martedì 8 giugno 2021

Clima: cosa ci ha insegnato la pandemia?

 

Clima, se la pandemia ci ha insegnato qualcosa è la differenza fra sogni e realtà

Clima, se la pandemia ci ha insegnato qualcosa è la differenza fra sogni e realtà
Da "Il Fatto Quotidiano" del 9 Aprile 2021
di Ugo Bardi

Arriva proprio in questi giorni dal Noaa (l’ente nazionale per l’amministrazione degli oceani e dell’atmosfera degli Stati Uniti) una discreta doccia fredda (in effetti calda, addirittura bollente) su quelli che speravano che la pandemia avesse aiutato a ridurre il problema del cambiamento climatico. Dice il Noaa che i livelli dei due gas serra principali, biossido di carbonio e metano, “hanno continuato la loro crescita nel 2020, nonostante il rallentamento economico causato dalla risposta alla pandemia” e anche che “la concentrazione di CO2 di oggi è comparabile a quella del periodo caldo del Pliocene, circa 3,6 milioni di anni fa”.

In sostanza, non è cambiato nulla. Eppure in Italia si parla di una riduzione del 10% delle emissioni di CO2 nel 2020. In tutto il mondo ci si attesta sul 6-7% in meno. Come è possibile che questo non abbia avuto effetto sulle concentrazioni atmosferiche? Per alcuni, è una cosa talmente sorprendente che c’è chi ha cominciato a dire che tutta la storia del riscaldamento globale causato dall’uomo è una balla colossale. Ma non è così. Immaginatevi di stare riempiendo di acqua una vasca da bagno. Se chiudete un po’ il rubinetto, ma non del tutto, non vi aspettate di certo che il livello dell’acqua diminuisca. Non diminuisce nemmeno se chiudete completamente il rubinetto, a meno che la vasca non perda dal tappo.

Per quanto riguarda il CO2, c’è un “rubinetto” che sono le emissioni umane, mentre il “tappo” è l’assorbimento dell’ecosistema che elimina circa il 50% delle emissioni umane. Non ci aspettiamo certamente che una riduzione del 7% delle emissioni porti a un calo nelle concentrazioni. Al massimo, dovrebbe mostrarsi come una riduzione della velocità di crescita. Ma, nei dati, questo effetto viene completamente mascherato dalle variazioni stagionali.

Tuttavia, perlomeno le emissioni si sono un po’ ridotte: era un obiettivo che si cercava di ottenere da decenni, senza riuscirci. Se rimangono attivi i vari blocchi e le restrizioni, ci possiamo aspettare altri cali delle emissioni. Se questo continuasse per qualche anno, allora potremmo vedere il CO2 nell’atmosfera rallentare la crescita e potrebbe anche cominciare a scendere. Certo, però, che il prezzo da pagare sarebbe spaventoso se questi metodi drastici sono l’unico modo di arrivarci.

In effetti, se la pandemia ci ha insegnato qualcosa in termini di clima è la differenza fra sogni e realtà. Quando si parlava di ridurre le emissioni, c’era chi parlava di “decrescita felice” e chi di “disaccoppiamento”. Ovvero, si sosteneva che riducendo i consumi saremmo stati più felici e, non solo, sarebbe stato addirittura possibile continuare a far crescere l’economia. Certo, e sarà anche Natale tre volte all’anno. A questo punto, con un milione di posti di lavoro persi nel 2020 e l’economia a pezzi, dovremmo aver imparato che il cosiddetto “disaccoppiamento” non è tanto semplice come sembrava. E che la decrescita è tutt’altro che felice.

E allora? Con l’esaurirsi della pandemia c’è chi spera in un ritorno rapido al mondo di prima. Ammesso che ci si possa arrivare (cosa molto dubbia), questo ci riporterà anche ai problemi di prima: come ridurre le emissioni se continuiamo ad affidarci ai combustibili fossili? Se non le riduciamo, ritornare al Pliocene potrebbe essere anche peggio della decrescita infelice, specialmente se consideriamo che durante il Pliocene faceva molto più caldo di oggi e il livello del mare era circa 25 metri più alto. Per gli australopitechi di quell’epoca andava benissimo, ma per noi sarebbe un po’ dura adattarsi.

E allora dobbiamo cercare di barcamenarci il meglio possibile. Dopotutto, la situazione non è disperata. Gli ultimi dati disponibili indicano che l’energia rinnovabile è diventata la tecnologia di energetica meno costosa in assoluto. Questa è una strada che ci si apre davanti per liberarci dei combustibili fossili senza dover far decrescere rapidamente l’economia, con tutta l’infelicità del caso. Vediamo di imboccarla con decisione, altrimenti saranno guai.

 

mercoledì 2 giugno 2021

Covid: La Fine dell'Università

 Le lezioni all’università diventeranno come i Ted: docenti comunicatori e giovani sempre più soli

da "Il Fatto Quotidiano" del 20 Maggio 2021

di Ugo Bardi

 

Si avvia a concludersi il secondo anno accademico dell’era post-Covid. È stato ancora un anno in didattica a distanza (Dad) ma stavolta in modalità “duale.” Per via del distanziamento, non tutti gli studenti potevano entrare nelle aule e quindi avevano l’opzione di seguire i corsi a distanza per mezzo di una telecamera. In pratica il duale è stato alternato a periodi di completa didattica a distanza, ma in ogni caso ha confermato i problemi avevo descritto in un post precedente.

Uno dei problemi principali è che nell’università si fa ancora lezione con il docente che parla e gli studenti che ascoltano: è la didattica cosiddetta “erogativa” che vede gli studenti come dei secchi da riempire. Potrebbe anche andar bene per certe cose, ma il problema è che la tecnologia cambia completamente il modo di fare le cose, anche se non lo vorremmo. Per esempio, potete benissimo dire che la vostra macchina è una “berlina,” ma questo non vuol dire che sia tirata da cavalli e abbia un cocchiere, come avevano le berline di due secoli fa. Allo stesso modo, quello che si fa in Dad viene chiamato “lezione” ma non è la stessa cosa che si faceva prima.

Una lezione universitaria tradizionale “frontale” di un paio d’ore è pesante. Però si regge abbastanza bene se il docente ha una capacità che si acquisisce con l’esperienza: capire se gli studenti lo stanno seguendo oppure no. Gli studenti ti possono mandare dei messaggi chiarissimi anche senza dire una parola: lo si vede dal linguaggio del corpo: sguardo, posizione, movimenti, eccetera. E se vedi che non ce la fanno più, puoi rallentare, fare una pausa, fermarti a spiegare, tornare indietro, e altre cose. Insomma, la lezione in presenza è sempre interattiva. Ovviamente, non è detto che funzioni sempre bene ma, comunque vada, docenti e studenti sono esseri umani che si ritrovano faccia a faccia per due ore. Non si possono ignorare reciprocamente per tutto il tempo.

Trasportate la stessa lezione in Dad ed è un disastro. Ti trovi di fronte gli studenti in forma di immagini grandi come francobolli. E nemmeno tutti mostrano la loro faccia, invocando una cattiva connessione. Forse è una scusa, forse no, comunque non li puoi obbligare. Così ti ritrovi a “parlare al nulla” senza avere la minima idea se quello che stai dicendo viene recepito. Le cose non cambiano in modalità duale. Più della metà degli studenti rimangono in virtuale e i professori sono bloccati nel campo visivo della telecamera senza poter veramente interagire con i coraggiosi in aula.

Ne consegue che la Dad segna un cambiamento profondo nella struttura e nei metodi delle lezioni. La lezione “frontale” (chiamatela “cattedratica”, se volete) è altrettanto obsoleta delle carrozze a cavalli. Il futuro è probabilmente qualcosa di simile ai seminari TED che trovate sul Web. Presentazioni brevi ed efficaci, fatte dagli esperti più rinomati nei vari settori, gestite da professionisti della comunicazione. Cose ben diverse da quello che un docente può fare da solo, arrangiandosi il meglio che può fra le mille incombenze che si ritrova addosso.

Se si va verso qualcosa del genere, come sembra inevitabile, un gran numero di docenti dell’università italiana risulterà ridondante, più o meno come i cocchieri delle carrozze di una volta. Non è detto che non sia una cosa buona, ma il problema non è quello. È che l’università – come tutta la scuola – è uno dei pochi luoghi dove i giovani possono ancora socializzare e crescere come persone. Se restano chiusi in casa, davanti allo schermo di un computer, il risultato lo potete ancora chiamare scuola, ma non lo è più, allo stesso modo in cui la potenza di un’automobile si può ancora misurare in cavalli vapore, ma i cavalli non ci sono più. Ed è una cosa a cui dobbiamo pensare se non vogliamo tirar su una generazione di disadattati.

domenica 30 maggio 2021

India: l'apocalisse è stata rimandata a causa della pioggia.

 


Sull'India, da più di un mese un buon numero di commentatori aveva costruito una narrazione apocalittica con l'evidente scopo di terrorizzarci tutti. Tanto per cambiare, l'epidemia cresceva in modo "esponenziale" e presto avrebbe spazzato il paese con milioni di morti e scene da inferno dantesco (che ci hanno abbondantemente propinato in forma di fotografie agghiaccianti)
 
Bene, sembra proprio che l'apocalisse in India sia stata rimandata, probabilmente a causa della pioggia. In effetti, il monsone sta arrivando e con quello le pioggie estive. Ed è noto che in India le influenze stagionali arrivano in estate, a differenza che da noi, dove sono invernali. E' un clima diverso, la diffusione degli aerosol che portano il virus segue leggi diverse.
 
Vedete nel grafico (da worldometer) la situazione dei contagi in India. Non c'è stata nessuna apocalisse, la crescita "esponenziale" è durata ben poco, come è normale. Adesso, sia i contagi come i decessi sono in calo. 
 

 
Non solo, ma se rapportate al numero dei test fatti, si vede che la situazione attuale in India NON è peggiore di quanto lo era a primavera dell'anno scorso. (i dati sul numero dei test in India li potete trovare su https://ourworldindata.org/).
 
Infine, se comparate con l'Italia, considerando che gli indiani sono quasi un miliardo e 400 milioni, la mortalità da Covid-19 è infinitesimale. Molto minore che da noi.
 
Da notare infine che gli indiani non hanno fatto un lockdown generalizzato, mentre invece portano tutti la mascherina. Le vaccinazioni sono in corso, ma vaccinare tutti quanti è un'impresa difficile (per non dire impossibile). Per cui è probabile che l'epidemia stia semplicemente seguendo il suo ciclo stagionale, normale per l'India.
 
Questo vuol dire che l'epidemia è finita già in India? No, può darsi benissimo -- anzi è probabile -- che avremo altri cicli epidemici, via via che la stagione avanza. Ma non c'è ragione di pensare che debba arrivare l'apocalisse.
 
 

giovedì 20 maggio 2021

A che Servono i Paracadute? Sicurezza contro Realtà.

 Il vecchio e glorioso "C-119" detto familiarmente il "vagone volante" Fra le altre cose, era progettato per il lancio dei paracadutisti dall'ampio portellone posteriore. 

 

Il mio primo viaggio in aereo fu un bel po' di anni fa, quando ero ancora al liceo. Fu quando l'aeronautica militare offrì un viaggio in aereo per la scuola militare di Napoli a un gruppo di aspiranti allievi della scuola di guerra aerea di Firenze (non è che volevo fare il top gun, ma avevo la fissa di fare l'astronauta e la scuola di guerra aerea poteva essere una strada per riuscirci). 

Il vetusto C-119 che ci portava da Pisa a Napoli aveva come regola che i passeggeri indossassero un'imbracatura completa di moschettone per il paracadute. Mi ricordo che quando ci fecero vedere i paracadute e ci spiegarono come agganciarli e come usarli, la cosa lasciò tutti un po' perplessi. Uno del nostro gruppo domandò al sergente se il paracadute servisse veramente a qualche cosa. Il sergente rispose, serafico, "se ti devi buttare, ti serve." 

Impeccabile. Ma era chiara l'implicazione per delle persone che non erano incursori addestrati, come noi. Era quasi impossibile immaginarsi una condizione in cui sarebbe stato preferibile buttarsi col paracadute piuttosto che restare a bordo e affrontare un atterraggio di emergenza. 

Alla fine dei conti, decisi di non iscrivermi all'accademia militare e di seguire piuttosto una carriera universitaria più convenzionale. Ma quel primo volo mi è rimasto nella memoria. Molto più tardi, mi è capitato di lavorare su progetti di ricerca dell'industria aerospaziale, dove impari parecchio su come funzionano le cose e che l'aeronautica non è una cosa romantica come mi potevo immaginare quando ero liceale. Delle molte cose che ho imparato, una è come si gestisce la sicurezza. Si parte dal principio che il rischio zero non esiste e non può esistere, ma anche che il rischio si può minimizzare. E l'idea di fondo è che i soldi vanno spesi dove hai il miglior rapporto benefici/costi. Ovvero devi spendere soldi per la sicurezza dove ce n'è più bisogno.

Questo spiega perché in nessun aereo civile vi daranno un paracadute per il viaggio. Non è perché il paracadute non funziona: come ci aveva detto il sergente quella volta, funziona se vi buttate. Ma in quale situazione un paracadute potrebbe veramente essere utile? Buttare fuori dal portellone di un aereo civile uno dopo l'altro i turisti in viaggio per le Maldive sarrebbe come minimo poco pratico, per non parlare del fatto che finirebbero fatti a fettine dalle ali o dai timoni di coda (o forse risucchiati dai motori). Ma il problema è un altro: la grande maggioranza degli incidenti aerei avvengono in fase di decollo o di atterraggio. E, in quel caso, ovviamente avere un paracadute non serve a gran cosa.

Tuttavia, c'è un fattore emozionale non trascurabile nel fatto di viaggiare in aereo. Alcune persone sono effettivamente terrorizzate all'idea. Se avete un amico o un amica che fa l'assistente di volo, vi potrà raccontare qualche storia interessante di passeggeri spaventati (oppure, lo potete leggere qui). La paura di volare è una sensazione ancestrale: non siamo nati per infilarci dentro un tubo di alluminio pressurizzato che vola nel cielo.

La paura di volare non è una cosa razionale, non la combatti facendo vedere le statistiche che dicono che il volo è uno dei mezzi di trasporto più sicuri che esistono. E sappiamo tutti che la maggioranza delle persone non è in grado di valutare i rischi in modo quantitativo sulla base di dati statistici. 

Probabilmente è per questa ragione che ogni tanto si sente parlare della possibilita di una "capsula eiettabile" che in caso di emergenza sparerebbe i passeggeri fuori dall'aereo, per poi portarli a terra con un paracadute.

Impossibile? No, i caccia militari hanno dei sedili eiettabili che funzionano bene e che hanno salvato la vita di molti piloti. Certo, il turista medio difficilmente sopravviverebbe alle accelerazioni intorno ai 12 g tipiche di questi sistemi ma li si potrebbero progettare in modo da essere più gentili con gli eiettati. Salverebbero delle vite? Probabilmente si.

Ovviamente, il problema non è la tecnologia, ma il costo. E non è nemmeno il fatto che i costi sarebbero stratosferici, ma semplicemente che i soldi spesi in questa tecnologia sarebbero meglio spesi in altri accorgimenti per la sicurezza degli aerei. Quindi, parlare di aerei civili dotati di capsule eiettabili è solo un esercizio di fantasia, più o meno come parlare di viaggi sulla Luna per tutta la famiglia per il fine settimana. 

Ma la storia dei paracadute sugli aerei ci offre la possibilità di riflettere sul fatto che si può spendere troppo per la sicurezza e fare dei danni, pur con ottime intenzioni. Ci sono molti esempi fuori dall'aeronautica di direttive e leggi bene intenzionate che sono state effettivamente attuate, generando poi più danni che benefici. Un esempio classico è quello degli additivi anti-fiamma che per legge dovevano essere usati per trattare i pigiami per bambini negli Stati Uniti a partire dal 1972.

Mi posso immaginare che questa idea balzana sia venuta in mente a qualche politico che ha creduto in buona fede di fare una cosa buona. O, più probabilmente, a qualcuno pagato dalla lobby dell'industria chimica che vedeva un nuovo mercato per certi prodotti. 

In ogni caso, il risultato è stato un disastro, sparpagliando per il mondo sostanze cancerogene che si possono assorbire per via cutanea e che ancora sono in giro nelle case. La legge fu abolita nel 1978 dopo una lunga polemica. Ma, a distanza di 50 anni da quella legge disgraziata, ci sono ancora sostanze anti-fiamma cancerogene nei pigiami e in altri vari oggetti domestici che potete comprare.

Il bello della faccenda dei pigiami anti-fiamma è che nessuno ha mai prodotto uno studio quantitativo dei rischi/benefici dell'idea. Se ci pensate sopra, in effetti, come si potrebbe fare uno studio del genere? Quasi impossibile. Tutto è stato basato sul ragionamento che più sicurezza è sempre una cosa buona. 

E chi si sarebbe potuto opporre a una legge che aveva come scopo migliorare la sicurezza dei bambini? Come si suol dire, lo zerbino davanti alla porta dell'Inferno porta la scritta, "benvenuti ai beneintenzionati."

Quello delle sostanze anti-fiamma è solo uno degli esempi possibili di come si possa spendere troppo per la sicurezza. Se ci pensate bene, potete trovarne molti altri dove il tentativo di ridurre i rischi ha fatto più danni che benefici.


lunedì 17 maggio 2021

Punteggio Individuale

 


di Bruno Sebastiani





Nel 2010, quando scrissi “P.I. Punteggio Individuale” (libro che ora ho auto-prodotto), non si aveva notizia di alcun programma volto a “classificare” gli esseri umani in base alle proprie caratteristiche.

Al contrario, la “privacy” era sulla bocca di tutti e sembrava essere assurta al ruolo di nuova “dea” laica.

Poi una serie televisiva di successo, “Black Mirror”, nel 2016 toccò l’argomento. Nel primo episodio della terza stagione si raccontava di un ipotetico futuro in cui ognuno poteva attribuire, sotto forma di stelline (da una acinque), meriti o demeriti al proprio prossimo. Ma si trattava ancora di fantasia.

Nel frattempo, poco alla volta, dalla Cina cominciò a diffondersi la notizia che si stava procedendo a inserire ogni cittadino e ogni impresa in una graduatoria, sulla base di un Sistema di Credito Sociale stabilito per legge.

Così, a distanza di tanti anni dalla sua stesura, mi son deciso a pubblicare il manoscritto perché “ciò che nasce per scherzo spesso diviene realtà”, come recita uno dei sottotitoli.

Il tema di questo libro rientra nel più vasto argomento che ho trattato ne “L’Impero del Cancro del Pianeta”, e cioè come è possibile che una popolazione di dieci miliardi e più di cellule cancerogene (ovvero noi Homo sapiens) possa sopravvivere nel prossimo futuro in un Organismo dalle risorse limitate e super-sfruttate (ovvero il pianeta Terra).

La risposta è che prima o poi arriverà il collasso, ma, prima che ciò accada, le cellule cancerogene si organizzeranno in modo da ottimizzare al massimo le residue risorse alimentari ed energetiche.

Cosa significa in concreto tutto ciò? Come avverrà questa “ottimizzazione”?

Innanzitutto, i regimi politici al potere convinceranno le popolazioni della necessità di adottare provvedimenti restrittivi delle libertà individuali. Non sarà difficile farlo, perché si tratterà di provvedimenti rispondenti a necessità reali, concretamente verificabili da chiunque.

I lockdown, i coprifuoco e le zone rosse e arancioni dell’era Covid sono emblematici al riguardo.

Ma poi neppure questi provvedimenti saranno sufficienti a razionare le risorse sempre meno disponibili a livello globale.

Vi saranno Paesi ricchi che alimenteranno di più i loro cittadini e le loro macchine, e Paesi poveri dove imperverserà la miseria e l’indigenza. Questo avviene già oggi, ma il divario continuerà ad allargarsi e ciò produrrà emigrazioni di massa, tumulti, guerre.

A quel punto si dovrà far ricorso al Governo Unico Mondiale, a quella autorità sovranazionale già invocata da più soggetti, compresi gli ultimi pontefici della Chiesa Cattolica (vedasi il paragrafo 175 dell’Enciclica “Laudato sì”).

E che provvedimenti potrà prendere questo G.U.M. (come lo chiamo nel mio fanta-saggio)? Come farà a mettere ordine in una umanità difforme quanto a ricchezza, istruzione, situazione sanitaria ecc.?

Io credo che uno dei primi provvedimenti sarà quello di realizzare un dettagliato censimento di tutta la popolazione mondiale, con l’indicazione, per ciascun censito, di ogni notizia utile alla “catalogazione”.

Solo da qui, da questo enorme data-base, potrà prendere avvio ogni tentativo di riforma di qualche efficacia. L’ubiqua diffusione della “grande ragnatela mondiale” e delle reti fonia-dati di ultima generazione (5G e successive) renderanno possibile questa mastodontica operazione di classificazione di tutte le cellule cancerogene del Pianeta.

Ma, a questo punto, perché non assegnare a ogni cittadino un “rating”, un “Punteggio Individuale” tale da semplificare ogni tipo di rapporto con la Pubblica Amministrazione e gli altri Enti, pubblici e privati?

Sto già viaggiando nel futuro, e certamente quanto prefigurato troverà mille ostacoli sul suo cammino. Non perché non abbia una sua logica, ma semplicemente perché gli apparati burocratici (alias Stati nazionali, Enti locali, Amministrazioni periferiche ecc.) lotteranno strenuamente per non farsi strappare dagli artigli la preda succulenta che stanno lentamente scarnificando, ovvero i corpi dei cittadini loro sottoposti.

Dunque, l’evoluzione non sarà spontanea. Guerre, ecocatastrofi e sommovimenti di miriadi di disperati costringeranno l’umanità a strutturarsi in modo sempre più accentrato.

E, a quel punto, quanto descritto nel mio libro potrà avverarsi.

Non scendo in ulteriori dettagli per non rovinare il piacere della lettura. Sappiate solo che le immagini distopiche che descrivo in “P.I. Punteggio Individuale” non sono ciò che mi auguro, bensì ciò che temo.




mercoledì 12 maggio 2021

Memi assassini: I Roghi delle Streghe e Altre Follie Popolari

 From "The Seneca effect - di Ugo Bardi


Una moderna interpretazione di Anna Göldi. giustiziata nel 1782 per stregoneria a Glarona, in Svizzera. Si dice che sia stata l'ultima strega giustiziata in Europa, almeno a seguito di un processo. La storia delle grandi cacce alle streghe del XVI e XVII secolo rimane per molti aspetti un mistero. Che cosa ha fatto sì che questa follia si impadronisse delle menti degli europei? Ancora più strano, cosa fece sparire quella follia? Il male sembra avere un ciclo naturale di crescita e declino. È possibile accelerare il declino di un meme assassino se le brave persone si uniscono per rifiutarlo.


Nel 1841, Charles MacKay pubblicò il suo libro, "Delusioni popolari straordinarie e la pazzia delle folle." Fu una pietra miliare: il primo studio del campo che oggi chiamiamo memetica, termine coniato da Richard Dawkins per indicare come le idee ("memi ") si diffondono nella coscienza umana collettiva.  MacKay fu forse il primo nella storia a dichiarare pubblicamente che le grandi cacce alle streghe della fine del XVI e dell'inizio del XVII secolo erano una forma di follia collettiva . Nemmeno Voltaire (1694 - 1778) aveva toccato quell'argomento, nonostante le sue critiche a tutti i tipi di superstizioni religiose

Fra i vari stermini di massa, la guerra alle streghe non è stata la peggiore mai registrata. In Europa, ha causato circa 50mila vittime, in circa un secolo. Ma fu estremamente scioccante e crudele, soprattutto per aver colpito per lo più donne che non avevano la possibilità di difendersi. Oggi, viene ricordata come una forma particolarmente virulenta di follia collettiva. L'espressione "caccia alle streghe" è rimasta addirittura proverbiale. 

Questa fase storica ha generato molti studi nei tempi moderni, per lo più concentrati sulla spiegazione del motivo per cui è iniziata la caccia alle streghe. Le spiegazioni sono molte ma, in generale, si concorda che fosse correlata allo stress generato dalla Riforma e dalle guerre associate. Apparentemente, torturare e uccidere donne era una forma di rilascio dello stress. La mente umana deve avere molti seri problemi, evidentemente, ma questo lo sappiamo già, e non solo a causa della caccia alle streghe.

In ogni caso, è successo quello che è successo e dovremmo essere contenti che non sia durato più di quanto sia durato. Ma questo genera un'altra domanda: cosa ha fatto cessare la caccia alle streghe? È un punto fondamentale: se potessimo capire cosa fa smettere le persone di credere nei memi assassini, potremmo fermarli prima. 

Ma pochi degli studi che esaminano la guerra alle streghe hanno fatto uno sforzo specifico per capire perché la persecuzione è cessata. L'idea generale sembra essere che quando le condizioni che hanno causato la caccia alle streghe sono scomparse, le cose sono tornate al loro stato normale. A volte, si propone anche che l'illuminismo abbia posto fine agli omicidi. Lesson e Ross  (1) hanno proposto nel 2018 che:

"Il diciassettesimo secolo, tuttavia, fu il periodo della rivoluzione scientifica, i cui effetti potrebbero aver alla fine eroso la credenza popolare nella stregoneria, erodendo la richiesta popolare di procedimenti penali per stregoneria insieme ad essa fino a quando i processi alle streghe potrebbero essere finalmente abbandonati facilmente dai produttori religiosi".

Non per screditare uno studio eccellente sotto molti aspetti, ma questa interpretazione mi sembra completamente sbagliata. La pena di morte per le persone riconosciute colpevoli di avvelenamento o danneggiamento di altri aveva l'aspetto di una risposta razionale della società a una minaccia che, all'epoca, sembrava reale e documentata. Durante il XVI e il XVII secolo, la scienza aveva poco o nulla da dire sulla possibilità o meno di avvelenare le persone usando miscele di erbe o altri metodi.

Come dice Chuck Pezeshky, "la verità è la rappresentazione affidabile e valida delle informazioni che consente il coordinamento condiviso dell'azione all'interno di un social network". In alcuni casi, questa rappresentazione sociale coincide con la visione scientifica, ma questa non è la regola e non è nemmeno una cosa comune.  

Scovare le streghe non era soltanto il lavoro degli inquisitori. Dal libro di Trevor-Roper "The European Witch-Craze" (1991) potete capire quanto l'idea della minaccia delle streghe fosse diffusa a tutti i livelli della società. E di quanto intensamente si credesse che eliminare le streghe fosse un dovere sociale, una cosa che tutti dovevano fare per il bene di tutti gli altri. Un leader che non si impegnava nella caccia alle streghe non era considerato un buon leader. In certe regioni, esprimere dubbi sulla bontà dell'idea di sterminare le streghe poteva essere pericoloso per chi lo faceva.

Se la verità è un concetto sociale, allora dobbiamo comprendere la caccia alle streghe in un contesto sociale, nella forma delle entità che chiamiamo memi. Cosa fa vivere e morire i memi? Charles MacKay ci dà un suggerimento interessante quando dice: “Gli uomini, è stato detto, pensano in branchi; si vedrà che impazziscono in branchi, mentre recuperano i sensi solo lentamente, e uno per uno. "  

Come ho detto, MacKay è stato un grande innovatore e questa frase, di per sé, è un'affermazione corretta di come i meme si propagano. Si comportano esattamente come gli agenti patogeni fisici in un'epidemia: sei infettato dagli altri ma ti riprendi da solo. 

In effetti le infezioni memetiche possono essere descritte dalle stesse equazioni utilizzate in epidemiologia, come abbiamo mostrato in un articolo del 2018 insieme alle mie colleghe Ilaria Perissi e Sara Falsini. Le epidemie sono il risultato di feedback interni che, a loro volta, sono il risultato della struttura di rete del sistema. Questa struttura genera i tipici cicli "a campana". I processi di stregoneria sono probabilmente il primo caso storico di un ciclo memetico per il quale disponiamo di dati quantitativi (dati di Leeson e Ross, 2018 (1))). La curva a campana è chiaramente visibile.

Il modello ci dice che la diffusione di un'epidemia memetica è un fenomeno collettivo dovuto al fatto che le persone vengono infettate da altri. Al contrario, l'epidemia diminuisce perché le persone diventano individualmente "immuni" al meme. Il concetto di "immunità di gregge" vale non solo per le epidemie fisiche, ma anche per quelle virtuali. È ciò che alla fine rende la società resistente a questi memi assassini.

C'è un punto ancora più fondamentale sul declino dei meme killer, ben espresso da Trevor-Roper:

Intellettuali e funzionari di terzo grado hanno iniziato a dire che la mania era ingiusta e irrazionale. E quello che hanno detto è stato dato per scontato. Poi è arrivata l'intellighenzia, che ha mostrato che ciò che era stato detto per due secoli era sbagliato a causa di alcuni piccoli dettagli nell'interpretazione delle scritture. E quella fu la fine del processo.

Questa affermazione segna una differenza tra epidemie fisiche e memetiche. Un'epidemia fisica non si preoccupa troppo delle gerarchie umane. Un re può morire di peste proprio come qualsiasi cittadino comune. Ma, in un social network, la propagazione dei meme è influenzata dalla struttura gerarchica: le persone tendono a fidarsi delle autorità. Trevor-Roper ha identificato una verità profonda con la sua dichiarazione: la caccia alle streghe declinò perché la gente comune ("intellettuali e funzionari di terzo grado") iniziò a rendersi conto che il meme era malvagio e che loro (o le loro mogli, sorelle o madri) rischiavano di essere bruciate sul rogo. Quindi cessarono di dar retta ai loro leader e combatterono il meme.

Sembra che se vogliamo fermare i memi malefici, dobbiamo farlo partendo dal basso. Non possiamo riporre troppa speranza in leggi, tribunali, trattati e nobili principi: sono tutti sotto il controllo delle élite e possono essere piegati, trasmogrificati o ignorati. Ma la guerra memetica viene combattuta a tutti i livelli del social network. Le persone comuni possono rimanere stordite per un po' dal trattamento "Shock and Awe" che ricevono, ma a lungo andare capiscono. Non possiamo aspettarci di essere in grado di fermare il male rapidamente, ma un meme malvagio non può durare a lungo quando persone oneste si uniscono per combatterlo. Se la storia è una guida, il male è sorprendentemente fragile.


An meiner Wand hängt ein Japanisches Holzwerk
Maske eines bösen Dämons, bemalt mit Goldlack.
Mitfühlend sehe ich
Die geschwollenen Stirnadern, andeutend
Wie anstrengend es ist, böse zu sein.

Sulla mia parete è appesa una scultura giapponese,
La maschera di un demone malvagio, decorata con lacca dorata.
Con simpatia osservo
le vene gonfie della fronte, indicando
che fatica è essere malvagi.

 Bertolt Brecht 

 

lunedì 10 maggio 2021

Lunga vita per "Medioevo elettrico"


 

 

 Un post di Fabio Vomiero

 

Personalmente concordo molto con la raccomandazione fatta dal prof. Bardi ai lettori/commentatori del suo blog "Medioevo elettrico", un sito molto interessante e peraltro, proprio di recente, rinnovato nel titolo e nelle intenzioni.

E' abbastanza chiaro, infatti, come la collocazione di un blog come questo nel panorama informativo generale non passi soltanto dall'eventuale spessore culturale degli articoli proposti, ma anche, inevitabilmente, dalla qualità degli interventi e delle discussioni che seguono generalmente il post, i quali, più di ogni altra cosa, testimoniano in qualche modo il target di pubblico che l'articolo proposto è riuscito a intercettare.

Sì, perchè ogni tipo di comunicazione non dovrebbe mai essere fine a sè stessa, ma, se fatta consapevolmente, dovrebbe avere sempre lo scopo di raggiungere, nel miglior modo possibile, un certo destinatario, che in questo caso è rappresentato da una certa tipologia di pubblico. Ci si potrebbe per esempio anche rivolgere ad un illusorio "tutti", con il rischio però alla fine di non riuscire a raggiungere paradossalmente nessuno, oppure, come penso sia il caso di "Medioevo elettrico" si possa invece avere in testa veramente una progettualità consapevole, legata sia alla proposta, che al target di pubblico che si vorrebbe tentare di coinvolgere.

Ebbene, il prof. Bardi, nelle sue note, prova chiaramente a definire quale possa essere la linea editoriale del suo blog. Si vuole proporre un taglio che abbia certamente delle velleità di tipo scientifico, o tutt'al più filosofico-scientifico, visto che poi scienza e filosofia non sono per niente delle discipline così estranee tra di loro. E questo è perfettamente condivisibile in quanto la formazione e il background scientifico del prof. Bardi, nonchè le sue spiccate doti comunicative, conducono naturalmente a questo tipo di impostazione, immagino.

Pertanto, appare chiaro come una proposta di questo tipo miri prevalentemente ad un pubblico che, come minimo, nutra almeno un certo interesse e una certa simpatia nei confronti della scienza e soprattutto sposi e condivida, di conseguenza, un certo modo di pensare, di ragionare e di proporsi.

Purtroppo la situazione socio-culturale dominante in questo Paese non è esattamente questa, e credo sia giusto ribadirlo. Forse producono più click e visualizzazioni certi siti di fatto inutili, quando non addirittura dannosi, che parlano magari sfacciatamente di credenze comuni e di complotti, e che mirano a colpire quella parte animalesca di noi che reagisce d'istinto sentendosi minacciata da ogni sorta di presunta provocazione. Basti guardare ai contenuti di Facebook, per esempio, quel grande contenitore olistico dove, simultaneamente, può essere vero tutto ma pure il suo contrario, e dove se pubblichi un pseudoarticolo sulle scie chimiche ricevi centinaia di "mi piace", mentre se pubblichi un articolo raffinato di "Medioevo elettrico", non lo legge nessuno. Troppo serio, troppo impegnativo... Non ho voglia di pensare, non ho tempo di approfondire...

Quindi certo, il prof Bardi ha tutto il mio appoggio se intende sposare una linea editoriale di una certa qualità scientifica dove, per principio logico, non possa affatto essere vero tutto e pure il suo contrario e dove si cerchi veramente, con la saggia consapevolezza di chi non intende diffondere Verità Assolute, ma piuttosto prospettive di conoscenza, di raccontare fatti e non fattoidi, di cui siamo già abbondantemente circondati. Sarebbe bello che su "Medioevo elettrico" si aggiungessero anche altri commentatori esperti e competenti che apprezzino l'offerta e che abbiano voglia di cogliere gli assist intellettuali per contribuire a portare avanti delle discussioni serie di approfondimento, in cui tutti abbiano la possibilità di confrontarsi costruttivamente e di imparare sempre qualcosa di nuovo.

Guardate che non è facile trovare spazi di opportunità di questo tipo.

Ma la comunicazione scientifica, altrimenti chiamata anche e orribilmente "divulgazione", ha però, per sua natura, regole e identità ben precise, l'abbiamo accennato appena sopra. Una di queste riguarda proprio la discussione, a me piace chiamarla "Igiene della discussione". Se si parla di A, si discuta di A e magari della frontiera di A, probabilmente di Z e di B, ma non certo del numero 4, se non c'entra proprio niente.

Quindi, regola numero uno: pertinenza e rilevanza.

Penso che alla fine, escludendo il problema trasversale dell'educazione, che nemmeno voglio nominare, il prof. Bardi intendesse riferirsi proprio a questo.