domenica 12 dicembre 2021

Ma che cosa significa per la scienza avere a che fare con i "sistemi complessi" ?


Una "stick bomb" fatta con degli stecchetti tipo quelli del gelato. Questo arnese ha un comportamento non lineare, tipico dei sistemi complessi. Dimostra che un sistema non deve necessariamente essere complicato per essere complesso. (UB)


di Fabio Vomiero

Che si stesse vivendo un periodo di grande fermento e fecondità nell'ambito di tutta quella ricerca scientifica che si occupa principalmente dello studio della cosiddetta "complessità", era cosa abbastanza nota ed evidente già da tempo, tanto che il Nobel per la fisica assegnato a Giorgio Parisi per i suoi studi sui vetri di spin e su altri sistemi complessi e agli altri due fisici dell'atmosfera per le loro ricerche sulla modellistica del clima, non costituisce affatto una sorpresa.

E' oramai da qualche decina d'anni, infatti, che anche la scienza, così come tutte le attività umane, si è venuta a trovare nel mezzo di un rapido processo di evoluzione e di maturazione che l'ha portata ad essere oggi un qualcosa di molto diverso da quello che era soltanto qualche anno o secolo fa, avendo spostato gradualmente il proprio interesse dallo studio dei sistemi fisici classici (meccanica, termodinamica, elettromagnetismo) allo studio dei sistemi appunto complessi che riguardano più concretamente la vita di tutti i giorni, ecosistemi, sistemi biologici, sociali ed economici, clima, per esempio. Vi è pertanto la fondata sensazione che lo studio della complessità abbia inaugurato veramente una sorta di nuova stagione scientifica dopo quelle della fisica relativistica e quantistica, e che di conseguenza le tre principali assunzioni tipiche della fisica classica, riduzionismo, determinismo e reversibilità siano venute definitivamente meno.

Ma che cosa si intende, allora, quando in ambiente scientifico si parla di complessità e di sistemi complessi.

Naturalmente, come spesso accade anche nel caso di molti altri concetti particolarmente difficili da esplicare, come per esempio quelli di vita, evoluzione biologica o coscienza, non esistono mai delle definizioni univoche, si tratta pertanto di riuscire a fornire eventualmente dei quadri teorici e concettuali che possano essere almeno il più possibile coerenti e operativamente utili.

Dunque, quando noi, osservatori del mondo, decidiamo di studiare un qualsiasi sistema, di fatto stacchiamo idealmente un pezzo di mondo, lo isoliamo per comodità analitica da tutto il resto e cerchiamo poi di studiarne la struttura fondamentale con la costruzione di un modello semplificato che utilizzi il linguaggio della matematica. Facciamo quindi una precisa operazione di scelta analitica delle osservabili secondo noi rilevanti e fissiamo in qualche modo il sistema per avere così la possibilità di studiarlo abbastanza efficacemente e di riuscire, il più delle volte, ad elaborare anche delle buone predizioni sull'evoluzione del sistema stesso.

Quando poi però decidiamo di studiare anche la frontiera del nostro sistema che per comodità analitica abbiamo isolato e semplificato, reinserendolo idealmente nel mondo reale in cui esiste invece una stretta relazione dinamica tra il sistema e l'ambiente (e con altri sistemi), ecco che allora quasi sempre il nostro sistema diventa complesso. L'ambiente infatti è in continuo mutamento e pertanto questo nuovo grado di relazione sarà in grado di generare un continuo scambio di materia, energia e informazione tra il sistema e l'ambiente, tale da riuscire a modificare anche la configurazione e il comportamento del sistema stesso che a quel punto, per poter essere ancora studiato efficacemente, avrà bisogno di altri modelli e di altre rappresentazioni.

Ebbene, questo processo di comparsa di nuove strutture e di nuovi comportamenti in un sistema in stretta relazione con il suo ambiente si chiama "emergenza" e costituisce un concetto fondamentale nella descrizione dei sistemi complessi. In altre parole, quando in un sistema molti elementi, componenti o particelle, "collaborano" insieme, si assiste spesso a fenomeni di rottura spontanea di simmetria e all'acquisizione di caratteristiche strutturali e comportamenti collettivi "nuovi" ed imprevedibili, che poi dovranno essere descritti con variabili e parametri diversi da quelli utilizzati per il sistema iniziale. Ne consegue che la peculiarità fondamentale di un sistema complesso è quindi quella di evolvere in maniera non lineare e sostanzialmente impredicibile, il che significa che questi sistemi non potranno più essere chiaramente descritti in modo deterministico, ma soltanto in termini di probabilità ed è per questo che nell'approccio allo studio di questi sistemi sarà bene abituarsi ad acquisire una certa dimestichezza con concetti apparentemente sgraditi quali incertezza, caso, approssimazione, indeterminazione.

E' dunque abbastanza evidente come una consapevolezza epistemologica di questo tipo possa in parte scontrarsi con quell'immagine vagamente meccanicistica e positivista della scienza come calcolatrice ultima del mondo, che ancora oggi viene divulgata e insegnata nelle scuole e che, in qualche modo, fatica ad essere aggiornata, quando, in realtà, i sistemi che possiamo veramente calcolare analiticamente e prevedere nel dettaglio utilizzando la matematica, in natura sono molto pochi e molto semplici.

Per il resto, siamo costretti a ricorrere necessariamente ad altri tipi di strumenti concettuali, sperimentali e metodologici, anche di tipo congetturale e logico-inferenziale, con lo scopo di riuscire in qualche modo, in sinergia con il metodo riduzionistico classico, a fornire anche altri tipi di descrizione e a studiare altri aspetti dinamici degli stessi sistemi.

Potremmo pertanto cercare di riassumere le principali caratteristiche dei sistemi complessi in questo modo: sono sistemi aperti a flussi di materia, energia e informazione e quindi sono sensibili al contesto, possono dispiegare diversi tipi di comportamento possibile (approccio probabilistico), sono imprevedibili in dettaglio, sono soggetti al fenomeno dell'emergenza, non sono descrivibili da un unico modello formale, ma serve un approccio plurimodellistico, sono il risultato della loro storia.

Sono dunque esempi di sistema complesso i sistemi biologici e la proprietà emergente della vita, l'evoluzione biologica, i terremoti, gli ecosistemi, i sistemi cognitivi studiati dalle neuroscienze, il decorso e la cura delle malattie, la farmacocinetica, i sistemi sociali ed economici, il clima, le pandemie, ma anche semplicemente stormi di uccelli, colate di lava, applausi, aziende, vie trafficate. Oltre che naturalmente tutti quei sistemi più propriamente di competenza della fisica studiati anche da Parisi, come per esempio i vetri di spin e i processi di allineamento dei ferromagneti, i superconduttori, oppure, più in generale, le transizioni di fase.

In tutti questi casi, come in moltissimi altri, la sola descrizione dei sistemi con l'applicazione delle leggi ultime della fisica (che generalmente valgono per classi di eventi) e della rigorosa descrizione matematica centrata sui loro componenti (riduzionismo) non è più sufficiente e tende evidentemente a fallire se non si pone particolare attenzione anche alla complessità storica e locale data dai vincoli e dalle condizioni iniziali e al contorno in cui effettivamente si andranno poi a realizzare i singoli eventi.

Tutte cose concettualmente abbastanza semplici da capire e soprattutto operativamente evidenti. Si tratterebbe soltanto di riuscire finalmente a convincere anche un certo tipo di "fisicalismo" ingenuo e resistente ad aggiornarsi, magari condividendo e facendo propri alcuni principi epistemologici già peraltro operativi da tempo nel campo per esempio delle scienze biologiche.

Il che vorrebbe dire avere a che fare anche con un'idea di scienza a questo punto meno mitologica, dogmatica e autoritaria, ma invece più umile e raffinatamente di tipo "artigianale", grazie alla quale poter recuperare in qualche modo quella sua sempre più scricchiolante credibilità, uscita ancora una volta piuttosto malconcia anche dalla recente ed emblematica esperienza del Covid.




venerdì 3 dicembre 2021

Limitaristi e abbondantisti





Di Luca Pardi

Il dibattito tra limitaristi (Robeyns, 2017) e abbondantisti si trasforma periodicamente in quello tra catastrofisti e ottimisti-utopisti. I primi hanno una visione generalmente cupa della disponibilità futura di risorse mentre i secondi tendono a credere che fenomeni di penuria, sempre possibili per molte ragioni nel breve periodo, si siano rivelate inesistenti nel lungo periodo. I limitaristi- catastrofisti sono pessimisti anche per quanto riguarda la crisi ambientale e la sua rappresentazione paradigmatica: il cambiamento climatico. Gli ottimisti ribattono che il problema è amplificato da visioni ideologiche anticapitaliste e che una combinazione di tecnologia e politiche locali e globali ci trarrà dagli impicci, come è sempre avvenuto nella Storia. E il dibattito si ripete all'infinito!

C'è un Think Tank chiamato RethinkX che cerca di essere al di sopra o, meglio, più avanti di questo stallo ideologico. Essi sono sia catastrofisti che ottimisti con una fiducia sconfinata nella forza dell’innovazione tecnologica. In un crescendo di iperboli tecno-ottimistiche negli ultimi anni questo Think Tank ha pubblicato una serie di documenti su produzione di cibo, mobilità e trasporto, produzione di energia che raggiunge un apice nel loro ultimo documento Rethinking Humanity nel quale si spingono ad immaginare la seguente previsione:

Il sistema produttivo prevalente cambierà da un modello di estrazione e processo centralizzato di risorse scarse, che richiede grandi dimensioni per estensione e portata, a un modello di creazione localizzata a partire da elementi costitutivi illimitati e onnipresenti: un mondo costruito non su carbone, petrolio, acciaio, bestiame e cemento ma su fotoni, elettroni, DNA, molecole e (q)bit. [pagina 5]

Questa sorprendente dichiarazione riassume e amplifica i risultati dei loro precedenti documenti su cibo, energia e mobilità. Secondo RethinkX in ciascuno dei cinque principali settori produttivi della nostra civiltà globale: produzione di cibo ed energia, estrazione di materiali, mobilità/ trasporto e comunicazione/ informazione, si assisterà molto presto a un salto di almeno un ordine di grandezza in efficienza, grazie a una combinazione di (dirompente) innovazione shumpeteriana e ad una transizione culturale all'interno delle comunità locali. Tutto questo nell'arco di tempo da qui al 2035. Non male!

Ed è qui che si manifesta il lato catastrofista.

Il decennio che ci attende sarà turbolento, destabilizzato sia dalle innovazioni tecnologiche dirompenti che capovolgeranno le fondamenta dell'economia globale sia dagli shock sistemici dovuti a pandemie, conflitti geopolitici, disastri naturali, crisi finanziarie e disordini sociali che potrebbero portare a drammatici punti di svolta per l'umanità, incluse migrazioni e persino guerre. Di fronte a ogni nuova crisi saremo tentati di guardare indietro anziché avanti, scambiando ideologia e dogma con ragione e saggezza, scagliandoci gli uni contro gli altri invece di fidarsi l'uno dell'altro. Se teniamo duro, possiamo emergere insieme per creare la civiltà più ricca, più sana e più straordinaria della storia. Se non lo faremo, ci uniremo ai ranghi di ogni altra civiltà fallita lasciando agli storici futuri di risolverne l’enigma. I nostri figli ci ringrazieranno per aver portato loro un'Era di Libertà o ci malediranno per averli condannati a un'altra epoca oscura. La scelta è nostra. [pagina 6]

Non è esclusa una nuova era oscura, l'esito apparentemente tragico di una transizione non realizzata, dovrebbe spingerci ad agire ora. E questo “noi” non è un “noi” generico siamo proprio noi, voi che state leggendo questo post, così come me che lo sto scrivendo e coloro che, in genere, negli ultimi decenni si sono mostrati preoccupati per il destino dell'umanità e della civiltà. Le classi dirigenti in carica non sono incluse nel "noi", semplicemente non sono in grado di aiutare molto:

Le epoche buie non si verificano per mancanza di sole, ma per mancanza di leadership. È improbabile che i centri di potere consolidati, gli Stati Uniti, l'Europa o la Cina, svantaggiati da mentalità, convinzioni, interessi e istituzioni in carica, possano condurre la transizione. In un mondo globalmente competitivo, comunità, città o stati più piccoli, più affamati e più adattabili come Israele, Mumbai, Dubai, Singapore, Lagos, Shanghai, California o Seattle hanno maggiori probabilità di sviluppare un sistema organizzativo vincente.[pagina 6]

Insomma, non dicono che la salvezza ci sarà, ma che abbiamo i mezzi tecnici e le risorse umane per arrivarci. Si tratta di trovare i mezzi sociali e politici.

Il fatto che la tecnologia sia sempre fonte di nuovi problemi è una verità inutile ed è inutile lamentarsene. Togliere la tecnologia agli umani sarebbe come togliere le zanne ai leoni o il pungiglione alle vespe. Siamo così da prima che fossimo Homo sapiens. Cinque milioni di anni fa Homo habilis faceva già cose che i nostri cugini scimpanzé non possono fare. Gli umani devono seguire il loro percorso fino alla fine perché è il loro. Fortunatamente il percorso non è univoco e la nostra intelligenza deve applicarsi per capire quali percorsi appaiono meno traumatici. La cattiva notizia è che nessuno verrà a salvarci dall'esterno guidando la cavalleria, siamo soli.

Ma è davvero una cattiva notizia?





Robeyns, I., 2017. Wellbeing, freedom and social justice: the capability approach re-examined. OpenBook Publishers, Cambridge, UK.







domenica 28 novembre 2021

Perché la verità non emergerà mai





Simon Sheridan ci regala una splendida dimostrazione che per capire le cose in un mondo in cui tutto cambia rapidamente è necessario avere una mente sgombra dalle infinite sovrastrutture culturali che ci troviamo addosso. Ovvero, ci troviamo in continuazione di fronte a esperti di mongolfiere che ci spiegano che solo loro possono parlare di aerei supersonici perché sono loro gli esperti di oggetti volanti. E non è sorprendente notare che gli aerei non volano. Così, stiamo discutendo da due anni con gli "esperti" a proposito della pandemia, ma perché la verità ancora non viene fuori? Non siamo forse nell'epoca in cui il "metodo scientifico" ci dà una visione razionale e oggettiva del mondo? 

In realtà, sembra proprio di no. Secondo Sheridan, la verità non verrà mai fuori. (e vi può anche venire in mente un altro caso di cui abbiamo recentemente ricordato il ventennale -- anche lì, la verità non è venuta fuori e probabilmente non verrà mai fuori).

Sheridan contesta alla base l’idea che la “narrazione (sulla pandemia) sta per incrinarsi” da un giorno all’altro e che la “verità” sarà rivelata. Dice: “Non c’è più una narrazione unificante che si incrinerà e sarà sostituita da una narrazione migliore e più veritiera. Piuttosto, ora c’è solo un numero apparentemente infinito di sotto-narrazioni con una narrazione dominante imposta sopra di esse. La narrazione dominante non è necessariamente veritiera, è solo dominante.”

In sostanza, la sfera memetica si è frantumata in una serie infinita di microsfere chiuse. La macrosfera dominante non riesce più a controllarle, nonostante gli sforzi disperati di censura, intimidazione, e offuscazione che sta facendo. E se le microsfere non si parlano fra di loro, la verità non esce fuori, qualunque essa sia.

Leggete questo testo: è veramente illuminante

Il Crepuscolo della Narrativa


Recentemente, ero in visita a casa di un amico quando una canzone di Michael Jackson è passata alla radio e il mio amico ha detto qualcosa di interessante a cui non avevo mai pensato prima. Ha notato che, all’apice della fama di Jackson, l’uscita di uno dei suoi album era un evento globale con una campagna di marketing coordinata che significava che praticamente tutti nel mondo occidentale e molte parti del mondo non occidentale avrebbero saputo quando un album di Michael Jackson veniva pubblicato, che la sua musica piacesse o meno.

Questo è qualcosa che i giovani d’oggi non capirebbero, dato che ognuno di loro ha il proprio influencer sui social media o la propria celebrità di Youtube o qualsiasi altra cosa che seguono in sottoculture molto più piccole di prima. Anche le pop star più popolari di oggi sono conosciute solo da un sottoinsieme della popolazione, mai da tutta la popolazione come lo era Jackson. Questa osservazione mi ha fatto pensare a un argomento su cui sto riflettendo da un po’, cioè l’impatto di internet sulla nostra cultura. Mi sembra che questo impatto non sia più molto discusso anche se sta contribuendo direttamente ai nostri problemi attuali.

Uno dei principali cambiamenti apportati da internet è la frantumazione delle “grandi narrazioni”. L’uscita di un album di Michael Jackson è una di queste. Ma il modello si estende ad altre aree del discorso pubblico dove i suoi effetti sono molto più importanti, come per le narrazioni che tengono insieme i paesi. Mentre l’evento Corona si trascina interminabilmente, ci sono quelli nel campo del dissenso che ancora pensano che la “narrazione sta per incrinarsi” da un giorno all’altro e la “verità” sarà rivelata. Questa mentalità del vecchio mondo pre-internet non è più valida nel mondo in cui viviamo. Non c’è più una narrazione unificante che si incrinerà e sarà sostituita da una narrazione migliore e più veritiera. Piuttosto, ora c’è solo un numero apparentemente infinito di sotto-narrazioni con una narrazione dominante imposta sopra di esse. La narrazione dominante non è necessariamente veritiera, è solo dominante.

L’emergere dell’etichetta di “teoria della cospirazione” insieme alla censura quotidiana che ora avviene sulle piattaforme dei social media sono tra una serie di tattiche che sono ora utilizzate per cercare di sottomettere le narrazioni alternative nella speranza di permettere la formazione di una narrazione centralizzata. Ma non succederà mai per la semplice ragione che non si può costringere la gente a credere a una narrazione. Le narrazioni devono evolvere organicamente con un ciclo di feedback tra top-down e bottom-up.

L’uso crescente di tattiche censorie negli ultimi due anni rivela la debolezza di fondo della narrazione dominante. I poteri hanno tentato di tenere insieme una narrazione che di per sé non ha senso, poiché viene cambiata volente o nolente in base a considerazioni puramente politiche. Si è tentati di pensare che i politici lo stiano facendo di proposito con qualche obiettivo più grande in mente. Ma se non ci fosse un obiettivo più grande? E se queste tattiche fossero semplicemente ciò che è necessario ora per creare un qualsiasi tipo di narrazione dominante? E se queste tattiche fossero ora il prezzo da pagare per creare una narrazione?

Se è così, quel prezzo è salito alle stelle. Possiamo utilmente chiamare questa inflazione narrativa. Se si aumenta l’offerta di denaro, si ha l’inflazione monetaria. Se si aumenta l’offerta di narrazioni, si ha l’inflazione narrativa. Il prezzo per creare una narrazione dominante è salito per una serie di ragioni, ma una è che internet ha aperto le porte al flusso di informazioni e ha permesso la creazione di molteplici narrazioni alternative. Questo ha creato una propria dinamica indipendente dalle considerazioni politiche ed economiche che stanno anche guidando la tendenza. Può risultare che una delle conseguenze del permettere un’informazione libera e istantanea è quella di distruggere le narrazioni centralizzate. Ci sono buone ragioni sociologiche e psicologiche per cui questo sarebbe il caso.

La testimonianza oculare è stata a lungo problematica per la polizia che cerca di indagare su un incidente o un crimine. Anche per qualcosa di relativamente semplice come un incidente d’auto, dove i testimoni oculari non hanno interessi personali nella storia, le testimonianze possono divergere radicalmente. Dieci persone che assistono a un incidente d’auto possono dare dieci storie diverse dell’incidente. Questi problemi sono notevolmente esacerbati quando le persone coinvolte hanno un interesse personale nel caso, come spesso accade nelle indagini penali.
Illustrazione di Sebastien Thibault

Questo eterno problema è stato affrontato in numerose opere di narrativa e saggistica. La migliore opera saggistica che ho visto sull’argomento è il documentario “Capturing the Friedmans”, in cui un insegnante di scuola viene trovato in possesso di materiale pedopornografico nella sua casa, il che porta ad una serie di eventi che includono la sua dichiarazione di colpevolezza per aver abusato sessualmente di alcuni dei suoi studenti.

Il documentario segue le motivazioni delle persone coinvolte mentre le voci del crimine si diffondono nella comunità locale creando una dinamica propria mentre i pettegolezzi e le insinuazioni mettono un’enorme pressione sulla famiglia al centro del caso. Alla fine del documentario, non sappiamo se la storia ufficiale sia stata confermata poiché le bugie e gli inganni creano effetti di secondo e terzo ordine che distorcono l’intero quadro.

Questo resoconto della vita reale rispecchia una delle migliori rappresentazioni fittizie del problema, il film “Rashomon” di Akira Kurosawa, in cui un omicidio avviene nella foresta ma sentiamo versioni radicalmente diverse dell’evento raccontate dalle persone coinvolte (incluso, drammaticamente, il defunto). La questione filosofica sollevata da entrambi i film è se si possa o meno trovare uno standard oggettivo di verità. Questo è un problema con cui i filosofi hanno lottato per millenni, ma diventa un problema pratico nei casi che coinvolgono il crimine, dove vogliamo vedere la giustizia servita e tuttavia abbiamo conti multipli e inconciliabili sulla realtà e apparentemente nessun modo per scegliere tra loro. Alla fine del processo, il sistema dà un verdetto di colpevole-non colpevole e questo viene preso come la “verità”, ma è davvero la verità?

Con internet, abbiamo visto la stessa psicologia applicata al discorso pubblico e questo ha creato problemi pratici per la politica. I politici amano dividere il pubblico quando fa comodo ai loro interessi, ma è anche vero che hanno bisogno di appellarsi a un fondamento che unisca il pubblico. Il processo è simile al sistema giudiziario. Anche se c’è disaccordo e competizione all’interno del sistema, tutti devono accettare di giocare secondo le regole. Il sistema stesso è la cosa in cui la gente crede.

Il discorso pubblico che esisteva prima di internet era facilitato da un sistema in cui i media erano conosciuti come il “terzo potere”. Il suo compito era quello di controllare il governo. Certo, questo non era un sistema perfetto ma, come dice un vecchio proverbio, sembra che fosse meglio di tutti gli altri. Era certamente meglio del sistema che abbiamo ora, dove i media non criticano affatto il governo e sono poco più di un ramo delle pubbliche relazioni del governo.

Recentemente nel parlamento neozelandese, Jacinda Ardern è stata interrogata sui 55 milioni di dollari che il suo governo ha dato ai media con certe condizioni su cosa poteva essere riportato. In Australia, il governo ha rinunciato alla tassa di licenza per i canali dei media tradizionali già nel marzo 2020. Questo ammontava a circa 44 milioni di dollari in sussidi. La teoria era che questo era necessario perché ci si aspettava che il covid riducesse le entrate pubblicitarie, una strana affermazione dato che l’intera popolazione stava per essere chiusa in casa con ogni incentivo a guardare le notizie. Quella misura è arrivata dopo che il governo australiano ha notoriamente tenuto Facebook e altri grandi attori tecnologici a riscatto e li ha costretti a pagare soldi alle aziende mediatiche australiane per i contenuti.

Qualunque sia la dimensione etica di queste questioni, ciò che ci sta sotto è il fatto che le aziende dei media non sono più imprese vitali in grado di esistere senza il sostegno del governo. Poiché ora dipendono dal denaro del governo, la loro funzione di terzo potere che tiene il governo sotto controllo è quasi scomparsa. Questo è un problema per loro, ma è anche un problema per il governo. La “narrazione ufficiale” è trasmessa attraverso i media tradizionali. Se i media tradizionali spariscono, sparisce anche la narrativa. I governi sanno che se i media spariscono, sparisce anche una grossa fetta del loro potere. Il governo ha bisogno dei media tanto quanto i media hanno bisogno del governo.

Direi che anche il pubblico ha bisogno dei media. Ha bisogno che i media agiscano come suoi rappresentanti. Questo era l’intero punto dell’accordo con il “Terzo Stato”. Il pubblico pagava i media (attraverso le vendite dei giornali, per esempio) e questo significava che i media avevano un incentivo a rappresentare gli interessi dei lettori. Ma ora tutto questo non c’è più. Alcuni pensano che il pubblico non abbia davvero bisogno dei media. Per quasi ogni evento, ora siamo in grado di guardare video in diretta online. Una volta avevamo bisogno del giornale per raccontarci i fatti, ma semplicemente non ne abbiamo più bisogno.

Si potrebbe pensare che sia una buona cosa. Togliamo l’intermediario e permettiamo al pubblico di vedere gli eventi da solo. Ma questo introduce lo stesso problema che si ha con i racconti dei testimoni oculari, cioè che si ottengono tante versioni della “verità” quante sono le persone. Il discorso diventa frammentato e i controlli e gli equilibri che una volta c’erano scompaiono. È un po’ come avere un’indagine criminale senza un detective. “Il sistema” non può più controllare il discorso come faceva prima. Questa non è una questione banale. Ci riporta a una delle idee più pericolose di Platone che è la Nobile Menzogna. L’idea è che la società non può esistere e la giustizia non può essere servita se non ci sono un certo numero di bugie che legano la società. Menzogna è, naturalmente, una parola molto forte. Potremmo ammorbidirla parlando di miti o ideali, ma l’effetto è lo stesso. I miti e gli ideali sono la colla che tiene insieme le cose e, secondo Platone, senza di essi la società si disintegra.

Il nostro discorso pubblico post-internet fornisce alcune prove di questa affermazione. Si è completamente staccato dalla realtà o, per dirla in un altro modo, rappresenta solo una versione della realtà: quella che viene dall’alto verso il basso. Questo processo è particolarmente avanzato negli Stati Uniti. Ha raggiunto un picco febbrile con la presidenza Trump e da allora non è più tornato quello di prima.

Ci sono ora almeno due narrazioni reciprocamente incompatibili negli Stati Uniti, il che significa che l’accordo sui fondamenti che tengono insieme la società è messo in discussione su base quasi quotidiana. È abbastanza comune sentire qualcuno da una parte o dall’altra del dibattito etichettare qualcuno dall’altra parte come “pazzo” o “folle” e questa è una manifestazione del problema. All’interno di questo nuovo mondo, l’idea che la “narrazione stia per crollare” non ha senso. La narrazione dominante è tenuta in piedi dal potere, non dalla verità. Per definizione, l’unica cosa che può “incrinarla” è un’altra fonte di potere.

Questo è stato il genio di Trump. Ha dirottato l’intera macchina che genera la narrazione e l’ha trasformata per i suoi scopi. Ma credo che Trump sia stato una strada senza uscita. Si sono sbarazzati di lui, ma così facendo hanno rimosso ogni ultima pretesa che la narrazione fosse “giusta” o “veritiera”. Non si può semplicemente cancellare il presidente in carica e poi tornare alla normalità come se nulla fosse successo. Di conseguenza, una gran parte della popolazione non ha più alcuna fiducia nel sistema. Questo vale indipendentemente da chi è al potere. La narrazione dominante ora non è altro che la storia raccontata da coloro che sono al potere.

In Australia e in gran parte dell’Europa e del Canada, stiamo solo ora arrivando alla stessa situazione che c’è negli Stati Uniti. Qui a Melbourne, più di centomila persone hanno marciato contro il governo lo scorso fine settimana. La risposta del premier è stata quella di definirli “teppisti” ed “estremisti”. Mi ha ricordato molto il momento dei “deplorabili” di Hillary Clinton.

Quando i politici non sentono più la necessità di accogliere gli interessi e le opinioni di una parte sostanziale della popolazione, si sa che la narrazione è già fratturata. Andrews può o non può farla franca politicamente per ora, ma i manifestanti rappresentano un nuovo gruppo nella vita pubblica australiana; quelli esclusi dalla narrazione. Lo stesso vale per i manifestanti in Europa che sono semplicemente ignorati dai media principali. Poiché il discorso pubblico non prova più nemmeno a sostenere che riflette la realtà, nessuno ci crede veramente, comprese le persone che nominalmente lo seguono. Nel profondo devono anche sapere che è falso.

Stiamo entrando in un’epoca in cui non si crede più nemmeno all’idea di una narrazione centralizzata. Se Platone aveva ragione, questo fatto da solo è una minaccia esistenziale per lo stato ed è comprensibile che lo stato si sforzi di risolvere il problema. Ma è quasi certamente troppo tardi. Tutta la censura e la vittimizzazione del mondo non rimetterà insieme Humpty Dumpty.

In futuro mi aspetto che avremo ancora una “narrazione ufficiale”, ma nessuno ci crederà veramente. Questo è ciò che è implicito nel calo delle entrate dei canali mediatici principali. Questo porterà alla disintegrazione dello stato? Platone avrebbe detto di sì. Forse stiamo per mettere alla prova questa teoria.



domenica 21 novembre 2021

Il grande fallimento dei modelli predittivi: il virus continua a fare quello che gli pare



In questi giorni, ho tradotto un articolo del medico svedese Sebastian Rushworth per l "Unconditional Blog." Rushworth fa del suo meglio per interpretare la situazione relativa al Covid-19 sulla base dei dati disponibili, esaminando come sono andate le cose in diversi paesi. 

Quello che fa impressione di tutta la vicenda è come il virus abbia sempre fatto a modo suo, infischiandosene alla grande dei vari provvedimenti più o meno draconiani presi dai governi. Rushworth stesso usa il termine "sorprendente" proprio nel titolo. 

Così, tutta la vicenda è iniziata con il fallimento dei modelli predittivi dei consulenti del governo inglese, quelli del famigerato "Imperial College," sui quali provvedimenti come il lockdown del 2020 erano basati. Modelli evolutissimi (o così definiti dai loro creatori) che hanno sballato completamente le previsioni parlando di almeno mezzo milione di morti nel primo ciclo epidemico nella sola Gran Bretagna. Per aggiungere beffa al danno, il rappresentante principale del gruppo di scienziati che lavorava con questi modelli, Neil Ferguson, si è poi fatto beccare a ricevere la sua amichetta a casa sua in barba al lockdown rigoroso che lui stesso aveva caldeggiato. Il grande modellista non aveva modellizzato bene il suo stesso comportamento, evidentemente.

In questo articolo, noterete come Rushworth non è che non usi i modelli. Li usa, ma nel modo giusto. Ovvero, non nel modo "predittivo" ma nel modo "interpretativo." Vale a dire che esamina l'andamento dell'epidemia sulla base alcuni semplici fatti, il principale dei quali è che tutte le epidemie seguono dei cicli a forma di campana, il che è un risultato che viene dai modelli, ma che non va preso come una profezia. Però, è una guida.

Insomma, di questa vicenda ci insegna che l'unico modo di affrontare un futuro difficile è di essere flessibili, di tener conto dei modelli, ma anche di essere sempre pronti a cambiare idea. Il che non è proprio il modo in cui si è svolto il dibattito sul covid, ma lasciamo perdere. Leggetevi l'articolo di Rushworth perché è veramente ben fatto e interessante.




ATTUALITÀ, SOCIETÀ

La sorprendente quarta ondata

Novembre 20, 2021


Covid: Arriverà la quarta ondata? Forse no, ma ancora non lo possiamo dire con certezza. Le considerazioni di Sebastian Rushworth


Nella questione Covid-19, la voce di Sebastian Rushworth, medico svedese, è sempre un punto di riferimento. Qui, Rushworth analizza le ragioni per la “quarta ondata” del virus, quella che è arrivata nell’Europa dell’Est circa un mese fa e che adesso è in declino, ma che si sta diffondendo in Germania e altri paesi. Colpirà anche l’Italia?

Rushworth fra alcune considerazioni molto interessanti in termini di vaccinazioni e di ondate virali. Nota che la quarta ondata è arrivata principalmente in paesi che avevano in qualche modo scampato la prima ondata (quella di Marzo 2020) e che quindi non avevano raggiunto ancora l’immunità di gregge. La Svezia, invece, aveva subito una prima ondata abbastanza importante, per cui adesso sembrerebbe essere immune alla quarta.

Altri paesi, invece, potrebbero essere temporaneamente protetti dalla quarta ondata dalle vaccinazioni, il cui effetto però svanisce dopo alcuni mesi. Questo spiega come Israele, i cui cittadini sono stati fra i primi al mondo a vaccinarsi, stia venendo colpito adesso da una quarta ondata.

E l’Italia? Noi abbiamo avuto una pesante seconda ondata, per cui adesso potremmo essere protetti per immunità naturale. Se questo è il caso, non avremo una quarta ondata. Ma non si può escludere un effetto protettivo dei vaccini. In questo caso, potremmo essere sull’orlo di una quarta ondata che potrebbe manifestarsi nelle prossime settimane con l’esaurirsi dell’immunità vaccinale. Come sempre, il futuro è difficile da prevedere, ma ci si può perlomeno ragionare sopra.

E’ una storia complicata, ma per certi versi affascinante. Mi è parso il caso di tradurre questo pezzo di Rushworth che considero esemplare per equilibrio e ragionevolezza. Vedete voi cosa ne pensate.


COVID-19: la sorprendente quarta ondata


Dr. Sebastian Rushworth, 202 Novembre 2021 (articolo originale)


Sono stato sorpreso, all’inizio, quando molti paesi fortemente vaccinati sono stati colpiti da una nuova ondata di covid-19 all’inizio dell’autunno. Sono rimasto sorpreso, cioè, fino a quando ho iniziato a vedere studi che mostravano che la protezione offerta dai vaccini è molto meno impressionante di quanto si pensasse inizialmente, e scende a livelli bassi dopo pochi mesi.

Alla luce di questo fattore, ho confrontato i tassi di mortalità da covid tra diversi paesi, per cercare di capire esattamente cosa sta succedendo. I tassi di mortalità sono di gran lunga preferibili ai tassi di infezione, perché sono molto meno variabili nel tempo. I tassi di positività sono variati enormemente nel corso della pandemia, poiché la quantità di test effettuati è cambiata, la definizione di ciò che costituisce un caso è cambiata, e i test stessi sono cambiati. Il numero di casi è quindi impossibile da usare come strumento per capire come la pandemia si è evoluta nel tempo. Anche se i diversi paesi definiscono i decessi per malattia in modo diverso, essi tendono ad essere abbastanza coerenti internamente nel tempo. I dati sulla mortalità sono quindi molto più affidabili di quelli dei casi di caso, e quindi molto più utili per capire come si sta evolvendo la pandemia.

Quindi, ecco la Svezia, il paese in cui vivo e che quindi conosco meglio:




Quello che vediamo inizialmente è una grande ondata nella primavera del 2020 dovuta alla variante iniziale, quella di Wuhan, poi un calo fino a praticamente zero morti a causa dell’inizio dell’estate. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che il covid-19 è un virus altamente stagionale, che, come altri virus invernali, scompare in gran parte dalla tarda primavera all’inizio dell’autunno.
Vediamo poi nei dati svedesi una ricomparsa della variante di Wuhan nell’autunno del 2020, che inizia a declinare dopo pochi mesi quando viene raggiunta una sufficiente immunità della popolazione (cioè di “gregge”). Questo declino viene però fermato e contrastato da un aumento ancora più rapido dei decessi, che è dovuto all’arrivo della variante alfa britannica sulle coste svedesi.

Come può la variante alfa causare un’altra ondata se l’immunità della popolazione è già stata raggiunta, si potrebbe chiedere?

Perché la soglia dell’immunità della popolazione dipende dall’infettività e dalla trasmissibilità del virus. Più una variante è trasmissibile, più alta diventa la soglia dell’immunità della popolazione. Così, la soglia per l’immunità della popolazione contro la variante Wuhan è stata raggiunta nel dicembre 2020, ma quando è arrivata la variante alfa, la soglia è salita a un livello più alto, ed è iniziata una nuova ondata di diffusione pandemica.

Torniamo a quello che vediamo nel grafico: succede quindi che la variante alfa brucia rapidamente attraverso la popolazione e una sufficiente immunità della popolazione viene raggiunta contro la nuova variante entro la metà di gennaio 2021. Ancora una volta diventa difficile per il virus trovare nuovi ospiti, a quel punto il tasso di infezioni scende a un livello stagionale più basso ed endemico, che rimane fino all’arrivo della nuova stagione estiva.

Per coloro che vorrebbero attribuire il calo delle morti da covid a febbraio ai vaccini, vorrei far notare che solo una piccola percentuale della popolazione svedese era vaccinata a questo punto, quindi i vaccini non possono aver causato il calo.

Dopo l’estate, i livelli cominciano a salire di nuovo a un livello stagionale leggermente più alto, ma rimangono al livello basso che ci si aspetta per un virus che è ormai diventato endemico. Anche se la variante delta, altamente contagiosa, arriva in Svezia in tarda primavera e in autunno è totalmente dominante, non è in grado di creare una nuova ondata, a causa degli alti livelli di immunità preesistenti.

Vediamo situazioni molto simili per altri luoghi che, come la Svezia, sono stati colpiti duramente nella primavera del 2020. Qui c’è New York:

Ed ecco la Lombardia, in Italia (che per qualche motivo purtroppo non mostra i primi mesi del 2020):

Qui si vedono chiaramente le prime due ondate causate dalla variante Wuhan, poi la terza ondata causata dalla variante alfa, e poi niente, nonostante l’arrivo della variante delta. L’incapacità della variante delta di creare una nuova ondata in questi luoghi, in Italia e a New York, potrebbe essere spiegata in due modi – o non è sufficientemente più trasmissibile della variante alfa per generare una nuova ondata in luoghi che hanno già l’immunità della popolazione generata dalla variante alfa, o i vaccini stanno facendo il loro lavoro, per ora.

Passiamo all’India, per quello che ci insegna sulla variante delta:

All’inizio del 2021, la variante Delta nasce in India e si diffonde rapidamente nella popolazione. Il test degli anticorpi della popolazione rivela che circa il 50% della popolazione indiana viene infettato nel corso di pochi mesi, con la proporzione della popolazione con anticorpi che sale rapidamente dal 20% al 70%, a quel punto l’immunità della popolazione è sufficiente a far scendere la diffusione del virus a bassi livelli endemici. Si noti che i vaccini chiaramente non hanno avuto alcun ruolo in questo caso, poiché, proprio come in Svezia, solo una piccola percentuale della popolazione è stata vaccinata nel momento in cui il tasso di mortalità è sceso a livelli bassi.

Ora guardiamo alcuni paesi che hanno subito una quarta ondata durante l’autunno, e cerchiamo di capire perché. Ecco Israele:

Israele è stato in grado di evitare una forte diffusione del covid durante la primavera del 2020. Durante l’autunno viene colpito prima dalla variante originale di Wuhan e poi, proprio quando l’immunità della popolazione a quella variante raggiunge livelli in cui la diffusione comincia a diminuire, il paese viene colpito dalla variante alfa, con un picco di morti a fine gennaio 2021. A quel punto il 20% della popolazione è già completamente vaccinata, quindi qui il vaccino potrebbe effettivamente aver giocato un ruolo nel far scendere il tasso di mortalità. Questo potrebbe spiegare perché il tasso di mortalità in seguito scende molto rapidamente, invece di rimanere ad un livello più endemico fino a maggio, come in Svezia (che è stata molto più lenta nelle vaccinazioni).

Le morti da covid rimangono basse per tutta l’estate, come ci aspetteremmo. Poi arriviamo all’autunno 2021, e alla sorprendente quarta ondata. O non così sorprendente se si guardano i dati che ora mostrano abbastanza chiaramente che l’efficacia del vaccino scende rapidamente, anche quando si tratta di prevenire la malattia grave (il che è particolarmente vero per gli anziani fragili, che sono dopo tutto l’unico segmento della popolazione a grave rischio di covid-19).

Quindi, Israele viene colpito da una quarta ondata, come molti altri posti. Perché i luoghi discussi all’inizio di questo articolo, Svezia, Lombardia e New York, non stanno attualmente sperimentando la quarta ondata?

Per come la vedo io, ci sono due possibilità. La prima è che questi luoghi hanno sviluppato così tanta immunità naturale, grazie al fatto che hanno sperimentato un paio di mesi extra di pesante diffusione del covid-19 durante la primavera del 2020, che il covid è ormai finito in quei luoghi e non ci sono più grandi ondate in arrivo. Israele ha alti tassi di vaccinazione, ma all’inizio dell’autunno 2021 aveva sperimentato meno mesi di diffusione pandemica, e quindi aveva una percentuale inferiore della popolazione che aveva sviluppato l’immunità naturale da un’infezione precedente. È stato ormai stabilito abbastanza bene che l’immunità conferita dall’infezione è molto più durevole di quella conferita dalla vaccinazione, quindi questa è un’ipotesi ragionevole, ora che sappiamo che l’immunità generata dai vaccini è così fugace.

Può essere istruttivo, qui, guardare all’Europa dell’Est. I paesi dell’Europa orientale sono stati particolarmente colpiti quest’autunno. Qui c’è la Bulgaria:


Ed ecco la Slovacchia:

Notate qualcosa di speciale in questi posti?

Penso che due cose siano importanti a cui prestare attenzione. Primo, entrambi i luoghi sono stati quasi completamente risparmiati nella primavera del 2020. In secondo luogo, entrambi i luoghi avevano ancora un alto grado di diffusione virale quando l’inizio dell’estate ha fatto cadere le infezioni. Non hanno quindi mai raggiunto l’immunità della popolazione alle varianti più infettive, e quindi è sensato che abbiano visto una ricomparsa nell’autunno del 2021.

Quindi, la prima possibile spiegazione che ho menzionato per il motivo per cui alcuni luoghi non stanno sperimentando una quarta ondata è che quei luoghi ora hanno una sufficiente immunità naturale della popolazione, che li sta proteggendo. La seconda opzione è che questi luoghi stiano attualmente godendo di una protezione temporanea, data dal fatto che hanno vaccinato le loro popolazioni più tardi rispetto a luoghi come Israele. Se questo è il caso, allora si dirigeranno verso la quarta ondata in un altro mese o due.

I dati della Germania suggeriscono che la prima alternativa è più probabile che sia vera. Ecco come appare la curva per la Germania. Attualmente sembra dirigersi verso una quarta ondata.


Notate che la Germania, come Israele, è stata a malapena toccata da covid-19 durante la primavera del 2020. Invece ha avuto una grande ondata durante l’inverno del 2020/2021, causata dalla variante di Wuhan. Poi c’è stato un piccolo picco causato dalla variante alfa, che è cresciuta fino a diventare il ceppo dominante in Germania in aprile. La variante alfa è stata comunque impedita dal causare una nuova grande ondata dall’arrivo della stagione più calda. Durante questo periodo, la Germania ha vaccinato in massa la sua popolazione, con la maggior parte delle vaccinazioni tra marzo e giugno. Questo è molto simile alla Svezia, che ha anche vaccinato la maggior parte della sua popolazione tra marzo e giugno.

Allora perché la Germania sta vivendo una recrudescenza ora, e la Svezia no?

Chiaramente, non può essere dovuto al fatto che la Germania sia stata vaccinata prima e abbia perso l’immunità prima, dato che entrambi i paesi hanno vaccinato le loro popolazioni nello stesso periodo. Per questo motivo sono incline a favorire la prima ipotesi, che la Svezia abbia costruito una maggiore immunità della popolazione, per la semplice ragione che il covid ha iniziato a diffondersi massicciamente in Svezia nella primavera del 2020, ma non ha iniziato a diffondersi ampiamente in Germania fino all’autunno del 2020. Quindi, anche se l’effetto dei vaccini è già scemato in entrambi i paesi, la Svezia è protetta dalla sua diffusa immunità naturale della popolazione, mentre la Germania no. Se questo è il caso, allora la Svezia non dovrebbe vedere un’altra grande ondata. Tra un mese o due sapremo qual è la verità della questione.



venerdì 19 novembre 2021

Come Utilizzare le Risorse Ambientali: sani principi che nessuno rispetta
























Con l’ erosione del terreno diminuiscono le produzioni agricole

di Silvano Molfese

Negli ultimi decenni le conoscenze sulla biosfera hanno fatto enormi progressi e, nonostante ciò, si sono accumulate quantità sempre maggiori di gas climalteranti e di tante sostanze di sintesi, tossiche per la biosfera stessa che è stata trasformata in una discarica.

Quali criteri si dovrebbero seguire per salvaguardare la biosfera quando utilizziamo le risorse naturali? Per esempio quant’acqua possiamo prelevare senza danneggiare l’ecosistema?

Vandana Shiva nel richiamare l’attenzione sul ciclo dell’acqua e sui principi del prelievo idrico sostenibile si esprimeva così:

“La falda acquifera si abbassa quando il tasso di prelievo dell’acqua sotterranea è superiore al tasso di ricostituzione dei depositi di acqua sotterranea per percolazione. Per assicurare un’offerta continua di acqua sotterranea, il prelievo dovrebbe essere limitato al tasso netto di approvvigionamento della falda acquifera. Se il prelievo è invece superiore si inizia a estrarre l’acqua delle riserve sotterranee, e si verifica una siccità del sottosuolo anche se non c’è siccità dovuta a cause meteorologiche. “ (1).

Rileggendo questo concetto si potrebbe dire che si sfrutta una risorsa naturale quando, da una data superficie, si preleva una quantità della risorsa superiore al tasso netto di approvvigionamento annuo.

Invece si utilizza una risorsa naturale quando da una data superficie si preleva una quantità della risorsa entro il tasso netto di approvvigionamento annuo.

Con l’uso ripetuto della fresa su terreni acclivi si avrà l’erosione del suolo che comporterà un calo produttivo e, nei casi più gravi, l’azzeramento della produzione: in questi casi diremo che la risorsa suolo è stata sfruttata.

Un altro esempio potrebbe essere la disponibilità di seme per la semina in campo.

In un dato ambiente per ottimizzare le rese medie del grano duro, pari a 3,0 tonnellate per ettaro, è necessaria una densità di semina di 200 kg per ettaro.

Se un anno, per condizioni climatiche avverse, la resa di grano fosse di sole 1,5 t/ha il quantitativo di grano da conservare per la semina successiva, volendo mantenere le stesse potenzialità produttive, sarà comunque di 200 kg/ha .

Se il contadino dimezzasse queste scorte di semente, potrà seminare soltanto metà della superficie con il corrispondente calo produttivo.

In questo caso potremo affermare che è stata sfruttata la risorsa seme.

Un aspetto trascurato ma decisamente preoccupante per la stabilità climatica è dato dalla distruzione delle foreste primigenie: a livello mondiale nel 1947 si stimavano 1.500 miliardi di ettari di foreste primigenie mentre allo stato attuale ne sono rimaste circa la metà; tra il 2000 ed il 2018 per incendi e disboscamenti ammontano a ben 230 milioni gli ettari di foreste primigenie perse nel mondo. (2)

Dal 1950 circa, le tecnologie impiegate, la massiccia produzione industriale e la distruzione del manto forestale legate al sistema economico, a cui si somma l’aumento della popolazione mondiale, stanno modificando fortemente gli equilibri naturali

Forse definire le parole utilizzo e sfruttamento, quando ci riferiamo alle risorse naturali, potrà sembrare eccesso di pignoleria; tuttavia credo che nel comune linguaggio tecnico e scientifico sia preferibile una tale distinzione vista la distruzione esponenziale dei beni ambientali.



Note

(1) Shiva V., 1988 – Sopravvivere allo sviluppo. ISEDI, 246

(2) Bertacchi A., 2019 - Intervento al convegno “Resilienza o estinzione? Cambiamenti climatici, perdita di biodiversità, crisi economica: scegliere il futuro dopo la crescita.” Pisa, 22 marzo 2019.
http://mediaeventi.unipi.it/category/video/Resilienza-o-estinzione-parte-seconda/5eb581096cc392dfdbd8cd35cbec5bcf/206 dal 79’ e 05’’.





sabato 13 novembre 2021

Il Problema della Scienza sono gli Scienziati

 


E' vero che la scienza non è democratica. E nemmeno potrebbe esserlo. Ma non è nemmeno la proprietà privata delle star televisive che la usano per la loro notorietà e profitto personale. Qui, ne parla Steve Templeton in un articolo che si basa in gran parte sul lavoro di John Joannidis. Vediamo come l'umana debolezza degli scienziati ha creato un vero disastro, specialmente con l'epidemia di COVID-19. Corruzione, ricerca di notorietà, mancanza di creatività, gerarchizzazione, sfruttamento dell'ignoranza del pubblico, e pura cialtroneria, hanno fatto dei danni spaventosi, da cui non è ovvio che la scienza potrà mai riprendersi.  



Steve Templeton,

Cinque anni fa l'astrofisico e divulgatore scientifico Neil deGrasse Tyson ha twittato un testo davvero memorabile e degno di una citazione:

La Terra ha bisogno di un paese virtuale: #Rationalia, con una Costituzione di una sola riga: tutte le politiche devono essere basate sul peso dell'evidenza

Il mondo ideale di Tyson attraeva molte persone stanche della politica istintiva e guidata dalle emozioni e della guerra politica tribale che aveva invaso ogni arena della vita pubblica, inclusa la scienza. Ha attirato molti dei suoi colleghi scienziati, persone addestrate a pensare in modo obiettivo e testare ipotesi basate su osservazioni sul mondo naturale.

L'unico problema: l'enorme peso delle prove dimostra che il paese chiamato "Rationalia" semplicemente non esisterà mai.

Questo perché, per gli umani, pensare razionalmente richiede un'enorme quantità di energia e sforzo. Di conseguenza, la maggior parte delle volte non ci preoccupiamo di farlo. Invece, nella stragrande maggioranza dei casi, il nostro pensiero è guidato completamente dalla nostra intuizione e dai nostri istinti, senza che entri in gioco quel fastidioso pensiero razionale che interferisce sulle nostre decisioni.

Questa dicotomia è magistralmente spiegata nei minimi dettagli dal premio Nobel Daniel Kahneman nel suo libro Thinking Fast and Slow, ed è anche trattata con un focus sulle divisioni politiche nel capolavoro di Jonathan Haidt The Righteous Mind. Entrambi sono opere fantastiche di per sé e forniscono spiegazioni affascinanti sul perché le persone hanno punti di vista diversi e perché è così difficile cambiarli.

Ancora più importante, questa dicotomia cognitiva si applica a tutti, anche agli scienziati. Ciò potrebbe sorprendere qualcuno (compresi alcuni scienziati, a quanto pare), poiché i media e i politici hanno descritto gli scienziati (almeno quelli con cui sono d'accordo) come intrisi di una capacità magica di discernere e pronunciare la verità assoluta.

Questo non potrebbe essere più lontano dalla realtà. Dico spesso alle persone che la differenza tra uno scienziato e la persona media è che uno scienziato è più consapevole di ciò che non sa del proprio campo specifico (nota del traduttore: magari fosse sempre così!), mentre la persona media non sa ciò che non sa. In altre parole, tutti soffrono di un'ignoranza schiacciante, ma gli scienziati sono (si spera) di solito più consapevoli della  profondità della loro ignoranza. Occasionalmente gli può capitare di avere un'idea su come aumentare leggermente un particolare tipo di conoscenze, e talvolta quell'idea potrebbe persino rivelarsi vincente. Ma per la maggior parte passano il tempo a lavorare solo sulla conoscenza specifica del loro campo.

Gli scienziati sono spesso ostacolati dai propri anni di esperienza e dall'intuizione potenzialmente fuorviante che hanno sviluppato di conseguenza. Nel libro Virus Hunter, gli autori CJ Peters e Mark Olshaker raccontano come un ex direttore del CDC ha osservato che "giovani e inesperti agenti dell'EIS" (Epidemic Intelligence Service) solitamente inviati dal CDC per indagare su epidemie misteriose avevano in realtà qualche vantaggio rispetto ai loro più esperti e anziani stagionati. Pur avendo una formazione di prim'ordine e il supporto dell'intera organizzazione CDC, non avevano visto abbastanza per avere opinioni prestabilite e potevano essere più aperti a nuove possibilità e avere l'energia per perseguirle”. Gli esperti sono anche di solito pessimi nel fare previsioni, e come spiegato da Philip Tetlock nel suo libro Giudizio politico esperto, non sono più precisi nella previsione rispetto alla persona media. I recenti fallimenti dei modelli di previsione della pandemia hanno solo rafforzato questa conclusione.

La maggior parte degli scienziati di successo possono far risalire i loro successi principali a lavori che hanno fatto all'inizio della loro carriera. Questo accade non solo perché gli scienziati diventano più sicuri del loro posto di lavoro con gli anni, ma perché sono ostacolati dalle proprie esperienze e dai propri pregiudizi. Quando ero un tecnico di laboratorio alla fine degli anni '90, ricordo di aver chiesto consiglio a un immunologo su un esperimento che stavo pianificando. Ha finito per darmi un sacco di ragioni per cui non c'era un buon modo per fare quell'esperimento e ottenere informazioni utili. Ho parlato a una collega postdoc di questo incontro, e ricordo che lei disse: “Non ascoltarlo. Quel tizio può dissuaderti dal fare qualsiasi cosa”. Gli scienziati esperti sono profondamente consapevoli di ciò che non funziona e ciò può comportare una grande riluttanza a correre rischi.

Gli scienziati operano in un ambiente altamente competitivo in cui sono costretti a trascorrere la maggior parte del loro tempo alla ricerca di finanziamenti per la ricerca scrivendo infinite sovvenzioni, la stragrande maggioranza delle quali non sono finanziate (n.d.t: la maledizione dello scienziato). Per essere competitivi per questo pool limitato di risorse, i ricercatori cercano i lati positivi della loro ricerca e pubblicano risultati positivi. Anche se i risultati dello studio si discostano da quanto originariamente previsto, il manoscritto risultante raramente si legge in questo senso. E queste pressioni spesso fanno sì che l'analisi dei dati possa soffrire di vari errori, dall'enfatizzare innocentemente i risultati positivi all'ignorare i dati negativi o contrari, per arrivare fino alla falsificazione totale. Esempi dettagliati di queste cose sono forniti da Stuart Ritchie nel suo libro Science Fictions: How Fraud, Bias, Negligence, and Hype Undermine the Search for Truth. (n.d.t. assolutamente da leggere!!). Ritchie non solo spiega come la scienza venga distorta dalle pressioni causate dalla competizione e dalla necessità di finanziamento, anche quando gli scienziati sono bene intenzionati, ma entra in dettagli piuttosto pesanti su alcuni dei truffatori più prolifici. Un'altra eccellente risorsa che copre gli errori scientifici e gli illeciti della ricerca è il sito Web Retraction Watch. Il gran numero di articoli ritrattati, molti dagli stessi scienziati che li avevano pubblicati, evidenziano l'importanza di documentare e attaccare le frodi scientifiche.

I problemi con il reporting e la replicabilità dei dati di ricerca sono noti da anni. Nel 2005, il professor John Ioannidis di Stanford, tra gli scienziati più citati al mondo, ha pubblicato uno degli articoli più citati della sua carriera (oltre 1.600), "Perché i risultati della ricerca più pubblicati sono falsi". Nello studio, Ioannidis ha utilizzato simulazioni matematiche per dimostrare "che per la maggior parte dei progetti e delle impostazioni di studio, è più probabile che un'affermazione di ricerca sia falsa che vera. Inoltre, per molti campi scientifici attuali, i risultati della ricerca dichiarati possono spesso essere semplicemente misure accurate del pregiudizio prevalente”. Ioannidis ha anche offerto sei corollari derivati ​​dalle sue conclusioni:

  1. Più piccoli sono gli studi condotti in un certo campo scientifico, meno è probabile che i risultati della ricerca siano veri.
  2. Più piccole sono le dimensioni dell'effetto in un certo campo scientifico, meno è probabile che i risultati della ricerca siano veri.
  3. Maggiore è il numero e minore è la selezione delle correlazioni testate in un campo scientifico, meno è probabile che i risultati della ricerca siano veri.
  4. Maggiore è la flessibilità nei progetti, nelle definizioni, nei risultati e nelle modalità analitiche in un campo scientifico, meno è probabile che i risultati della ricerca siano veri.
  5. Maggiori sono gli interessi e i pregiudizi finanziari e di altro tipo in un campo scientifico, meno è probabile che i risultati della ricerca siano veri.
  6. Più un campo scientifico è alla moda (con un maggior numero di team scientifici coinvolti), meno è probabile che i risultati della ricerca siano veri.

Se guardiamo attentamente l'elenco, i numeri 5 e 6 dovrebbero saltare fuori come se urlassero. Vediamo di esaminarli più da vicino. Dice Joannidis:

“Corollario 5: maggiori sono gli interessi e i pregiudizi finanziari e di altro tipo in un campo scientifico, meno è probabile che i risultati della ricerca siano veri." Conflitti di interesse e pregiudizi possono aumentare i pregiudizi. I conflitti di interesse sono molto comuni nella ricerca biomedica, e in genere non sono adeguatamente segnalati. Il pregiudizio potrebbe non avere necessariamente radici finanziarie. Gli scienziati in un dato campo possono essere prevenuti semplicemente a causa della loro fede in una teoria scientifica o dell'impegno nei confronti delle proprie scoperte. Molti studi universitari, seppure apparentemente indipendenti, possono essere realizzati solo per fornire a medici e ricercatori qualifiche per la loro promozione o per la loro permanenza nella struttura. Anche questi conflitti non finanziari possono anche portare a risultati e interpretazioni distorti. Può succedere che ricercatori di prestigio possono sopprimere attraverso il processo di revisione tra pari ("peer review") la comparsa e la diffusione di interpretazioni  che confutano i loro risultati, condannando così il loro campo a perpetuare falsi dogmi. L'evidenza empirica sull'opinione degli esperti mostra che è estremamente inaffidabile”.

“Corollario 6: più popolare è un campo scientifico (con più team scientifici coinvolti), meno è probabile che i risultati della ricerca siano veri. Questo corollario apparentemente paradossale esiste perché, come affermato sopra, il PPV (valore predittivo positivo) di risultati isolati diminuisce quando molte squadre di ricercatori sono coinvolte nello stesso campo. Questo potrebbe spiegare perché occasionalmente vediamo una grande eccitazione seguita rapidamente da gravi delusioni in campi che attirano un'ampia attenzione. Con molte squadre che lavorano sullo stesso campo e con abbondanza di dati sperimentali prodotti, il tempismo è essenziale per battere la concorrenza. Pertanto, ogni squadra può dare la priorità al perseguire e diffondere i suoi risultati "positivi" più impressionanti ... "

Gli scienziati prevenuti a causa delle loro convinzioni, motivati ​​da quanto il loro campo è "caldo, possono quindi dare la priorità a risultati positivi con il risultato di ovvie distorsioni nella ricerca SARS-CoV-2. Ioannidis e colleghi hanno pubblicato studi sull'esplosione della ricerca SARS-CoV-2 pubblicata , rilevando "210.863 articoli rilevanti per COVID-19, che rappresentano il 3,7% dei 5.728.015 articoli in tutta la scienza pubblicata e indicizzata in Scopus nel periodo 1 gennaio. 2020 fino al 1° agosto 2021”. Gli autori di articoli relativi a COVID-19 erano esperti in quasi tutti i campi, tra cui "pesca, ornitologia, entomologia o architettura". Entro la fine del 2020, Ioannidis ha scritto, “solo l'ingegneria automobilistica non aveva scienziati che pubblicavano su COVID-19. All'inizio del 2021, anche gli ingegneri automobilistici hanno detto la loro". Altri hanno anche commentato la "covidizzazione " della ricerca , evidenziando la riduzione della qualità della ricerca poiché la COVID-mania ha spinto i ricercatori da campi non correlati verso il campo più alla moda e più redditizio disponibili.

Come ho discusso in due post precedenti, il mascheramento universale e la segnalazione dei danni causati dal COVID ai bambini sono stati irrimediabilmente politicizzati e distorti a causa dei pregiudizi dilaganti di media, politici, scienziati e organizzazioni di sanità pubblica. Ma il vero colpevole potrebbe essere il pubblico stesso e la cultura della sicurezza a rischio zero del mondo occidentale che ha incoraggiato tutti questi attori nel campo a esagerare i danni per forzare cambiamenti comportamentali. Inoltre, la maggior parte delle persone compiacenti che stanno "prendendo sul serio la pandemia" vogliono sapere che tutti i sacrifici che hanno fatto sono valsi la pena.

Gli scienziati e i media sono più che felici di mettersi d'accordo per fornire notizie:

“Immagina di essere uno scienziato e di sapere che un risultato positivo di un tuo studio porterebbe a un riconoscimento istantaneo da parte del New York Times, della CNN e di altri organi internazionali, mentre un risultato negativo porterebbe a critiche feroci da parte dei tuoi colleghi, attacchi personali e censura sui social media, e difficoltà a pubblicare i risultati. Come vi comportereste?"
La risposta è ovvia. Il desiderio travolgente di un pubblico terrorizzato di avere prove che certi interventi siano efficaci per eliminare efficacemente il rischio di infezione spingerà inevitabilmente gli scienziati a fornire tali prove. Idealmente, un riconoscimento di questo pregiudizio comporterebbe un aumento dello scetticismo da parte di altri scienziati e media, ma ciò non è accaduto. Dichiarazioni esagerate di efficacia degli interventi e danni esagerati per promuoverne l'accettazione sono diventate la norma nella segnalazione di pandemia.

Come ho discusso in un post precedente, il modo migliore per mitigare i bias di ricerca è che i ricercatori invitino partner neutrali a replicare il loro lavoro e collaborare su ulteriori studi. La capacità di rendere disponibili tutti i dati al pubblico e ad altri scienziati invita anche a revisioni critiche che sono autofinanziate e quindi potenzialmente più accurate e meno distorte. La disponibilità pubblica di set di dati e documenti ha portato al miglioramento delle previsioni sulla pandemia e ha portato la possibilità che il virus SARS-CoV-2 sia emerso da un laboratorio di ricerca fuori dalle ombre della teoria della cospirazione e alla luce pubblica.

Come risultato della disponibilità di dati pubblici documentazione trasparente, ci sono state lamentele sul fatto che queste risorse sono state utilizzate in modo improprio da scienziati da poltrona o scienziati impegnati in sconfinamenti epistemici al di fuori dei rispettivi campi, risultando in un'enorme e confusa pila di informazioni fuorvianti. Eppure, anche se il processo della scienza fosse limitato solo agli "esperti", la stragrande maggioranza degli studi produce comunque pochissime informazioni preziose o accurate ad altri ricercatori o al pubblico in generale. Solo attraverso una dura selezione naturale e un processo di replica tra pari le idee migliori sopravvivono oltre il loro clamore iniziale. È anche importante notare che gruppi di ricercatori in un campo particolare possono essere così paralizzati da pregiudizi interni e politici e pensiero di gruppo tossico che solo quelli al di fuori del loro campo sono in grado di richiamare l'attenzione sul problema. Pertanto, la capacità di altri scienziati e del pubblico di aiutare nel processo correttivo a lungo termine della scienza è il modo migliore per avvicinarsi alla verità, nonostante i nostri difetti collettivi.






sabato 6 novembre 2021

Ma gli Ambientalisti Mangiano i Bambini?


à?Mentre è in corso la COP26 a Glasgow, mi sembra il caso di pubblicare una piccola riflessione sugli errori del passato, che sono stati molti e che sembra difficile che la COP possa rimediare, ma chissà? Per il momento, continuiamo a comportarci come gli antichi Maya che pensavano di poter risolvere i loro problemi con cose del tutto inutili come i sacrifici umani. 
  


Una risposta al Sig. Cortesi


Vi ricordate il film “Apocalypto” del 2006? Fra le altre cose, faceva vedere i sacrifici umani degli antichi Maya. Si estraeva il cuore dal petto di un poveraccio ancora vivo e poi si buttava giù il corpo per i gradini della piramide. Poi, i sacerdoti si mangiavano il cuore fatto alla griglia. Sembra che si facesse perché che “altrimenti il sole non sarebbe sorto il giorno dopo.” Forse è una leggenda, ma c’è chi dice che è vero.

Ora, non è che voglio dire che i nostri ambientalisti fanno i sacrifici umani (l’accusa di “mangiare i bambini” si usava una volta contro i comunisti, ma è un po’ passata di moda, a parte che Vladimir Putin pare lo faccia come hobby). Però, come i Maya, molti ambientalisti sono una bella illustrazione di un detto che si attribuisce a Albert Einstein: “La definizione di insanità mentale è fare la stessa cosa molte volte di seguito e aspettarsi risultati differenti.

Mi posso immaginare che i sacerdoti Maya reagissero alle varie carestie, pestilenze, e guerre dicendo, “E’ perché non abbiamo fatto abbastanza sacrifici umani. Dobbiamo farne di più!” E così gli ambientalisti, visto che sono trent’anni che si fanno esortazioni a ridurre le emissioni senza vedere alcun effetto, reagiscono dicendo “non abbiamo esortato abbastanza. Dobbiamo esortare di più!

Un buon esempio di questo atteggiamento è un post recente di Fabrizio Cortesi sul “Fatto” https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/08/27/clima-la-prima-cosa-da-combattere-e-lo-spreco-di-energia-e-consumi/6301840/ che critica un mio post precedente dove sostenevo che bisogna cambiare strategia per combattere il cambiamento climatico: bisogna smettere di esortare al risparmio e concentrarsi invece sulla produzione di energia rinnovabile.

Cortesi risponde con un post apprezzabile per la forma che è – nomen omen – cortese. Di certo non come il marasma di insulti che arrivano di solito nei commenti ai post sul “Fatto”. Però, mi dispiace doverlo dire, ma non ci siamo proprio. E’ un post che potrebbe essere stato scritto vent’anni fa e che dimostra come molti degli ambientalisti nostrani non si siano minimamente aggiornati sui progressi della tecnologia negli ultimi anni.

Quando Cortesi parla dell’ “illusione delle energie rinnovabili,” su cosa di basa? Soltanto su studi obsoleti che, purtroppo, hanno lasciato il loro impatto in una certa frazione del mondo ambientalista, al punto che continuano a ripeterne le conclusioni senza rendersi conto che, come si suol dire dalle parti di Amsterdam, “ne è passato di vento attraverso le pale.”

Non è più vero che l’energia rinnovabile è un “palliativo” o solo “greenwashing” come sostiene Cortesi. L’energia rinnovabile è un mezzo di produzione di energia concorrenziale a tutti gli effetti con tutti i metodi di produzione basati sui fossili. Ed è veramente “rinnovabile” perché l’energia che producono gli impianti durante la loro vita operativa è almeno 10 volte (e anche molto di più) superiore a quella necessaria per costruirli e gestirli. Su questo punto potete leggervi questo articolo di Marco Raugei, ricercatore italiano fra i più quotati a livello globale in questo campo: https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0360544209000061. E’ solo uno dei tanti articoli che dimostrano questa capacità delle rinnovabili.

Quanto alla necessità di risorse minerali, non è vero che sono una barriera insormontabile. Le rinnovabili moderne hanno bisogno soltanto di materiali abbondanti sulla crosta terrestre (silicio e alluminio) oppure di facilmente riciclabili (per esempio, le terre rare o il litio). Abbiamo tutto quello che ci serve per rimpiazzare i fossili – quelli si che sono limitati dalla disponibilità finita di risorse!

Non voglio farla lunga con questa risposta. Mi limito a riassumere il mio ragionamento che si basa sul fatto che cercare ottenere qualcosa a furia di esortazioni semplicemente non funziona. Usare decreti e proibizioni è ancora peggio perché è costoso e genera forti resistenze. Viceversa, non c’è bisogno di imporre le energie rinnovabili per decreto: funzionano e producono profitti, quindi, c’è un incentivo economico a installarle. Se non gli mettiamo i bastoni fra le pale con i vari comitati o con la burocrazia distruttiva, le vedremo crescere rapidamente e sostituire i fossili. Altrimenti, rischiamo veramente di fare la fine dei Maya.