martedì 17 agosto 2021

Afghanistan: il crepuscolo dell'Impero Globale

 

 


Afghanistan: una macchia di terra frastagliata più o meno al centro della massa dell'Eurasia e dell'Africa. Per un paio di secoli ha respinto le invasioni dei più grandi imperi della storia moderna: Gran Bretagna, Unione Sovietica e ora Stati Uniti. È possibile fare un'ipotesi plausibile su cosa abbia portato gli Stati Uniti a invadere l'Afghanistan nel 2001 (petrolio, cos'altro?), ma ora il tempo dell'espansione per l'Impero Globale è finito. Stiamo entrando nella zona del crepuscolo che tutti gli imperi tendono a raggiungere e mantenere per un breve periodo prima del loro crollo finale.


Da "The Seneca Effect" 24 Luglio 2021

di Ugo Bardi

 

Nel 117 d.C., l'imperatore Traiano morì dopo aver ampliato l'Impero Romano alla più grande estensione che avrebbe mai avuto. Fu allo stesso tempo un trionfo militare e un disastro economico. Le casse dello stato erano quasi vuote, la produzione delle miniere era in declino, l'esercito era a corto di uomini e nelle province crescevano disordini. Il successore di Traiano, Adriano, fece del suo meglio per salvare la situazione (*). Abbandonò i territori che non potevano essere mantenuti, sedò i disordini interni, diresse le risorse rimanenti per costruire fortificazioni ai confini dell'Impero. Fu una strategia vincente e il risultato fu circa un secolo di " Pax Romana " . Fu il crepuscolo dell'Impero Romano, un secolo circa di relativa pace che precedette la discesa finale.

Tutti gli imperi nella storia tendono a seguire percorsi simili. Non che gli imperi siano intelligenti, sono dei puri olobionti virtuali quasi puri e tendono a reagire alle perturbazioni cercando di mantenere la loro omeostasi interna. In altre parole, hanno poca o nessuna capacità di pianificare il futuro. Tuttavia, sono dotati di un certo grado di "intelligenza di gruppo" e possono essere in grado di prendere la strada giusta per tentativi ed errori. A volte il processo è facilitato da un decisore intelligente al vertice. Possiamo attribuire il periodo della Pax Romana alle decisioni di Adriano e dei suoi successori ma, più probabilmente, l'Impero Romano seguì semplicemente la strada che doveva seguire,

L'impero attuale, quello occidentale (o globale) potrebbe entrare in un simile periodo di ridimensionamento e stabilizzazione: una Pax Americana. Ho notato questa tendenza quando mi sono reso conto che negli ultimi dieci anni l'Impero Globale non si era impegnato in nuove grandi campagne militari. Si potrebbe obiettare che 10 anni sono troppo pochi per essere utilizzati per rilevare tendenze significative. Esatto, ma ci sono altri elementi che mostrano che l'Impero Globale si sta ritirando e ridimensionando. Ad esempio, gli attacchi terroristici globali e le vittime di guerra sono in calo da almeno cinque anni consecutivi . E, naturalmente, c'è stato l'annuncio che gli Stati Uniti stanno lasciando l'Afghanistan. Rimarranno i mercenari a combattere e possiamo immaginare che i droni continueranno a pattugliare il cielo dell'Afghanistan, continuando la loro continua ondata di uccisioni insensate. Ma, nel complesso, questa guerra è finita.

La campagna in Afghanistan è stata un piccolo miracolo militare. Basti pensare alle sfide di mantenere un esercito in un territorio ostile, in una regione remota non collegata alla terraferma, e questo per 20 anni! Penso che non sia mai stato fatto prima nella storia, almeno non con successo. In una precedente campagna afghana, l'esercito britannico non fu così fortunato con un solo sopravvissuto di un intero esercito durante la ritirata da Kabul nel 1842. Più tardi, nel 1954, i francesi subirono un disastro simile con la loro base di Dien Bien Phu, a Vietnam. Invece l'esercito occidentale sta tornando dall'Afghanistan più o meno intatto. 

L'Impero Globale non ha veramente perso questa guerra, ha solo capito che era impossibile continuare a combatterla. In effetti, l'Afghanistan è stato spesso definito "Cimitero degli imperi", ma in realtà non lo è mai stato . Gli imperi non sono morti perché hanno dovuto lasciare questo paese remoto, sono morti per altri motivi e, nella loro agonia, hanno lasciato andare questo loro possesso remoto e insostenibile. Ma, prima che l'Impero d'Occidente scompaia per sempre, potremmo forse essere in grado di godere di un periodo di Pax Americana, proprio come fecero i romani dopo che Adriano divenne imperatore.

Con la campagna afghana finita, potremmo chiederci perché l'impero vi si è impegnato. Le guerre, come tutte le imprese umane, sono generate da quelle entità virtuali che chiamiamo meme. Questi sono schemi di idee che dominano la mente umana, è stato Daniel Dennett a dire che gli esseri umani sono scimmie infestate da meme. Quindi, l'interpretazione generale di questa storia è legata a un meme apparso all'indomani degli attacchi dell'11 settembre 2001, presumibilmente ideato da un malvagio sceicco di nome Osama bin Laden che aveva una base militare nascosta in un complesso di grotte nel nord dell'Afghanistan. Il collegamento di questo meme con la realtà è sempre stato fragile, a dir poco, non migliore di quello delle "armi di distruzione di massa" in Iraq. E, infatti, non sono mai state trovate tracce di Osama o di un'importante base militare che nascondesse terroristi in Afghanistan. Ma il potere dei memi non dipende dal loro legame con la realtà.

Ma probabilmente c'è stato un meme molto più potente che ha portato all'invasione americana dell'Afghanistan. Non aveva niente a che fare con uno sceicco barbuto nascosto in una grotta. Piuttosto, si trattava del problema che ha generato la maggior parte delle guerre recenti: il petrolio greggio. 

Naturalmente, l'Afghanistan non ha petrolio, e questo si sapeva. Ma negli anni '90 le riserve petrolifere della regione del Caspio, adiacente all'Afghanistan, erano state oggetto di un gioco di ingrandimento che portava ad esagerarne l'estensione almeno di un ordine di grandezza. Di conseguenza, gli Stati Uniti potrebbero aver cercato il meme marrone scuro di "Una nuova Arabia Saudita" che implicava la presa del controllo dell'Afghanistan.

Nel lontano 2004, ho scritto la storia dello sviluppo di questo meme in un post in italiano . Di seguito, l'ho aggiornato e condensato in una versione in inglese. A quel tempo, non potevo immaginare che la campagna afghana sarebbe andata avanti per quasi due decenni, ma i meme sono inarrestabili quando si impadroniscono delle menti umane. 

Tuttavia, non credo che ci sia una spiegazione razionale per questi eventi. Proprio come disse Tolstoj sull'invasione francese della Russia, nel 1812, la guerra in Afghanistan avvenne "perché doveva accadere". E se è finita, adesso, è perché doveva esserlo. 

La mia interpretazione è che negli ultimi 10 anni o giù di lì abbiamo creato una creatura della Rete dotata di intelligenza a sciame che sta conquistando la memesfera dell'umanità. Forse mi sbaglio e, ovviamente, non ho prove che sia così. Ma ho la forte impressione che i grandi giochi che fanno gli imperi potrebbero non essere più nelle mani di quegli psicopatici che si definiscono "imperatori". E il futuro sarà quello che deve essere.

Vedi anche questo post di Tom Engelhart che fa osservazioni molto simili sulla fase di ritiro dell'Impero americano. 

(*) A proposito di Adriano, probabilmente conoscete il libro intitolato "Memorie di Adriano" di Marguerite Yourcenar. È un libro eccellente sotto molti aspetti, prima di tutto come capolavoro letterario, ma anche perché comprende e descrive chiaramente la situazione dell'Impero Romano dopo che Traiano l'aveva quasi distrutto allargandone i confini. Ma, nonostante il ritratto lusinghiero di Yourcenar, Adriano non era il signor simpaticone imperatore. Era spietato contro i suoi nemici politici e contro ogni opposizione. Nel 136 dC distrusse ciò che restava di Gerusalemme dopo la sconfitta del 70 dC, tentando di cancellare anche il nome della città che venne ricostruita con il nome di Aelia Capitolina.

LA FEBBRE DELL'OLIO DEL CASPIO.

di Ugo Bardi

Una versione più lunga di questa storia è stata pubblicata in italiano sul sito “ASPOITALIA” nell'agosto 2004.


La febbre del petrolio caspico è iniziata alla fine degli anni '90, quando in Occidente è diventato di moda parlare delle "immense riserve" di greggio che si potevano trovare nell'area intorno al Mar Caspio. Questa regione doveva essere così ricca che sarebbe stato possibile trasformarla in una "Nuova Arabia Saudita" (a volte "Un nuovo Golfo Persico"). Ma la storia era iniziata molto prima. 

Già a metà del XIX secolo furono scavati i primi pozzi petroliferi vicino a Baku, nella regione dell'Azerbaigian. Nel 1873, Robert Nobel, fratello di Alfred Nobel, l'inventore della dinamite, guidò una spedizione da San Pietroburgo verso sud. Trovò a Baku, sulla sponda del Caspio, un'industria petrolifera già operativa. Nobel ha investito in questo settore, sviluppandolo notevolmente. Alla fine del diciannovesimo secolo, Baku era la più grande area produttrice di petrolio del mondo, superando addirittura l'industria petrolifera americana dell'epoca.

A quel tempo il petrolio veniva principalmente trasformato in kerosene e poi utilizzato come combustibile per le lampade ad olio. Le lampade dei nostri bisnonni nell'Europa occidentale erano quasi certamente accese con olio fornito dall'industria mineraria del Caucaso (la pubblicità del cherosene, nella figura, sembra provenire dalla Lettonia, ma l'olio sicuramente proveniva dal Caucaso). Con lo sviluppo del motore a combustione interna, all'inizio del XX secolo, il petrolio iniziò ad essere sempre più utilizzato come combustibile. Il valore strategico dei giacimenti del Caucaso era importante già nella prima guerra mondiale, quando la penuria di petrolio fu uno dei fattori che causò la sconfitta degli Imperi Centrali. Ma divenne evidente con la seconda guerra mondiale che fu, per molti versi, la prima, vera "guerra per il petrolio".

Quando i tedeschi invasero l'Unione Sovietica nel 1941, uno dei loro principali obiettivi strategici erano i giacimenti petroliferi del Caucaso. Nelle offensive del 1941 e 1942, i tedeschi tentarono di avanzare verso il Caucaso, ma la battaglia di Stalingrado pose fine ai loro tentativi. Quello fu il punto di svolta della guerra. Se i tedeschi fossero riusciti a impossessarsi del Caucaso, la storia sarebbe potuta essere molto diversa (e forse stareste leggendo questo post in tedesco).

Dopo la seconda guerra mondiale, l'Unione Sovietica iniziò a incontrare difficoltà nell'espandere la produzione di petrolio dal Caucaso. Dagli anni '50 in poi, le riserve degli Urali, della regione del Volga e della Siberia orientale furono l'obiettivo principale dello sviluppo. Queste riserve hanno reso l'Unione Sovietica il più grande produttore di petrolio del mondo fino a circa 1990.

Alla fine degli anni '80, la produzione di petrolio sovietica ha iniziato a mostrare segni di difficoltà e, nel 1991, è stato raggiunto il picco di produzione, con il declino che inizia in seguito. Allo stesso tempo, arrivò il crollo della stessa Unione Sovietica. Ci sono molte interpretazioni sul motivo di questo crollo, ma è possibile che il calo della produzione di petrolio non sia stata una conseguenza ma la causa principale del crollo dell'impero sovietico, la struttura politica creata per sfruttarlo.
 
Questa storia ci dice molto sulla situazione nel Caucaso dopo la caduta dell'Unione Sovietica. Poiché i giacimenti petroliferi erano stati sfruttati per oltre un secolo, non dovremmo sorprenderci se fossero esauriti e in declino. Ma l'industria petrolifera occidentale guardava con un certo interesse all'area del Caspio, credendo che la loro tecnologia superiore potesse estrarre petrolio non accessibile ai sovietici.  
 
Già nel 1985, Harry E. Cook, dell'United States Geological Survey (USGS) iniziò ad esplorare l'Asia centrale per possibili nuove riserve di petrolio. Successivamente, sotto la guida di Cook, è stato formato un consorzio chiamato "Progetto USGS-Kazakhstan-Kyrgyzstan Oil Industry" che includeva ENI/AGIP, nonché BG, BP, ExxonMobil, Inpex, Phillips, Royal Dutch Shell, Statoil, TotalFinaElf e diversi ex - Istituti di ricerca sovietici.

Il primo contratto con il consorzio per l'esportazione del petrolio del Caspio in Occidente è stato firmato nel 1994. Si è rivelato un compito difficile a causa della necessità di trasportare l'attrezzatura in un luogo geografico remoto, non accessibile via mare. È stato necessario attendere fino al 1999 prima che diventasse possibile esportare il petrolio del Caspio attraverso l'oleodotto Baku-Novorossiirsk, che termina sul Mar Nero. Da lì, il petrolio potrebbe essere spedito in tutto il mondo.

Ma negli anni '90 era apparso anche un tipo virtuale di petrolio che esisteva solo nella mente delle persone. La storia è iniziata nel 1997 con la pubblicazione di un Rapporto del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti: (Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Rapporto sullo sviluppo energetico della regione del Caspian, aprile 1997). (una versione del rapporto può essere trovata a questo link ). 
 
Nella relazione si trova la seguente tabella:

Sembra che i dati del rapporto derivino dal lavoro di Cook che afferma che il giacimento di Kashagan potrebbe contenere fino a 50 miliardi di barili, un valore che qui è stato ulteriormente gonfiato a 85 miliardi, tanto che il totale per il Kazakistan è arrivato a ben 95 miliardi barili. L'ammontare complessivo delle “possibili” riserve nell'area è stato stimato in 178 miliardi di barili di petrolio. Non è chiaro cosa intendessero gli autori con il termine "olio possibile". Nella pratica della segnalazione delle riserve petrolifere, il termine "riserve possibili" è normalmente associato a una stima probabilistica, solitamente del 5%. Quindi, quello che diceva il rapporto era che c'era"una probabilità del 5% di trovare 163 miliardi di barili"

Una tale stima statistica era incomprensibile per il politico medio e questi dati sono stati mal interpretati. Il primo esponente politico a parlare pubblicamente della scoperta di nuove, "immense riserve" del Mar Caspio sembra essere stato il vicesegretario di Stato americano Strobe Talbott nel 1997. Talbot usò in quell'occasione, forse per la prima volta, la frase "riserve fino a duecento miliardi di barili di petrolio".

Talbot aveva arrotondato le "possibili riserve" a 200 miliardi di barili. Altre persone hanno parlato di 250 miliardi, e in alcuni casi si è sentito parlare di 300 miliardi di barili. Se queste stime fossero state vere, avrebbe significato che il Caspio avrebbe potuto aumentare le riserve petrolifere globali di circa il 20%, non di poco! Ma l'effetto principale di queste nuove riserve sarebbe stato quello di rompere drasticamente il quasi monopolio dei paesi dell'OPEC e del Medio Oriente sul petrolio e cambiare completamente il quadro geopolitico della produzione mondiale di petrolio. Questa è stata l'origine dell'entusiasmo per "Una Nuova Arabia Saudita" che potrebbe esistere nella regione del Caspio. 

Con il procedere dell'esplorazione, i dati disponibili sono stati ulteriormente elaborati. Nel 2000, l'USGS ha pubblicato un rapporto firmato da Thomas Ahlbrandt che arrivava a una stima delle riserve mondiali superiore di almeno il 50% rispetto a tutte le stime precedenti. Questo rapporto è stato criticato da molti esperti e contraddetto dall'andamento dei ritrovamenti successivi, ma è stato un altro degli elementi che hanno portato al mito del Mar Caspio come nuovo olio El Dorado.

La storia dei "200 miliardi di barili" ha iniziato a generare dubbi dal momento in cui è apparsa . Già nel 1997 un rapporto di Laurent Ruseckas al congresso degli Stati Uniti ridimensionava le stime parlando di un "massimo possibile" di 145 miliardi di barili, valore che andava preso come estremo improbabile, con un ragionevole valore massimo di circa 70 miliardi di barili. Ruseckas ha anche sottolineato che qualcuno si stava entusiasmando troppo.

Lo scetticismo iniziò a diffondersi rapidamente. Un articolo del 1998 sulla rivista Time affermava che se queste stime fossero corrette, la regione del Caspio potrebbe contenere "l'equivalente di 400 giacimenti giganti", eppure ci sono solo 370 giacimenti giganti nel mondo ( Robin Knight, “ Is The Caspian An Oil El Dorado (  Time Magazine, 29 giugno 1998, Vol. 151 No.26) . Nel 1999, un rapporto presentato al gruppo SPD al parlamento tedesco ( 1999 da Friedrich-Ebert-Stiftung, Washington Office 1155 15th Street, NW Suite 1100 Washington, AD 20005) era intitolato, significativamente, " Non più il 'Grande Gioco' nel Caspio ”. In una sezione di questo rapporto, Friedemann Muller ha affermato che: "La cifra spesso riportata - preferibilmente da politici di una certa età - 200 miliardi di barili è frutto della fantasia ”. La questione delle riserve gonfiate è apparsa anche sulla stampa popolare, ad esempio, in un articolo "NOW" di Toronto dell'11 novembre 2001, Damien Cave ha descritto le stime del Caspio di 200 miliardi di barili come " follemente ottimistiche, almeno nei prossimi vent'anni". .

Il mondo reale ha iniziato a intromettersi nella fantasia dei politici quando il consorzio OKIOC (ENI, BP, BG, ExxonMobil, Inpex, Phillips, Shell, Statoil e TotalFinaElf) ha iniziato a trivellare sul fondo del Mar Caspio. A quanto pare, i risultati non sono stati impressionanti, dal momento che il consorzio ha iniziato a sfaldarsi dopo la prima perforazione esplorativa. Nel 2003 ExxonMobil, Statoil, BP e BG se ne erano andati. L'Agip rimane e diventa il principale operatore del consorzio. Nell'aprile 2002, Gian Maria Gros-Pietro, allora presidente dell'ENI, parlando al Vertice economico eurasiatico ad Almaty, in Kazakistan, dichiarò che l'intero Caspio potrebbe contenere solo 7-8 miliardi di barili. Altri hanno stimato fino a 13 miliardi di barili per il solo giacimento di Kashagan. Per tutta l'area intorno al Mar Caspio, si può parlare di importi compresi tra 30 e 50 miliardi di barili. Queste riserve non sono trascurabili ma disponibili solo a costi elevati e non certo una nuova Arabia Saudita.

All'inizio degli anni 2000, la situazione era ragionevolmente chiara, almeno agli occhi degli esperti. Colin Campbell, il fondatore dell'Association for the Study of Peak Oil (ASPO) lo ha riassunto così in una comunicazione privata all'autore di queste note.

  Si diceva che l'area contenesse oltre 200 Gb [miliardi di barili] di petrolio (credo provenissero dall'US Geological Survey), ma i risultati dopo dieci anni di costruzione sono stati deludenti. Già nel 1979, i sovietici avevano trovato il campo di Tengiz sulla terraferma in Kazakistan. Esso contiene circa 6 miliardi di barili di petrolio in una barriera calcare a una profondità di circa 4500 m. Questo petrolio, tuttavia, contiene fino al 16% di zolfo, che era troppo anche per l'acciaio sovietico, così hanno scelto di non sfruttare il campo . Dopo la caduta dell'Unione Sovietica, arrivarono la Chevron e altre compagnie americane che riuscirono ad estrarre quel petrolio, ma con molte difficoltà e ad alti costi economici e ambientali.

Successivamente, in una serie di rilievi effettuati sul fondo del Mar Caspio, a circa 4000 metri di profondità fu trovata un'enorme struttura che per molti versi somigliava a quella di Tengiz.  Questa zona (Kashagan) aveva anche caratteristiche geologiche simili a quelle del gigantesco giacimento di Al Ghawar in Arabia Saudita. Se fosse stato pieno, avrebbe potuto effettivamente contenere 100 miliardi di barili o forse più e competere con i pozzi sauditi.

A quel punto, un uomo d'affari americano, Jack Grynberg, mise insieme un grande consorzio di compagnie petrolifere che includeva BP, Statoil, Total, Agip, Phillips, British Gas e altri. Questo consorzio si proponeva di sfruttare i depositi che si pensava esistessero in questa struttura.

La perforazione esplorativa è stata enormemente difficile. Il campo era offshore, quindi era difficile e complesso trasportare l'attrezzatura nell'area. Inoltre, quelle acque erano un terreno fertile per gli storioni che producono caviale russo. Infine, il clima invernale della zona è rigido con formazioni di ghiaccio sulla superficie dell'acqua e venti molto forti. Alla fine, al costo di 400 milioni di dollari, il consorzio è riuscito a perforare un pozzo profondo 4.500 metri nella zona più orientale dell'impianto. Seguì un silenzio mortale, seguito poco dopo dal ritiro di BP e Statoil dalla società. British Gas ha annunciato in un rapporto che il giacimento potrebbe contenere tra i 9 ei 15 miliardi di barili. Il motivo è che, a differenza di Al Ghawar, il campo è molto frammentato con i campi separati da rocce di bassa qualità. Si tratta di un campo interessante ed è certo che si troveranno ulteriori riserve, ma non è certo in grado di incidere in modo significativo sugli approvvigionamenti mondiali. C'è molto gas nelle vicinanze, ma le difficoltà di trasporto sono immense. "

Tuttavia, i due mondi, quello dei politici e quello degli esperti, si erano disaccoppiati e molti credevano ancora nell'esistenza di "200 miliardi di barili" nella regione del Caspio. Da sinistra si citavano le "immense riserve" del Caspio. come prova del malvagio imperialismo occidentale. Da destra, c'era un clamore per mettere le mani su quel ben di Dio il prima possibile. A titolo di esempio, possiamo citare il discorso che il senatore statunitense Conrad Burns, che si era recato personalmente in Kazakistan, tenne alla Heritage Foundation, il 19 marzo 2003.

"Ogni dollaro che spendiamo per il petrolio del Medio Oriente, abbiamo a che fare con petrolio canaglia. Denaro che va a costruire armi di distruzione di massa e anche ad alimentare quei gruppi terroristici che hanno bisogno di soldi per operare in tutto il mondo", ha detto Burns. "Non dobbiamo guardare al Medio Oriente, perché le riserve nel bacino del Caspio potrebbero essere grandi quanto quelle del Medio Oriente"
e :

A livello internazionale, il nostro Paese sta ignorando le opportunità che esistono in Russia e nel bacino del Mar Caspio. Nell'area del Mar Caspio sono state trovate riserve fino a 33 miliardi di barili, un potenziale superiore a quello degli Stati Uniti e il doppio di quello del Mare del Nord. Le stime parlano di ulteriori 233 miliardi di barili di riserve nel Caspio. Queste riserve potrebbero rappresentare fino al 25% delle riserve accertate mondiali. La Russia potrebbe avere riserve ancora più abbondanti. 

Questi numeri sono tutti sbagliati. Per prima cosa, le riserve del Mare del Nord sono stimate intorno ai 50 miliardi di barili, e 33 non sono certo il doppio di 50. Quanto ai "255 miliardi di barili", sommati agli altri 33 fanno un totale di 288 miliardi di barili, che è fuori della grazia di Dio. Ma, chiaramente, Burns non è stato l'unico politico americano a pensare in questi termini. E molto di quello che è successo dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001 può essere spiegato come un tentativo del governo degli Stati Uniti di assumere il controllo diretto dei giacimenti petroliferi strategici del Medio Oriente e dell'Asia centrale. Non per niente Conrad Burns fu un convinto sostenitore anche dell'invasione dell'Iraq.

Alla fine, non sembra paranoico pensare che gli Stati Uniti abbiano attaccato l'Afghanistan nel 2001 per sgombrare il campo al passaggio di un oleodotto dal Caspio che sarebbe arrivato fino all'Oceano Indiano passando per il Pakistan . Un grande sogno, se mai ce n'è stato uno. Ma nel Caucaso non c'erano "immense riserve" e, quindi, non c'era bisogno di un oleodotto per trasportarle. E la realtà, come al solito, alla fine ha preso il sopravvento.

venerdì 13 agosto 2021

Mutilazione Rituale come una Prova di Appartenenza nelle Società sotto Stress

 Le mani di un anziano membro della mafia giapponese (gli "Yakuza"). Oltre ai tatuaggi, notate l'amputazione del dito mignolo. E' una delle tante forme di mutilazione rituale praticate nella società umana. 

 

Fino a non molto tempo fa, esisteva in Giappone un'organizzazione criminale i cui membri andavano sotto il nome di Yakuza. Era molto simile alla nostra mafia, tanto è vero che viene spesso chiamata la "mafia giapponese." Gli Yakuza praticavano varie forme di mutilazione rituale, una delle quali era l'amputazione dell'ultima falange del dito mignolo. Lo descrive anche Fosco Maraini nel suo "Ore Giapponesi" (1958), raccontandoci che lui stesso si taglio il mignolo come protesta contro il governo Giapponese. 

Tagliarsi una falange del mignolo è un buon esempio di una mutilazione rituale. Non è utile a niente, ma è visibile, è doloroso, ed è una prova di coraggio per chi lo fa. Quindi, è una testimonianza di appartenenza a un certo gruppo -- in questo caso gli Yakuza. Oggi, sono quasi spariti in Giappone e con loro le mani dal mignolo amputato. Ma le mutilazioni rituali in altre forme sono comuni in altre regioni del mondo. 

Nella parte Ovest dell'Eurasia, ci sono due tipi di mutilazione rituale diffuse: la circoncisione maschile e l'infibulazione femminile. Per entrambe, si parla di possibili benefici sanitari ma su questo non esistono prove certe. Come nel caso dell'amputazione del mignolo, sono prove di appartenenza a un gruppo sociale o religioso. Come sappiamo, la circoncisione è obbligatoria per gli ebrei, è comune fra i musulmani, anche se non obbligatoria per motivi religiosi, meno comune ma non rara fra i cristiani. In Europa si parla di circa il 20% dei maschi circoncisi, una percentuale che sale a circa l'80% negli Stati Uniti. 

Tutto sommato, la circoncisione non ha grandi effetti sul fisico del circonciso, ma per quanto riguarda l'infibulazione si parla di una vera e propria mutilazione che influisce pesantemente sulla sessualità della donna che la subisce.  E' condannata dalla religione cristiana, non fa parte della tradizione ebraica ed è stata oggetto di Fatwa islamiche che la proibiscono. In molti stati, è esplicitamente proibita dalla legge.

Eppure, l'infibulazione resiste tenacemente in certe aree dove è un'antica tradizione, specialmente in Africa. E' difficile per noi occidentali rendersi conto del perché le donne in queste regioni spesso non la vedono come un'imposizione, ma come un motivo di orgoglio, una prova di maturità e di appartenenza alla società in cui vivono. In queste società, la donna non infibulata è considerata una reietta, una nemica da isolare e demonizzare. E' un meccanismo perverso che persiste nonostante i molti tentativi di eradicare la pratica. 

Esistono, ed esistevano nel passato molte altre pratiche di mutilazione rituale che colpiscono sia uomini che donne. Si racconta che, un tempo, le amazzoni si amputassero una mammella per tirare meglio con l'arco. E' quasi certamente una leggenda.  Anche se fosse vera, è improbabile che avrebbe migliorato la loro capacità di infilzare i nemici con le freccie. Se le Amazzoni (assumendo che siano mai esistite) lo facevano, era per la stessa ragione per la quale gli yakuza si tranciavano una falange del dito mignolo. 

In Cina, si praticava fino a tempi recenti la legatura dei piedi delle bambine. Era una forma di mutilazione: una vera tortura giornaliera con conseguenze che duravano per tutta la vita. Da adulte, queste donne non erano in grado di camminare da sole. Per fortuna, oggi non si fa più, ma rimangono ancora in vita alcune anziane donne cinesi che hanno subito questa pratica in gioventù. 

In Occidente, la prevalenza della visione cristiana a partire da Paolo di Tarso tendeva al rifiuto di ogni intervento irreversibile sul corpo umano. Ciononostante, forme minori di mutilazione sono rimaste diffuse, come quella di bucare il lobo delle orecchie per gli orecchini. 

Più spesso, la mutilazione veniva eseguita con il supporto della "scienza." Un esempio era la rimozione delle tonsille dei bambini, come era venuto di moda fare negli anni 1970. Un'operazione che probabilmente non faceva gravi danni, ma la cui opportunità è quantomeno discutibile se eseguita su persone sane.

Molto peggiore è il caso della mastectomia radicale per la cura del tumore della mammella. Come descrive Siddharta Mukherjee nel suo libro "L'imperatore di tutte le malattie" (2010) era una terapia invasiva che in certi casi implicava "l'escissione completa di tutto il tessuto mammario, contenuto ascellare, rimozione del latissimus dorsi, muscoli pettorali maggiori e minori e dissezione dei linfonodi mammari interni". E tutto questo senza una vera ragione medica che la giustificasse. Il risultato era una mutilazione radicale e irreversibile che trasformava la donna in un'invalida per il resto della vita.

Nella nostra società, teoricamente razionale, potremmo pensare di esserci liberati da queste usanze che consideriamo superstizioni o perlomeno errori di valutazione di una scienza ancora imperfetta. Ma il meccanismo di "prova di appartenenza basata sulla sofferenza" è profondamente radicato nel nostro modo di pensare e tende a rispuntare fuori in un modo o nell'altro, con o senza giustificazioni mediche. 

Pensiamo soltanto all'uso dei tatuaggi, considerato primitivo e barbarico in Occidente fino a qualche decennio fa, oggi diffusissimo fra i giovani. Tatuarsi è doloroso e quindi è una prova di coraggio per chi lo fa. E' anche irreversibile, cosicché rappresenta una prova di appartenenza definitiva a un certo gruppo sociale. Quindi non è sorprendente che si sia diffuso così rapidamente in una società che ai giovani da poco o niente, se non bastonate, reali o virtuali. 

Inutile nasconderlo: sotto un'infarinatura di razionalità, la nostra mentalità è ancora quella del tempo in cui si bruciavano le streghe, secoli fa. E quando siamo sotto stress sociale, le tendenze ossessive e punitive vengono fuori facilmente e sono impossibili da fermare. Per fortuna, oggi le donne non sono costrette a tagliarsi una mammella per tirare meglio con l'arco (per ora) e gli uomini non sono costretti a tranciarsi il mignolo per mostrare il loro coraggio (per ora). Ma con lo stress a cui siamo sottoposti, chissà....


martedì 10 agosto 2021

Consenso: un'arte che stiamo perdendo. Il caso della scienza del clima

 

Dal blog "The Seneca Effect"

Nel 1956, Arthur C. Clarke scrisse "The Forgotten Enemy", una storia di fantascienza che trattava del ritorno dell'era glaciale ( fonte immagine ). Sicuramente non era la migliore storia di Clarke, ma potrebbe essere stata la prima scritta su quell'argomento da un noto autore. Diversi altri autori di fantascienza hanno esaminato lo stesso tema, ma ciò non significa che, a quel tempo, esistesse un consenso scientifico sul raffreddamento globale. Significa solo che un consenso sul riscaldamento globale è stato ottenuto solo più tardi, negli anni '80. Ma quali meccanismi sono stati utilizzati per ottenere questo consenso? E perché, oggigiorno, sembra impossibile raggiungere il consenso su qualsiasi cosa? Questo post è una discussione su questo argomento che usa la scienza del clima come esempio.

 

di Ugo Bardi

 

Forse ricorderete come, nel 2017, durante la presidenza Trump, sia circolata brevemente sui media l'idea di organizzare un dibattito sui cambiamenti climatici sotto forma di un incontro "squadra rossa contro squadra blu" tra gli scienziati del clima ortodossi e i loro avversari. Gli scienziati del clima erano inorriditi all'idea. Erano particolarmente sgomenti per le implicazioni militari dell'idea "rosso contro blu" che suggeriva il modo in cui avrebbe potuto essere organizzato il dibattito. Da parte del governo, invece, si è subito capito che in un dibattito scientifico equo la loro parte non aveva nessuna possibilità di successo. Quindi, il dibattito non ha mai avuto luogo ed è un bene che sia stato così. Forse chi lo proponeva aveva buone intenzioni (o forse no), ma in ogni caso sarebbe degenerato in una rissa e avrebbe creato solo confusione.

Eppure, la storia di quel dibattito che non si è mai tenuto suggerisce un punto che la maggior parte delle persone comprende: la necessità del consenso . Nulla nel nostro mondo può essere fatto senza una qualche forma di consenso e la questione del cambiamento climatico ne è un buon esempio. Gli scienziati del clima tendono ad affermare che esiste un consenso e talvolta lo quantificano come il 97% o addirittura il 100%. I loro avversari affermano il contrario

In un certo senso hanno ragione entrambi. Esiste un consenso sul cambiamento climatico tra gli scienziati, ma questo non è vero per il grande pubblico. I sondaggi dicono che la maggior parte delle persone ha delle nozioni sui cambiamenti climatici e concorda sul fatto che bisogna fare qualcosa al riguardo, ma non è la stessa cosa di un consenso approfondito e informato. Inoltre, questa maggioranza scompare rapidamente non appena è il momento di fare qualcosa che tocca il portafoglio di qualcuno. Il risultato è che, per più di 30 anni, migliaia dei migliori scienziati del mondo hanno continuato ad avvertire l'umanità di una terribile minaccia in arrivo, e non è stato fatto nulla di serio per fermarla. Solo proclami, greenwashing e "soluzioni" che peggiorano il problema (l'" economia basata sull'idrogeno " ne è un buon esempio).

Quindi, la costruzione del consenso è una questione fondamentale. La si può chiamare una scienza o vederla come ciò che altri chiamano "propaganda". Alcuni rifiutano l'idea stessa come una forma di "controllo mentale" o la praticano in vari metodi di negoziazione basata su regole. È un argomento affascinante che va al cuore della nostra esistenza di esseri umani in una società complessa. 

Qui, invece di affrontare la questione da un punto di vista generale, discuterò un esempio specifico: quello del "raffreddamento globale" contro il "riscaldamento globale", e come si è ottenuto un consenso sul fatto che il riscaldamento sia la vera minaccia. È una disputa che spesso si dice sia la prova che non esiste consenso nella scienza del clima. 

Avrete sicuramente sentito la storia di come, solo pochi decenni fa, il "raffreddamento globale" fosse la visione scientifica generalmente accettata del futuro. E come quegli sciocchi scienziati hanno cambiato idea, passando invece al riscaldamento. Al contrario, potreste anche aver sentito che questo è un mito e che non c'è mai stato un consenso sul fatto che la Terra si stesse raffreddando.

Come sempre, la  realtà è più complessa di quanto la politica voglia che sia. Il raffreddamento globale come consenso scientifico è una delle tante leggende generate dalla discussione sui cambiamenti climatici e, come la maggior parte delle leggende, è sostanzialmente falsa. Ma ha perlomeno alcuni collegamenti con la realtà. È una storia interessante che ci dice molto su come si ottiene il consenso nella scienza. Ma dobbiamo cominciare dall'inizio.

L'idea che il clima della Terra non fosse stabile è emersa a metà del XIX secolo con la scoperta delle passate ere glaciali. A quel punto, una domanda ovvia era se le ere glaciali potessero tornare in futuro. La questione è rimasta al livello di speculazioni sparse fino alla metà del XX secolo, quando il concetto di "nuova era glaciale" è apparso nella "memesfera" (l'insieme dei memi pubblici umani). Possiamo vedere questa evoluzione utilizzando Google "Ngrams", un database che misura la frequenza delle stringhe di parole in un ampio corpus di libri pubblicati ( Grazie, Google !!).

 

Vedete che la possibilità di una "nuova era glaciale" è entrata nella coscienza pubblica già negli anni '20, poi è cresciuta e ha raggiunto un picco nei primi anni '70. Altre stringhe come "Earth cooling" e simili danno risultati simili. Si noti inoltre che il database "English Fiction" genera un picco per il concetto di "nuova era glaciale" all'incirca nello stesso periodo, negli anni '70. In seguito, il raffreddamento è stato completamente sostituito dal concetto di riscaldamento globale. Possiamo vedere nella figura sottostante come è arrivato il crossover alla fine degli anni '80.

 


Anche dopo che iniziò a declinare, l'idea di una "nuova era glaciale" rimase popolare e i giornalisti amavano presentarla al pubblico come una minaccia imminente. Ad esempio, Newsweek ha pubblicato un articolo intitolato "The Cooling World " nel 1975, ma il concetto ha fornito un buon materiale per il genere catastrofico. Ancora nel 2004, era alla base del film " The Day After Tomorrow. "

Questo significa che gli scienziati credevano che la Terra si stesse raffreddando? Ovviamente no. Non c'era consenso sulla questione. Lo stato della scienza del clima fino alla fine degli anni '70 semplicemente non consentiva certezze sul clima futuro della Terra.

Ad esempio, nel 1972, il noto rapporto al Club di Roma,  "I limiti alla crescita ", rilevava la crescente concentrazione di CO2 nell'atmosfera, ma non affermava che avrebbe causato il riscaldamento - evidentemente il problema non era ancora chiaro nemmeno per gli scienziati impegnati in studi sull'ecosistema globale. 8 anni dopo, nel 1980, gli autori del " The Global 2000 Report to the President of the US " commissionato dal presidente Carter, avevano già una comprensione molto migliore degli effetti sul clima dei gas serra. Tuttavia, non hanno escluso il raffreddamento globale e ne hanno discusso come uno scenario plausibile.

Il Global 2000 Report è particolarmente interessante perché fornisce alcuni dati sull'opinione degli scienziati del clima così com'era nel 1975. Sono stati intervistati 28 esperti ai quali è stato chiesto di prevedere la temperatura media mondiale per l'anno 2000. Il risultato è stato nessun riscaldamento o un riscaldamento minimo di circa 0,1 C. Nel mondo reale, tuttavia, le temperature sono aumentate di oltre 0,4 C nel 2000. Chiaramente, nel 1980, non esisteva un consenso scientifico sul riscaldamento globale. Sul punto si veda anche l'articolo di Peterson (2008 ) che analizza la letteratura scientifica degli anni Settanta. Trovava che la maggior parte degli articoli erano in favore del riscaldamento globale, ma anche una minoranza significativa sosteneva l'assenza di variazioni di temperatura o il raffreddamento globale.

Ora stiamo arrivando al punto veramente interessante di questa discussione. Il consenso sul riscaldamento della Terra non esisteva prima degli anni '80, ma poi è diventato la norma. Come è stato ottenuto?

Ci sono due interpretazioni che fluttuano oggi nella memesfera. Una è che gli scienziati hanno concordato una cospirazione globale per terrorizzare il pubblico sul riscaldamento globale al fine di ottenere vantaggi personali. L'altra che gli scienziati sono analizzatori di dati a sangue freddo e che hanno fatto come disse John Maynard Keynes: "Quando ho nuovi dati, cambio idea". 

Entrambi sono leggende. Quello sulla cospirazione scientifica è ovviamente ridicolo, ma il secondo è altrettanto sciocco. Gli scienziati sono esseri umani e i dati non sono un vangelo di verità. I dati sono sempre incompleti, affetti da incertezze e devono essere selezionati. Prova a invetare la legge di gravitazione universale di Newton senza ignorare tutti i dati sulla caduta di piume, fogli di carta e uccelli, e capirai cosa intendo. 

In pratica, la scienza è nata come una macchina per la costruzione del consenso. Si è evoluta proprio allo scopo di assorbire nuovi dati in un processo graduale che non porta (normalmente) al tipo di divisione partigiana tipica della politica. 

La scienza utilizza un procedimento derivato da un antico metodo che, in epoca medievale, era chiamato disputatio e che affonda le sue radici nell'arte della retorica dell'antichità classica. L'idea è quella di discutere i problemi mettendo uno di fronte all'altro i campioni delle diverse tesi e cercando di convincere un pubblico informato utilizzando i migliori argomenti che possono raccogliere. La disputatio medievale poteva essere molto sofisticata e, ad esempio, ho discusso la " Controversy of Valladolid " (1550-51) sullo stato degli indiani d'America. Le Disputstiones teologiche normalmente non potevano armonizzare posizioni veramente incompatibili, ad esempio convincendo gli ebrei a diventare cristiani (è stato tentato più di una volta, ma vi potete immaginare i risultati). Ma a volte portavano a buoni compromessi e mantenevano il confronto a livello verbale (almeno per un po').

Nella scienza moderna, le regole sono leggermente cambiate, ma l'idea rimane la stessa: gli esperti cercano di convincere i loro avversari usando i migliori argomenti che possono raccogliere. Deve essere una discussione, non un litigio. Le buone maniere vanno mantenute e la caratteristica fondamentale è saper parlare una lingua reciprocamente comprensibile. E non solo: i relatori devono concordare su alcuni principi di base della cornice della discussione.  Durante il Medioevo, i teologi discutevano in latino e concordavano che la discussione doveva essere basata sulle scritture cristiane. Oggi gli scienziati discutono in inglese e concordano sul fatto che la discussione debba essere basata sul metodo scientifico.

Nei primi tempi della scienza si usavano dibattiti uno contro uno (forse ricorderete il famoso dibattito sulle idee di Darwin che coinvolse Thomas Huxley e l'arcivescovo Wilberforce nel 1860). Ma, al giorno d'oggi, è raro. Il dibattito si svolge in convegni e seminari scientifici a cui partecipano parecchi scienziati che guadagnano o perdono "punti prestigio" a seconda di quanto sono bravi a presentare le proprie opinioni. Occasionalmente, un presentatore, in particolare un giovane scienziato, può essere "fatto alla griglia" dal pubblico in una piccola rievocazione delle cerimonie di raggiungimento della maggiore età dei nativi americani. Ma, cosa più importante di tutte, durante la conferenza si svolgono discussioni informali. Questi incontri non devono essere vacanze, sono funzionali allo scambio di idee faccia a faccia. Come ho detto, Si fa molta scienza nelle mense e davanti a un bicchiere di birra. Probabilmente, la maggior parte delle scoperte scientifiche inizia in questo tipo di ambiente informale. Nessuno, per quanto ne so, è mai stato colpito da un raggio di luce dal cielo mentre guardava una presentazione in power point.

Sarebbe difficile sostenere che gli scienziati siano più abili nel cambiare le loro opinioni di quanto i teologi medievali e gli scienziati più anziani tendano ad attenersi alle vecchie idee. A volte si sente dire che la scienza avanza un funerale alla volta; non è sbagliato, ma sicuramente un'esagerazione: le opinioni scientifiche cambiano anche senza dover aspettare che muoia la vecchia guardia. Il dibattito in una conferenza può decisamente spostarsi in una certa direzione sulla base della brillantezza di uno scienziato, della disponibilità di buoni dati e della competenza complessiva dimostrata. 

Posso testimoniare che, almeno una volta, ho visto qualcuno del pubblico alzarsi dopo una presentazione e dire: "Caro signore, ero di parere diverso fino a quando non ho sentito il suo discorso, ma ora mi ha convinto. Mi sbagliavo e lei è nel giusto. " (e vi posso dire che questa persona aveva più di 70 anni, i bravi scienziati possono invecchiare bene, come succede per il vino). In molti casi, la conversione non è così improvvisa e così spettacolare, ma succede. Ovviamente, il denaro può fare miracoli nell'influenzare le opinioni scientifiche ma, finché ci atteniamo alla scienza del clima, non ci sono molti soldi coinvolti e la corruzione non è diffusa come in altri campi, come in medicina.

Quindi, possiamo immaginare che negli anni '80 la macchina del consenso abbia funzionato come avrebbe dovuto e ha portato l'opinione generale degli scienziati del clima a passare dal raffreddamento al riscaldamento. È stata una buona cosa, ma la storia non è finita con questo. Restava da convincere le persone al di fuori del ristretto campo della scienza del clima, e questo non era ovvio. 

Dagli anni '90 in poi, la disputatio è stata dedicata a convincere sia gli scienziati che lavorano in campi diversi dal clima sia il pubblico informato. C'era un problema serio in questo: la scienza del clima non è una cosa da dilettanti, è un campo in cui l'effetto Dunning-Kruger (persone che sopravvalutano la propria competenza) può essere dilagante. Gli scienziati del clima si sono trovati a dover affrontare vari tipi di oppositori. In genere, scienziati anziani che si rifiutavano di accettare nuove idee o, a volte, geologi che vedevano la scienza del clima invadere il loro territorio e risentirsi per questo. Occasionalmente, gli avversari potevano segnare punti nel dibattito concentrandosi su punti ristretti che loro stessi non avevano completamente compreso (ad esempio, il "punto caldo troposferico" era un trucco alla moda). Ma quando il dibattito coinvolgeva qualcuno che conosceva abbastanza bene la scienza del clima, il destino degli avversari era segnato: finivano asfaltati facilmente.

Questi dibattiti sono andati avanti per almeno un decennio. Forse conoscete il libro del 2009 di Randy Olson, " Non essere uno scienziatcosì" che descrive questo periodo. Olson ha sicuramente capito il punto fondamentale del dibattito: devi rispettare il tuo avversario se vuoi convincere lui o lei, e anche il pubblico. Sembrava funzionare, lentamente. Si facevano progressi e il problema climatico diventava sempre più noto.

E poi, qualcosa è andato storto. Di brutto. Gli scienziati si sono trovati improvvisamente coinvolti in un altro tipo di dibattito per il quale non avevano alcuna formazione e poca comprensione. Vedete in Google Ngrams come l'idea che il cambiamento climatico fosse una bufala è decollata negli anni 2000 ed è diventata una caratteristica della memesfera. Notate come è cresciuto rapidamente: ha avuto un culmine nel 2009, con lo scandalo Climategate, ma non è diminuito in seguito.



Era un modo completamente nuovo di discutere: non più una disputatio. Niente più regole, niente più rispetto reciproco, niente più linguaggio comune. Solo slogan e insulti. Uno scienziato del clima ha descritto questo tipo di dibattito come come essere coinvolti in una "rissa da bar a mani nude". Da lì in poi, la questione climatica si è politicizzata e fortemente polarizzata. Nessun progresso è stato fatto e nessun progresso si sta facendo in questo momento.

Perché è successo? In gran parte, è stato a causa di una campagna di pubbliche relazioni professionale volta a denigrare gli scienziati del clima. Non sappiamo chi l'abbia progettata e pagata ma, sicuramente, esistevano (ed esistono ancora) lobby industriali che avrebbero perso molto se si fosse attuata un'azione decisa per fermare il cambiamento climatico. Chi ha ideato la campagna ha avuto vita facile contro un gruppo di persone tanto ingenue in termini di comunicazione quanto esperti in materia di scienze del clima. 

La storia di Climategate è un buon esempio degli errori commessi dagli scienziati . Se leggete l'intero corpus delle migliaia di email rilasciate nel 2009, da nessuna parte troverate che gli scienziati stavano falsificando i dati, erano coinvolti in cospirazioni o cercavano di ottenere guadagni personali. Ma sono riusciti a dare l'impressione di essere una cricca settaria che si rifiutava di accettare le critiche dei suoi avversari. In termini scientifici, non hanno fatto nulla di male, ma in termini di immagine è stato un disastro. Un altro errore degli scienziati del clima è stato quello di cercare di schiacciare i loro avversari rivendicando il 97% del consenso scientifico. Anche supponendo che sia vero (potrebbe anche essere), gli si è ritorto contro, dando ancora una volta l'impressione che gli scienziati del clima siano autoreferenziali e non tengano conto delle obiezioni degli altri. 

Permettetemi di citare un altro esempio di dibattito scientifico che è deragliato ed è diventato politico. Ho già citato lo studio del 1972 "I limiti della crescita". Era uno studio scientifico, ma il dibattito che ne seguì era al di fuori delle regole del dibattito scientifico. Una "frenesia alimentare" tra gli squali sarebbe una descrizione migliore di come gli economisti del mondo si sono uniti per fare a pezzi lo studio. Il "dibattito" si è rapidamente riversato sulla stampa ufficiale e il risultato è stata una demonizzazione generale dello studio, accusato di aver fatto "previsioni sbagliate" e, in alcuni casi, di pianificare lo sterminio dell'umanità. (Parlo di questa storia nel mio libro del 2011 " The Limits to Growth Revisited.") La cosa interessante (e deprimente) che possiamo imparare da questo vecchio dibattito è che non sono stati fatti progressi in mezzo secolo. Avvicinandosi al 50° anniversario della pubblicazione, possiamo trovare la stessa critica ripubblicata di nuovo sui siti Web, "previsioni sbagliate", e tutto il resto. 

Quindi, siamo bloccati. C'è una speranza per invertire la situazione? Difficilmente. La perdita della capacità di ottenere un consenso sembra essere una caratteristica dei nostri tempi: i dibattiti richiedono un minimo di rispetto reciproco per essere efficaci, ma questo si è perso nella cacofonia del web. L'unica forma di dibattito che rimane è quella rudimentale che vede i candidati presidenziali scambiarsi goffamente luoghi comuni tra loro ogni quattro anni. Ma un vero dibattito? Niente da fare, è sparito come le dispute tra teologi nel Medioevo.

La discussione sul clima, così come su tutte le questioni importanti, si è spostata sul Web, in gran parte sui social. E l'effetto è stato devastante sulla costruzione del consenso . Una cosa è guardare un essere umano dall'altra parte di un tavolo con due bicchieri di birra nel mezzo, un'altra è vedere un pezzo di testo cadere dal nulla come commento al tuo post. Questa è una ricetta per il litigio, e funziona così ogni volta. 

Inoltre, non aiuta che gli incontri e le conferenze scientifiche internazionali siano quasi scomparsi in una situazione che scoraggia gli incontri di persona. Gli incontri online si sono rivelati ore di noia in cui nessuno ascolta nessuno e tutti sono felici quando finisce. Anche se riesci a essere presente a un incontro di persona, non aiuta che il tuo collega ti appaia sotto forma di un contenitore di virus pericolosi, mascherato e da tenere sempre a distanza, se possibile dietro una barriera di plexiglas. Non è il modo migliore per stabilire un rapporto umano.

Questo è un problema fondamentale: se non si può costruire un consenso attraverso un dibattito, l'unica altra possibilità è usare il metodo politico. Significa raggiungere la maggioranza attraverso un voto (e si noti che nella scienza, come nella teologia, il voto non è considerato una tecnica accettabile di costruzione del consenso). Dopo il voto, la parte vincente può imporre la propria posizione alla minoranza usando una combinazione di propaganda, intimidazione e, a volte, forza fisica. Una tecnica estrema di costruzione del consenso è lo sterminio degli avversari. È stato fatto così spesso nella storia che è difficile pensare che non sarà fatto di nuovo su larga scala in futuro, forse nemmeno in uno remoto. Ma, a parte le implicazioni morali, il consenso forzato è costoso, inefficiente e spesso porta a stabilire dogmi. Quindi è impossibile adattarsi ai nuovi dati quando arrivano. 

Allora, dove stiamo andando? Le cose continuano a cambiare continuamente; forse troveremo nuovi modi per ottenere consenso anche online, il che implica, come minimo, non insultare e attaccare il tuo avversario fin dall'inizio. Per quanto riguarda una lingua comune, dopo che siamo passati dal latino all'inglese, potremmo ora passare a "Googlish", una nuova lingua mondiale che potrebbe forse essere strutturata per evitare scontri di assoluti - forse potrebbe essere solo priva di imprecazioni, forse potrebbe avere alcune caratteristiche specifiche che aiutano a creare consenso. Sicuramente serve una riforma della scienza che sbarazzi della corruzione dilagante in molti campi: il denaro è una sorta di consenso, ma non quello che vogliamo.

O, forse, potremmo sviluppare nuovi rituali. I rituali sono sempre stati un mezzo potente per ottenere consensi, basti pensare alla messa cristiana (la chiesa cristiana non si è ancora resa conto di aver ricevuto un colpo mortale dalle regole anti-virus ). I rituali possono essere trasferiti online? O avremmo bisogno di incontrarci di persona nella foresta come le "persone del libro" immaginate da Ray Bradbury nel suo romanzo del 1953 " Fahrenheit 451 "? Non lo possiamo dire. Non ci resta che cavalcare l'onda del cambiamento che, al giorno d'oggi, sembra essere diventata un vero tsunami. Galleggeremo o affonderemo? Chi puo 'dirlo? La riva sembra essere ancora lontana.


h/t Carlo Cuppini e "moresoma"



 

sabato 7 agosto 2021

Jean Servier precursore del Cancrismo?


di Bruno Sebastiani
 

A pag. 375 de “L’uomo e l’invisibile” (Borla Editore, Torino, 1967) Jean Servier scrive:

“L’impero è per l’umanità e per la società da cui trae origine ciò che il cancro è per il corpo umano: una proliferazione disordinata di cellule a detrimento dell’armonia dell’insieme. C’è forse una strutturazione delle cellule cancerose, così come c’è un’apparente armonia nell’organizzazione dell’impero: l’una e l’altra sono tuttavia agenti di distruzione.”

Partiamo da questo assunto per verificare se l’analogia proposta tra impero e cancro può in qualche modo configurarsi come antesignana della teoria a cui ho dato nome di Cancrismo.

L’intera opera di Jean Servier, etnologo francese nato e vissuto a lungo in Algeria, sottintende un profondo dualismo tra le cosiddette “civiltà tradizionali” e la “civiltà dell’uomo bianco occidentale”.

Le prime sarebbero contraddistinte da un diretto contatto con l’“invisibile”, termine con il quale Servier definisce la sfera soprannaturale del sacro. Le divinità sono tante quante le etnìe umane e ognuna è contraddistinta da sue specifiche caratteristiche, ma, al di là di ogni particolarità, il “divino” ha sempre guidato ovunque nel mondo il comportamento di ogni appartenente al genere umano, fino all’avvento della cosiddetta “civiltà dell’uomo bianco occidentale”.

Quest’ultima è andata affermandosi per gradi, favorita nella sua avanzata dall’instaurarsi degli “imperi”, vere e proprie “[…] prefigurazioni della civiltà occidentale per la loro volontà di egemonia […] questi regni della materia hanno trascinato con sé un indebolimento dei valori spirituali dando all’uomo, come unico scopo della sua vita terrena, la conquista dei beni di questo mondo.” (p. 418)

Tutti i più famosi imperi della storia sono crollati, lasciando dietro di sé cumuli di macerie materiali e morali. Ma, con la loro decomposizione, hanno contribuito all’edificazione di quello che è oggi l’Impero più grande, da Servier definito “civiltà occidentale” e che io ho denominato “L’Impero del Cancro del Pianeta” (titolo del mio libro edito da Mimesis).

A questa mostruosa realtà Servier dedica un ulteriore accostamento al cancro:

“La nostra civiltà porta in sé il germe di un processo inevitabile di distruzione. Divenuta un fine in sé, la nostra società disintegra l’individuo al punto di renderlo inadatto al servizio efficace della collettività, come, in certi cancri del sangue, i globuli bianchi divorano i globuli rossi e indeboliscono l’organismo che dovrebbero invece difendere.” (p. 419)

Non vi sono altri punti in cui venga riproposto l’accostamento dell’essere umano al cancro, ma l’intero messaggio di Servier spinge a ritenere l’uomo bianco occidentale un agente distruttore dell’armonia che regnava sulla Terra e il suo dissennato comportamento è paragonato a quello dei lemmings, piccoli roditori che compiono lunghe marce e “raggiunta la loro meta, si gettano nel mare e vi annegano.” (p. 421)

Le “civiltà tradizionali” si riconoscono nel mito del “peccato originale”, “[…] sono coscienti di aver perduto un “paradiso” primordiale, tutte si considerano in stato di caduta.” (p. 388) Anche per questo motivo chi ne fa parte cerca di mantenersi in costante contatto con l’invisibile, di osservarne i comandamenti e di preservare l’armonia dell’Universo già messa in pericolo dalla disobbedienza primigenia.

Al contrario, l’uomo bianco occidentale concepisce “la storia come un corso lineare” (p. 397) che, da un inizio di stenti, tende al superamento di ogni ostacolo per affermarsi su tutto e su tutti con una marcia verso il suo inarrestabile progresso.

La narrazione di Servier è estremamente ricca di esempi relativi a miti, riti e leggende (tutti vissuti come reali) di appartenenti alle “civiltà tradizionali”. Egli si rifiuta di ritenere costoro primitivi, o, peggio, selvaggi. Essi sono uomini saggi, rispettosi delle tradizioni ricevute dagli antenati e intenzionati a conservarle per non spezzare l’armonia voluta dall’“invisibile”. Il termine “armonia” è tra i più frequenti nel lessico di Servier.

Ma se nelle antiche civiltà e in quelle non contaminate dall’occidente (se ancora ce ne sono) la vita scorre in modo così armonioso, rispettoso delle tradizioni e in equilibrio con la Natura, come e perché l’uomo bianco ha potuto conquistarle e distruggerle?

Questa è la domanda che sorge spontanea scorrendo le pagine del libro di Servier. Oltretutto egli afferma che “L’occidente ha scelto lo sviluppo illimitato delle tecniche senza avere il tempo per domandarsi se in questa scelta non aveva rischiato e perso la propria anima.” (p. 211)

Questa affermazione e altre contenute nel testo paiono sottintendere che il passaggio dalla “civiltà tradizionale” a quella “bianca occidentale” sia avvenuto in conseguenza a una nuova “caduta”, una sorta di peccato originale “laico”, compiuto cioè non per disobbedire ai comandamenti di un ipotetico creatore, non più venerato, ma semplicemente per inseguire una volontà di potenza “imperiale”, tesa a tutto sottomettere e tutto riformare in senso materiale e utilitaristico.

Qui ci troviamo di fronte alla differente interpretazione della realtà che fa divergere la “visione del mondo” di Servier (e, aggiungo io, dell’Ecologia Profonda) da quella del Cancrismo (cfr. il mio precedente articolo “Il Cancrismo come superamento dell’Ecologia Profonda”).

In estrema sintesi, secondo Servier:

tutte le “civiltà tradizionali” si riconoscono nel mito della caduta, del “peccato originale” di lì in avanti sviluppano un rapporto di armonia con il Tutto suggellato da un formidabile patto di alleanza con l’“invisibile” tutto ciò permane sin quando una civiltà tra oltre cinquemila, quella dell’“uomo bianco occidentale”, infrange questo patto a favore del più abietto egoismo materialista di specie, e trascina in questa sua nuova folle avventura tutte le “civiltà tradizionali” che incontra sul suo cammino.

Non l’uomo in sé, quindi, sarebbe il cancro del pianeta, ma questa distorta visione del mondo che si è identificata prima nei grandi imperi della storia e poi nel progresso materiale fine a se stesso, sfociato alcuni secoli or sono nella rivoluzione industriale e in tutte le novità tecnologiche che stanno devastando la biosfera.

Il Cancrismo, più realisticamente, non scorge discontinuità tra il modo di vivere delle “civiltà tradizionali” e quello dell’“uomo bianco occidentale”.

L’essere umano ha sempre cercato di prevaricare il “diverso”, così come ha sempre fatto ogni specie (vegetale o animale) partorita da Madre Natura. Basti pensare all’edera che avvolge l’albero o al lupo che mangia l’agnello.

Ma l’essere umano, a un certo punto del percorso evolutivo, ha sviluppato in modo abnorme il suo “organo di comando” e, in conseguenza di ciò, è riuscito a dominare ogni altra specie partorita da Madre Natura.

Dapprima questa sua azione non è stata evidente, data l’immensa estensione della foresta vergine e l’enorme quantità e varietà della fauna esistente. Poi, con estrema ma continua gradualità, l’erosione del patrimonio forestale e faunistico è divenuta via via sempre più evidente, sino alla tragica situazione attuale.


Quando, come e quanto i cosiddetti primitivi abbiano iniziato a devastare la Natura è il tema del mio articolo “La distruzione della Natura nell’antichità”.

In conclusione, Jean Servier è stato un convinto avversario del progresso tecno-scientifico-industriale che ha portato alla devastazione della biosfera, e in tal senso, il suo nome può a buon diritto essere iscritto tra quelli dei precursori del Cancrismo. Ma la sua critica alla modernità si è limitata a condannare la “civiltà dell’uomo bianco occidentale” e non si è estesa al genere Homo sapiens in quanto tale.

Anzi, quest’ultimo è stato gratificato di sincera ammirazione laddove appartenente alle cosiddette “civiltà tradizionali”.

A distanza di quasi sessant’anni dalla prima pubblicazione de “L’Homme et l’invisible” si può affermare che di tali “civiltà” non rimane pressoché traccia: esse stesse sono divenute “invisibili”, salvo cercarle in qualche documentario da cineteca.

E la “civiltà dell’uomo bianco occidentale” è divenuta sempre più il modus vivendi universale, ovunque imperante. La Cina e tanti altri Paesi asiatici stanno soppiantando Europa e America come locomotive trainanti dell’economia mondiale, mentre India e Africa sono in attesa di unirsi al convoglio.

L’avverarsi di questa realtà è la più evidente, tragica, conferma di come non sussistano contrasti insanabili tra le “civiltà”, più o meno evolute, che si sono sviluppate sul pianeta Terra. Una, la più avanzata materialmente, ha approfittato della propria superiorità per “convincere” le altre ad adottare il suo stile di vita. Ma queste, generazione dopo generazione, lo hanno fatto di buon grado, sino a superare l’“uomo bianco occidentale” nell’inquinare, deforestare e devastare l’ambiente.

Servier dà questa spiegazione di quanto è accaduto:

“Il contatto dell’uomo bianco è stato più mortale per le civiltà tradizionali che una qualsiasi lebbra. Il solo possesso dei beni che egli vendeva ha annientato popolazioni intere come se essi trasmettessero un misterioso contagio.” (p. 416)

Personalmente avrei preferito che questo contagio non fosse mai avvenuto e che l’uomo sulla Terra avesse continuato a vivere in equilibrio con ogni altra specie, seguendo i presunti insegnamenti dell’“Invisibile”.

Ma se le cose non sono andate così è perché lo sviluppo dell’encefalo di Homo sapiens non poteva fermarsi a un determinato stadio. Una volta innescata l’abnorme crescita, il secolo dei lumi e il progresso scientifico erano realtà ineluttabili, con il loro conseguente strascico di industrializzazione, di aggressione alle risorse del pianeta e di ogni altro sfregio all’armonia della Natura.