E' stato il presidente Jimmy Carter a dire che la crisi energetica degli anni '70 era "l'equivalente morale di una guerra". La crisi climatica ci richiede sforzi e sacrifici equivalenti a quelli per una guerra e forse maggiori. Possiamo vincerla in una società assestata sull'unico scopo di massimizzare i consumi? (foto: i marines a Iwo-Jima).
Con l'inizio della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti si impegnarono in uno sforzo economico senza precedenti. Possiamo quantificare questo impegno dalla seguente tabella tratta dal blog di Stuart Staniford "Early Warning"
Da "early warning" Variazione della spesa federale negli Stati Uniti durante gli anni della seconda guerra mondiale. GDP, (Gross Domestic Product) = PIL (Prodotto Interno Lordo)
Come si vede, in pochi anni le spese per lo sforzo bellico degli Stati Uniti sono aumentate da poco più dell'1% a oltre il 37% del PIL. In un solo anno, nel 1941, sono aumentate del 270%.Evidentemente, gli Americani hanno fatto dei grossi sacrifici. Altrettanto vero che questi sacrifici sono stati fatti senza imposizioni dittatoriali e rimanendo in un sistema democratico.
Quindi, è possibile concertare uno sforzo comune per il bene generale. Il punto che fa Staniford nel suo post è che il surplus che ha la nostra società oggi è enormemente superiore a qualsiasi cosa che fosse disponibile per i nostri antenati che vivevano in società agricole. Se riuscissimo ad avere a disposizione il 37% del PIL dei paesi industrializzati avremmo delle immense risorse per risolvere il problema climatico, quello della sostenibilità e della crisi energetica. In pochi anni potremmo invertire la tendenza verso il disastro e, in qualche decennio, risollevare il sistema industriale con nuove risorse, riassorbire parte della CO2 emessa nel passato e sterzare in modo decisivo la società umana verso la sostenibilità.
Il problema è che non stiamo facendo niente del genere. Al contrario, le risorse di quelli che dovrebbero occuparsi di problemi reali sono sprecate in futili dibattiti; disperatamente cercando di frenare la marea montante di incompetenza e di propaganda anti-scienza.
Il vero disastro che abbiamo davanti sta in questo blocco decisionale che ci condanna all'inazione. Abbiamo ancora qualche anno di tempo - una breve "finestra di opportunità" che ci potrebbe ancora consentire di concentrare le risorse rimanenti per fermare le crisi in corso. Bisogna però raggiungere un livello di consenso, di condivisione sugli scopi da ottenere e soprattutto, sul fatto che questi scopi meritano un sacrificio da parte di tutti. Al tempo della guerra, si diceva che bisogna rinunciare al burro per avere i cannoni.
Per il momento, questo consenso non l'abbiamo ottenuto. Negli esempi storici del passato, siamo riusciti a ottenerlo soltanto focalizzando l'attenzione contro un "nemico" umano. Non ci sono esempi chiari di un consenso ottenuto su costruire qualcosa piuttosto che distruggerla. Qui è la grande sfida che abbiamo davanti: costruire un consenso sulla necessità di gestire il pianeta senza distruggerlo e in modo tale che ci siano risorse disponibili per tutti.
Ci riusciremo? Per il momento, sembra di no. Ma se è vero che - come nota Staniford - oggi abbiamo risorse che nessuna società del passato aveva, è anche vero che abbiamo mezzi di comunicazione, di studio, e di modellazione anche quelli immensamente superiori a qualsiasi cosa che le società del passato avevano. Se gli imperi di una volta erano ciechi davanti al crollo che li aspettava, noi possiamo sapere cosa ci aspetta e fare qualcosa per evitare il crollo. Forse, allora, questa guerra la possiamo anche vincere.