giovedì 6 settembre 2012

Il ceco, il carbone ed il riscaldamento globale




Silvano Molfese

Trasportatore di lignite da una miniera. Repubblica Ceca

Il presidente della Repubblica Ceca Vaclav Klaus, con una forte formazione economica e con studi alla Cornell University di New York, ad Erice ha sentito la necessità di “...mettere in guardia tutti rispetto agli argomenti e agli scopi di coloro che sostengono il pericolo del riscaldamento globale del pianeta Terra. Proprio i loro argomenti e i loro scopi sono molto simili a quelli con cui noi eravamo abituati a vivere per decenni sotto il regime comunista.” (*)

Mi è venuto in mente il decalogo dell’antibufala scientifica, preparato da Aspo Italia, dove si legge ”Domandatevi quale è l’interesse di chi vi parla” e cosi sono andato a cercare cosa si produce nella Repubblica Ceca sul Grande Atlante - National Geographic.

La Repubblica Ceca estraeva 6,2 tonnellate procapite di carbone cioè circa venti volte la produzione procapite di carbone della Germania (pari a 0,31 tonnellate procapite di carbone). La produzione procapite di lignite della Repubblica Ceca, 4,98 tonnellate, è più che doppia rispetto a quella della Germania, 2,17 tonnellate (**).
Con le dichiarazioni fatte Vaclav Klaus pensa di difendere gli interessi dei suoi concittadini.

Rammento innanzitutto che l’ambientalismo scientifico prende piede negli USA con il libro “Primavera Silenziosa” di Rachel Carson pubblicato nel 1962: se dovessi citare solo i nomi degli autori anglosassoni dai quali ho appreso tante cose sulle problematiche ambientali negli ultimi 25 anni, forse non mi basterebbe un’intera pagina. Non mi viene in mente invece nessun nome russo dell’epoca sovietica né alcun nome della Russia contemporanea.

Bruciare carbone è quanto mai dannoso per le elevate quantità di biossido di carbonio (CO2 ) emesse in atmosfera. Il riscaldamento globale è una dura realtà, rischiosa per il futuro di tutta l’umanità: anche per i cittadini della Repubblica Ceca. E’ pericoloso quanto una guerra nucleare.
Un esempio: dal 1910 al 2009 nello Stato del Montana (USA) sono scomparsi quattro ghiacciai su cinque; è una riduzione dell’80% (Brown, 2011). La riduzione dei ghiacciai, fenomeno esteso a tutto il pianeta, vuol dire meno acqua per i terreni e quindi meno pane: ma le bocche da sfamare, 7 miliardi, sono in aumento.
I sistemi naturali supportano l’economia e non viceversa: volenti o nolenti dobbiamo fare i conti con i limiti del pianeta Terra.

Un commento a questo post su "Ogni Resistenza è Futile"

(*) Corriere della Sera, 21 agosto 2012, pag. 17

(**) I dati su carbone e lignite sono del 2002 per la Repubblica Ceca; per la Germania sono relativi al 2004. La popolazione della Repubblica Ceca era pari a 10.220.000; in Germania gli abitanti erano 82.689.000; dati riferiti al 2005.

L.R. Brown, 2011 - Un Mondo al bivio. - Edizioni Ambiente, 84

lunedì 3 settembre 2012

Una recensione de "La Terra Svuotata"



Col passare del tempo l'uomo ha iniziato a scavare fin nelle profondità del sottosuolo per procurarsi materiali sempre più raffinati

terra svuotata
"La Terra svuotata – Il futuro dell'uomo dopo l'esaurimento dei minerali ricostruisce tutta la storia dell'attività mineraria umana



Da "Il Cambiamento"

La terra svuotata. Il futuro umano dopo l'esaurimento dei minerali

"Abbiamo estratto come mai nelle ere precedenti, abbiamo letteralmente prosciugato il pianeta senza preoccuparci del futuro, estinto intere specie, mutato drasticamente l'ambiente e l'equilibrio del nostro ecosistema e siamo sommersi dai nostri rifiuti. Riusciremo ad affrontare le sfide di un imminente futuro in cui i combustibili finiranno?". Ugo Bardi nel suo libro La Terra svuotata ricostruisce la storia dell'attività mineraria umana, dall'età della pietra all'era del petrolio.

 

di Andrea Romeo - 10 Agosto 2012


“Per arrivare a gestire il nostro pianeta in modo sostenibile, quello che ci occorre piú di tutte è una cosa che non si esaurisce: la saggezza”


In questa frase è forse racchiuso tutto il senso di "La Terra svuotata – Il futuro dell'uomo dopo l'esaurimento dei minerali (Editore Riuniti) di Ugo Bardi, un affascinante viaggio che parte innanzitutto dagli inferi remoti della Terra per ripercorrere dunque la storia del genere umano attraverso il suo rapporto con le risorse del sottosuolo.

Ci raccontano di uomini che hanno forgiato spade invincibili, di grandi esploratori che si sono spinti in luoghi fantastici e distanti e di poeti che hanno decantato le belle amanti ornate di gemme preziose, ma queste storie non avrebbero mai preso vita senza le profonde miniere sotterranee ed il lavoro dei minatori che, dietro le quinte della storia, vivevano in quei profondi tunnel oscuri.

Esploriamo gli abissi come i pesci, tessiamo tele come i ragni, voliamo come gli uccelli, ma pochi riflettono sul fatto che tutte le attività umane, dall'agricoltura all'esplorazione dei mari e degli astri fino alla comunicazione via rete, non sarebbero mai state possibili senza l'utilizzo di strumenti e tecnologie che derivano e dipendono dalla lavorazione dei minerali. Fin dalla notte dei tempi l'uomo ha infatti raccolto pietre per usarle a proprio vantaggio: “fondamentalmente la nostra civiltà è una civiltà di minatori”.

Col passare del tempo l'umanità ha iniziato a scavare fin nelle profondità del sottosuolo per procurarsi materiali sempre più raffinati: nessuna attività ha richiesto tanta energia e fatica come quella dell'estrazione di materie prime. “Siamo partiti circa due milioni e mezzo di anni fa quando i nostri antenati hanno cominciato a raccogliere le pietre che gli servivano come strumenti da taglio e da percussione”: da allora non ci siamo più fermati.

I grandi imperi poggiano essenzialmente sulle loro materie prime, e sempre queste hanno permesso cambiamenti epocali nella storia della nostra civiltà. Dall'Impero romano all'Eldorado spagnolo, dall'Impero britannico del carbone e della rivoluzione industriale fino al recente Impero petrolifero e del nucleare americano, tutta la nostra storia ed il nostro destino sono intrecciati e connessi con quelli delle risorse che utilizziamo, e le guerre sono essenzialmente per e tra le materie prime.

“A Waterloo, nel 1816, il carbone inglese si scontrava contro quello francese. La vittoria andava a quello inglese, che era il piú abbondante. […] Nel 1914, il carbone inglese si scontrava con quello tedesco nella prima guerra mondiale. Era uno scontro quasi ad armi pari, ma il carbone inglese, pur in declino, era sempre piú abbondante di quello tedesco; che ne ebbe la peggio.”

Adesso ci troviamo davanti un bivio. Abbiamo estratto come mai nelle ere precedenti, abbiamo letteralmente prosciugato il pianeta senza preoccuparci del futuro, estinto intere specie, mutato drasticamente l'ambiente e l'equilibrio del nostro ecosistema e siamo sommersi dai nostri rifiuti. Riusciremo ad affrontare le sfide di un imminente futuro in cui i combustibili finiranno?

La rivoluzione industriale sarà stata solo una parentesi nella storia dell'umanità e quindi ritorneremo ad un nuovo medioevo o riusciremo ad orientare la nostra società verso un rapporto più sostenibile con il pianeta in tempi relativamente ragionevoli? Dovremo continuare a seguire il profitto esasperato o cominciare ad orientarci verso modelli economici alternativi e fonti di energia eco-sostenibili prima che i fossili si esauriscano o che il cambiamento climatico ci distrugga?

Secondo Ugo Bardi, “sulla risposta a queste domande si gioca la sopravvivenza di noi stessi e dei nostri figli, nonché dell’intera civiltà umana”.

domenica 2 settembre 2012

Smentito il Picco del Petrolio? Il Meccanismo della Negazione al Lavoro

Da Cassandra's Legacy. Traduzione di Massimiliano Rupalti.
La pubblicazione del rapporto dal titolo “Petrolio: la prossima rivoluzione”  di Leonardo Maugeri è diventata virale ed ha generato un'ondata di risposte tutte incentrate sul tema che “il picco del petrolio è stato smentito”. Potremmo assistere ad una ripetizione della campagna di negazione che, negli anni 90, ha gettato “I Limiti dello Sviluppo” nella pattumiera delle teorie scientifiche sbagliate.


Nel 1989, Ronald Bailey ha pubblicato un articolo su “Forbes” nel quale attaccava lo studio del 1972 “I Limiti dello Sviluppo” dicendo che: “I Limiti dello Sviluppo” hanno previsto che ai tassi di crescita del 1972 il mondo avrebbe terminato l'oro nel 1981, il mercurio nel 1985, lo zinco nel 1990, il petrolio nel 1992 e rame, piombo e gas naturale nel 1993”.

Nessuna simile affermazione era contenuta nel libro dei “Limiti”, tuttavia l'attacco di Bailey ha avuto un incredibile successo. E' diventato virale ed è stato ripetuto in continuazione da gente che non si è mai preoccupata di verificarne il contenuto. Alla fine ha generato la leggenda degli “errori del Club di Roma”, ancora viva e vegeta oggi, che sta alla base della diffusa opinione negativa sullo studio dei “Limiti” (questa storia è descritta qui, così come nel mio libro “I Limiti dello Sviluppo Rivisitati”).

La demolizione dei “Limiti” rimane oggi un esempio classico del meccanismo della negazione nella comunicazione scientifica, come descritto, per esempio, da Naomi Oreskes ed Eric Conway in “Mercanti di Dubbio”. Meccanismi analoghi hanno lavorato contro la scienza del clima, contro gli studi sugli effetti sulla salute del fumo, contro studi sull'inquinamento ed altro. Tuttavia, l'idea che siamo vicini al picco di produzione mondiale del petrolio (Picco del Petrolio) era rimasta finora immune da questo tipo di negazione. 

Questo potrebbe cambiare con la pubblicazione del recente studio di Leonardo Maugeri dal titolo “Petrolio: la prossima rivoluzione” che ha generato un vero e proprio tsunami di post ed articoli tutti basati sul concetto che “il Picco del Petrolio è stato smentito”. Potremmo assistere ad un effetto “palla di neve” simile a quello causato dall'articolo del 1989 di Bailey che ha distrutto la credibilità de “I Limiti dello Sviluppo”. 

Per chiarire il mio punto di vista, lasciatemi dire che lo studio di Maugeri è serio. Di sicuro, può essere criticato (per esempio qui, qui e qui), ma è molto meglio del pezzo di pura calunnia di Bailey o di altri pezzi di propaganda indirizzatei, per esempio, alla scienza del clima. Ma questo ha poco a he vedere col meccanismo della negazione. Il problema è che gran parte della gente – compresi coloro che prendono le decisioni – non hanno tempo, inclinazione e competenza per andare in profondità in problemi come l'esaurimento delle risorse. Così, quando affrontano un problema complesso e ricco di sfumature, tendono a scegliere l'interpretazione che piace loro di più – è chiamato il “pregiudizio di conferma”. Ora, sicuramente le buone notizie sono meglio delle cattive e per molta gente uno studio apparentemente autorevole che dice che non stiamo finendo il petrolio è preferibile ad uno di oscurità e rovina tipico di gran parte degli studi sull'esaurimento. 

Il problema è che le tesi di Maugeri sono basate su ben poco: principalmente su una nuova valutazione delle riserve di petrolio che tengono conto delle cosiddette risorse “non convenzionali”. Di recente, la crescita in questo settore è stata rimarchevole, vero, ma tutto ciò che che questa “rivoluzione petrolifera” è riuscita a fare finora è evitare il declino che sarebbe avvenuto se ci fossimo affidati al solo petrolio convenzionale. Tuttavia, il fatto che non abbiamo visto un picco ben definito nella produzione del petrolio mondiale è sufficiente a dare peso all'idea di Maugeri. Paradossalmente, i numerosi tentativi di criticare lo studio potrebbero essere stati controproducenti, dandogli la visibilità che non merita. 

Un paio di decenni fa la gente ha cominciato a riferirsi allo studio dei “Limiti dello Sviluppo” come “all'errore del Club di Roma”. Assisteremo al Picco del Petrolio come “all'errore di ASPO”?. E' troppo presto per dirlo, ma possiamo escludere questa possibilità. Specialmente se i prezzi del petrolio dovessero collassare nel prossimo futuro – come hanno fatto nel 2008 – molta gente potrebbe prenderla come una vendetta della tesi di Maugeri. Non importa se il collasso dei prezzi causerà anche un declino della produzione – come lo stesso Maugeri dichiara chiaramente nel suo studio. Molta gente percepisce i problemi col petrolio solo in termini di prezzo, non di produzione. Se vedremo lo sviluppo di questo tipo di eventi, ci vorrà molto tempo e sforzo per porre rimedio alla percezione generale sul Picco del Petrolio, proprio come c'è voluto molto tempo e sforzo per combattere la percezione che lo studio dei “Limiti” fosse “sbagliato”. 

D'altra parte, il lavoro di Maugeri potrebbe venire semplicemente dimenticato quando sarà chiaro che la “rivoluzione petrolifera” che ha previsto non sta avvenendo. La comunicazione è un campo in cui la previsione è sempre molto difficile, anche di più che con la produzione di petrolio. La sola cosa che possiamo dire con certezza è che siamo sensibili alla diffusione virale di leggende. E' il modo in cui funziona la nostra mente, non si è evoluta per la pianificazione a lungo termine.  








sabato 1 settembre 2012

La tecnologia non è energia


Da The Oil Crash. Traduzione di Massimiliano Rupalti


Di Antonio Turiel

Cari lettori, 

ultimamente mia figlia si è affezionata alla serie di cartoni animati che si chiama “Phineas e Ferb” (in realtà l'unica che vede la televisione in casa è lei): Viene trasmesso da un canale famoso per l'intrattenimento dei bambini ed ha la virtù di avere degli ammiccamenti divertenti – senza il bisogno di essere piccanti o scabrosi – agli adulti che stanno di fianco ai bambini. Buona strategia, sicuro, perché così alla fine i genitori spingono i figli a vedere quelle serie che divertono anche loro. In fondo, l'argomento di questa serie è abbastanza semplice: nei sobborghi di New York, mentre i loro genitori sono fuori casa, due fratellastri occupano l'estate costruendo i più inverosimili e grandiosi gadget (delle montagne russe che attraversano la città, un razzo spaziale, …) mentre la loro sorella maggiore cerca invano di svelarlo alla madre – fallendo sempre perché le creazioni dei suoi fratelli, non importa quanto siano colossali, spariscono sempre, generalmente come risultato di una trama parallela che vede uno scienziato malvagio e la mascotte di famiglia (inverosimilmente, un ornitorinco) che è in realtà un agente segreto. La serie, naturalmente, è molto fantasiosa e la costruzione del giorno è una scusa per sviluppare una trama ingegnosa e divertente. Tuttavia, questa serie in particolare illustra, meglio di tante altre, il grave problema che la nostra società ha nella comprensione della natura.

Il sottinteso della serie è che due ragazzi dei sobborghi, ingegnosi e decisi, possono eseguire in tempo record qualsiasi progetto di cui venga loro voglia, non importa quanto sia smisurato. C'è, naturalmente, la questione dei soldi (l'azione comincia solitamente con lo scarico di vari camion e il tipico tormentone), ma si sottintende che i ragazzi, come frutto delle invenzioni precedenti, probabilmente disporranno di grandi fondi, anche se in realtà si parla poco di soldi in questa serie che, non dimentichiamolo, è per bambini. Naturalmente è una licenza per rendere più agile la narrazione di ogni episodio (che dura solo 12 minuti, così che capirete la premura). Tuttavia, è questo tipo di programma che serve a formare gli archetipi che configurano la narrativa della società ed è ciò che spiega perché ci troviamo così spesso con atteggiamenti fanatici di tecno-ottimismo. 

La ragione di fondo dell'impossibilità di fare quello che riescono a fare i due ragazzi americani in un giorno non è l'elevato costo economico del montaggio (la maggior parte della gente non lo saprebbe non tanto quantificare, quanto nemmeno intuire l'ordine di grandezza), ma il costo energetico della prodezza. Qui ci sono due dimensioni di cui tener conto. Da un lato quella materiale, quanto più acciaio, legno, viti, rivetti, vetro ecc sono richiesti, tanta più energia si dovrà consumare per trasportarli (qui non entriamo nel tema dell'energia che serve per l'estrazione e la lavorazione), metterli sul posto e fissarli. Ma c'è anche un'altra dimensione, quella temporale. E cioè che la quantità di energia necessaria aumenta nella misura in cui diminuisce il tempo richiesto per la costruzione. Qui, di nuovo, interviene il fattore entropia: Come abbiamo già spiegato nel post dedicato a questa grandezza fisica, nella misura in cui la temperatura di un sistema aumenta diventa più probabile che ci discostiamo dallo stato concreto al quale vogliamo convergere. Qui usiamo “temperatura” in senso lato, intendendo tanto agitazione termica quanto i movimenti meccanici che non vanno nella direzione della creazione o del mantenimento del sistema oggettivo (come le pallonate che deformavano la rete nello stesso post). La questione è che il lavoro di Phineas e Ferb non richiede solo una grande energia, ma anche una grande potenza (visto che devono concludere l'impegno entro una mattinata) e più potenza significa più entropia, pensate semplicemente che se aumentassimo il numero di camion che entrano ed escono, a parte che si ostacolerebbero fra loro, renderemmo sempre più probabile una loro collisione. 

Così allora, aumentando la potenza dobbiamo consumare ancora più energia, che sia per compensare i danni che possa causare questo consumo o per stabilire più meccanismi di controllo e macchinari sofisticati per rendere più difficile questa dispersione, la crescita della quantità di energia necessaria per eseguire un compito in minor tempo va molto pià in fretta man mano che si accorcia il passo per eseguire l'opera: pensate, per esempio, alle montagne russe che montano nel primo episodio e che attraversano tutta la città. Anche dispiegando un esercito di uomini e di macchinari sarebbe impossibile, coi mezzi odierni, eseguire una tale prodezza, si potrebbe solo se praticamente ogni palmo dell'installazione fosse aggiudicato ad una squadra e questa lavorasse con un tale grado di precisione che la giunzione della sua parte coincidesse perfettamente con quella degli altri e, allo stesso tempo, le sue macchine non disturbassero quelle degli altri. 

E' ovvio che la seria non vuole e non deve essere così sottile, ma, come dicevo, illustra bene i mali della nostra società. Vediamo il giardino di Phineas e Ferb occupato da giganteschi cubi di combustibile che dovrebbero fornire tutte le macchine pesanti che dovrebbero operare. Non vediamo le decine di gru che dovrebbero usare per sollevare tutti quei pesi o le centinaia di escavatrici che servirebbero a spianare il terreno. Per il bene dello spettacolo si ovvia alla prosaica necessità dei mezzi materiali richiesti. 

L'energia è un fluido magico e invisibile che serve a muovere tutto, senza il quale niente funzionerebbe e, naturalmente, abbiamo talmente interiorizzato la sua disponibilità illimitata e a buon mercato che non ci rendiamo conto fino a che punto le nostre aspettative dipendono dal fatto che si mantenga questo stato di cose. Quando cominciamo a parlare di problemi dell'energia con qualcuno che è disinformato è comune che questi evochi la 'soluzione energetica' più di suo gusto, che sia il nucleare di fusione o fissione, o le energie rinnovabili nel loro insieme o nelle sue singole opzioni, o l'economia dell'idrogeno o i biocombustibili. Tale 'soluzione' è essenzialmente la promessa che un certo sviluppo di laboratorio, che secondo il tal quotidiano generalista è stato un successo, finirà per portarci all'Eldorado logico dell'energia senza limiti. Lasciando da parte la questione per la quale il consumo di energia semplicemente non può aumentare all'infinito in un pianeta finito, c'è la questione non meno importante che tutti questi esperimenti di laboratorio danno per scontata l'abbondanza energetica direttamente (per l'energia che consuma il processo di fabbricazione) o indirettamente (per l'abbondanza di determinate materie prime che in realtà sono sfruttabili solo grazie al petrolio a buon mercato – abbiamo già discusso il caso del neodimio come un ulteriore esempio della sottaciuta guerra per le terre rare). In qualche modo, gli autori riconoscono il basso rendimento energetico della propria soluzione (misurato attraverso il Ritorno Energetico sull'Investimento Energetico o EROEI), quando dicono che la loro tecnologia non è ancora redditizia, che è troppo cara (ricordiamo che il rendimento economico è sempre inferiore a quello energetico). Ovviamente, i coraggiosi ricercatori sperano che il progresso tecnologico abbatta i costi, ma qui di nuovo l'accento si pone sulla questione economica e non su quella energetica e così lo sviluppo tecnologico tende generalmente a diminuire l'EROEI, non ad aumentarlo. In definitiva, nemmeno i ricercatori che lavorano su questo tipo di problemi sono normalmente consapevoli di partire dalla premessa che l'energia è abbondante e conveniente, il che rende drammaticamente inutili le loro proposte rispetto al futuro che ci si presenta. 

Dobbiamo capire una cosa: la tecnologia non è un sostituto dell'energia. Con la tecnologia possiamo realizzare un miglior sfruttamento dell'energia, ma tale miglioramento ha dei limiti che si incontreranno piuttosto presto (abbiamo da poco discusso quelli delle macchine termiche ed  altri limiti simili affliggono gran parte delle tecnologie che sia nucleare, eolica o fotovoltaica, per fare tre esempi). Quando si constata questo problema, una delle risposte usuali è paragonare il progresso della tecnologia energetica con quello della tecnologia informatica: se in così poco tempo siamo potuti progredire così tanto a livello computazionale, perché non potremmo fare la stessa cosa con l'energia? Si tratta di un ulteriore caso di eccessiva estrapolazione e se si guardano bene le tecnologie energetiche, oggi sono di poco più sofisticate di quanto lo fossero un secolo fa. La generazione di elettricità negli impianti termici, indipendentemente dalla tecnologia, consiste nel far bollire l'acqua in un bollitore e col vapore che ne risulta far muovere una turbina e questo vale anche se il combustibile usato è quello nucleare (in una occasione, durante un discorso sulle reti energetiche del futuro, il Segretario di Stato per l'Energia degli Stati Uniti, Steve Chu, ha detto che se Thomas Alva Edison resuscitasse sarebbe in grado di riconoscere una centrale elettrica). Insomma, il discorso del progresso tecnologico inarrestabile basato sull'ingegno alla Phinaes e Ferb non ha valore in molti casi, in particolare in quelli delle tecnologie energetiche. In altri casi, l'ottimista di turno mette sul tavolo i numeri del rendimento di una determinata fonte di energia, assumendo così che è efficiente. Tuttavia, il calcolo del EROEI ingloba tutto il ciclo di vita della fonte in questione e l'inclusione di materiali rari che rendono più efficiente un aerogeneratore o una centrale nucleare può ottenere l'aumento dell'energia generata nell'operazione, ma a costo di consumare più energia di quanta ne guadagniamo semplicemente per produrre quel materia prima cruciale per la nuova tecnologia. Di nuovo, senza fare un calcolo del EROEI non è possibile sapere se la tecnologia risulta veramente redditizia in termini energetici. Tendiamo a pensare, per ultimo, che sia normale e facile avere lamiere d'acciaio e lingotti di alluminio, tanto cemento e cavi di rame a nostra volontà e così con tante materie prime industriali. Tuttavia, nel sempre più grande marasma economico nel quale stiamo precipitando, questi materiali si venderanno meno, si chiuderanno fabbriche, la produzione diminuirà e pertanto rincarerà, al punto che alcune nuove tecnologie proposte non saranno più convenienti. Senza un consumo su grande scala, molti dei nostri progetti di futuro non hanno semplicemente senso perché non beneficeranno più dell'economia di scala.

In sintesi, pensiamo che la tecnologia ci salverà da qualsiasi ostacolo pur rimanendo le stesse limitazioni energetiche. A creare questa visione hanno contribuito molti economisti, che hanno sviluppato una bella teoria sull'utilizzo delle risorse che, ovviamente, non contempla limiti. Di fatto non smette di sorprendere che quando si discute sui limiti energetici del nostro futuro i primi che cominciano a parlarti di soluzioni tecnologiche meravigliose, non comprendendole, siano gli economisti. Tutto pur di non accettare che ci sono dei limiti, che non si vive di solo ingegno industriale, che l'economia non può crescere per sempre e che questa crisi non finirà mai. 

Saluti.

AMT














giovedì 30 agosto 2012

Il Picco dei Negazionisti

Di Richard Heinberg. 

Da Energy Bulletin. Traduzione di Massimiliano Rupalti


In questi giorni, non si legge altro che “Tristi notizie per i Discepoli del Picco del Petrolio”, secondo il Financial Post.
L'ultimo esempio:Leonardo Maugeri, un membro del Geopolitics of Energy Project al Belfer Center for Science and International Affairs della Kennedy School — e critico di lungo corso dell'analisi del Picco del Petrolio – ha appena pubblicato un nuovo rapporto, “Petrolio: La Prossima Rivoluzione”, nel quale prevede un netto aumento della capacità produzione mondiale di petrolio e il rischio di un collasso del prezzo del petrolio. Il suo rapporto ha innescato una valanga di articoli di stampa con titoli come “Nessun Picco del Petrolio in Vista”, “Il potenzale boom petrolifero statunitense scuote le politiche energetiche,” e “Il Picco del Petrolio Semplicemente non è più una Minaccia”.

Queste seguono a ruota una serie di altri articoli che propagandano un aumento di produzione di petrolio da depositi di scisti “tight” negli Stati Uniti – pezzi con titoli tipo “Il  Picco del Petrolio ha raggiunto il Picco?” e “ L'idea del Picco del Petrolio è Morta?” E quelli che a loro volta cavalcano l'onda del largamente festeggiato libro di Daniel Yergin "The Quest", che ha foraggiato una frenesia contro il Picco del Petrolio nei media lo scorso anno.

Il recente diluvio di trionfalismo cornucopiano ha provocato alcune risposte riflessive, comprese “L'idea di Picco del Petrolio ha... raggiunto il picco?” e “Il Picco del Petrolio è Morto?”, entrambi i quali vagliano le prove e concludono che la produzione mondiale di petrolio si comprende meglio se visto attraverso le lenti dei “picchisti” piuttosto che da quelle degli occhiali rosei dei detrattori del Picco del Petrolio.

Non c'è dubbio che i picchisti continueranno a produrre articoli riflessivi, ben ragionati e pieni di fatti che delucidano la precarietà delle forniture globali di energia. Tuttavia, il gran numero e la loro prominenza mediatica dei pezzi “Niente Picco del Petrolio” (sul Wall Street Journal e New York Times, persino su NPR – National Public Radio) sta avendo effetto. I siti picchisti hanno un declino del traffico in rete. E mentre ora molta più gente ha sentito parlare del Picco del Petrolio che non pochi anni fa, molti credono, sbagliando, che la sua assunzione fondamentale sia stata in qualche modo “smontata”.

Coloro fra noi che sono stati dietro a questa discussione per più di un decennio – dai giorni nei quali il geologo petrolifero Colin Campbell ha coniato la frase “Picco del Petrolio” e il “movimento” consisteva più che altro in discussioni quotidiane su un'oscura mailing list – hanno visto crescere la cosa come un fenomeno di specie, con libri, newsletter, siti web organizzazioni dedite sia all'analisi sia all'attivismo come cittadini. Evidentemente la crescente preoccupazione del pubblico circa l'inevitabile declino della produzione mondiale di petrolio ha infastidito qualche personaggio potente che ha annodato le proprie corde in cerca di un po' di dati favorevoli (declino dei prezzi del petrolio, crescita della produzione) per usarli come pretesto per un linciaggio pubblico. La mentalità cornucopiana è sicuramente diffusa fra i leader nell'industria del petrolio  (Rex Tillerson, Amministratore delegato di ExxonMobil, recentemente ha detto su cambiamento climatico e sicurezza energetica “Noi [esseri umani] abbiamo passato la nostra intera vita ad adattarci. Ci adatteremo... è un problema di ingegneria e ci sarà una soluzione ingegneristica”). Ma una simile incapacità di immaginare null'altro che finali felici è diffusa anche fra molti ambientalisti, come ho avuto modo di imparare lo scorso fine settimana all'Aspen Environment Forum, dove ho avuto un dibattito con Mark Lynas, autore di "Sei Gradi" e di "Le Specie di Dio". Mentre gli ambientalisti vengono spesso accusati di essere allarmisti, essi possono anche manifestare un tratto di tecno-ottimismo 'si può fare'. Stewart Brand (fondatore di Whole Earth Catalog), che è stato un altro relatore alla conferenza si è trasformato in un futurista pro-nucleare, pro geo-ingegneria e verde brillante. Jim Kunstler, anch'egli ad Aspen, ha riassunto il suo punto di vista sull'evento: “Il tecno-narcisismo scorreva come uno Slurpee fuso (una specie di granita). . . .

Nel corso del dibattito, Lynas più di una volta ha citato una litania sulle previsioni sbagliate dei pessimisti, a cominciare da Malthus. Analogamente, Daniel Yergin ha guadagnato punti dichiarando che le profezie di un picco di produzione di petrolio nel mondo sono state provate come sbagliate ad ogni piè sospinto per un secolo o più. E' strano che le previsioni sbagliate degli ottimisti abbiano un'attenzione pubblica così insignificante al confronto, dato che sono almeno altrettanto numerose. L'esempio più rilevante: intorno al 1998, quando la discussione odierna sul Picco del Petrolio era appena agli esordi, la Intenational Energy Agency (IEA), il Dipartimento Americano per l'Energia e l'USGS (United State Geological Survey) avevano fatto tutti previsioni dicendo che la prosduzione mondiale sarebbe cresciuta costantemente fino a raggiungere i 120 milioni di barili al giorno nel 2020, mentre i prezzi sarebbero rimasti ad un livello di 20$ al barile (in dollari del 1998) anche oltre quella data. Nel 2004, quando era già chiaro che quelle previsioni non avevano alcuna opportunità di realizzarsi, Daniel yergin ha dichiarato che i prezzi del petrolio sarebbero rimasti a 40$ al barile per i successivi 15 anni, né l'IEA, né la DOE né l'USGS né Daniel Yergin hanno previsto una situazione nella quale la produzione di petrolio greggio avrebbe raggiunto un plateau per 7 anni a cominciare dal 2005 o nella quale i prezzi sarebbero schizzati fino ai 147$ a barile come hanno fatto nel 2008. Sì, alcune delle previsioni sul Picco del Petrolio della produzione mondiale secondo le quali il declino sarebbe cominciato fra il 2005 e il 2008 erano premature, ma è ovvio che i picchisti abbiano avuto punti di vista più precisi e utili sui livelli dei prezzi e della fornitura del petrolio mondiale durante lo scorso decennio. Quindi è umanamente comprensibile perché il risentimento si sia consolidato fra gli Yergin ed i Maugeri del mondo.

E così, uno zampillo di nuova produzione da depositi scistosi di “tight” ora serve da pretesto per dicharare vittoria. I picchisti avrebbero dovuto vederlo arrivare, dopotutto; gli alti prezzi del petrolio, infatti, innescano aumenti delle riserve e della produzione da risorse di qualità inferiore. Infatti, alcuni dei migliori analisti lo hanno visto arrivare. Ricordo Jeremy Gilbert, ex ingegnere petrolifero della BP, che parlava del potenziale della nuova tecnologia di produzione ad una conferenza dell'Association for the Study of Peak Oil (ASPO) un paio di anni fa. “Dei giacimenti che stiamo attualmente inseguendo ne eravamo a conoscenza da lungo tempo, in molti casi”, notava, “ma erano troppo complessi, troppo fratturati, troppo difficili da produrre. Ora la nostra tecnologia e comprensione [sono] migliori, il che è buono, perché questi giacimenti difficili è tutto ciò che ci resta”.

Il dibattito sul Picco del Petrolio non è un evento sportivo. Ciò che conta non è quale parte vince, ma quale realtà abbiamo di fronte. Vedremo il proseguimento di un plateau nella produzione globale di petrolio greggio? Quanto a lungo durerà? Quanto sarà grande in percentuale il contributo alla produzione di “tutti i liquidi” totali di sabbie bituminose, scisto ed altri non convenzionali? Quale sarà l'impatto climatico visto che il petrolio mondiale arriva da forniture sempre più derivate da risorse di qualità inferiore? E quale sarà l'impatto economico?

Noi del Post Carbon Institute speriamo di risolvere alcuni dei problemi relativi al petrolio non convenzionale in un rapporto (in uscita a settembre) di David Hughes, un seguito del suo rapporto del 2011 verifica sullo stato della produzione di gas di scisti negli Stati Uniti. Ma le più grandi domande ambientali ed economiche continueranno senza dubbio a generare incertezze per un po'.

Tuttavia, ci sono poche osservazioni che un analista energetico serio non possa contestare. I costi dell'esplorazione e della produzione petrolifera sono saliti alle stelle (la Bernstein Research stima che quest'anno l'industria abbia bisogno di prezzi nella gamma dei 100$ al barile per giustificare nuovi progetti). I giacimenti petroliferi super giganti che costituiscono ancora il 60% della produzione di greggio mondiale sono vecchi e quindi il modesto contributo di quelli non convenzionali, che ci si aspetta che siano sia cari che lenti da mettere in produzione, devono spingere contro una marea di esaurimento e declino. E' solo questione di quando il declino della produzione complessiva comincia, non se. Intanto, alcuni dei combustibili conteggiati dalla IEA nella categoria “tutti i liquidi” (etanolo, liquidi del gas naturale) hanno un'energia significativamente inferiore per unità di volume che non il petrolio greggio convenzionale. Così, un aumento in barili giornalieri di “tutti i liquidi” non necessariamente significa un aumento della quantità di energia consegnata alla società. Inoltre, tutti i combustibili liquidi non convenzionali (compresi i biocombustibili, sabbie bituminose, petrolio “duro”) offrono un basso ritorno energetico sull'energia investita per produrli (EROEI). Quindi, anche se il numero di barili di combustibili liquidi consegnati al mercato sta ancora gradualmente aumentando, la quantità di energia utile netta resa disponibile dalle industrie del petrolio e dei biocombustibili, se vengono conteggiati i costi per produrla, è probabilmente già in declino. E questo è quasi certamente vero negli Stati Uniti – la locandina promozionale per la produzione di petrolio non convenzionale. Infine, le quantità di greggio disponibili per l'esportazione stanno rapidamente declinando via via che i paesi produttori ne usano di più per il proprio consumo – lasciandone ogni anni di meno per i paesi importatori come Stati Uniti, Europa e Cina (questo tasso di declino è molto più alto che non il tasso di crescita relativamente inferiore della produzione mondiale di “tutti i liquidi”).

Intanto, l'impennata dei prezzi del petrolio ed il crollo dei rendimenti energetici reali dai combustibili liquidi hanno già lasciato una carneficina al loro passaggio, mentre un sistema finanziario globale arroccato su un monte di debito è stato affrontato colpo su colpo dal fallimento dell'economia reale nell'espandersi come ci si aspettava. Risulta che la produzione industriale ed il commercio globale dipendano dall'energia, non solo dal credito e dalla fiducia. In giugno si sono visti prezzi del petrolio più deboli, ma questo era dovuto ad un'erosione accelerata della forza economica mondiale (che porta all'aspettativa di una caduta della domanda di petrolio), non alla moderazione dei prezzi di produzione del petrolio o all'aumento della produzione sostanziale.

Come molti picchisti hanno continuato a dire, sapremo per certo quando la produzione globale di petrolio raggiungerà il picco (in termini di tasso di produzione in barili al giorno) solo quando possiamo vedere un declino costante nello specchietto retrovisore. Ma allora, sarà troppo tardi per la società per prepararsi agli impatti economici del picco del petrolio. Quindi, il “movimento” del Picco del Petrolio – non come esercizio di analisi, ma come sforzo per avvisare il mondo e prevenire la catastrofe – è destinato al fallimento? Forse. Ma per lo stesso motivo per cui lo è gran parte del movimento ambientalista, se non tutto. Non cambiamo sostanzialmente il nostro comportamento collettivo finché la crisi non ci arriva addosso.

Ma anche se non possiamo evitare una crisi, possiamo preparare una parte della popolazione alle sue conseguenze. Possiamo costruire la resilienza della comunità. Possiamo seminare le conversazioni pubbliche con l'informazione che minano l'inevitabile, riflessivo sforzo di incolpare il disfacimento economico con facili capri espiatori. Inoltre, il futuro sarà migliore se proteggiamo almeno qualche specie, qualche habitat, qualche zona selvaggia, un po' d'acqua e un po' di suolo prima del crollo dell'economia causato dall'energia, di modo da avere una base ecologica per l'attuale esistenza in assenza di macchine, aerei, iPads e di combustibile abbondante ed economico.

In breve, le cose andranno meglio per noi se resistiamo alla negazione piuttosto che se ci impegniamo in essa.