nelle leggende chiaramente assurde. E' ciò che ho chiamato “l'Effetto Anti-Cassandra”, credere l'incredibile. 

La leggenda dei voli in piedi è sostanzialmente innocua, così come le altre che circondano la Ryanair. Probabilmente, l'idea di diffonderla è che i passeggeri si sentiranno privilegiati quando saliranno a bordo e scopriranno di avere in realtà una poltroncina! Il problema è, ovviamente, quando la stessa sconnessione dalla realtà avviene per temi che comportano un vero pericolo. Il cambiamento climatico ne è un esempio classico e in questo campo trovate le leggende più assurde che prendono piede con incredibile forza. Ne conoscete degli esempi: la Groenlandia era senza ghiaccio al tempo dei Vichinghi, Marte e Giove si stanno scaldando, negli anni 70 si diceva che sarebbe arrivata un'era glaciale, che gli scienziati avrebbero confessato di aver falsificato i dati e molti altri. 

Ora, immaginate di ascoltare una di queste leggende sul clima raccontata da un vostro amico che crede che sia vera. Come reagireste? Semplicemente dicendogli o dicendole che è una leggenda ed è ovviamente falsa non funzionerebbe. La reazione sarebbe, molto probabilmente, la stessa che ha avuto la mia amica per la leggenda dei voli in piedi. Quindi, credo che con le leggende del clima noi (intendendo con noi gli scienziati e gli addetti ai lavori) abbiamo fatto lo stesso errore. Non è sufficiente dire alla gente che le loro credenze sul cambiamento climatico sono incompatibili con la realtà fisica. Fare questo li farebbe solo arrabbiare e chiudersi ancora di più nelle proprie credenze. Gli scienziati, infatti, sembrano essere stati capaci di obliterare un numero enorme di biglietti per gaffe nel tentativo di trasmettere il messaggio che il cambiamento climatico è reale e che è urgente fare qualcosa per questo.  

Ma ora riusciamo a dire alle persone che le leggende climatiche sono leggende senza urtare la loro sensibilità? Con un amico forse puoi gentilmente condurlo (o condurla) ad imparare qualcosa sul clima. Ma avere a che fare con la stampa e con il Web è molto più difficile sicuramente avete esperienza di cosa succede quando la discussione si scalda. Quindi cosa facciamo? Forse dovremmo chiedere all'agenzia pubblicitaria di Ryanair. Oppure avete qualche suggerimento?





giovedì 25 ottobre 2012

Le Guerre della Fame


Da “The Oil Crash”. Traduzione di Massimiliano Rupalti


Link all'immagine. Il cartello dice: “Non possiamo dar da mangiare ai poveri ma possiamo finanziare una guerra?”

Di Antonio Turiel

Cari lettori,
C'è una paura che mi tormenta da qualche mese. Be', più che paura è una certezza. La certezza che stiamo vivendo gli ultimi mesi prima di uno scoppio su scala planetaria, nel quale le varie contraddizioni del nostro sistema economico e di sfruttamento delle risorse non potranno essere aggirate o evitate ulteriormente e che esploderanno in tutta la loro intensità, facendo sì che la discesa del lato destro della curva di Hubbert sia più brusco di quanto non ci eravamo prefigurati inizialmente. Varie crisi si stanno sviluppando proprio ora, ma la nostra attenzione è ferma alla crisi economica che ognuno di noi vive nel proprio paese (senza vedere che tutti i paesi sono in una situazione simile), mentre i nostri mezzi di comunicazione hanno occhi praticamente solo per la crisi finanziaria (visto che questa è quella che interessa al grande capitale, il quale è, in ultima analisi, colui che possiede e finanzia questi media). E tutte le crisi che si stanno sviluppando passano totalmente inosservate, quando in realtà sono più collegate di quanto pensiamo alle nostre preoccupazioni più prossime. Di tutte queste altre crisi ignorate, oggi ne prenderò tre che formano una filo logico dalle implicazioni minacciose per il nostro futuro: la crisi energetica, la crisi climatica (che incide nel problema dell'acqua) e la crisi alimentare. 

Non parlerò qui un'altra volta della crisi energetica, perlomeno non di per sé stessa. Praticamente tutto il blog è dedicato a questo tema ed i lettori abituali conoscono già gli aspetti fondamentali della stessa (e per i nuovi lettori raccomando la lettura del prontuario sul picco del petrolio ed il post "Messaggio in Bottiglia”). Da queste parti sappiamo già che, a causa della connessione fra economia ed energia e al fatto che siamo sull'uscio di un declino energetico duro, questa crisi non finirà mai

Altra crisi di cui ho parlato di tanto in tanto è quella ambientale e in particolare gli aspetti legati al cambiamento climatico. Non è il tema di questo blog (se volete un'informazione ampia e rigorosa su questo tema, il mio personale blog di riferimento è Usted no se lo cree). Ci sono sempre più indizi che gli effetti dei cambiamento climatici su scala globale associati all'attività umana si stiano amplificando ed accelerando. In questo senso quest'estate è stato prodiga di tali effetti. All'inizio di luglio abbiamo appreso che la calotta di superficie del ghiaccio di praticamente tutta la Groenlandia si era fusa in circa 4 giorni (vedete le mappe della superficie colpita dalla fusione superficiale dai giorni 8-12 luglio):


Numerosi media hanno dato questa notizia, anche se gli errori di comunicazioni sono stati abbondanti. Così, in alcuni media si è detto che tutta la Groenlandia si era fusa (cosa assurda, perché il livello dell'acqua del mare sarebbe salito immediatamente di 7 metri) e in altri, più controllati, che questa calotta fusa fosse finita tutta in mare (in realtà, la maggior parte si è ricongelata sul posto). Questo ha fomentato alcuni elementi del negazionismo climatico a dispiegare la propria artiglieria e, non potendo negare i dati (vengono direttamente dalle osservazioni della NASA), hanno affermato che quel tipo di fenomeni avvengono regolarmente ed hanno insinuato che tali effetti siano normali , visto che qualcosa di simile è già successo 123 anni fa (basandosi sulla nota della NASA secondo la quale non si era visto niente di simile in 123 anni).

In realtà, le prime osservazioni (ovviamente in situ e non da satellite a quell'epoca) datano a 123 anni fa, quindi l'affermazione della NASA significa che non ci sono registrazioni storiche di un disgelo di questa portata. Di fatto, è facile dedurre che era molto tempo, come minimo dei secoli, che non si era verificata una cosa simile, semplicemente vedendo l'effetto causato dalla piccola parte di acqua che ha raggiunto i fiumi. Suppongo che negli annali della Groenlandia debbano avere le registrazioni delle alluvioni che si sono portate via i ponti...

La questione del disgelo superficiale in Groenlandia non è un problema minore. Durante le ore o i giorni in cui la calotta superficiale era liquida è rimasto esposto il ghiaccio più antico, che è di colore scuro e assorbe di più la radiazione solare, e quindi esso stesso si sarà in parte fuso. Una parte di quell'acqua sarà filtrata fino alla roccia (che si trova a circa 2000 metri al di sotto della superficie del ghiaccio, tale è lo spessore medio della calotta) e lì contribuirà ad aumentare i bacini d'acqua che lubrificano il movimento delle lingue di ghiaccio, accelerando la caduta di iceberg in mare. Inoltre, si saranno create più fratture nel manto ghiacciato. Insomma, il collasso della calotta di ghiaccio della Groenlandia ha accelerato. Continua ad essere un processo lento, che richiederà secoli, ma questi eventi possono aver accorciato tale lasso di tempo in modo sensibile. 

Questa stessa estate l'estensione del ghiaccio artico ha raggiunto il minimo storico. Guardate il seguente grafico, scaricato dal sito del National Snow and Ice Data Center:


Quello che vedete sono i grafici dell'area occupata dalla calotta di ghiaccio che galleggia sull'oceano Artico. La curva nera continua rappresenta la media 1979-2000. la fascia grigia che la circonda ci da un'idea della variabilità di quella superficie durante quei 21 anni (in quel periodo ci sono stati anni con maggiore o minore disgelo della media rappresentata dalla curva nera e la fascia grigia delle differenze di quel periodo). Naturalmente, ogni anno l'estensione del ghiaccio è minore in estate nell'emisfero nord e maggiore durante l'inverno. La curva tratteggiata rappresenta l'anno peggiore mai registrato: il 2007. Durante quell'anno, una serie di fattori climatici avversi ed alcune coincidenze hanno fatto sì che la calotta glaciale artica si riducesse a livelli mai visti. La curva azzurra rappresenta l'evoluzione di quella superficie di quest'anno. Quest'anno non ci sono stati tali fattori climatici, ama anche così la copertura di ghiaccio si è ridotta ancora di più che nel 2007. Si sospetta che il ghiaccio artico sia sempre più giovane e sottile. Se il processo continua nella sua progressione, nel peggiore degli scenari possibili, potremmo vedere l'Artico libero dal ghiaccio in un'estate introno al 2020. 

A parte questi fenomeni tanto estremi, c'è stata una moltitudine di altri fenomeni che indicano un aggravamento della indesiderabile tendenza al riscaldamento. Questi altri fenomeni, presi isolatamente, non sono di per sé segni inequivocabili del cambiamento climatico antropogenico, ma la loro associazione lo rende più verosimile, visto che sono il tipo di cose che dovrebbero succedere come corollario: ripetute ondate di calore in Europa e Spagna, siccità in ampie zone degli Stati Uniti e d'Europa (Spagna inclusa), ecc. Altri effetti meno direttamente in relazione al cambiamento climatico dovrebbero anche verificarsi. Per esempio, il progressivo disgelo dell'Artico debilita la circolazione del ramo nord della Circolazione Termoalina oceanica, che farà sì che in Europa arrivi meno caldo e umidità e che pertanto gli inverni tendono ad essere più secchi e freddi (e che di conseguenza il rendimento agricolo diminuisca). Per quello è preferibile parlare di “Cambiamento Climatico” e non di “Riscaldamento Globale”, perché anche se effettivamente la temperatura globale del pianeta stia aumentando e il pianeta nel suo complesso si stia riscaldando, il clima è il risultato di una risposta complessa con molti fattori ed in alcune zone si possono verificare, per effetti come quello descritto, fasi di raffreddamento relativo su scala regionale. 

Tutto questo non cambia la gravità del problema, ma data la costatata stupidità dell'essere umano nel comprendere i problemi su grande scala spaziale e temporale e il dispiegamento deciso da grandi gruppi di pressione di campagne negazioniste, è conveniente evitare che si confonda l'opinione pubblica con argomenti ridicoli e banalizzanti, tipo il cugino di Rajoy. Risulterebbe scioccante, non sapendo come funzionano queste cose, che proprio in questo anno in cui i segni del riscaldamento globale sono tanto evidenti si stia facendo in grande sforzo di propaganda per minimizzare i problemi e per confondere la popolazione. Anche se in realtà si ripetono sempre le stesse cose, in mancanza di altre migliori, mentre se ne abbandonano alcune che hanno fallito di fronte all'opinione pubblica (come l'affermazione che “i ghiacciai in realtà avanzano”). E si assicura, per esempio, che la “la variabilità climatica c'è sempre stata, sono effetti naturali”, ignorando il fatto che i registri paleocliamtici non mostrano mai un evento della grandezza attuale (il doppio di qualunque altro conosciuto) e velocità (decennni anziché secoli o millenni) e molto meno su scala globale, quando inoltre la variazione attuale si adatta perfettamente all'aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera. In previsione che la battaglia dell'Artico sia perduta, c'è anche una corrente negazionista che sostiene che al contrario va tutto bene in Antartide, al punto che la superficie del mare ricoperta dal ghiaccio aumenta nell'emisfero sud. E sì, aumento, ma nella stessa misura in cui il volume di ghiaccio continentale diminuisce (in pratica si vede come positivo il fatto che l'oceano Antartico sia pieno di iceberg risultato del disgelo accelerato dell'Antartide). Senza contare che il ghiaccio che cade in mare è sempre più antico.

Nessuno è sicuro con quale velocità si svilupperanno gli effetti peggiori del cambiamento climatico, tant'è che persino la stessa IEA ha riconosciuto, nel suo rapporto annuale, che addirittura nel 2015 potremmo superare un tipping point o punto di non ritorno. Tuttavia, è molto probabile che alcuni degli effetti più indesiderabili associati al cambiamento climatico si stiano già manifestando: Vorrei sottolinearne uno in particolare il cui potenziale destabilizzante per le società umane è molto grande: la crisi dell'Acqua potabile, altrimenti denominato picco dell'acqua (o peak water).

E' paradossale che in un pianeta la cui superficie è per più di 3 quarti ricoperto di acqua si possa parlare di picco dell'acqua. Naturalmente il problema non è che non ci sia sufficiente acqua, ma che ci sia sufficiente acqua potabile per soddisfare le necessità umane. L'acqua è una risorsa rinnovabile, ma alcune risorse rinnovabili hanno tasso massimo di estrazione a partire dal quale si comportano come quelle non rinnovabili. A noi qui interessa un sottinsieme dell'acqua totale che è l'acqua potabile. Per essere potabile l'acqua deve rimanere incontaminata durante tutto il processo di accumulo naturale e inoltre bisogna rispettare il suo ritmo di recupero. Non facciamo niente di tutto ciò. Il nostro naturale disprezzo degli effetti dell'inquinamento industriale, unito alla nostra incapacità di gestire l'abbondanza e anche – seppur in misura minore – l'aumento della popolazione, ci ha portato a questa situazione curiosa in cui molti paesi si vedono minacciati da problemi legati alla mancanza d'acqua (potete vederne alcuni esempio a questo link). Di tutto l'ammasso di miseria globale che provoca la perdita di accesso ad un tale prezioso liquido, voglio concentrarmi su due paesi che saranno determinanti per il nostro futuro: Arabia Saudita e Stati Uniti. 

In Arabia Saudita, che lo crediate o no, il picco di fornitura dell'acqua dolce è stato raggiunto all'inizio degli anni 90 (come mostra questo grafico proveniente da wikipedia):


L'Arabia Saudita ha compensato questa diminuzione utilizzando acqua desalinizzata, al punto che attualmente rappresenta il 50% del consumo d'acqua del paese. Questi desalinizzatori usano molta energia elettrica, che in questo paese viene prodotta principalmente consumando petrolio e gas, vista la loro grande disponibilità, anche se questo fa sì che il consumo interno di petrolio stia accelerando, come mostra il grafico seguente ottenuto usando gli strumenti di Flujos de Energía:


L'inarrestabile aumento del consumo interno saudita sta portanto alla conclusione molto allarmante che il paese smetterà di esportare petrolio verso il 2030 (argomento dal quale si deducono molte altre conclusioni poco gradevoli  e alle quali torneremo in un prossimo post). L'altra grande fonte d'acqua in Arabia Saudita sono le sue falde acquifere, dalle quali l'Arabia Saudita è stata dipendente per anni, anche se sembra incredibile per un paese desertico, per produrre il proprio grano e persino per esportarlo. Naturalmente tale delirio non poteva continuare per sempre (al ritmo di sfruttamento di qualche anno fa, le falde acquifere si esaurirebbero questo stesso anno) e l'Arabia Saudita ha dovuto cambiare radicalmente la sua politica agraria, importando attualmente il 100% degli alimenti che consuma. 

Disgraziatamente, l'Arabia Saudita ha bisogno di acqua per qualcosa in più che il consumo umano e agricolo: per mantenere la sua produzione di petrolio, una connessione che molte volte viene deliberatamente ignorata ma che diventa cruciale quando si parla di pozzi molto vecchi che posso mantenere i loro livelli produttivi soltanto iniettando continuamente vapore acqueo in pressione (e questo fa sì che dall'allora grandioso Gawhar ora esca più acqua che petrolio). Prova del gigantesco sforzo che sta facendo l'Arabia Saudita per mantenere la produzione di questo vecchio giacimento petrolifero è questa mappa di sfruttamento che ho tratto dal link precedente:

Mappa presa dal sito The Oil Drum, http://theoildrum.com. I punti rossi rappresentano pozzi di estrazione di petrolio, con importanti ramificazioni (frattura orizzontale). Il perimetro di punti azzurri sono pozzi di controllo o di osservazione.


Tale ingente quantità di acqua potrà venire dai desalinizzatori, con un grande costo energetico ed aumentando il consumo del paese, nel caso dei giacimenti più vicini alla costa, ma dovrà necessariamente provenire dalla falda acquifera per i pozzi più interni, fintanto che il suo livello non si abbassi troppo, e quando questo succede dovrà essere pompata dalla costa. Naturalmente non è indispensabile usare acqua dolce, si può usare anche quella salata direttamente, ma questo aumenta la corrosione e la formazione di depositi di sale che accorciano la vita utile delle installazioni e in alcuni casi accorciando la vita utile dei giacimenti stessi (per l'accumulo di sale negli strati profondi). Sommate a questo che il paese probabilmente sta diventando sempre più arido a causa del cambiamento climatico, quindi in un futuro per niente lontano tutta l'acqua per tutti gli usi dovrà provenire dal mare, con un aumento ingente di costi economici ed energetici. Ed ora ricordate che, come abbiamo già detto, gli enormi programmi di assistenza sociale che mantiene l'Arabia Saudita presuppongono un costo talmente grande che alla casa regnante saudita non consente che il prezzo del petrolio al barile scenda sotto i 90$ (il che significa oltre il limite che può permettersi l'economia mondiale, circa 80$). Tante difficoltà sommate in un solo posto fanno sì che il futuro dell'Arabia Saudita sia non solo incerto, ma estremamente pericoloso. Momento in cui un fattore fallisca, tutto il paese può crollare come un castello di carte.  

Negli Stati Uniti il problema del picco dell'acqua è ugualmente un tema centrale, come mostra l'importanza che gli hanno concesso i media. Anche gli Stati Uniti hanno le loro falde acquifere in via di esaurimento: la falda di Olgallala, un autentico mare sotterraneo che si stima contenga 313 chilometri cubici e dal quale dipende il 27% dell'irrigazione di quel paese. Tuttavia, ai ritmi di sfruttamento attuali, la falda potrebbe prosciugarsi, secondo le stime più pessimistiche, nei prossimi 20 anni. E se questo fosse poco, gli Stati uniti stanno affrontando la loro peggiore siccità dal Dust Bowl degli anni 30 (in realtà, ora gli indici sono peggiori di allora), come illustra la seguente mappa:


Anche negli Stati Uniti si rivela una connessione forte fra energia e uso dell'acqua. Negli Stati Uniti si presume che si sia riusciti ad aumentare la produzione di petrolio e invertire la tendenza degli ultimi decenni grazie all'apporto dei petroli non convenzionali, soprattutto i tanto pubblicizzati petroli di scisti, e che addirittura gli Stati Uniti potrebbero tornare ad essere un paese esportatore. Niente di più lontano dalla realtà, come ci mostra un'analisi di Gail Tverberg nel suo blog "Our finite world": in realtà, ciò che ha portato ad invertire la tendenza sono i scarsamente utili biocombustibili (in termini di energia netta). Le cose sono in realtà peggiori: i petroli di scisti sono quelli che permettono mascherare il fallimento dei gas di scisti (della cui produzione sono un sottoprodotto), ma solo se il prezzo del petrolio si mantiene elevato ed al costo di esportare miseria nel resto del mondo abusando del fatto che il dollaro è la moneta più accettata. Tenere in vita la chimera energetica ha inoltre un alto costo in termini di acqua: sistema di Fratturazione Idraulica usato per l'estrazione del petrolio e del gas di scisti richiede delle grandi quantità di acqua (secondo il Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti, da 1 a 3 barili d'acqua per ogni barile di petrolio), sottraendolo ad altri usi. Un altro problema conosciuto dello sfruttamento degli scisti è che il metodo della fratturazione idraulica inquina le falde acquifere con una gran quantità di sostanze tossiche ed inquinanti (ho sostituito il link originale con uno probabilmente più interessante per un pubblico italiano, ndT.). Questo problema, una volta generato, persisterà per molto tempo, ma non si manifesta immediatamente. In quelle zone dove si estende di più questa pratica, l'inquinamento del fracking sarà un fattore in più di degrado ambientale. La crisi di inquinamento del fracking si svilupperà negli Stati Uniti durante i prossimi decenni, il che è cruciale, vista la sua importanza nel mercato mondiale dei cereali. Ma su un lasso di tempo più breve, la grave siccità e le difficoltà di avere più acqua fossile (falde) negli Stati Uniti, uno dei più grandi produttori di cereali nel mondo, incide nel peggior modo possibile nella terza crisi di cui voglio parlare oggi, che è anche quella che con maggiore probabilità scatenerà un'ondata distruttiva globale a breve termine: la crisi alimentare. 

L'indice dei prezzi degli alimenti della FAO è un buon indicatore della carestia degli alimenti nel mondo. Questo indicatore si genera mettendo insieme il prezzo dei diversi alimenti chiave campionati nei vari paesi del mondo (in realtà nei principali mercati del mondo). Il grafico che segue ci mostra la sua evoluzione durante gli ultimi due decenni: 



L'indice dei prezzi degli alimenti della Fao è anormalmente alto dal primo picco del 2008, punto dal quale si sono scatenati disordini in decine di paesi. Nel 2011 è giunto al suo massimo storico (è una serie breve, comunque, visto che l'anno di riferimento è il 1990) e da allora è leggermente diminuito. Poco, in realtà, per i molti paesi la cui economia si sta sbriciolando rapidamente come conseguenza della nuova ondata di recessione. Ma il fatto è che in più ci si aspetta che il raccolto degli Stati uniti sia molto minore quest'anno a causa della siccità di cui parlavamo prima. Non è l'unica pressione sul mercato degli alimenti. A margine dei fattori locali (siccità anche in Europa, incendi in Russia, infestazioni in Africa...) c'è sempre la questione dei biocombustibili (ricordiamo che nel 2010 il 6,5% della produzione di cereali e l'8% della produzione di olio vegetale del mondo è stato destinato alla fabbricazione di biocombustibili). In un momento in cui i prezzi rimangono alti e minacciano di salire in qualsiasi momento, organizzazioni come Oxfam fanno un appello per placare la sete di biocombustibili dell'Occidente ed in particolare dell'Europa. Gli Stati Uniti non se ne stanno a margine di questo problema; negli anni scorsi il paese americano ha destinato il 43% della sua produzione di mais alla produzione di bioetanolo e se quest'anno provasse a mantenere la stessa quantità assoluta, la percentuale sarebbe maggiore, lasciando poco mais disponibile per altri usi (assurdo, visto che ha un EROEI ridicolo, nell'ordine di 1:1). Ed è così che i pezzi del macabro puzzle cominciano ad incastrarsi, in modo fatale per noi. Un recente studio del MIT ha scoperto una significativa correlazione fra gli alti prezzi del petrolio e lo scoppio di rivolte, come mostra il principale grafico del lavoro: 


Nel grafico ci sono, nell'asse temporale, gli episodi di rivolta in tutto il mondo, indipendentemente dalle sue cause apparenti. Questi episodi, segnati come linee tratteggiate rosse, si sovrappongono sul grafico dell'indice dei prezzi degli alimenti. Sappiamo già che l'esistenza di tale correlazioni non implica causalità (prezzi e rivolte possono, entrambi, corrispondere ad una terza causa o meglio possono esserci più cause che non sempre accadono contemporaneamente, ma nella serie data sì), anche se un tale collegamento sembra ragionevole. Tanto ragionevole che un quotidiano conservatore spagnolo ,ABC, si è fatto eco di questo studio e invoca la fame come causa più probabile delle attuali rivolte antiamericane nei paesi musulmani e di quelle degli anni passati. Quello che è realmente curioso è che questo studio del MIT ha quasi due anni. 

Nello stesso periodo in cui usciva lo studio del MIT ho scritto il post  “Rivolte della fame, anticamera del caos”. In quell'articolo andavo un po' oltre. Associavo alla cosiddetta Primavera Araba dell'inizio del 2011 con l'improvviso aumento dei prezzi degli alimenti, frutto dell'aumento del petrolio, visto che in Nord Africa ed in Medio Oriente sono molto dipendenti dall'importazione di alimenti, soprattutto da paesi con sistemi agricoli industriali, i quali consumano grandi quantità di energia, in particolare di petrolio (ricordate che secondo il professor David Pimentel, per ogni caloria di alimenti che arriva sul piatto di un occidentale sono state consumate 10 calorie di combustibili fossili). Da quello che vedo, ora si comincia a riconoscere che la causa immediata di queste rivolte non è l'arrivo di twitter, facebook o altre reti, né il logico desiderio di democrazia, ma una causa più banale e più forte della capacità di repressione dei governi: la fame. E' necessario comprendere il fatto che il nostro sistema economico e la sua struttura produttiva ci sta portando ad una situazione di carestia di alimenti  irrimediabile e sicuramente permanente, così come indica Jeremy Grantham nella sua ultima lettera agli investitori. Ed anche se in modo cinico potremmo pensare che la crisi alimentare sia solo un problema dei paesi poveri, che non possono permettersi di pagare i propri alimenti, in realtà pone in un imminente pericolo i paesi occidentali. Perché la lista dei paesi principalmente colpiti dalla sua dipendenza alimentare dall'estero ci sono i maggiori paesi produttori di petrolio al mondo, a cominciare dall'Arabia Saudita.

Abbiamo, quindi, che oltre la crisi economico e finanziaria, ci sono tre crisi gravi e profonde: quella energetica, quella dell'acqua (risultato del cambiamento climatico) e quella degli alimenti. Tre crisi che interagiscono fra loro. Ognuna di queste crisi ha ritmi diversi, ma l'aggravamento di una di esse porta con sé l'aggravamento delle altre: mancando l'energia ci spostiamo su metodi estrattivi più aggressivi, che rilasciano più CO2, consumano più acqua ed inquinano di più, aggravando il cambiamento climatico, la disponibilità di acqua potabile e la produzione di alimenti. L'avanzare del cambiamento climatico restringe l'accesso all'acqua e aggrava la crisi alimentare. E quando le condizioni di vita si fanno più dure serve più energia. La mancanza di alimenti condurrà a scoppi sociali su scala globale, a rivolte, alla caduta di governi e di stati, riducendo l'accesso globale all'energia, portando a soluzioni energetiche più pericolose e all'accaparramento e alla mala gestione dell'acqua. All'inizio gli effetti più negativi di questi processi impiegheranno da anni a decenni per realizzarsi, perché diventino visibili in tutta la loro intensità. Ma c'è un fattore extra che può accelerare tutto: l'accaparramento delle terre (land grabbing). 

In un mondo in cui le opportunità di di fare affari cominciano a scarseggiare, dove non rimangono più grandi miniere da sfruttare, il nuovo Eldorado degli investimenti internazionali, l'ultima frontiera, risulta essere la prima, la prima cosa alla quale l'uomo della Rivoluzione Neolitica diede un prezzo: la terra coltivabile. Le imprese multinazionali occidentali, le imprese statali dei paesi del Golfo Persico e della Cina si sono lanciati da oltre un decennio nell'accaparramento di terre coltivabili su grande scala e in tutto il mondo: Africa, Asia, Sud America e, più recentemente l'Europa. Il problema è particolarmente grave in Africa: il 5% di tutte le terre coltivabili è in mano a queste compagnie. In molti casi, queste compagnie approfittano della scarsa protezione legale che hanno gli agricoltori tradizionali che hanno coltivato quelle terre per generazioni. Con la cooperazione dei governi nazionali o locali corrotti, dalla notte al mattino gli agricoltori si vedono espropriati del povero sostentamento che da da mangiare, in molti casi, a diverse famiglie. In altri paesi, il comportamento di queste compagnie è più “civile”, anche se il risultato è lo stesso. Il problema dell'accaparramento delle terre è un dramma di intensità planetaria che, tuttavia, passa in sordina in tutti i media di comunicazione occidentali, forse come brve rassegna occasionale nella sezione “Società”. Perché queste compagnie vogliono così tante terre? In alcuni casi (Paesi del Golfo Persico o Cina), per assicurare la propria sicurezza alimentare. Così, grazie ai petrodollari, questi paesi stanno stanno esportando la fame che ci sarebbe nei loro territori insostenibili. In altri casi, per incrementare la produzione globale di biocombustibili, principalmente soia, visto che è la cosa di cui si ha più bisogno adesso è il diesel. E questo nonostante l'EROEI della soia sia molto basso (da quanto si può verificare, inferiore a 2:1) e non si può giustificare la sua produzione se non con le enormi sovvenzioni fornite da Stati Uniti ed Europa e dall'obbligatorietà che nei carburanti commercializzati ci sia una percentuale di biocombustibile nella miscela. E in altri casi le compagnie si accaparrano la terra semplicemente perché sono attivi che si rivalorizzano, cioè, le comprano non con l'intenzione di coltivarle, ma di speculare. 

Vediamo, pertanto, che la risposta ai problemi complessi che abbiamo di fronte è solo una: più BAU. Scarseggiano gli alimenti? Accaparriamoci le terre e coltiviamole in modo industriale, nonostante l'evidente insostenibilità, non tanto a lungo termine, ma anche a breve termine in uno scenario di prezzi del petrolio alti. Manca l'acqua? La desalinizziamo in modo massiccio (ributtando la salamoia prodotta in mare e portando così uno squilibrio negli ecosistemi delle coste) o la trasportiamo da grandi distanze (impoverendo le risorse idriche di altre zone), tutto ciò con grande consumo di materiali ed energia. Si scioglie l'Artico e la Groenlandia? Fantastico: possiamo saccheggiare le loro risorse minerarie. Ma l'approccio BAU è straordinariamente miope. Tanto miope che è incapace di vedere che le sue proposte non possono mantenersi che per pochi anni, forse per pochi mesi. E prepara così uno scenario da incubo verso il quale avanziamo a ritmo esponenziale. 

E' ovvio dove finirà tutto questo, dove ci sarà la rottura. Tutti questi movimenti si manifestano diminuendo la disponibilità di alimenti per la maggioranza della popolazione del pianeta, perché l'accesso ad essi è stato accaparrato direttamente o indirettamente (acqua, prezzo, …) e il prodotto risultante è diretto ad alcuni mercati concreti e ristretti: Occidente, paesi del Golfo, Cina... Ma gli alimenti non sono una commodity in più, non stiamo parlando di restringere l'accesso all'I-phone o alla macchina. Per quanto tempo pensiamo di mantenere questa situazione? Davvero crediamo che la gente si lascerà morire di fame? Accetterà di veder morire di fame i propri figli ed i suoi genitori? 

Jeremy Grantham lo dice chiaramente nella lettera trimestrale ai suoi investitori: Benvenuti a Distopia. Un nuovo mondo dove i problemi alimentari sono strutturali, ricorrenti e peggiorano col tempo. Dove il sovrasfruttamento delle falda acquifere porta alla sua salinizzazione e far diventare le terre sterili. Dove l'eccesso di aratura industriale e l'uso di fertilizzanti industriali degrada lo strato vivo del suolo, minacciando di desertificare le terre coltivabili. Dove gli alti prezzi degli alimenti  faranno in modo che la maggioranza della popolazione del mondo non abbia accesso ed una quantità minima di alimenti. Un mondo dove la violenza e i grandi movimenti migratori, su una scala senza precedenti, saranno normali. Benvenuti in un mondo dominato dalla guerra e dalla fame. 

Nel suo libro “Collasso: come le società scelgono di morire o vivere”, Jare Diamond dedica un capitolo al genocidio del Ruanda degli anni 90 del secolo scorso. E la conclusione che sembra emergere è semplice: più che l'odio razziale (in proporzione alle relative popolazioni, morirono tanti Hutu quanti Tutsi, in realtà), quello che diede impulso al genocidio è stata la mancanza di risorse, la fame. Il libro raccoglie una frase, pronunciata da un maestro Tutsi, che lo riassume molto bene: “Le persone i cui figli dovevano andare scalzi a scuola, hanno ucciso le persone che potevano comprare scarpe per i propri”. E' prevedibile che, nella misura in cui la fame si estende con più forza nel mondo, scoppino più rivolte, più conflitti e più guerre civili. Non crediate che la primavera araba sia finita coi problemi di Tinisia, Egitto e Libia... Quei paesi, ed i loro vicini, non hanno raggiunto la stabilità e non la raggiungeranno in un futuro prossimo, perché il loro problema essenziale non è la mancanza di libertà o le diseguaglianze sociali, ma la loro incapacità di dar da mangiare in modo adeguato alle loro popolazioni. E se ci fossero rivolte in Uganda o in Mozambico ci porterebbe allo stallo del nostro ricco occidente, ci importerà molto di più quando milioni di migranti di diverse provenienze busseranno alle porte delle nostre case, in cerca non di un futuro migliore, ma semplicemente di un futuro, di non morire di fame. Ma quando questa stessa instabilità colpisce paesi il cui sottosviluppo è stato per noi conveniente, perché così ci hanno esportato a basso prezzo le loro materie prime, e specialmente quando queste rivolte colpiscano i principali produttori di petrolio, allora comincerà la guerra. In Occidente e in Oriente la macchina della propaganda è ben lubrificata dopo decenni passati a convincere del contrario di quanto accade (fumare fa bene, il cambiamento climatico è un processo naturale, il libero mercato è la soluzione a tutti i problemi, il progresso umano è inarrestabile, si stanno prendendo le misure per porre fine alla crisi, questa crisi finirà presto, viviamo nel migliore dei mondi possibili...) si impegnerà a fondo per convincerci che le rivolte che scoppieranno ovunque contro le imprese occidentali che si accaparrano il sostentamento dei paesi depredati, sono in realtà attacchi terroristici perpetrati da pericolosi estremisti. E quando qualche grande produttore di petrolio soccomberà a causa delle contraddizioni interne, le nostre truppe intraprenderanno una guerra di occupazione dissimulata come “consenso internazionale per ristabilire il sistema legate precedentemente in vigore”, retorica per camuffare che non si pretende restaurare una democrazia che, ovviamente, prima non c'era (non ho dovuto nemmeno inventare queste espressioni: sono le stesse che sono state usate per giustificare l'intervento delle potenze occidentali quando l'Iraq ha invaso il Kuwait nel 1991). 

Tutto questo caos, tutte queste guerre, aggravano soltanto la situazione e la fame. Quante guerre contemporaneamente potrà permettersi l'Occidente? Quanti paesi dovrà occupare per poter saziare la sua sete di petrolio? Inoltre, come ha dimostrato la Libia, le guerre fanno sì che la produzione si deteriori, per mancanza di manutenzione delle installazioni, danni diretti che ricevono, mancanza di nuovi investimenti – in un momento critico come questo, nel quale per mantenerci dobbiamo investire come se non ci fosse un domani -, ecc. Abbiamo accumulato tanta tensione e tante contraddizioni nel contesto globale che, a partire dal momento in cui i problemi superino una soglia critica, un livello abbastanza elevato, si produrrà una valanga di problemi che per forza deve trascinarci nel fango della Storia. Alla fine, negli stessi paesi occidentali scoppieranno rivolte per la mancanza di alimenti alla quale credevamo di essere immuni perché pensavamo che li avremmo sempre potuti pagare (al momento solo coloro che sono finiti nella Grande esclusione sanno che la fame qui non è una chimera ). Probabilmente saranno le Guerre della Fame che metteranno in ginocchio la civiltà occidentale.

Per tutto questo capirete che mi risulta difficile credere che la nostra evoluzione sarà tanto positiva quanto la mettiamo su carta. Piani basati su un'evoluzione dolce e progressiva delle condizioni, cosa per oggi impossibile data tutta la tensione accumulata, le retroazione fra tutti i fattori negativi e la determinazione suicida del BAU. Non ci resta molto tempo. Possono essere mesi, forse anni, prima che lo scoppio della fame mondiale, il ruggito di rabbia dell'Umanità umiliata, finisca per trascinarci nel caos. Siamo ancora in tempo per invertire la situazione, se almeno ne siamo coscienti. 

Saluti.
AMT