giovedì 1 settembre 2022

Piantare alberi serve veramente a qualcosa?





Dal "Fatto Quotidiano" del 2 Agosto 2022

Sembra che si stia concludendo questa caldissima estate con i temporali che hanno alleviato un po’ la siccità e il caldo afoso, perlomeno al Nord – ma causando anche, come al solito, dei grossi danni. Se questa è la tendenza per i prossimi anni, non siamo messi bene. Negli ultimi anni, è venuto di moda piantare alberi per evitare, o perlomeno mitigare, la siccità e i disastri correlati. Ma serve veramente a qualcosa? Oppure è soltanto un modo per i politici di farsi belli?

Per prima cosa, ci dobbiamo domandare se la siccità è legata al cambiamento climatico. Una correlazione diretta è difficile da stabilire, ma i modelli ci dicono che gli eventi estremi tendono ad aumentare in frequenza con il riscaldamento globale. Quello che sta succedendo è che piove di più in inverno, a volte con risultati catastrofici, mentre piove di meno in estate, con risultati altrettanto catastrofici in termini di siccità. Questo corrisponde a quello che abbiamo visto questa estate in Italia.

Quindi, la prima ricetta contro la siccità è contrastare il cambiamento climatico. Questo si può fare riducendo le emissioni di gas serra (principalmente il biossido di carbonio, CO2), ovvero smettendo di bruciare combustibili fossili. Ma per questo, comunque vada, ci vorrà tempo. Nel frattempo, gli alberi possono darci una mano?

Certamente piantare alberi dove prima non ce n’erano ha l’effetto di assorbire un po’ di carbonio dall’atmosfera, e questo riduce l’effetto riscaldante. Tenete conto, però, che una volta che l’albero è cresciuto, non assorbe più carbonio. Se poi viene tagliato per farci pellet per le stufe, allora siamo di nuovo al punto di prima, con il carbonio assorbito che ritorna nell’atmosfera.

Ma gli alberi hanno anche effetti sul clima che non dipendono dal biossido di carbonio. Non entro qui nel discorso dell’effetto che le foreste hanno sulla temperatura dell’atmosfera. E’ una storia molto complicata, ma ci sono buoni motivi per ritenere che l’effetto complessivo sia un raffreddamento, anche se è difficile quantificarlo.

A proposito della siccità, i contadini di una volta dicevano che gli alberi “portavano la pioggia”. Avevano ragione, anche se non sapevano perché. Anche qui, la storia è complicata, ma ha a che vedere con la “evapotraspirazione”, il meccanismo con cui gli alberi pompano acqua dalle radici alle foglie. Un effetto dell’evapotraspirazione è che le foreste rilasciano enormi quantità di vapore acqueo nell’atmosfera, che in certe condizioni può ritornare a terra sotto forma di pioggia. Non solo, ma gli alberi emettono anche composti organici che tendono a formare nuclei di condensazione che, anche loro, favoriscono la pioggia. Infine, la condensazione genera la cosiddetta “pompa biotica” che porta vapore acqueo dal mare alla terra. Anche questo effetto favorisce la pioggia.

Quindi, piantare alberi dovrebbe aiutarci contro la siccità. Ma c’è un problema: in Italia, la superficie forestata è raddoppiata negli ultimi 50 anni (vedi l’articolo recente di Agnoletti e altri). E allora perché abbiamo oggi un problema di siccità che non sembra esistesse nel passato? Su questo punto, ho interpellato la collega Anastassia Makarieva, esperta di clima e di fisica dell’atmosfera. Fra le altre cose è stata lei (insieme a Viktor Gorshkov) a sviluppare il concetto di “pompa biotica”, importantissimo per capire il funzionamento della biosfera. Dice Anastassia che “c’è una soglia di concentrazione di vapore acqueo necessaria per generare la pioggia. Se il vapore acqueo emesso dagli alberi non è sufficiente per generare la condensazione, quest’acqua è perduta inutilmente. E’ quello che succede con la maggior parte delle foreste italiane. Sono il risultato di una crescita disordinata in aree prima occupate dall’agricoltura. Sono delle ‘foreste bambine’ che traspirano in un regime sotto la soglia della condensazione, quindi non generano pioggia. Invece, le foreste naturali mature traspirano quando è necessario e riducono al minimo le fluttuazioni del ciclo dell’acqua, le ondate di calore, la siccità e le inondazioni”.

In sostanza, serve a poco piantare alberi più o meno a casaccio per combattere la siccità. Come sempre, le vere soluzioni non sono quelle più semplici, ma una volta capito come stanno le cose, ci possiamo lavorare sopra in molti modi. Uno dei più efficaci (anche se non il solo) è creare foreste mature e vitali che possano fare il loro mestiere di regolare le fluttuazioni del ciclo dell’acqua. Dopotutto, anche le “foreste bambine” prima o poi diventeranno grandi. Ma solo se le lasciamo crescere in pace.

sabato 27 agosto 2022

Il Problema della Scienza sono gli Scienziati



Un articolo di Steve Templeton, dal suo blog "Fear of a Microbial Planet" (L'avevo già postato un anno fa, ma mi sembra sempre attuale, e quindi è il caso di ripostarlo. Tanto per ribadire certe cose). UB.


Steve Templeton.
8 ottobre 2021


Cinque anni fa l'astrofisico e divulgatore scientifico Neil deGrasse Tyson ha twittato un testo davvero memorabile e degno di una citazione:

La Terra ha bisogno di un paese virtuale: #Rationalia , con una Costituzione a una riga: tutte le politiche devono essere basate sul peso dell'evidenza

Il mondo ideale di Tyson era attraente per molti a causa della politica istintiva e guidata dalle emozioni e della guerra politica tribale che aveva invaso ogni arena della vita pubblica, inclusa la scienza. Ha attirato molti dei suoi colleghi scienziati, persone addestrate a pensare in modo obiettivo e testare ipotesi basate su osservazioni sul mondo naturale.

L'unico problema: l'enorme peso delle prove dimostra perché il paese virtuale "Rationalia" semplicemente non esisterà mai.

Questo perché, per gli umani, pensare razionalmente richiede un'enorme quantità di energia e sforzo. Di conseguenza, la maggior parte delle volte non ci preoccupiamo di farlo. Invece, nella stragrande maggioranza dei casi, il nostro pensiero è guidato completamente dalla nostra intuizione e dai nostri istinti, senza che entri in gioco quel fastidioso pensiero razionale che interferisce sulle nostre decisioni.

Questa dicotomia è magistralmente spiegata nei minimi dettagli dal premio Nobel Daniel Kahneman nel suo libro Thinking Fast and Slow, ed è anche trattata con un focus sulle divisioni politiche nel capolavoro di Jonathan Haidt, The Righteous Mind. Entrambi sono opere interessantissime come tali e forniscono spiegazioni affascinanti sul perché ognuno di noi ha punti di vista diversi e perché è così difficile cambiarli.

Ancora più importante, questa dicotomia cognitiva si applica a tutti, anche agli scienziati. Ciò potrebbe sorprendere (compresi alcuni scienziati, a quanto pare), poiché i media e i politici hanno descritto gli scienziati (almeno quelli con cui sono d'accordo) come intrisi di una capacità magica di discernere e pronunciare la verità assoluta.

Questo non potrebbe essere più lontano dalla realtà. Dico spesso in giro che la differenza tra uno scienziato e la persona media è che uno scienziato è più consapevole di ciò che non sa del proprio campo specifico (nota del traduttore: magari fosse sempre così!), mentre la persona media non sa ciò che non sa. In altre parole, tutti soffrono di un'ignoranza schiacciante, ma gli scienziati sono (si spera) di solito più consapevoli della  profondità della loro ignoranza. Occasionalmente gli può capitare di avere un'idea su come aumentare leggermente un particolare tipo di conoscenze, e talvolta quell'idea potrebbe persino rivelarsi vincente. Ma per la maggior parte passano il tempo a lavorare rinchiusi all'interno di un pozzo di conoscenza specifico del loro campo.

Gli scienziati sono spesso ostacolati dai propri anni di esperienza e dall'intuizione potenzialmente fuorviante che hanno sviluppato di conseguenza. Nel libro Virus Hunter, gli autori CJ Peters e Mark Olshaker raccontano come un ex direttore del CDC (Center for Disease Control, USA) ha osservato che "giovani e inesperti agenti dell'EIS (Epidemic Intelligence Service) solitamente inviati dal CDC per indagare su epidemie misteriose avevano in realtà qualche vantaggio rispetto ai loro più esperti e anziani stagionati. Pur avendo una formazione di prim'ordine e il supporto dell'intera organizzazione CDC, non avevano visto abbastanza per avere opinioni prestabilite e potevano essere più aperti a nuove possibilità e avere l'energia per perseguirle”. Gli esperti sono anche di solito pessimi nel fare previsioni e, come spiegato dal ricercatore e autore Philip Tetlock nel suo libro Giudizio politico esperto, non sono più precisi nella previsione rispetto alla persona media. I recenti fallimenti dei modelli di previsione della pandemia hanno solo rafforzato questa conclusione.

La maggior parte degli scienziati di successo possono far risalire i loro successi principali a lavori che hanno fatto all'inizio della loro carriera. Questo accade non solo perché gli scienziati diventano più sicuri del loro posto di lavoro con gli anni, ma perché sono ostacolati dalle proprie esperienze e dai propri pregiudizi. Quando ero un tecnico di laboratorio alla fine degli anni '90, ricordo di aver chiesto consiglio a un immunologo su un esperimento che stavo pianificando. Ha finito per darmi un sacco di ragioni per cui non c'era un buon modo per fare quell'esperimento e ottenere informazioni utili. Ho parlato a una collega postdoc di questo incontro, e ricordo che lei disse: “Non ascoltarlo. Quel tizio può dissuaderti dal fare qualsiasi cosa”. Gli scienziati esperti sono profondamente consapevoli di ciò che non funziona e ciò può comportare una grande riluttanza a correre rischi.

Gli scienziati operano in un ambiente altamente competitivo in cui sono costretti a trascorrere la maggior parte del loro tempo alla ricerca di finanziamenti per la ricerca scrivendo infinite proposte di sovvenzioni, la stragrande maggioranza delle quali non sono finanziate (n.d.t: la maledizione dello scienziato). Per essere competitivi per questo pool limitato di risorse, i ricercatori cercano i lati positivi della loro ricerca e pubblicano solo risultati positivi. Anche se i risultati dello studio si discostano da quanto originariamente previsto, il manoscritto risultante raramente si legge in questo senso. E queste pressioni spesso fanno sì che l'analisi dei dati possa soffrire di vari errori, dall'enfatizzare innocentemente i risultati positivi all'ignorare i dati negativi o contrari, per arrivare fino alla falsificazione totale. 

Esempi dettagliati di queste cose sono forniti da Stuart Ritchie nel suo libro Science Fictions: How Fraud, Bias, Negligence, and Hype Undermine the Search for Truth. (n.d.t. assolutamente da leggere!!). Ritchie non solo spiega come la scienza venga distorta dalle pressioni causate dalla competizione e dalla necessità di finanziamento, anche quando gli scienziati sono bene intenzionati, ma entra in dettagli piuttosto pesanti su alcuni dei truffatori più prolifici. Un'altra eccellente risorsa che copre gli errori scientifici e gli illeciti della ricerca è il sito Web Retraction Watch. Il gran numero di articoli ritrattati, molti degli stessi scienziati che li avevano pubblicati, evidenziano l'importanza di documentare e attaccare le frodi scientifiche. (n.d.t. anche "Retraction Watch" ultimamente si è prestato ad accogliere pressioni politiche per eliminare risultati scomodi)

I problemi con il reporting e la replicabilità dei dati di ricerca sono noti da anni. Nel 2005, il professor John Ioannidis di Stanford, tra gli scienziati più citati al mondo, ha pubblicato uno degli articoli più citati della sua carriera (oltre 1.600), "Perché i risultati della ricerca più pubblicati sono falsi". Nello studio, Ioannidis ha utilizzato simulazioni matematiche per dimostrare "che per la maggior parte dei progetti e delle impostazioni di studio, è più probabile che un'affermazione di ricerca sia falsa che vera. Inoltre, per molti campi scientifici attuali, i risultati della ricerca dichiarati possono spesso essere semplicemente misure accurate del pregiudizio prevalente”. Ioannidis ha anche offerto sei corollari derivati ​​dalle sue conclusioni:

  1. Più piccoli sono gli studi condotti in un certo campo scientifico, meno è probabile che i risultati della ricerca siano veri.
  2. Più piccole sono le dimensioni dell'effetto in un certo campo scientifico, meno è probabile che i risultati della ricerca siano veri.
  3. Maggiore è il numero e minore è la selezione delle correlazioni testate in un campo scientifico, meno è probabile che i risultati della ricerca siano veri.
  4. Maggiore è la flessibilità nei progetti, nelle definizioni, nei risultati e nelle modalità analitiche in un campo scientifico, meno è probabile che i risultati della ricerca siano veri.
  5. Maggiori sono gli interessi e i pregiudizi finanziari e di altro tipo in un campo scientifico, meno è probabile che i risultati della ricerca siano veri.
  6. Più un campo scientifico è alla moda (con un maggior numero di team scientifici coinvolti), meno è probabile che i risultati della ricerca siano veri.
Se guardiamo attentamente l'elenco, i numeri 5 e 6 dovrebbero saltare fuori e mettersi a urlare. Vediamo di esaminarli più da vicino:

“Corollario 5: maggiori sono gli interessi e i pregiudizi finanziari e di altro tipo in un campo scientifico, meno è probabile che i risultati della ricerca siano veri." Conflitti di interesse e pregiudizi possono aumentare i pregiudizi. I conflitti di interesse sono molto comuni nella ricerca biomedica, e in genere non sono adeguatamente segnalati. Il conflitto potrebbe non avere necessariamente radici finanziarie. Gli scienziati in un dato campo possono essere prevenuti semplicemente a causa della loro fede in una teoria scientifica o dell'impegno nei confronti delle proprie scoperte (enfasi mia). Molti studi universitari, altrimenti apparentemente indipendenti, possono essere condotti solo per fornire a medici e ricercatori qualifiche per la promozione o l'assunzione. Tali conflitti non finanziari possono anche portare a risultati e interpretazioni distorti. Investigatori prestigiosi possono sopprimere attraverso il processo di revisione tra pari la comparsa e la diffusione di risultati che confutano i loro risultati, condannando così il loro campo a perpetuare falsi dogmi. L'evidenza empirica sull'opinione degli esperti mostra che è estremamente inaffidabile”.

“Corollario 6: più alla moda è un campo scientifico (con più team scientifici coinvolti), meno è probabile che i risultati della ricerca siano veri (n.d.t. questo è profondamente vero se riferito alla moda della cosiddetta "fusione fredda" che ebbe un momento di grande popolarità nel 2011. Quasi tutto quello che fu pubblicato in questa fase è risultato sbagliato o falsificato). Questo corollario apparentemente paradossale segue perché, come affermato sopra, il PPV (valore predittivo positivo) di risultati isolati diminuisce quando molte squadre di ricercatori sono coinvolte nello stesso campo. Questo potrebbe spiegare perché occasionalmente vediamo una grande eccitazione seguita rapidamente da gravi delusioni in campi che attirano un'ampia attenzione. Con molte squadre che lavorano sullo stesso campo e con enormi dati sperimentali prodotti, il tempismo è essenziale per battere la concorrenza. Pertanto, ogni squadra può dare la priorità al perseguire e diffondere i suoi risultati "positivi" più impressionanti ... "

Gli scienziati prevenuti a causa delle loro convinzioni, motivati ​​dalla popolarità del campo, e quindi inclini a dare la priorità ai risultati positivi sono tutte fonti di parzialità ovvie nella ricerca SARS-CoV-2. Ioannidis e colleghi hanno pubblicato sull'esplosione della ricerca SARS-CoV-2 pubblicata , rilevando "210.863 articoli rilevanti per COVID-19, che rappresentano il 3,7% dei 5.728.015 articoli in tutta la scienza pubblicata e indicizzata in Scopus nel periodo 1 gennaio. 2020 fino al 1° agosto 2021”. Gli autori di articoli relativi a COVID-19 erano esperti in quasi tutti i campi, tra cui "pesca, ornitologia, entomologia o architettura". Entro la fine del 2020, Ioannidis ha scritto, “solo l'ingegneria automobilistica non aveva scienziati che pubblicavano su COVID-19. All'inizio del 2021, anche gli ingegneri automobilistici hanno detto la loro". Altri hanno anche commentato la "covidizzazione " della ricerca , evidenziando la riduzione della qualità della ricerca poiché la COVID mania ha spinto i ricercatori da campi non correlati verso il gioco più popolare e redditizio in giro.

Come ho discusso in due post precedenti, il mascheramento universale e la segnalazione dei danni causati dal COVID ai bambini sono stati irrimediabilmente politicizzati e distorti a causa dei pregiudizi dilaganti di media, politici, scienziati e organizzazioni di sanità pubblica. Ma il vero colpevole potrebbe essere il pubblico stesso e la cultura della sicurezza del primo mondo a rischio zero che ha incoraggiato tutti questi giocatori a esagerare i danni per forzare i cambiamenti comportamentali nei non conformi. Inoltre, la maggior parte delle persone compiacenti che stanno "prendendo sul serio la pandemia" vogliono sapere che tutti i sacrifici che hanno fatto sono valsi la pena.

Tuttavia, gli scienziati e i media sono più che felici di fornire i dati che il pubblico vorrebbe:

“Immagina di essere uno scienziato e sapessi che una conclusione favorevole del tuo studio porterebbe a un riconoscimento istantaneo da parte del New York Times, della CNN e di altri organi internazionali, mentre un risultato sfavorevole porterebbe a critiche feroci da parte dei tuoi colleghi, attacchi personali, censura sui social media e difficoltà a pubblicare i risultati. Come rispondereste?"

La risposta è ovvia. Il desiderio travolgente di un pubblico terrorizzato di prove di interventi che eliminano efficacemente il rischio di infezione spingerà inevitabilmente gli scienziati a fornire tali prove. Idealmente, un riconoscimento di questo pregiudizio comporterebbe un aumento dello scetticismo da parte di altri scienziati e media, ma ciò non è accaduto. Dichiarazioni esagerate di efficacia degli interventi e esagerazioni dei danni prevenuti per promuoverne l'accettazione sono diventate la norma nella segnalazione di pandemia.

Come ho discusso in un post precedente , il modo migliore per mitigare le distorsioni della ricerca è che i ricercatori invitino partner neutrali a replicare il lavoro e collaborare su ulteriori studi. La capacità di rendere disponibili tutti i dati al pubblico e ad altri scienziati invita anche a revisioni critiche che sono crowd-sourced e quindi potenzialmente più accurate e meno distorte. La disponibilità pubblica di set di dati e documenti ha portato al miglioramento delle previsioni sulla pandemia e ha portato la possibilità di un'origine di perdita di laboratorio per SARS-CoV-2 dalle ombre della teoria della cospirazione alla luce pubblica.

Come risultato di dati aperti e documentazione trasparente, altri si sono lamentati del fatto che queste risorse sono state utilizzate in modo improprio da scienziati da poltrona o scienziati impegnati in sconfinamenti epistemici al di fuori dei rispettivi campi, risultando in un'enorme e confusa pila di informazioni fuorvianti. Eppure, anche se il processo della scienza è limitato solo agli "esperti", la stragrande maggioranza degli studi produce pochissime informazioni preziose o accurate ad altri ricercatori o al pubblico in generale. Solo attraverso una dura selezione naturale e un processo di replica tra pari le idee migliori sopravvivono oltre il loro clamore iniziale. È anche importante notare che gruppi di ricercatori in un campo particolare possono essere così paralizzati da pregiudizi interni e politici e pensiero di gruppo tossico che solo quelli al di fuori del loro campo sono in grado di richiamare l'attenzione sul problema. Pertanto, la capacità di altri scienziati e del pubblico di aiutare nel processo correttivo a lungo termine della scienza è il modo migliore per avvicinarsi alla verità, nonostante i nostri difetti collettivi.



mercoledì 24 agosto 2022

Al di là dei miti e dei campanilismi, siamo sicuri che il sistema scolastico italiano funzioni a dovere?

di Fabio Vomiero

E mentre il tempo passa trasformando mondi e società, le campagne elettorali rimangono sempre più uguali a loro stesse: stessi protagonisti, stessi argomenti, stessi atteggiamenti, stessi linguaggi, stessa mediocrità; e intanto i problemi continuano ad aggravarsi. Sarà che il popolo, termine orribile ma che in questo caso bene si addice, è ciò che si merita? Potrebbe anche essere, in fondo ognuno ha sempre la propria quota di responsabilità da scontare.

Ma dicevamo i problemi, tantissimi ovviamente, ne scegliamo uno, la scuola, con riferimento in particolare a quella secondaria (medie e superiori).

Sì, perchè evidentemente c'è la sensazione che molti, compresi i nostri politici, non sappiano nemmeno di che cosa si stia parlando visto che generalmente gli unici parametri utilizzati su cui tentare di abbozzare eventualmente qualche considerazione o valutazione di massima, sono i dati forniti dagli enti di elaborazione statistica tipo OCSE (PISA e PIACC), in cui la scuola italiana, se si leggono gli articoli, una volta è entusiasticamente prima in europea https://www.supereva.it/e-la-scuola-italiana-la-migliore-deuropa-secondo-locse-35732 e un'altra invece è soltanto penosamente trentaseiesima tra i cinquantasette Paesi più sviluppati del mondo https://beppegrillo.it/la-scuola-in-italia-e-nel-mondo/

Meglio allora non fidarsi più di tanto ed essere pragmatici, chiunque conosca un po' di epistemologia e in particolare la complessa relazione che esiste tra dato e teoria, può capire bene quale possa essere la reale confidenza e significatività di questi dati.

Ma già il fatto che la scuola di oggi sia praticamente uguale a sè stessa da decenni, può benissimo generare, a ragione, qualche legittimo sospetto. Non siamo più, infatti, ai tempi della riforma Gentile (1923), e le varie "riformine" che nel frattempo si sono succedute negli anni (Falcucci, Berlinguer, Moratti, Gelmini, Renzi), probabilmente pensate con modalità e finalità spesso inutili o sbagliate, non sembrano avere sortito, come era prevedibile, un grande successo; una su tutte, l'alternanza scuola-lavoro, ora detta PCTO. Per non parlare poi delle ultime boutade riguardanti i banchi con le rotelle o i bonus per gli insegnanti cosiddetti "esperti", sulla base di quali criteri non è dato sapere.

Comunque sia, il risultato complessivo di queste riforme, che in alcuni casi hanno il sapore di essere state fatte più con lo scopo di far vedere che si è fatto qualcosa piuttosto che in un'ottica di una progettualità veramente utile e consapevole è che la scuola, di fatto, rimane un sistema isolato da una burocrazia soffocante, autoreferenziale e ancora pieno di problemi concreti. Studenti spesso maleducati, studenti disinteressati che disturbano e fungono da zavorra per il percorso formativo delle intere classi, insegnanti spesso inadeguati, classi troppo numerose, svilimento del ruolo dell'insegnante con la trovata dei percorsi didattici ossessivamente programmati e uniformati, durata della classica "ora" di lezione probabilmente troppo lunga, riunioni per il corpo docente inutili e ridondanti, ricorso a "progetti" extrascolastici di tutti i tipi che spesso non servono a niente se non alla perdita di tempo per gli studenti e via dicendo.

Vi è pertanto la fondata sensazione che la scuola attuale stia gradualmente perdendo la sua primaria vocazione e si stia trasformando sempre di più da un processo di effettiva formazione culturale, educazione e allenamento per l'intelletto di persone che dovranno formare la futura classe dirigente, ad un semplice consorzio di enti di formazione squisitamente tecnico-didattica e con marcati connotati di concorrenza mercantilistica, con buona pace del pensiero sistemico, del ragionamento critico e del problem solving.

D'altra parte anche il ragionamento di base è in effetti piuttosto semplice. Se tutti sanno che nel momento stesso in cui si esce dalla scuola, si dimentica automaticamente almeno metà di tutte le nozioni che si sono apprese, e un altro 30% di nozioni non serviranno praticamente a nulla, perchè essere allora tanto ossessionati da questa didattica? Non si potrebbe invece metter mano finalmente ai programmi oramai obsoleti dando loro una bella rinfrescata, tagliando dove c'è da tagliare e introducendo materie e argomenti molto più utili e attuali non soltanto come fonte di conoscenza concreta, ma anche come materiale di discussione e di allenamento per lo sviluppo indispensabile di un pensiero critico e sistemico? Ecologia, geopolitica, elementi di sociologia, educazione sanitaria ed alimentare, epistemologia, logica, igiene del ragionamento e della discussione, per esempio.

Ecco, io osservo una scuola che, per vari motivi (ricordo che incredibilmente sta scomparendo anche il tema di italiano), è molto poco preparata nello sviluppare e coltivare le abilità trasversali fondamentali della persona nel suo complesso ed è invece molto più concentrata su una generica didattica spesso esasperata e, probabilmente, in certi contesti, inutile se non addirittura controproducente.

Un giorno, durante una mia supplenza di scienze in un liceo scientifico ho chiesto ai colleghi perché i programmi di scienze fossero così assiduamente concentrati sulla chimica rispetto per esempio alla biologia e alle bioscienze. Mi è stato risposto che è così perché riguardo alla biologia, essendo una disciplina nozionistica, la si può studiare anche da soli e perché gli esami di ingresso all'università di solito puntano di più sulla chimica. Già, il numero chiuso alle università, altro autoevidente nonsenso logico, non si capisce ancora se portato avanti per una reale necessità, oppure per tentare di nascondere come al solito sotto il tappeto i cocci della nostra misera visione prospettica.

Ad ogni modo, per il giorno dopo, ho subito preparato una lezione dal titolo "perchè la biologia non deve essere considerata una disciplina soltanto di tipo nozionistico".

Ecco perchè, a mio parere, occorre fare una doverosa riflessione non soltanto sul sistema in sè, ma anche sulla preparazione e sulla idoneità degli insegnanti e sulle relative modalità di reclutamento e messa a ruolo. C'è da chiedersi, quantomeno, se siano veramente le soluzioni migliori questi dispendiosi concorsi con domande didattiche a crocette dove il neolaureato (spesso ancora immaturo sotto altri aspetti) o chi ripete sempre le stesse cose da anni, è ovviamente avvantaggiato (a volte anche copiando e passandosi le risposte), o il fatto che le supplenze (sempre molto importanti) siano assegnate soltanto in base a delle graduatorie di punteggio dove chi capita capita, senza nemmeno un colloquio preliminare.

Pertanto non lo so, ma l'aria che si respira all'interno delle scuole e le evidenze riguardanti un certo tipo di postura socioculturale corrente, inevitabilmente riflessa nel comportamento e nell'atteggiamento cognitivo ed intellettuale di molti giovani e meno giovani di oggi, sembrano purtroppo confermare in pieno queste mie perplessità.


venerdì 19 agosto 2022

Foreste: Raffreddano la Terra o la Riscaldano? Un commento di Anastassia Makarieva


 

Anastasia Makarieva, insieme a Viktor Gorshkov, ha sviluppato alcuni concetti fondamentali sul funzionamento dell'ecosfera: la " regolazione biotica dell'ambiente " e la " pompa biotica ". Qui, con il suo permesso, riporto un messaggio che ha inviato a un forum di discussione su queste cose. Makarieva qui propone un'idea piuttosto controversa, ovvero quella che non è possibile provare che il riscaldamento globale osservato fino ad oggi è dovuto soltanto all'incremento della concentrazione di CO2 nell'atmosfera. La deforestazione potrebbe giocare un ruolo altrettanto importante, e forse anche più importante. Se siete interessati ad entrare nel forum, scrivetemi a "ugo.bardi(cosinastrana)unifi.it"



di Anastassia Makarieva


Cari colleghi,

grazie mille per queste discussioni affascinanti. Sto imparando così tanto da questo gruppo, solo per citare un paio di cose più recenti, grazie Svet per averci ricordato quegli importanti studi sui topi, grazie Mihail per la nota sull'agroecologia in Corea del Nord e grazie, Christine, per aver condiviso le tue esperienze come contadina. È davvero un lavoro molto duro, non sono un agricoltore ma ho vissuto in natura dove devi preoccuparti della maggior parte delle cose che sono vitali, e questo lavoro lascia poco tempo per fare scienza, specialmente in un clima freddo. (potete trovare alcune foto qui ). E sono sopraffatta da altre cose discusse nel gruppo, cercando di recuperare il ritardo e scriverò più tardi.

Qui ho pensato di condividere la mia comprensione del fatto che le foreste raffreddino o riscaldino la Terra, ne ho discusso alcune volte, quindi mi dispiace se si tratta di una ripetizione.

Nell'articolo di recensione recentemente citato da Ugo, come ha giustamente notato Mara, non c'è nulla di controverso o rivoluzionario. Tutti sanno che quando una certa parte dell'energia solare viene catturata dall'evaporazione, la superficie diventa localmente più fresca che in assenza di questo processo. Proprio perché, per risparmio energetico, una certa parte dell'energia solare, invece di riscaldare la superficie, viene spesa per estrarre le molecole di vapore acqueo dalla fase liquida vincendo l'attrazione intermolecolare.

Ma, cosa importante, questa energia rimane nella biosfera, a differenza della parte della radiazione solare che viene riflessa nello spazio da una superficie luminosa.

Quindi, se la Terra nel suo insieme diventerà più fredda o più calda in presenza di evaporazione, dipenderà da come la biosfera distribuirà questa energia latente.


Date un'occhiata a questa figura, sopra. Mostra come avviene la condensazione nell'aria che sale. Il calore latente viene rilasciato nell'atmosfera superiore e può irradiarsi nello spazio da quegli strati superiori senza interagire con i gas serra (che sono per lo più concentrati a bassa quota). Questo avrà come effetto di raffreddare il pianeta, riducendo l'effetto serra planetario. Ripeto: una certa quota di energia solare (in forma di calore latente)lascerà la Terra con una minore interazione con i gas serra. È un effetto rinfrescante dell'evaporazione.

È importante sottolineare che questo effetto sarà più forte se l'aria calda trascorre più tempo nell'alta atmosfera. Se scende poco dopo la condensazione, tutto il calore latente diventa sensibile e riscalda solo la superficie. Ma se c'è un modello di circolazione su larga scala con l'aria che viaggia per migliaia di chilometri, l'effetto sarà più pronunciato. Quindi la circolazione della pompa biotica renderà questo effetto più forte (più che nel caso di precipitazioni locali). 

Ma, oltre a questo effetto di raffreddamento, ci sono effetti di riscaldamento. Uno di questi è la semplice presenza di più vapore acqueo nell'atmosfera al di sopra di superfici umide. Poiché il vapore acqueo è un gas serra, la sua presenza sulla terra aumenta la concentrazione di assorbitori di radiazione infrarossa. La quota di energia che esce senza interagire con loro aumenta, ma aumenta anche il numero totale di molecole. Quale effetto vincerà?

Inoltre, più vapore acqueo e convezione significano più nuvole. E alcuni tipi di nuvole riscaldano la Terra. Altri raffreddano la Terra. Quale prevarrà?

Questi argomenti mostrano perché il messaggio sul raffreddamento delle foreste non scaturirà mai dai modelli climatici globali. Non sono adatti per stimare se esiste e quanto potrebbe essere forte.

La mia posizione personale è che concentrarsi sul raffreddamento o sul riscaldamento è strategicamente dannoso per il caso di protezione delle foreste. Ciò che le foreste naturali fanno sicuramente è ridurre al minimo le fluttuazioni del ciclo dell'acqua, le ondate di calore, la siccità e le inondazioni. Sebbene questi estremi siano attualmente ufficialmente attribuiti alle emissioni di CO2, è noto che questa attribuzione soffre di molti problemi. Su questo argomento consiglierei questo breve video della dott.ssa Sabine Hossenfelder  https://www.youtube.com/watch?v=KqNHdY90StU .

Quindi, in effetti, sostenere che una particolare ondata di caldo (LOCALE) ha a che fare con la distruzione delle foreste (che è noto per cambiare gravemente le temperature LOCALI) potrebbe essere molto più facile e più produttivo che discutere sul ruolo delle foreste nel riscaldamento o nel raffreddamento globale -- dove non c'è una semplice argomentazione.

Quindi, pensiamo a come funzionano le cose ora: abbiamo un'ondata di caldo e alla gente viene detto che è dovuta alle emissioni di CO2, per ridurre le emissioni le persone usano "biocarburanti" tagliando più foreste. Con una maggiore perdita naturale di foreste, il ciclo dell'acqua è ulteriormente disturbato e abbiamo più ondate di caldo, che sono ancora una volta attribuite al riscaldamento globale, ecc. È una situazione complessa.

Anastassia

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Un ulteriore commento di Anastassia11 agosto 2022 alle 23:48

Il lavoro di Winckler et al. 2019 https://doi.org/10.1029/2018GL080211 affronta l'argomento di come una deforestazione su larga scala (di grandezza storica) influenzerebbe la temperatura media globale. È importante sottolineare che separano i contributi dai diversi processi. Senza ulteriori indugi, diamo un'occhiata alla loro Figura 2:


  1. Qui "locale" (linea rossa) significa l'effetto che tutti conosciamo: quando le piante cessano di esistere, la superficie LOCALMENTE si riscalda, anche se riflette di più (es. una foresta in un deserto) (nota di UB: questo è perché scompare l'effetto raffreddante locale della traspirazione). Tuttavia, come ho detto nel mio post originale, ci sono anche effetti non locali: poiché il pianeta cattura meno energia a causa di una superficie più riflettete durante la deforestazione, si raffredda. Questo effetto NON è evidente a livello locale, perché localmente viene superato dal riscaldamento causato dalla perdita di traspirazione.

    Ma a livello globale l'effetto diventa pronunciato. Quindi, secondo la Figura 2b, nei modelli globali l'effetto netto dell'illuminazione del pianeta dovuto alla perdita della copertura vegetale è MAGGIORE di qualsiasi traspirazione di raffreddamento possa indurre.

    La barra grigia nella Figura 2b è il riscaldamento dovuto alle emissioni di carbonio indotte dalla deforestazione. Quindi questa immagine dice essenzialmente che (quasi) tutta l'influenza della vegetazione sul clima è dovuta all'emissione/cattura di carbonio. Il raffreddamento della traspirazione è negato dal riscaldamento correlato all'albedo.

    Tenete presente che dire che i GCM NON tengono conto del raffreddamento della traspirazione non è corretto e minerà la credibilità di chi lo sta dicendo. Gli scienziati SONO molto preoccupati per la valutazione di questo effetto. Ciò che è possibile sostenere è che i modelli potrebbero tenere conto di questo effetto IN MODO ERRATO. Ma per argomentare questo, bisogna avere almeno alcune prove indipendenti.

    Ora, date un'occhiata alla Figura 2c. È la più interessante. Mostra separatamente come (la simulazione indica che) il pianeta si è RAFFREDDATO (di quasi 1 grado K) dopo che la vegetazione primaria è stata distrutta e la superficie del pianeta è diventata più luminosa. Questo calcolo basato sull'albedo è molto semplice e quindi robusto.

    Quindi, il fatto che l'effetto netto sia molto più piccolo, circa -0,05 K, significa che nei GCM il raffreddamento della traspirazione GLOBALE, in primo luogo, esiste e, in secondo luogo, è molto sostanziale.

    La perdita di raffreddamento della traspirazione ha portato a un riscaldamento di circa 1 grado. Nella mia nota originale, ho discusso di come non sia possibile su basi qualitative dire se la traspirazione raffredderà o riscalderà globalmente la Terra.

    Ora arriva la domanda principale. Albedo e traspirazione sono grandezze fisiche indipendenti. Com'è possibile che questi effetti indipendenti negli attuali GCM si compensino a vicenda in modo così preciso, in modo tale che l'effetto netto sia più di un ordine di grandezza inferiore a entrambi i due?

    È una domanda molto importante, perché influenza la nostra comprensione dei cambiamenti storici della copertura del suolo sul clima. Dato che il processo di traspirazione ha molte incognite(**) e quindi fortemente parametrizzato, la mia ipotesi è che il principale vincolo che ne regola la parametrizzazione (quando i modelli erano sintonizzati sui cambiamenti storici) fosse proprio quello di compensare ampiamente l'influenza reciproca di albedo e traspirazione tale che il segnale climatico potrebbe essere attribuito alla sola CO2.

    Se è così, significa che il raffreddamento della traspirazione è l'ELEFANTE sotto mentite spoglie che viene mascherato nei GCM dalle parametrizzazioni. Ciò significa che, a condizione che vi sia la volontà politica (e quindi i finanziamenti), i modelli possono essere riparametrizzati in modo relativamente semplice per informarci che QUASI tutto il riscaldamento osservato è dovuto alla perdita del raffreddamento della traspirazione. Le incertezze possono facilmente accogliere una tale opportunità.

    (**) Per darvi solo un esempio di quanto sia scarsamente nota la traspirazione, posso rimandarvi a questo lavoro (Teulling 2018 https://doi.org/10.2136/vzj2017.01.0031) che discute il seguente enigma: le foreste traspirano più delle erbe? Anche le osservazioni raccontano storie diverse.

(***) Nota di UB: quando Anastassia parla di "deforestazione" si riferisce alla perdita di foreste "mature" in grado di evapotraspirare e generare la pompa biotica. Non sono la stessa cosa delle masse di piante che sono in crescita un po' ovunque nel mondo e che non sono in grado di regolare il clima nello stesso modo delle foreste mature. 

martedì 16 agosto 2022

Le Foreste: Olobionti Orgogliosi

 Tradotto dal blog "Olobionti Orgogliosi"

Avanti, Fratelli Olobionti! 


La faggeta di Abbadia San Salvatore, in Toscana, Italia. Un olobionte vivente in tutto il suo splendore. (foto dell'autore).

Non molte persone, oggi, hanno la possibilità di vedere una foresta completamente cresciuta e matura. Naturalmente, gli alberi sono comuni anche nelle città, e ci sono molti luoghi in cui gli alberi crescono insieme in numero sufficiente da poter essere definiti "boschi". Ma le foreste mature sono diventate rare nel nostro ambiente urbanizzato. 

Una di queste foreste mature sopravvive sulle pendici del monte Amiata ( Monte Amiata ), un antico vulcano situato al centro della Toscana, in Italia. Non proprio una foresta "incontaminata", ma gestita dall'uomo con mano sufficientemente leggera da poter crescere secondo la sua tendenza a formare una foresta "monodominante". È composto quasi completamente da un'unica specie di alberi: il  Fagus sylvatica il faggio europeo. Nella foto, sotto, si vede il versante est del monte Amiata visto dalla valle. 

I nostri remoti antenati erano, molto probabilmente, creature della savana: non erano abituati alle foreste. Possiamo solo immaginare lo stupore che hanno provato quando sono emigrati a nord, dalla loro originaria casa africana, per camminare nelle grandi foreste dell'Eurasia, uscita da poco dall'ultima era glaciale. È una sensazione che possiamo provare ancora, oggi. Non molti di noi conoscono le sottigliezze di un ecosistema forestale, ma possiamo riconoscere che stiamo guardando qualcosa di gigantesco: un'enorme creatura che domina la terra. 

Una foresta è molto più di semplici alberi: è la vera incarnazione del concetto di "olobionte". (almeno nella versione denominata " extended holobiont " di Castell et al.). È un insieme di diverse creature che vivono in simbiosi tra loro. La bellezza del concetto è che le creature che formano un olobionte non sono altruiste. I singoli alberi non si preoccupano della foresta: probabilmente non sanno nemmeno che esiste. Tutti agiscono per la propria sopravvivenza. Ma il risultato è il funzionamento ottimale dell'intero sistema: una foresta è un olobionte è una foresta.

Solo in tempi recenti siamo stati in grado di comprendere parte dell'intricata rete di relazioni che crea l'olobionte forestale. Potreste aver sentito parlare della " micorriza ", l'associazione tra radici degli alberi e funghi, un concetto noto fin dal 19° secolo. È una tipica relazione simbiotica: la pianta fornisce cibo (carboidrati) al fungo, mentre il fungo fornisce minerali alla pianta. L'intricata rete di radici e funghi degli alberi è stata chiamata "Wood Wide Web" poiché collega tutti gli alberi insieme, scambiando zuccheri, azoto, minerali e, probabilmente, informazioni. 

Ma gli alberi si uniscono anche in superficie per sostenersi a vicenda. Un bosco monodominante, come quello dei faggi del Monte Amiata , forma una chioma relativamente uniforme che offre numerosi vantaggi. Ombreggia il terreno, mantenendolo umido ed evitando la crescita di specie concorrenti. Gli alberi si schermano a vicenda anche dalle raffiche di vento che possono far cadere una pianta isolata. 

Il manto è l'interfaccia tra il suolo e l'atmosfera. Gli alberi evaporano enormi quantità di acqua in un processo chiamato "evapotraspirazione". Gli alberi non lo fanno per favorire altri alberi: è il loro modo di sfruttare il calore del sole per estrarre l'acqua e le sostanze nutritive dalle radici alle foglie della chioma. L'acqua evaporata è un sottoprodotto del processo e, tuttavia, è fondamentale per la sopravvivenza della foresta. 

È una storia complessa che vede l'acqua trasferita dal suolo all'atmosfera, dove può condensarsi attorno alle particelle di composti organici volatili (VOC), emesse anche dagli alberi. Il risultato è la formazione di nubi a bassa altezza che schermano ulteriormente il terreno dal calore solare e che alla fine restituiranno l'acqua sotto forma di pioggia. 

Ma non è solo un movimento verticale: la condensazione delle goccioline d'acqua sopra la chioma di una foresta crea una depressione che, a sua volta, genera vento. Questo vento può trasportare nell'entroterra masse umide di atmosfera dagli oceani, dove l'acqua era evaporata. È il meccanismo della "pompa biotica" che garantisce piogge abbondanti ogni volta che esistono foreste. Taglia la foresta e perdi la pioggia. Non basta piantare alberi per riavere la pioggia. Devi aspettare che la foresta maturi e formi un manto uniforme per attivare la pompa biotica. 

Quindi, abbiamo tutte le ragioni per rimanere sbalorditi alla vista di una foresta completamente cresciuta. E abbiamo tutte le ragioni per mantenerlo così com'è. L'intero ecosistema planetario dipende da foreste sane e solo di recente abbiamo appreso quanto siano importanti. Eppure, continuiamo a tagliarle e bruciarle. È troppo tardi per rimediare al danno fatto? Forse no, ma dovremo scoprirlo nel futuro. 

Per saperne di più

Holobionts: https://theproudholobionts.blogspot.com/2022/08/holobionts-new-paradigm-to-understand.html

Informazioni sulla pompa biotica:  https://www.bioticregulation.ru/pump/pump.php

Sul ruolo delle foreste sul clima:  https://www.nature.com/articles/s41467-021-24551-5 , vedi anche h ttps://theproudholobionts.blogspot.com/2022/08/forests-do-they -cool-earth-or-do-they.html

Sotto: uno dei faggi del Monte Amiata, raffigurato con Grazia, moglie di Ugo Bardi, e sua nipote Aurora




sabato 13 agosto 2022

Il Divieto di Annaffiare gli Orti: follia totale.

 


La storia del divieto di annaffiare orti e giardini a Firenze sta scivolando dall'assurdo al ridicolo, e a questo punto atterra nella follia totale. Abbiamo un ordinanza emessa per fronteggiare un'emergenza che non esiste, che colpisce un'attività che comunque non avrebbe nessun effetto sull'emergenza, anche se esistesse. Per finire, gli stessi proponenti non sanno come applicarla in pratica, e hanno deciso di andarsene in ferie per non rispondere alle domande dei cittadini. Sembra che il degrado ambientale vada a braccetto con il degrado delle amministrazioni pubbliche e di tante altre cose. 

Qui, riproduco un articolo di Miguel Martinez. Per saperne di più, andate per prima cosa a vedere l'ottimo articolo "La Terra Devastata" di Carlo Cuppini, e il mio recente articolo sul "Fatto Quotidiano" 



Annaffiatori clandestini fiorentini

Segnalo un articolo dell’ottimo Ugo Bardi uscito oggi sul Fatto Quotidiano sul tema dell’ordinanza ammazzaverde emessa dal Comune di Firenze.

Nella parte essenziale, l’ordinanza dice che il Sindaco:

ORDINA
fino al 30 settembre 2022, agli utenti di tipo domestico di Publiacqua S.p.A., è fatto divieto assoluto, su tutto il territorio comunale, di utilizzare l’acqua potabile proveniente dall’acquedotto per scopi diversi da quelli igienici e domestici ed in particolare è vietato utilizzare acqua potabile fornita dal pubblico acquedotto per:
 l’innaffiamento di giardini, prati ed orti;
 il lavaggio di cortili e piazzali e garage;
 il lavaggio domestico di veicoli a motore;
 il riempimento di vasche da giardino, fontane ornamentali e simili, anche se dotate di impianto di ricircolo dell’acqua.

L’altro ieri, telefono alla Polizia Ambientale del Comune di Firenze (Viale A. Guidoni, 158, tel. n. 055 328 3683, se volete provare anche voi), con una domanda molto semplice.

“Buongiorno, io non ho né un giardino né un orto, ho alcune piante sulla terrazza, tra cui piantine di pomodori e di erbe aromatiche per consumo domestico.

Vorrei sapere se, in base all’ordinanza ORD/2022/00157 del 28/07/2022, posso annaffiarle o le devo lasciare morire?

L’addetta della Polizia Ambientale mi dice che il Regolamento della Regione Toscana approvato con D.P.G.R. n. 29/R del 26 maggio 2008 “Disposizioni per la riduzione e l’ottimizzazione dei consumi di acqua erogata a terzi dal Gestore del Servizio Idrico Integrato” vieta solo

l’utilizzo dell’acqua potabile erogata da pubblico acquedotto per:
· irrigare orti e giardini con superficie superiore a 500 m2
· innaffiare e irrigare superfici adibite ad attività sportive;
· alimentare impianti di climatizzazione ed impianti di qualsiasi altro tipo;
· riempire piscine ad uso privato

e che quindi non c’è problema, non ho un “orto con superficie superiore a 500 m2”.

Le faccio presente che l’ordinanza del sindaco di Firenze è molto più restrittiva del regolamento della Regione Toscana, e parla di “divieto assoluto” di utilizzo dell’acqua pubblica per “scopi diversi da quelli igienici e domestici”.

A questo punto mi dice che la questione non è di competenza della Polizia Ambientale, e mi invita a telefonare al Reparto Quartiere 1 Zona Centrale, Via delle Terme, 2, tel. n. 055 2616057, per competenza di zona.

Telefono stamattina al numero che la signora mi ha gentilmente dato.

Mi risponde una voce maschile, a cui pongo la stessa domanda.

Mi dice che la questione è di competenza della Polizia Ambientale di Viale Guidoni, e che devo chiamare loro.

Gli spiego che sono proprio loro che hanno detto che la competenza è invece sua.

Mi dice che gli sembra strano, poi mi legge il brano dell’ordinanza che riporto sopra.

Gli chiedo,

“sì, l’ordinanza l’ho letta anch’io. Ma voglio sapere se posso o no annaffiare i vasi che ho sulla terrazza, che non sono un giardino, un prato o un orto”.

Mi risponde, dicendo,

“l’ordinanza mi sembra molto chiara”.

“Cioè secondo lei io posso annaffiare le piante sulla mia terrazza, o le devo lasciar morire?”

“l’ordinanza mi sembra molto chiara.”

“Ma scusi, se lei mi vede annaffiare le piante sulla mia terrazza, lei mi multa o no?”

“L’ordinanza mi sembra molto chiara. Comunque io devo rispondere adesso a richieste per permessi.”

“Io cosa devo fare? Posso chiederle una risposta sì o no, e chiederle il suo nome?”

“La saluto, buongiorno”.

“Buongiorno”.

Stamattina ho provato quattro o cinque volte a richiamare la Polizia Ambientale, nell’orario indicato sul sito del Comune, ma non risponde.

venerdì 5 agosto 2022

Quando le buone Intenzioni fanno solo danni. L'ordinanza contro gli sprechi di acqua a Firenze

 


La situazione dell'invaso di Bilancino che rifornisce di acqua Firenze. Quest'anno è piovuto meno di altri anni, ma la situazione non è assolutamente di emergenza. Ci sono oltre 60 milioni di metri cubi nell'invaso, più o meno come gli anni scorsi. Questa quantità è più che sufficiente per arrivare all'inverno, quando ricomincerà a piovere. Il problema della siccità NON è un problema di quantità di pioggia, è un problema di distribuzione della pioggia.  


Qui abbiamo un buon esempio di come la politica del "fare qualcosa" da l'impressione che i politici facciano qualcosa di utile, mentre in realtà non lo stanno facendo. Anzi, peggiorano la situazione.  

Qui, Carlo Cuppini, fra le altre cose un mio vicino di casa, racconta la storia dell'ordinanza che vieta di innaffiare orti e giardini a Firenze fino al 30 Settembre. Serve a qualcosa? 

In realtà, è solo greenwashing. Il problema che abbiamo a Firenze non è che manchi l'acqua. La situazione dell'invaso di Bilancino, che ci rifornisce di acqua, è del tutto normale per questa stagione dell'anno -- con 60 milioni di metri cubi d'acqua non ci sono problemi. Il problema climatico non si manifesta in termini di quantità assolute, ma in termini di distribuzione. Abbiamo estati più calde e più secche, e inverni più umidi, ma la quantità di pioggia non è cambiata molto negli ultimi anni. 

Ma il politico non può limitarsi a dire "le cose non vanno poi così male" -- deve "fare qualcosa," mostrarsi attivo, poter dire "siamo intervenuti con forza di fronte all'emergenza." Notate la frase chiave dell'intervista di Carlo Cuppini:

ci sono state pressioni: l'autorità idrica ha mandato la richiesta di fare ordinanze contro lo spreco dell'acqua il 3 giugno; molti sindaci le hanno fatte subito; noi siamo gli ultimi, abbiamo rimandato, ma alle riunioni era tutto un dire "perché noi l'abbiamo fatta e Firenze non fa l'ordinanza?", alla fine abbiamo dovuto farla anche noi.

Invece, bisognerebbe fare qualcosa di serio per riportare la situazione idrica e meteorologica a quella che era una volta. A parte la lotta contro le emissioni di gas serra, c'è una questione di riforestazione e di cura del suolo in modo tale che non si perda immediatamente la pioggia che arriva -- con tutti i danni che fanno le piogge intense. Ma questo è complicato, costoso, e richiede tempo. Invece, (altra frase chiave dell'intervista) "qualcosa bisogna pur fare."

E qui stiamo.


di Carlo Cuppini

Ve lo riferisco con riluttanza, sgomento. Non avrei neanche voglia di scriverlo, questo post. Ma devo farlo.

Questa mattina mi sono attaccato al telefono per avere delucidazioni sull'ordinanza che vieta, tra l'altro, di innaffiare orti e giardini a Firenze fino al 30 settembre (vedi mio post di ieri "Declinazioni provinciali...").

L'impiegato della Direzione Ambiente che mi ha risposto mi ha detto che non sapeva niente e mi ha dato il diretto di un dirigente. Quello, appena ha capito che volevo parlare dell'ordinanza 157, mi ha stoppato e mi ha dato il numero della persona che ha scritto il documento (non farò il nome, perché lo scopo di questo posto non è fare gogne mediatiche: giornalisti eventualmente interessati ad approfondire, contattatemi in privato).

L'ho chiamata, mi ha risposto, abbiamo avuto una lunga e cordiale conversazione. Io non ho fatto polemiche: non volevo affermare le mie ragioni, volevo capire le sue, e per questo volevo che si sentisse a suo agio, che si sentisse compresa.

Le ho chiesto prima di tutto se l'ordinanza avesse delle omissioni, dei sottintesi, delle deroghe non espresse. Risposta: quello che c'è scritto è.

Le ho chiesto se quindi avrei dovuto lasciare seccare le mie piante di pomodori. Risposta: sì, a meno di ingegnarsi (attingere acqua a una fonte, ricavarla da un pozzo...).

Le ho chiesto del prato. Risposta: anche quello, da far seccare.

Le ho chiesto se, oltre ai pomodori e al prato, dovrei lasciar morire anche gli alberi e le piante che si trovano nel mio giardino. Risposta: eh, bisogna ingegnarsi.

Le ho chiesto se il Comune di Firenze è cosciente che questa ordinanza condanna alla distruzione migliaia e migliaia di piante e alberi nel territorio comunale; le ho chiesto a che genere di idea "green" corrisponda questa strategia. Risposta: sì, certo, ne siamo coscienti, ma qualcosa bisogna sacrificare. È meglio sacrificare i suoi pomodori che un'attività produttiva, no?

Le ho chiesto se dunque la mia famiglia deve davvero rinunciare alle quattro piante di pomodori che soddisfano interamente il nostro fabbisogno fino a ottobre. Risposta: Sì, è meglio che lei perda i suoi pomodori, tanto può comprarli al supermercato, piuttosto che togliere l'acqua a un autolavaggio, che poi entra in ballo un discorso di occupazione, di sindacati...

Le ho chiesto se il territorio di Firenze sta vivendo davvero una crisi idrica così drammatica da preferire la distruzione del verde, degli alberti, delle piante. Risposta: In realtà no, l'invaso di Bilancino è ancora pieno per l'80% [più o meno come l'anno scorso, e l'anno prima, e l'anno prima ancora in questo periodo – nota mia]; ma ci sono state pressioni: l'autorità idrica ha mandato la richiesta di fare ordinanze contro lo spreco dell'acqua il 3 giugno; molti sindaci le hanno fatte subito; noi siamo gli ultimi, abbiamo rimandato, ma alle riunioni era tutto un dire "perché noi l'abbiamo fatta e Firenze non fa l'ordinanza?", alla fine abbiamo dovuto farla anche noi.

Le ho chiesto se la distruzione del verde riguarderà anche i produttori. Risposta: no, le attività produttive non possono essere toccate, neanche l'autolavaggio, per l'appunto. L'ordinanza riguarda solo le utenze domestiche.

Le ho chiesto del verde pubblico. Risposta: eh, anche noi abbiamo dovuto decidere. Ci siamo messi intorno a un tavolo e abbiamo fatto una lista: questo prato lo salviamo, quest'altro lo lasciamo seccare. Pensando anche agli investimenti fatti: se un prato era stato piantato qualche mese prima non si poteva far seccare. Facciamo tanti investimenti per il verde...

Le ho chiesto se aveva presente la differenza tra far seccare un prato o un'aiuola, che poi ripianti i semi e dopo tre settimane sono uguali, e far morire un albero vecchio di dieci, venti, trent'anni, con tutte le sue relazioni complesse con l'ecosistema. Risposta: Eh, bisogna che uno si ingegni.

Le ho chiesto se queste decisioni non siano in contraddizione con la norma che impedisce di abbattere un albero che si trovi nel proprio giardino senza un apposito permesso e senza che sia prevista la sua sostituzione. Risposta elusiva.

Le ho chiesto se per caso l'ordinanza sia stata fatta con la convinzione che tanto verrà ignorata da moltissime persone e non farà grossi danni. Risposta: Le norme vanno rispettate; ma poi basta vedere quanti cartelli di divieto di sosta ci sono, e quante macchine parcheggiate...

Le ho chiesto come potrei ignorare questa norma se avessi un vicino litigioso e incattivito nei miei confronti, che non vede l'ora di avere un pretesto per mettermi nei guai e che chiamerebbe immediatamente la municipale vedendomi con la sistola in mano. Risposta: be', sì, del resto le norme sono fatte per essere rispettate, non per essere eluse.

Ho chiesto se quindi il Comune sia cosciente del fatto che con questa ordinanza – salvo ribellione in massa – trasformerà la città di Firenze in un deserto nel giro di tre mesi, con relativo aumento della temperatura, distruzione dell'ecosistema, della catena alimentare, della biodiversità. Risposta: Sì, ma anche se in questo momento noi non siamo in emergenza, qualcosa bisogna pur fare.
La conversazione è stata davvero pacata e piacevole. Nessuna provocazione, polemica o protesta da parte mia. Non volevo prendermela con la dottoressa XY: volevo capire. Volevo ascoltare la voce dell'ultimo anello della catena che rappresenta la follia al potere. E in questo sono stato accontentato: era una persona normale.
Normali e perbene sono le persone che negli ultimi due anni e mezzo hanno varato, votato, apprezzato, rispettato - senza mai osare fare un rilievo critico –i i provvedimenti che stanno alla base di questa deriva irrazionale, dispotica, punitiva e totalitaria, ormai talmente diffusa nella mentalità comune da essere diventata invisibile, completamente disciolta, e quindi inarginabile e incommentabile. Infatti sono andato in internet e non ho trovato un solo articolo o commento critico su questa norma (che si ritrova quasi identica in molti Comuni dal Nord al Sud della Penisola). Neanche uno. Davvero non avevate capito che i "noi consentiamo / noi non consentiamo" avrebbero portato dritto a questo? Adesso è dura tornare indietro. E non so neanche quanti vorrebbero farlo.
Io penso agli orti che in questo momento si stanno seccando. Agli animali, che, di conseguenza, stanno morendo. Penso agli alberi decennali che stanno morendo. Penso all'invaso di Bilancino che oggi contiene 60 milioni di metri cubi d'acqua, pronti per essere utilizzati. Penso a quanta acqua serve per produrre un chilo di carne o un hamburger. A quanta viene divorata dal digitale (guardare un film in streaming costa 400 litri d'acqua, ci diceva nel 2016 l'Imperial College - io ne uso 40 al giorno per irrigare i miei 30 metri di orto-giardino). Penso alle mie piante, che danno da mangiare a me e ai miei figli, che in questo momento "dovrebbero" stare morendo.

Penso che adesso è abbastanza fresco per uscire e dare una bella annaffiata.

Anche le tartarughe ne saranno contente, e anche il discreto popolo degli insetti. L'alveare, incastonato nel buco tra le pietre del muro davanti alla casa, brulica di api. E pensare che stiamo solo a un chilometro da Porta Romana.
E mi chiedo infine: c'è un avvocato, un giurista, un magistrato, disposto a dire che, semplicemente, questa follia non si può fare, perché una follia del genere - a livello giuridico e politico - ha la stessa legittimità, giustificazione e plausibilità di altre follie ancora più criminali?