mercoledì 14 dicembre 2011

Riconoscere la scienza seria quando la vedi: il cambiamento climatico visto dagli studiosi dell'esaurimento delle risorse.


Il tavolo dei relatori alla prima sessione di ASPO-9 a Brussels. Da sinistra a destra, Pierre Mauriaud (Total); Jean-Pascal van Ypersele (IPCC); Kjell Alecklett (ASPO); Colin Campbell (ASPO); Paul Hohen (Greenpeace). Durante la discussione, Colin Campbell, fondatore e presidente onorario di ASPO, ha detto “sono convinto”, riferendosi all'intervento sul cambiamento climatico di Van Ypersele. Un buono scienziato può sempre riconoscere la buona scienza quando la vede, Sfortunatamente, sembra che molta gente coinvolta nello studio del Picco del Petrolio spesso non interagisca con la scienza del clima e la loro visione rimane legata alle distorsioni presentate dai media mainstream.


Una delle conferenze più interessanti al recente meeting sull'Energia organizzato dal Club di Roma a Basilea, è stata quella fatta da Ian Dunlop, di ASPO Australia (foto a destra). E' stato un intervento centrato più che altro sulla connessione fra energia e cambiamento climatico. Era aggiornato e diceva le cose che avevano bisogno di essere dette. Ossia, Ian Dunlop non si è vergognato di dire che il cambiamento climatico sta minacciando l'esistenza stessa della nostra civiltà e che dobbiamo fare rapidamente qualcosa in proposito. E' stata una conferenza eccellente, date un'occhiata alle slide, se avete un momento, ecco il link.

Ciò che ho trovato sorprendente sono stati i diversi commenti che ho sentito più tardi da quelli che assistevano all'incontro. Alcuni di coloro che non avevano una preparazione specifica sulla scienza del clima sembravano essere scioccati. Non sapevano, pare, che la situazione del clima è così grave e che è così urgente agire – ma ora riconoscevano il problema. Questa mia esperienza a Basilea si affianca molto bene a quella avuta a Brussels per la conferenza di ASPO-9, quando il climatologo Jean-Pascal van Ypersele ha fatto una buona relazione sul cambiamento climatico. Anche lì, la reazione di alcune delle persone che assistevano alla conferenza è stata di sorpresa: non avevano mai avuto occasione, apparentemente, di ascoltare un rapporto integrale sulla situazione del clima.

Naturalmente, non ho statistiche, ma la competenza media in scienza climatica della gente che lavora sul Picco del Petrolio e temi simili (chiamiamoli "scienziati del picco" o “scienziati dell'esaurimento” - che in italiano suona anche più sinistro, ndT). Ma la mia esperienza con questo problema è stata spesso scoraggiante: molti scienziati del picco sono gravemente indietro in quanto alle loro conoscenze circa la scienza del clima ed alcuni (solo alcuni, per fortuna!) della loro ignoranza ne fanno una bandiera, e cadono nei più ovvii trucchi della propaganda dei negazionisti o si fanno beffe dell'idea nel suo complesso con la dichiarazione semplicistica “non c'è abbastanza petrolio per il cambiamento climatico”. Ahimè, le cose sono molto più complesse di così!

Questo non significa che gli scienziati del Picco non siano gente intelligente; lo sono, assolutamente. E questo non significa che non ci sia un pregiudizio parallelo da parte degli scienziati del clima che, spesso, sembrano essere completamente ignari della situazione in termini di esaurimento delle risorse. Il punto è che tutti soffriamo di una visione ristretta. Internet è vasto ma noi tendiamo ad andare in profondità solo negli argomenti che conosciamo bene; il resto della nostra informazione proviene spesso da un misto casuale di ciò che leggiamo nei media. In questo, noi tutti soffriamo del “pregiudizio di conferma” (vedete sotto).

Quindi, quello che vi arriva dai media sul cambiamento climatico è che è tutta questione di piccoli dettagli: abbiamo assistito ad un riscaldamento durante i dieci anni passati? Qual è il significato di “nascondi il declino”? Gli scienziati non avevano paura del “raffreddamento globale” negli anni 70? E così via. Anche la gente che sta dalla parte della scienza del clima spesso sembra impegnarsi nel dibattito preoccupandosi di piccoli dettagli. Quante tonnellate di CO2 possiamo risparmiare se installiamo dei vetri doppi negli edifici pubblici? Dovremmo usare il trasporto pubblico al posto dell'auto privata per gli spostamenti? Così, l'impressione generale che ti puoi fare è che il cambiamento climatico è un problema minore affetto da grandi incertezze.

Che il risultato di più di mezzo secolo di lavoro della scienza del clima sia stato ridotto a termini così ristretti sui media, è una vittoria per la negazione: è un modo per tenere la gente nell'oscurità circa ciò che sta realmente accadendo. Ma il clima non è qualcosa che possa essere fermato da finestre a doppio vetro. E' un grande sconvolgimento dell'intero ecosistema terrestre ed ha il potenziale di causarci danni enormi. Il problema deve essere affrontato per quello che è, nella sua complessità, e con il rischio che ne viene. L'incertezza non è una scusa per non fare nulla: quello che non sappiamo è ciò che è più pericoloso per noi.

Perciò, è molto bello vedere che uno scienziato di valore può sempre riconoscere la scienza seria quando la vede. Questo è stato il caso di Colin Campbell (a sinistra), fondatore e presidente onorario di ASPO, che ha dichiarato al pubblico “sono convinto” dopo aver ascoltato la relazione di Van Ypersele alla conferenza di ASPO-9 a Brussels. E' stato lo stesso risultato visto per diversi colleghi all'incontro di Basilea dopo aver ascoltato l'intevento di Ian Dunlop. Ho notato anche in altre occasioni che gli scienziati del clima possono comprendere il messaggio dell'esaurimento delle risorse quando se lo vedono presentare per ciò che è. Sono buoni scienziati anche loro.

Quindi, è tempo di riconoscere la scienza seria quando la vediamo. Ed è tempo di dire a tutti come stanno le cose, proprio come ha fatto Ian Dunlop a Basilea.


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Sul pregiudizio di conferma:
Dal the Washington Post, di Ramesh Srinivasan

Abbiamo a lungo sentito dire che internet avrebbe dovuto unire le persone di diversi credi politici e culturali. Invece, nonostante l'esplosione delle voci in rete, gli utilizzatori dei social media raramente accedono ad opinioni che differiscono dalle proprie, e molti siti di social media – con la loro etica polarizzata mi piace/non mi piace o mi unisco/non mi unisco – perpetuano soltanto la cultura delle frasi fatte dei vecchi media.

Non solo i nostri amici di Facebook sono simili a noi (ci connettiamo normalmente tramite amici comuni ed interessi condivisi), ma, come ha mostrato il ricercatore Ethan Zuckerman, i siti che visitiamo riaffermano i nostri preconcetti politici e culturali. Questa omogeneizzazione arriva al meccanismo stesso del social media – ai suoi algoritmi – che misura i risultati di ricerca o i feed di Facebook secondo quello che il sistema “pensa” che l'utente troverà più interessante.

Avvicinare esperienze politiche e culturali disparate rimane una sfida per i social media. Per imparare da punti di vista divergenti, le tecnologie e le culture dei social media devono evolvere in modo da avvicinare la gente, piuttosto che tenerci in silos digitali.

Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti da un articolo pubblicato su “Cassandra's legacy”.