giovedì 11 giugno 2020

Una nuova speranza? Come evitare di andare in overshoot






Guest post di Jacopo Simonetta



Ci sono due cose che sono indispensabili agli umani per affrontare le difficoltà: avere una speranza e poter vedere un senso in ciò che accade, di conseguenza in ciò che si fa.

Viceversa, ostinarsi a vivere nelle proprie illusioni è esattamente ciò che può trasformare una crisi in una trappola mortale.

In fondo è esattamente questo che ci ha portati nella situazione attuale: ostinarci a credere che una qualunque combinazione di arrangiamenti tecnologici, politici, economici e culturali avrebbe potuto garantire ad un numero indefinito di persone di vivere un’eccellente e lunga vita, mentre la “Natura” prosperava tutto intorno a noi.

Eppure sappiamo molto bene da almeno 50 anni che non può essere così e anche perché. Sapevamo anche, approssimativamente, quando il collasso della nostra civiltà sarebbe cominciato e perché, ma i nostri sogni erano troppo più belli e quasi solo di questi si è parlato e tuttora si parla nei vari “Earth Summit”, COP x, y, z, eccetera. Questa, alla fin fine, è la causa del loro completo fallimento.

Ora che il temuto "Picco di tutto" è passato ed il conseguente collasso sistemico è cominciato (durerà a lungo, non mettetevi fretta), esiste ancora spazio per la speranza?

Secondo me si, ma solo a condizione di trovare un senso a ciò che accade e che accadrà e stavolta lo dobbiamo trovare nella realtà dei fatti e non nei sogni. La pandemia in corso può essere un buon punto di partenza.

Il Covid-19 ha infatti sparso il panico a tutti i livelli ed in praticamente tutti i paesi, ma non è tanto il virus di per sé a rappresentare un pericolo per l’umanità, mentre lo sono eccome il panico con le sue conseguenze economiche e politiche. In pratica, una malattia che probabilmente ucciderà alcune centinaia di migliaia, forse qualche milione di persone nel mondo, ha già innescato processi che rischiano di portarne alla tomba decine di milioni nel breve termine, forse miliardi nel giro di alcuni decenni. Come è stato possibile?

E’ accaduto perché alla fine del XVIII secolo una combinazione di eventi unica nella storia ha reso temporaneamente possibile una crescita economica, tecnologica e demografica che in due secoli ha surclassato di parecchi ordini di grandezza quella verificatasi nei 50.000 anni precedenti (cioè da quando è approssimativamente cominciata la diffusione planetaria della nostra specie).

Il risultato è stato esattamente quello a suo tempo previsto: il degrado delle risorse e dell’ambiente hanno condotto lo sviluppo economico in un vicolo cieco in cui siamo ora contemporaneamente minacciati dal collasso economico e da quello ecosistemico.

In estrema sintesi, una qualunque economia funziona come una pompa che aspira risorse dall'ambiente, ci fa qualcosa che poi riscarica nell'ambiente stesso. Maggiore è l’energia che possiamo applicare alla pompa, maggiore è la quantità di beni e servizi che si possono produrre, dunque maggiore è la popolazione che può vivere e maggiore è il livello tecnologico che si raggiunge. Questo, a sua volta, consente di aumentare i flussi di energia e di materia, dunque la produzione di beni e servizi che, alla fine, diventano comunque rifiuti e via di seguito.

Finché il sistema economico è piccolo rispetto alla Biosfera, il gioco funziona, ma via via che l’economia cresce, la qualità delle risorse si degrada e la disponibilità di servizi ecosistemici si riduce, mentre la popolazione aumenta.

Se una tendenza alla crescita eccessiva si trova in tutte le economie, il capitalismo ha fatto di questa il suo fondamento. Il sistema capitalista è infatti strutturato su una ridondanza di retroazioni positive, senza alcun freno al suo interno. Anzi, con efficaci sistemi per ritardare l’effetto frenante del degrado ambientale e della sovrappopolazione. I principali di questi sistemi sono lo sviluppo tecnologico, il debito e la globalizzazione. Il loro effetto combinato è stato amalgamare tutte le economie del mondo in un’unica mega-macchina spaventosamente efficace nell'estrarre risorse dalla Terra e produrre beni o servizi di ogni sorta, ma che funziona solo se riesce a mantenere un costante tasso di crescita dei flussi di merci, persone e denaro attraverso l’intero Pianeta. E' sufficiente che il tasso di crescita rallenti ed il sistema va in affanno. Se l'economia si contrae in misura significativa, come sta accadendo, entra in una crisi strutturale dai risultati del tutto imprevedibili perché le stesse retroazioni che auto-alimentano la crescita, possono auto-alimentare la decrescita. Detto in termini fisici, ciò che mantiene funzionale la rete economica globale è un tasso costante di aumento nella dissipazione di energia. Cosa che, alla fine, è la causa prima ed ultima del degrado del Pianeta con tutte le conseguenze del caso.

Nel nostro caso, abbiamo il problema ulteriore che la produzione industriale, anche di cibo, è efficiente solo entro una ristretta variazione dei flussi; se questi si riducono eccessivamente, la produzione si ferma del tutto. In pratica, possiamo produrre molto o nulla, non siamo attrezzati per il "poco" e questo rischia di rimbalzarci di colpo da una crisi di sovrapproduzione ad una di carenza.

Già molte società del passato hanno degradato il proprio ambiente fino a provocarne il collasso, ma finora il fenomeno era rimasto delimitato a specifiche regioni. L’energia dei combustibili fossili, e soprattutto del petrolio, ha invece permesso alla nostra civiltà di crescere fino a minare la struttura portante della Biosfera a livello planetario, scatenando fenomeni come la catastrofe climatica, l’estinzione di massa, l’alterazione di tutti i cicli bio-geo-chimici e molto altro ancora.

Tecnicamente, questa situazione si definisce “overshoot”. Un termine che in ecologia indica quando una determinata popolazione supera la “capacità di carico” del territorio in cui vive (solitamente indicata con “K”). Cioè quando la popolazione supera la capacità del territorio di sostentarla a tempo indeterminato. In pratica, lo possiamo considerare un sinonimo di “sovrappopolazione” perché, con buona approssimazione, se c’è sovrappopolazione, c’è degrado dell’ambiente e, di solito, viceversa.

Tuttavia, l’impatto delle popolazioni umane (solitamente indicato con “I”) non dipende solo dalla loro consistenza, bensì da una combinazione di fattori demografici, economici e tecnologici. Per poter parlare di sovrappopolazione, occorre poi tener conto anche dei fattori ambientali e di come questi variano in rapporto alla nostra presenza.

In pratica, siamo in overshoot ogni volta che I supera K:

I > K

Una condizione che non può durare a lungo perché, quali che ne siano le cause, quando una popolazione supera la capacità di carico, il suo habitat comincia a degradarsi, costringendo la popolazione stessa, prima o poi, a diminuire. E “prima o poi” è esattamente il punto su cui focalizzare l’attenzione perché “rientrare nei ranghi” è inevitabile, ma le cose possono andare molto diversamente a seconda di quanto tempo ci si impiega.

Se, infatti, il declino di “I” è più rapido del degrado del suo ambiente, si potrà tornare ad un relativo equilibrio abbastanza presto e ad un livello demografico elevato. Se, invece, il declino di “I” è più lento di quello di "K", lo stato di sovrappopolamento perdura a lungo e l’equilibrio non sarà raggiunto che più tardi e più in basso. Tanto più tardi e tanto più in basso quanto più a lungo la popolazione rimane in overshoot.




Figura 1 Se gli impatti diminuiscono più rapidamente della capacità di carico la popolazione si salva, altrimenti si estingue.

Questi due semplici grafici illustrano ad un tempo il senso di ciò che accade e quale deve essere la strategia per uscirne il prima ed il meglio possibile.

La diminuzione di “I” dipende infatti da una combinazione di declino demografico, riduzione dei consumi e della tecnologia. Tutto ciò comporta certamente sofferenze e morti, ma lungi da essere la malattia, è invece metà della medicina.

L’altra metà della cura è sostenere “K”, il che vuol dire, in sintesi, conservare/ripristinare il funzionamento degli ecosistemi e proteggere la biodiversità.
All'interno di questa meta-strategia rientrano infinite combinazioni di provvedimenti in tutti i campi che dovrebbero essere modulati in base alle molteplici situazioni locali, ma in ogni caso abbiamo una “pietra di paragone”:

Tutto ciò che contribuisce a ridurre I e/o a sostenere K ci avvicina ad una possibile salvezza; tutto il resto ce ne allontana.

Per esempio, su I si può agire riducendo i redditi eccessivi, la mobilità intercontinentale, i consumi di energia e di risorse primarie o la natalità; oppure abbandonando determinate tecnologie, per citare solo alcune azioni possibili che non sono però valide ovunque nella stessa misura. Per fare un esempio banale, in alcuni paesi è più urgente ridurre i consumi, mentre in altri la natalità.

Contemporaneamente, su K si può agire proteggendo boschi e paludi, o ampliando i parchi nazionali, rinaturalizzando porzioni di territorio (rewilding), fermando il consumo di suolo, eccetera. La rapidità con cui abbiamo visto piccoli, ma interessanti miglioramenti nonappena la quarantena ci ha costretti a ridurre temporaneamente il nostro impatto sostiene la speranza. Certo, la strategia non può essere quella di tenere metà dell’umanità agli arresti, ma abbiamo visto che la Biosfera non ha ancora esaurito la sua resilienza e questa è la migliore notizia che fosse possibile avere.

In estrema sintesi, la sostenibilità non è una scelta, bensì un'ineluttabile destino. La scelta è come arrivarci, ma i nostri gradi di libertà diminuiscono col tempo. Oramai le occasioni per evitare la fine della nostra civiltà le abbiamo lasciate passare, accecati dei nostri sogni; ora possiamo in una qualche misura governare il collasso, oppure continuare a bruciare tutto quello che ci rimane, sperando di riportare indietro le lancette della storia. Ci adatteremo comunque, ma lo possiamo fare in modo stupido, subendo i colpi del Fato senza capire; oppure attivamente, accettando l’inevitabile e cercando di portare la barca fuori dalla tempesta il prima possibile.

lunedì 8 giugno 2020

Giornata Mondiale degli Oceani: Un post di Ilaria Perissi sul nuovo libro "Il Mare Svuotato"

Il nuovo libro di Ugo Bardi e Ilaria Perissi è ricco di informazioni e di dettagli poco noti sul mare e sulla pesca. Qui, Ilaria ce ne descrive una curiosità trattata nel libro: cos'ha a che fare la pesca con la scollatura femminile?


Guest post di Ilaria Perissi


In occasione della odierna Giornata Mondiale degli Oceani🐳 potrebbe interessarvi sapere che la moda del #decolleté femminile potrebbe avere a che fare con la storia della pesca e non per ragioni frivole...bensì per la cura delle malattie ossee come #osteoporosi e #rachitismo.

Queste malattie si manifestano sia in età adulta che in età pediatrica quando la nostra dieta non contiene abbastanza #vitaminaD e non ci esponiamo a sufficienza alla #LucedelSole: per questa ragione sono storicamente più ricorrenti nei paesi nordici, ma ...non da sempre!

Infatti, solo da quando il nord Europa cominciò ad essere più urbanizzato dall'arrivo di persone che lasciarono le coste meridionali in concomitanza con il declino delle Impero Romano (V secolo d.C.), il pesce, ricco in Vitamina D (formula chimica nella foto), che rappresentava l'elemento fondamentale della dieta degli europei del Nord, non era più sufficiente a sfamare la crescente popolazione e la dieta fu integrata principalmente con cereali. Già che in questi paesi l'irraggiamento solare -che serve per attivare vitamina D nel processo di calcificazione ossea- non era molto, se in più la vitamina D cominciava a scarseggiare, l'aumento delle suddette malattie ossee fu la conseguenza.

Il rimedio era allora "scoprirsi" di più, ma non che questo venne fatto coscientemente: nessuno aveva la minima idea di cosa fosse la vitamina D e che ruolo avesse nel metabolismo umano. È probabile che, semplicemente, la #moda, che variava a quell’epoca così come varia oggi, abbia fatto si che le donne che scoprivano un po’ di più il collo e le spalle, presentavano una salute e una forma migliore e così il loro stile è stato imitato dalle altre.

Ma come mai proprio spalle e collo? Perchè non le gambe o le braccia? ....eh eh...per l'intera storia vi invito a leggere Il Mare Svuotato di Ugo Bardi e Ilaria, lo trovate su Amazon e in Libreria! https://www.amazon.it/mare-svuotato-Ilaria-Perissi/dp/8835981387

Da una idea di Ugo Bardi!


domenica 7 giugno 2020

Ma il Lockdown ha veramente ritardato la diffusione dell'epidemia? Il dilemma dell'Azteco




Scena: L'interno del tempio in cima alla grande piramide di Tenochtitlán

Personaggi: L'Arciprete (Maestro) e il giovane sacerdote (Apprendista)


___________________________________________________________________

Apprendista: Maestro, dove sei? (cammina in giro, guardando). Maestro?

Arciprete: Uh...? Apprendista, sei tu?

Oh... eccoti qui, Maestro. Sono io. Sì. Mi dispiace disturbare la tua preghiera, ma...

Hmmmm... Stavo facendo un pisolino. Che succede?

Maestro. Ho bisogno di consiglio.

Ah...?

Maestro, il tempo del sacrificio di oggi sta arrivando.

Si', certo, lo so... Lo so. Dobbiamo iniziare a prepararci. Devo avere il mio coltello di ossidiana da qualche parte.... Per le zanne di XipeTotec, si sta già facendo buio. Dobbiamo prepararci. . .

Maestro, volevo dire una cosa.


Ah...? Si, apprendista, abbiamo ancora un po ' di tempo. Ma dove Xochiquetzal è il mio coltello di ossidiana.....

Maestro, ho un problema....

Oh, si', eccolo qui. Buon vecchio coltello... Così tanti cuori che ho ha strappato via! Ma cosa stavi dicendo, Apprendista?

Maestro, stavo pensando a qualcosa.

Hmmmm.... Ora ho bisogno della mia maschera di Mictlantecuhtli, dovrebbe essere in giro. E a cosa stavi pensando?

Maestro, diciamo sempre che se non sacrifichiamo una persona ogni giorno al dio del sole Huitzilopochtli, il sole non sorgerà il giorno dopo.

Eh... Sì.... questo è il punto del rituale del sacrificio umano, ovviamente. L'hai studiato al seminario, giusto? Ma dove diavolo è quella maschera....

Maestro, ma come facciamo a saperlo?

A sapere cosa?

Che il sole non sorgerà domani se non facciamo il sacrificio.

Apprendista, tu sei un ragazzo intelligente. Sai che il dio Huitzilopochtli apprezza i nostri sacrifici. E questo è dimostrato dal fatto che il sole sorge ogni mattina. A cosa stavi pensando, per il grande Xochiquetzal?

Pensando che, beh, e se per una volta saltassimo?

Saltassimo cosa?

Il sacrificio, maestro.

Saltare il sacrificio? Sei fuori di testa, apprendista?

No, Maestro, dicevo, abbiamo mai mancato uno dei sacrifici serali?

Apprendista, lo sai che abbiamo sempre sacrificato almeno un prigioniero al dio del sole ogni sera. E che il sole è sempre sorto la mattina dopo.

E ' quello che intendo dire, Maestro. Potremmo saltare il sacrificio per una volta.

Uh.....?

Il fatto è che mi sono sempre chiesto perchè non abbiamo mai provato.

Hmm......

Voglio dire, certo, so che se non facciamo il sacrificio, il sole non sorgerà domani mattina. E la gente sarà terrorizzata. Ma poi faremo dei nuovi sacrifici e il sole ritornerà. La gente ne sarebbe felice, credo.

Ah... ecco la mia maschera Mictlantecuhtli. Ne avevo bisogno.

Maestro, cosa pensa della mia idea?

Apprendista, dammi retta.

Sì, Maestro?

Apprendista, lo sai che il fatto che il sole sorge ogni mattina è la prova che i sacrifici funzionano.

Sì, Maestro, lo so. Ma, a dire il vero, ho pensato che, forse, potremmo fare un test. . .

Apprendista, ho sempre detto che eri un bravo ragazzo. Ora, supponiamo di non fare il sacrificio stasera. Immagina che il sole sorga comunque domani mattina.

Maestro, questo non può essere. Il dio del sole sarebbe terribilmente arrabbiato e. . . .

Immaginatelo, idiota!

Ah.... Beh, si, mi posso immaginare. Ma Maestro, me l'hai insegnato tu che. . .

Lascia perdere quello che ti ho insegnato, cretino matricolato che non sei altro. Sai benissimo cosa succederebbe. La gente di Tenochtitlán scalerebbe questa stupida piramide, poi ci strapperebbero il cuore dal petto a tutti quanti noi e se li mangerebbero arrosto. Come facciamo noi con le vittime del sacrificio. E questo non sarebbe bene, per niente bene. Capito, brutto imbecille?

Si, si, giusto, Maestro, ma sono sicuro che il dio Huitzilopochtl non farebbe sorgere il sole se non facciamo il sacrificio. Di certo.

Certo, Apprendista, certo. Ma ora, ho una buona idea. Vado a organizzare il sacrificio per stasera. Tu resta qui finchè' non torno. 

Maestro, ma dovrei aiutare con i preparativi...

Resta qui, ho detto.

Si, Maestro, ma perché....?

Resta qui e aspetta, Apprendista. E grazie per esserti offerto volontario per il sacrificio di stasera.


_____________________________________________


giovedì 4 giugno 2020

L'impero del cancro del pianeta: il nuovo libro di Bruno Sebastiani

 L'impero del cancro del pianeta


Chi di voi, osservando dal finestrino di un aereo le case, le strade, i capannoni e i campi coltivati sottostanti, non ha avuto l’impressione di trovarsi in presenza di un melanoma, di un vero e proprio tumore maligno ai danni del corpo del pianeta?
In gergo “cancrista” questa si chiama la “prova dell’aeroplano” e ne hanno parlato, tra gli altri, Lewis Mumford e Konrad Lorenz.
Questa raffigurazione terrificante è la conferma visiva di come ormai l’intero globo terracqueo sia diventato un immenso, sconfinato impero dell’essere umano, ovvero del cancro del pianeta.
Ad esso è dedicato il mio nuovo libro, intitolato per l’appunto “L’impero del cancro del pianeta” (Mimesis editore) e sottotitolato “L’organizzazione della società ai tempi dell’ecocidio”.
Per la presentazione dei libri precedenti vedere Il cancro del pianeta e Il cancro del pianeta consapevole.
Ho cercato con questo saggio di scendere metaforicamente dall’aeroplano e di calarmi dentro alla realtà della malattia per vedere come le cellule neoplastiche si sono organizzate al fine di sostenere il loro esorbitante aumento numerico.
Si sa che il cancro è originato da una o più cellule che subiscono un’alterazione genetica tale da rifiutare il meccanismo omeostatico che blocca la proliferazione delle cellule quando il loro numero diventa eccessivo. Venendo meno questo freno, la popolazione delle cellule alterate straborda ovunque, come è accaduto alla nostra specie.
Ogni cellula va nutrita e se il loro numero è elevatissimo, occorre trovare elevatissime quantità di cibo. È il problema con il quale da decenni convive drammaticamente il genere umano, senza che gran parte di esso si renda conto dei problemi e dei drammi che si celano dietro agli scaffali pieni dei supermercati.
Ho cercato di affrontare questa realtà con l’aiuto di altri autori che prima di me l’hanno indagata con grande competenza. Tra questi Raj Patel, Lester R. Brown, Philip Lymbery e Stefano Liberti. Arricchito dai dati, dalle notizie e dai pareri di costoro e di altri autori, ho avuto una ulteriore conferma che quanto accaduto negli ultimi decenni si inquadra perfettamente nell’ottica della teoria cancrista.
Il compito che mi sono assunto, infatti, non è di effettuare una nuova indagine in aggiunta a quelle già esistenti, ma di mostrare all’uomo contemporaneo come i fatti e i processi sociali che si svolgono sotto ai suoi occhi altro non sono che tasselli di un comportamento tipicamente cancerogeno.
Molti autori hanno descritto i mali che affliggono il mondo per cause antropiche, ma poi non sono giunti a trarre le conclusioni più coerenti.
Un nome su tutti, quello di Aurelio Peccei. Il fondatore del Club di Roma nel suo saggio “Cento pagine per l’avvenire” (Giunti Editore, Firenze 2018) scrive:
È […] in uno slancio di creatività eccezionale o in un momento di smarrimento che la Natura produce la sua ultima grande specie […] homo sapiens? È questi il suo capolavoro, o invece non è che un refuso sfuggito al controllo della selezione […]? (pag. 56)
Un […] comportamento aberrante della nostra specie la rende gravemente colpevole davanti al tribunale della vita. Si tratta della sua proliferazione esponenziale, che non si può definire che cancerosa.” (pag. 66)
Siamo per caso una specie di geni, destinati in fin dei conti a trionfare su tutto? O al contrario […] non ci siamo forse trasformati in mostri, magari mostri geniali, che finiranno per restar vittime del loro stesso malsano operare?” (pag. 80)
Questi dubbi e questi atti di accusa non si concretizzano però in una coerente teoria cancrista, ma si stemperano in un atto di fede che sinceramente non condivido:
Pur riconoscendo che questa tesi ha dei punti validi, io sono portato a dare una risposta meno pessimista a questi interrogativi cruciali sulla natura e sul destino dell’uomo. La condizione umana è grave, ma può essere migliorata – a certe condizioni.” (pag. 81)
Questa affermazione fa capire come Peccei, nonostante le sue intuizioni sulla nocività del genere umano, sia sempre rimasto sostanzialmente antropocentrico.
La sua preoccupazione non è per la gravità delle condizioni della biosfera, ma per quella del genere umano.
Per un ulteriore approfondimento del pensiero del fondatore del Club di Roma vedere “Aurelio Peccei precursore del Cancrismo?
È come se un medico si preoccupasse dello stato di salute del tumore anziché di quello dell’ammalato.
Credo che questa metafora renda bene l’idea della inversione di prospettiva operata dalla teoria cancrista: non è del genere umano che ci dobbiamo preoccupare ma della biosfera nel suo complesso, anche perché noi comunque della biosfera facciamo parte e se le sue condizioni di salute migliorassero pure noi ne beneficeremmo.
Ma, al punto in cui siamo, questa opzione non è realistica, al contrario tutto sembra indicare che la strada intrapresa vada esattamente in direzione opposta.
Questo è l’oggetto del mio saggio: vedere come la società si sia strutturata per far fronte alle esigenze alimentari ed energetiche di una popolazione mondiale in costante aumento e, soprattutto, come questa organizzazione non consenta inversioni di rotta, pena l’impossibilità di garantire cibo e energia ai miliardi di uomini e donne che abitano il pianeta.
L’agricoltura intensiva, gli allevamenti concentrazionari e l’acquacoltura sono altrettanti capitoli de “L’impero del cancro del pianeta” dove vengono analizzati origini, sviluppo e prospettive dei sistemi più efficaci per produrre cibo. A guardarli da vicino, questi sistemi non possono che suscitare orrore, ma in un altro capitolo del libro spiego come il pensare di sostituirli con la cosiddetta “agroecologia” sia pura utopia.
È una ulteriore riprova che la via imboccata non ha alternative e non può essere percorsa a ritroso. Anche se la crescita della massa tumorale che noi rappresentiamo per la biosfera un giorno dovesse arrestarsi per mancanza di risorse, ciò avverrebbe al limite di ciò che il Pianeta può offrire in termini di terra coltivabile e di animali macellabili, dopo aver distrutto tutte le cellule sane vegetali e animali esistenti.
Ciò significherebbe comunque il collasso della biosfera, la morte dell’ammalato di cancro.
Il discorso è ancora più drammatico se si pensa alla situazione di quello che ho chiamato il “cibo per le macchine”, ovvero l’energia necessaria a far funzionare i miliardi e miliardi di apparati, dispositivi, congegni e altre attrezzature artificiali realizzate dall’uomo nell’illusione di rendere più comoda la sua vita a tempo indeterminato.
Un apposito capitolo del libro è dedicato a tale realtà e alla disperata ricerca di quelle inesauribili fonti di energia pulita che dovrebbero risolvere ogni nostro problema, ma che appaiono ancora ben lontane dal poter sostituire i combustibili fossili.
A tal proposito il Cancrismo ritiene però che, anche se queste fonti di energia pulita e rinnovabile si rendessero disponibili e fossero in grado di soddisfare le esigenze di tutte le macchine del mondo, la salute della biosfera non ne trarrebbe beneficio.
L’uomo - cancro del pianeta ne approfitterebbe infatti per dilatare a dismisura i suoi consumi ai danni di ogni altra residua realtà sana della biosfera, e con questo suo comportamento non farebbe che affrettare i tempi del collasso.
Non si tratta di pessimismo né di visione cupa della vita. È solo oggettivo realismo che trova la sua spiegazione nella metafora che assimila l’essere umano a una cellula tumorale e l’intera umanità alla massa neoplastica che divora lentamente l’organismo dell’ammalato di cancro.
Pochi pensatori, e non tra i più famosi, hanno sin qui avuto il coraggio di esplicitare una teoria così radicale, e io, giunto al termine della mia “trilogia” su “Il cancro del pianeta”, ho avvertito il desiderio di curiosare in rete per vedere chi mi avesse preceduto nel denunciare il comportamento cancerogeno di Homo sapiens.
È nata così la corposa Appendice su “I precursori del cancrismo” posta in calce al volume. Si tratta del primo documento che riunisce personaggi provenienti da esperienze diverse ma uniti nella visione cancrista dell’essere umano.
Di ognuno ho analizzato i punti di contatto e quelli di divergenza rispetto alla teoria sviluppata nei miei tre saggi.
Ma un elemento su tutti accomuna gli autori presi in considerazione: nessuno di essi ha mai sistematizzato le proprie intuizioni in uno o più lavori storico - dottrinali di ampio respiro, tali cioè da configurare la nascita di una teoria o corrente filosofica sulla nocività dell’essere umano per la biosfera.
Con questo mio nuovo libro e con i due precedenti mi auguro di essere riuscito a colmare almeno in parte questa lacuna nella storia del pensiero, in attesa che altri riprendano questo tema per svilupparlo e diffonderlo in modo ancor più autorevole.

venerdì 29 maggio 2020

Le balene e io: la strana storia di un libro

"Il Mare Svuotato" di Ugo Bardi e Ilaria Perissi (con Ugo in mezzo alle balene). Si può già ordinare dall'editore. Disponibile dagli altri distributori a partire dal 4 Giugno. Qui vi racconto qualcosa dell'origine di questo libro che non parla solo di balene, ma parecchio di balene. Poi vi darò qualche ulteriore dettaglio di cosa contiene il libro in futuri post.


Tutta la storia comincia, credo, negli anni 1980, quando mi trovai al largo di San Francisco in una crociera di "Whale Watching". L'idea era di vedere le balene dal vero. Quel viaggio è stata la mia unica esperienza come baleniere e vi posso raccontare che non abbiamo visto neanche una balena -- solo qualche spruzzo in lontananza, e forse solo nell'immaginazione di chi ha detto di averlo visto. Per quanto riguarda me, per la maggior parte del viaggio sono stato a pregare che finisse presto e con quello finisse il mal di mare che mi ha fatto star male come non ero mai stato prima in vita mia. Le onde dell'Oceano Pacifico non perdonano i marinai dilettanti.

Eppure, vi devo anche dire che ho un certo feeling per le balene nonostante non ne abbia mai vista una viva e vegeta nel suo ambiente naturale. Non solo un feeling, proprio una cosa particolare, un interesse che non so da dove venga fuori, ma c'è. Altro che se c'è! Per le balene ci sento enormemente, tantissimo, una cosa che mi manda fuori di testa!

Forse sarà che uno dei primi libri che ho letto da piccolo è stato "Moby Dick", forse perché ho vissuto in California, dove le balene sono un vero culto. Ma credo di non essere il solo ad avere questo feeling particolare. Le balene sono creature aliene, ma veramente tanto aliene. Eppure, abbiamo un antenato comune che ha vissuto su questo pianeta forse 65 milioni di anni fa. Ed è questa la cosa affascinante. Noi siamo esseri umani, loro balene: siamo così diversi ma abbiamo qualcosa in comune.

Non so se questo spiega perché mi sono messo a scrivere questo libro insieme alla mia collaboratrice Ilaria (una terragna anche lei). Il libro non parla solo di balene, parla anche di tante altre cose, ma le balene ricompaiono qua e là praticamente in tutti i capitoli. Ma, come per tante cose, si trova una ragione anche dove forse non c'è. O forse si. Ma andiamo avanti.

Allora, le balene sono qualcosa di ricorrente nella mia vita, ogni tanto mi ritrovo a ragionarci sopra per un motivo o per un altro. E così, anni fa è successo che quando ho cominciato a occuparmi di petrolio mi sono messo a cercare un modello matematico che descrivesse il processo di estrazione. E, non so come, mi sono trovato a cercare dati sull'industria baleniera. Li ho trovati e mi sono sorpreso a scoprire che le curve di produzione dell'olio di balena avevano la stessa forma di quelle di produzione del petrolio. Si, la "curva a campana" detta la "curva di Hubbert" -- quella del famoso "Picco del Petrolio."

E così succedono le cose: impegnarsi in un nuovo campo di studio è un po' come innamorarsi. Prima una certa persona non la consideravi neanche, poi trovi che ha degli aspetti che ti incuriosiscono. Poi ti accorgi che è una persona interessante, poi che è anche bella, in effetti molto bella. E poi ti trovi completamente preso: non riesci a pensare a niente altro che a quella persona. Nel mio caso, erano le balene. Ci si può innamorare delle cose più cose strane, sapete? In effetti, si dice che l'amore e cieco (e le balene non è che ci vedano bene).

La storia prosegue con il primo modello che ho fatto della caccia alla balena che ho sperimentato un giorno che ero a letto con l'influenza. Non sapevo che fare e avevo tra le mani un computer portatile così vecchio e brutto che non so come è stato comunque in grado di far girare un algoritmo di fitting fatto alla buona. E, miracolo, dimostrando che il modello funzionava. Da lì, sono nati altri modelli e, si, anche quello dell' Effetto Seneca di cui parlo spesso.

Poi c'è stato il mio allievo e poi collaboratore Alessandro Lavacchi, molto più bravo di me a maneggiare numeri ed equazioni che mi ha aiutato a fare un modello migliore. E poi Ilaria Perissi, anche lei mia allieva e poi collaboratrice, anche lei molto più brava di me in tante cose, che ha applicato il modello a casi diversi di pesca oltre a quello delle balene, trovando che funzionava quasi sempre. A furia di lavorarci sopra, abbiamo trovato che gli esseri umani stanno veramente svuotando il mare. Proprio così, distruggendo ogni forma di vita che nuota, e va sempre peggio. E non solo quello, abbiamo scoperto tantissime cose che hanno a che vedere non solo con il mare, ma con come stiamo distruggendo mezzo pianeta, anzi, piano piano, proprio tutto.

E alla fine ci siamo detti, io e Ilaria, "Beh, se abbiamo trovato tutte queste cose interessanti, perché non ci scriviamo un libro sopra? Una cosa semplice, magari che piaccia ai bambini, senza perderci troppo tempo. Abbiamo troppe altre cose da fare." Ma scrivere un libro è come avere un figlio, è un impegno che non è mai leggero, e non ti puoi mai aspettare di non perderci troppo tempo. E così è stato. L'abbiamo scritto, è stato un gran lavoro, ma ora c'è -- come un bambino che è nato (fra le altre cose, è il primo libro di Ilaria).


Quindi, ci siamo trovati con questo manoscritto in mano, un po' titubanti. Il curioso di questa faccenda è che né io né Ilaria siamo esperti di pesca o di cose marine. Siamo tutti e due terragni fiorentini e Firenze non è che sia nota come una città di mare. Anzi, si diceva una volta che c'erano tanti fiorentini che non avevano mai visto il mare. E, chissà, forse c'è ancora qualche vecchio fiorentino che davvero non il mare non l'ha mai visto. E allora, come fanno due fiorentini a scrivere un libro sul mare?

A quel punto mi è venuto in mente di sentire quello che è probabilmente il più grande esperto mondiale di pesca, Daniel Pauly, che sta in Canada e che mi era capitato di incontrare una volta in Svizzera. Sempre un po' titubanti, gli abbiamo chiesto, "ma tu che ne penseresti di un libro così e così?" Lui ci ha risposto, "mandatemelo. Io non parlo italiano, ma sono di madrelingua francese, forse una scorsa glie la posso dare."

Il bello della vicenda è che il libro gli è piaciuto talmente tanto che si messo a decifrarlo parola per parola anche senza sapre bene l'Italiano e poi si è offerto di scrivere l'introduzione. E nell'introduzione ha scritto qualcosa tipo, "guardate, questi due tali, Bardi e Perissi, non sono esperti di pesca, ma proprio per questo gli esperti di pesca dovrebbero leggere il loro libro per imparare certe cose che non sanno. Come ne ho imparate io!"

Beh, nella vita ci sono delle soddisfazioni e questa è stata piuttosto notevole, ma non la sola. Alla fine, è venuta fuori anche una versione in inglese del libro che sarà stampata da Springer e che diventerà anche un "Rapporto al Club di Roma" della stessa serie che ha come capostipite il famoso, famosissimo, "I Limiti dello Sviluppo" del 1972. Uscirà prima dell'estate. Anche questa è stata una bella soddisfazione!

E così questa è la storia del libro. Piano, piano, vi racconterò altre cose in proposito su questo blog, nel frattempo stiamo già pensando al prossimo, anche se non abbiamo ancora deciso quale sarà il soggetto. La vita è tutta una scoperta e continui sempre a innamorarti di cose nuove. Così, vi lascio con una foto di io e Ilaria davanti alla statua in grandezza naturale del capodoglio Giovanni che è stato per un po' di tempo nel "Giardino dei Semplici" a Firenze. Il vantaggio della statua è che per vederla da vicino non c'è bisogno di farsi venire il mal di mare!





mercoledì 27 maggio 2020

Foreste: ancora una risposta al ministero


Lo sfruttamento delle foreste da parte di Zio Paperone in una classica storia di Carl Barks. (immagine cortesia di Elena Corna)



Qui di seguito, le osservazioni che Jacopo Simonetta a inviato al MIPAAF (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) riguardo alla "predisposione della Strategia Forestale Nazionale". Se avete voglia di scrivere anche voi qualcosa, potete farlo a questo link. Non costa niente ed è una piccola soddisfazione che ci possiamo prendere. Attenzione che la data di scadenza per presentare osservazioni è il 28 Maggio!


OSSERVAZIONI AL DOCUMENTO DI STRATEGIA FORESTALE NAZIONALE.

di Jacopo Simonetta


1 - Osservazioni di carattere generale. 

Il documento di Strategia Forestale pubblicato presenta aspetti interessanti, ma anche difetti di forma e di contenuti.

Per quanto attiene alla forma, si osserva che i documenti pubblicati non sono di facile lettura perché non offrono una visione generale per contestualizzare le azioni previste. Il susseguirsi di elenchi, schemi e sigle, schede tutte uguali disorienta e distrae.

Nei contenuti si osserva che, nonostante siano citati grandi temi come la Biodiversità ed i Servizi Ecosistemici, ciò che emerge come priorità assoluta è l’incremento delle attività commerciali legate al legno, lasciando sullo sfondo la tutela del capitale naturale e degli ecosistemi. Ci si concentra infatti sulle filiere economicamente più promettenti nell’immediato, tralasciando invece quelle filiere che offrono benessere ambientale e sociale, mentre il “valore” degli alberi viene confuso con il “prezzo” del legname.

Si pianifica di soddisfare la domanda crescente di legname, senza porsi il problema della sostenibilità di questa, se non con l’enunciazione di principi validissimi, ma che non trovano poi applicazione in molte delle azioni previste. Sono forniti numeri che indicano quantità senza alcun giudizio di qualità, come il 27 % dei boschi delle aree protette, senza considerare le condizioni di tali foreste, fra l’altro in parte già attualmente sfruttate ben oltre i limiti di sostenibilità.

Il tema del Cambiamento Climatico con le controindicazioni che comporta (siccità e ondate di calore, danni fisiologici a molte specie ed ecosistemi forestali, defoliazione precoce e riduzione dei tassi di crescita, aumento della respirazione e riduzione della fotosintesi in estate, maggiore vulnerabilità ai parassiti e diffusione di patogeni anche esotici, maggiore ossidazione dei suoli, perdita di biodiversità, maggiore frequenza e violenza degli incendi) viene citato come uno dei fattori, anziché costituire l’asse portante della strategia, come invece dovrebbe essere. Termini tipici del gergo commerciale come “competitività”, “sviluppo sostenibile” ed “efficienza” sono parole chiave, mentre scarseggiano termini come “limite” e “sufficienza” che, come sappiamo fin dai tempi di Jevons, è necessario accompagni l’”efficienza” affinché questa sia funzionale a ridurre consumi ed impatti, anziché ad aumentarli come accadrà sicuramente con l’applicazione di questa strategia.

Si chiede quindi che l’impostazione venga rovesciata, dando la priorità al ruolo ecologico e climatico delle foreste, mentre la produzione di legname dovrebbe essere considerato un sotto-prodotto da valorizzare commercialmente nella misura in cui ciò non lede le funzioni prioritarie del bosco.


2 - Osservazioni specifiche.

2-1 – Obbiettivi.

La relazione dichiara di perseguire i medesimi obiettivi indicati dall’UE:

A. Gestione forestale sostenibile e ruolo multifunzionale delle foreste, per offrire molteplici prodotti e servizi in maniera equilibrata e garantire la protezione delle foreste;

B. Efficienza nell’impiego delle risorse, con l’ottimizzazione del contributo delle foreste e del settore forestale allo sviluppo rurale, alla crescita e alla creazione di posti di lavoro;

C. Responsabilità globale delle foreste, con la promozione della produzione e del consumo sostenibile dei prodotti forestali.


Si osserva che già nella pratica attuale l’obbiettivo B è spesso in conflitto con gli obbiettivi A e C; per armonizzarli si dovrebbero elaborare dei sistemi di supporto alle decisioni di cui non si fa cenno nel documento.

Inoltre si pone in evidenza che sembra irrealistico poter soddisfare una domanda prevista in crescita esponenziale (da 3 miliardi di metri cubi annui nel 2020 a 8,5 miliardi nel 2030 e 13 miliardi nel 2050) in un contesto climatico in rapidissimo peggioramento, che già oggi pone le foreste italiane sotto forte stress. Previsioni di crescita di tale importanza dovrebbero essere giustificate anche sul piano economico, tenuto conto tanto delle crescenti difficoltà sia a livello locale che globale, quanto della complessa situazione energetica mondiale.

Riteniamo che gli obbiettivi principali della strategia forestale dovrebbero essere la conservazione ed il miglioramento delle foreste (aumento della biodiversità, aumento dell’età media e massima delle piante, tutela dei suoli e della vita biologica che contengono, protezione contro l’erosione, lotta anti-incendio, ecc.). Queste sono infatti uno dei principali ed di gran lunga il più economico fra gli strumenti che abbiamo a disposizione per contrastare la crisi climatica e l’estinzione di massa.

Chiediamo dunque che tra gli Obiettivi della Strategia Forestale Nazionale non vengano considerati la “valorizzazione” e l’ “impiego innovativo” delle biomasse per la produzione di energia, fatta eccezioni per casi particolarissimi e di nicchia come, ad esempio, l’autonomia energetica di piccole frazioni montane (anche in questo caso sub-condicione, viste le numerose esperienze negative in proposito). Altrettanto dicasi per le bioplastiche, i biocarburanti, i biomedicinali ed altri prodotti “innovativi” la cui validità sotto il profilo energetico è spesso molto discutibile, mentre concorrono ad aumentare la pressione antropica sulle zone boschive sia a livello locale che globale. Non si chiede di bandirli, ma di gestirne la produzione con le dovute regolamentazioni e prudenza.

Inoltre si chiede di sostituire l’elaborazione di “piani di sviluppo” con quella di “piani di resilienza”, con l’obbiettivo di organizzare una gestione delle risorse in linea con la riduzione dell’impronta ecologica nazionale ed un uso sostenibile (in senso proprio) delle risorse. Si ricorda che lo stato spesso scadente in cui si trova la grande maggioranza delle foreste italiane dipende proprio dalla “gestione attiva” che ne è stata fatta in passato.

Quanto al riconoscere e remunerare i servizi di interesse pubblico, si ritiene che la conservazione delle funzioni sociali, ecologiche, idrogeologiche ecc. del bosco debba essere la base per il rilascio dei permessi e non debba quindi essere remunerato. Incentivi possono invece essere previsti per operazioni di vero restauro ambientale che, necessariamente, non possono essere economicamente remunerativi.

A tale scopo si chiede che la contabilità delle esternalità venga inserita quale supporto alle scelte di Piani, Programmi, Interventi grandi e piccoli.



2-2 – Analisi SWOT.

Si rilevano le seguenti incongruità:

Fra i Punti di Forza sono annoverati:

· L’elevata presenza di aree forestali protette. Corretto, ma a condizione di verificare le effettive condizioni ecologiche di questi boschi che, nella realtà, sono assai spesso già sotto forte stress per diverse combinazioni di fattori fra cui, spesso, tagli boschivi eccessivi e/o mal fatti.

· Incremento annuale della provvigione molto superiore ai tassi di utilizzo. Da quello che si desume dal documento, questa valutazione riposa su stime ricavate da medie storiche e non tiene conto né delle conseguenze del brusco peggioramento climatico avvenuto nel corso specialmente degli ultimi 10 anni, né del ben più grave peggioramento che avverrà nel corso dei prossimi 30 anni, né dell’accresciuta pressione speculativa sugli ecosistemi forestali.

· La consolidata tradizione di gestione forestale su basi naturalistiche e la diffusa consapevolezza circa la necessità di gestire il territorio agro-silvo-pastorale in modo sostenibile, con un approccio multidisciplinare. Tutti fattori di cui si parla molto negli atenei, ma che al momento non trovano applicazione alcuna. Semmai, sul terreno, si nota la tendenza opposta.


Fra le Debolezze si ne elencano alcuni fattori che non è detto che lo siano:

· Scarsa gestione del territorio e del patrimonio forestale, anche per abbandono delle attività agro-silvo-pastorali in collina e in montagna, con conseguente allungamento dei turni di gestione. In molti casi, l’allungamento dei turni di gestione non è una debolezza, semmai il contrario; tanto da essere uno dei principali moventi dell’attuale interesse commerciale per i boschi. In altri casi si sono effettivamente create situazioni difficili che però richiedono numerosi interventi molto graduali perché diradamenti improvvisi provocano generalmente il collasso degli ecosistemi, forte erosione e mineralizzazione dei suoli, ecc.

· Insufficiente rete viaria e difficoltà di accesso alla proprietà. Questa è una debolezza solo dal punto di vista commerciale, mentre dal punto di vista dell’ecologia forestale è un punto di forza, dal momento che la viabilità rappresenta uno dei principali fattori di pericolo da molti punti di vista (erosione ed instabilità dei versanti, penetrazione di persone non autorizzate, rischio di incendio, tagli abusivi, ecc.).


Fra le Opportunità si annoverano voci che, nella realtà, spesso costituiscano delle minacce:

· Elevata richiesta di materia prima legnosa per l’industria del legno e della carta. Rappresenta un’opportunità sul piano commerciale, ma è anche una delle principali minacce per la stessa esistenza dei boschi.

· Ottima diffusione delle certificazioni di tracciabilità dei prodotti forestali (Italia: 2° Paese al mondo per numero di certificati). In teoria si, ma l’esperienza sul terreno dimostra che non sempre la tracciabilità è sinonimo di buona gestione forestale.

· Possibilità di miglioramento delle prestazioni energetiche degli impianti termici familiari e di consolidamento di una filiera foresta-legno-energia correttamente dimensionata alle reali capacità di approvvigionamento locale. Una legge economica che risale a Jevons e che non conosce eccezioni di rilievo è che l’aumento di efficienza riduce i consumi unitari, ma aumenta i consumi totali. La cosa costituisce dunque una minaccia, a meno che non si prevedano dei sistemi efficaci per calmierare l’offerta e/o razionare la domanda. Cose che il documento non prevede, semmai il contrario.

· Possibilità di ammodernamento delle dotazioni strutturali ed infrastrutturali nelle utilizzazioni forestali. In genere si traducono in cantieri e macchine operatrici di grandi dimensioni che impattano moltissimo sui suoli.

· Possibilità per sviluppare forme associative e consortili di gestione delle proprietà attraverso l’accorpamento di aree forestali per una gestione unitaria e lungimirante di ampie superfici. Anche questo punto è teoricamente un’opportunità, ma nella pratica attuale i consorzi forestali hanno l’unico scopo di “fare cassa” sfruttando la biomassa accumulata in passato. Inoltre, il nuovo Testo Unico Forestale introduce norme che potrebbero portare allo sfruttamento coatto dei boschi privati, con conseguenze potenzialmente deleterie sia sul piano ecologico-forestale, sia su quello della legalità e dell’ordine pubblico.


Fra le Minacce si annoverano :

· Spopolamento delle aree montane e rurali. Questo è stato esattamente il fattore che ha permesso il raddoppio della superficie boschiva del paese, cioè la creazione di quella risorsa che ora si vuole sfruttare. Annoverarla fra la Minacce appare assolutamente anacronistico.

· Progressiva riduzione di aree aperte con conseguente riduzione di biodiversità floristica e faunistica e di habitat di interesse europeo. Questo è vero in determinati contesti e non in altri. Per non sembrare un mero pretesto, questo punto dovrebbe essere ben circostanziato.



2-3 - Azioni


Si richiede di promuovere in particolar modo le azioni di seguito elencate:

· tutelare la Biodiversità degli ecosistemi forestali e i servizi socio-culturali che offrono (sotto azioni A41, A42, A43).

· Contrastare la produzione e il commercio di legno ed altri prodotti forestali d’origine illegale.

· Favorire la diffusione di Consumi e acquisti responsabili, tenendo presente che il legno è un materiale ecologico con dei limiti nella sua rinnovabilità che nel documento non vengono invece affrontati.

· diffondere la conoscenza con azioni di formazione (sotto-azione B2), informazione e sensibilizzazione pubblica, in sinergia con le azioni mirate a prevenire gli incendi. Evitare invece di investire per la promozione di informazioni surreali sul ruolo svolto dalla selvicoltura nel mantenimento della stabilità delle foreste, quando la gestione forestale mira esattamente a mantenere la vegetazione in stato di disequilibrio per aumentarne la produttività.

· Sostenere la ricerca, la sperimentazione e il trasferimento della conoscenza non limitandola al trasferimento dell’innovazione tecnologica e soprattutto rinunciando alla, “produttività scientifica”. Specialmente in materia di alberi e boschi si applica l’adagio che dice “presto e bene non vanno mai insieme”

· Ridurre i danni di eventi estremi basandosi più sulla prevenzione che non sulla gestione dell’emergenza e della post emergenza, sviluppando meglio le sinergie tra le differenti azioni. Una cosa di cui il documento effettivamente parla, ma solo in modo marginale, mentre pone l’enfasi sull’incremento dello sfruttamento commerciale del patrimonio arboreo e sulla gestione emergenziale che richiede sempre consistenti investimenti. Si potrebbe avere perfino l’impressione che la gestione di fondi pubblici possa essere più interessante della razionale gestione delle foreste.

· Promuovere la prevenzione degli incendi modificando quanto riportato sulla pianificazione forestale di indirizzo territoriale e nei “Piani di gestione forestale” di cui all’Art.6 c.6, D.lgs..n. 34/2017 (sotto azione A.5.2.b ed e). Si tiene a sottolineare che gli incendi si contrastano soprattutto attraverso una responsabilizzazione dei cittadini e il loro coinvolgimento attivo nelle segnalazioni, tramite campagne di formazione e informazione (sotto azione A.5.2.d) ed incremento delle pene previste, così come della vigilanza. Altrettanto importante risulta l’adozione di misure che vietano pratiche agropastorali basate sulla bruciatura di potature e stoppie. Così come fondamentale è il potenziamento del servizio antincendio cui non si fa cenno nel documento.

· Tutelare Il patrimonio genetico forestale con l’individuazione, caratterizzazione e conservazione di popolamenti e singole piante importanti e la conservazione degli alberi monumentali, così come dei boschi vetusti. Le regole di gestione devono proteggere assolutamente sia la biodiversità che le piante di età maggiore rispetto al loro contesto, così come delle piante giovani destinate a sostituire quelle anziane, man mano che moriranno. Dovrebbero essere vietate tutte le operazioni di taglio invasive e distruttive, elaborando una normativa che garantisca una maggiore tutela rispetto la legge 10 del 2013

· Promuovere nuove tecniche silvicolturali basate sulla tutela del “Wood Wide Web”.

· Mirare alla cura degli alberi, e alla diffusione dei filari alberati e delle foreste urbane e periurbane con misure più incisive di quelle previste.

· Favorire lo Stato di conservazione degli ecosistemi insieme alla stesura della Lista Rossa degli ecosistemi provvedendo ad azioni più articolate per fermarne la distruzione

· Prevedere nella Azione Specifica 7 misure specifiche di tutela per Boschi ripariali e planiziali esistenti, oltre che al loro incremento.

· Restaurare situazioni di degrado (sotto-azione A.5.1) e prevenirne la cause (sotto-azione A.5.2), evitando di ricorrere a interventi invasivi come quelli prospettati al punto A.5.2.

· La conservazione/incremento dei Servizi Ecosistemici dovrebbe costituire la “contitio sine qua non” per la concessione dei permessi di taglio, anziché essere incentivata tramite varie forme di defiscalizzazione, come previsto nel documento (v. Sotto-Azione A.2.1).

· Tutelare e ampliare le aree protette come “stock” di Biodiversità, seguendo le nuove direttive ed indirizzi europei.

· Dare importanza e diffusione alle azioni di monitoraggio per verificare la giustezza delle scelte attuate.

· Sviluppare funzioni di difesa del territorio e di tutela delle acque, sviluppando le sotto azioni A31 e A32

· Mitigare i Cambiamenti Climatici come indicato nelle sotto azioni A61 e A62 in particolare:
“Riconoscendo e incentivando l’adozione di pratiche selvicolturali volte a migliorare le capacità di resistenza e resilienza dei popolamenti forestali ai cambiamenti climatici” (disetaneizzazione dei popolamenti, diversificazione della composizione e della struttura, migrazione assistita, ecc.), “Promuovendo l’aumento della diversità forestale al fine di favorire dinamiche naturali in linea con il cambiamento climatico”.
Viceversa, è sicuramente pericoloso che “le molteplici funzioni svolte dal settore forestale siano legate ad una garanzia di redditività della gestione e delle filiere connesse”. Semplicemente, se tagliare in maniera ecologicamente corretta non risulta remunerativo in assenza di incentivi, non si dovrebbe procedere al taglio. La pratica di incentivare pratiche anti-economiche a carico del contribuente non ha senso. Fanno eccezione gli interventi di restauro ambientale da realizzare seguendo progetti specifici che non prevedono la vendita di legname. Questi devono essere necessariamente essere finanziati.

· Curare gli Imboschimenti e i rimboschimenti artificiali realizzati in Italia nel secolo scorso, evitando il ricorso al taglio a raso, per non esporre il sottobosco e il suolo alle alte temperature e ai livelli elevati d’insolazione che, insieme ai periodi prolungati di siccità, si registrano sempre più di frequente in tutta Italia

· Incrementare “la superficie forestale su superfici agricole abbandonate o nude, prioritariamente in aree di pianura, periurbane e degradate, preservando nei territori collinari e montani la diversificazione delle forme d’uso del suolo e valorizzando le specie autoctone di provenienza certificata dando rilievo alle sotto azioni A.” Concordiamo in pieno, salvo il riferimento a “valorizzare” che solitamente significa aprire a pratiche di tipo speculativo sempre molto impattanti sul territorio. Semplicemente, riteniamo che si dovrebbero applicare le sotto azioni A7 (soprattutto per quanto riguarda l’A.7.3.b).

· Proteggere le formazioni forestali artificiali storiche, di elevato valore conservazionistico, sociale, paesaggistico e culturale.

· Sviluppare mercati dei prodotti legnosi dagli scarti di produzione dell’industria del legno, ricercando e promuovendo standard qualitativi elevati per quanto riguarda gli impatti ambientali, ponendosi l’obiettivo non di rincorrere la domanda ma di perseguire la rinnovabilità delle risorse. Modificando in tal denso la Sotto-Azione B.3.1.

· Escludere dalle azioni operative la filiera dell’energia, soprattutto se industriale perché, fatta eccezione di casi particolari, questa filiera ha un bilancio energetico nettamente negativo, con costi esterni elevati in termini di inquinamento atmosferico che minano la salute dei cittadini e li rendono più vulnerabili alle pandemie (Covid 19 insegna). Assolutamente falso è quanto riportato nella nota 4: al contrario, esiste una letteratura scientifica che certifica che l’utilizzo delle biomasse legnose a fini energetici riduce la quantità di carbonio accumulato nella biomassa e nel suolo. Inoltre, generalmente aumenta lo stress climatico sugli ecosistemi, riducendone l’attività fotosintetica, mentre la combustione di pellet è una delle principali fonti di polveri sottili negli ambienti urbani. Sul piano meramente energetico, il legno è ancora meno efficiente del Carbone e gli alberi sono una risorsa rinnovabile, ma limitata ed esauribile. Sensibili riduzioni degli stock possono essere recuperati solo in tempi lunghi, non prevedibili vista la situazione climatica attuale e futura.
La filiera energetica del legno ha senso solo in un’ottica di autoconsumo per le frazioni montane, ma se sviluppata a livello industriale è causa di degrado socioeconomico e non merita alcun tipo di finanziamento. Non ultimo, è in netto contrasto con la sotto-azione B.5.2.b (promozione del “marchio comunitario “zero deforestation” - vd. Conclusioni del Consiglio del dicembre 2019 sulla comunicazione "Intensificare l'azione dell'UE per proteggere e ripristinare le foreste del pianeta")”.

· Educare al concetto di limite, riconoscendo il legno come risorsa rinnovabile, ma limitata. Di conseguenza apprezziamo la sotto-azione B.6.3a sulla promozione della cultura del riciclo e del reimpiego. Meno sostenibile è promuovere l’acquisto di prodotti a base di legno vergine (edilizia, mobili, carta, packaging, ecc.), così come sono da evitare agevolazioni ed incentivi economici e fiscali per l’acquisto dei prodotti legnosi o a base di legno di origine nazionale (sotto-azione B.6.2.a)

· Elaborare nella Gestione della Strategia Forestale norme efficaci che non hanno bisogno di essere semplificate.

· Mirare ad applicare nella pioppicoltura tecniche agricole a basso impatto ambientale nella prima fase d’impianto, specie per quanto riguarda l’uso di prodotti fito-sanutari.


martedì 26 maggio 2020

Foreste: una risposta al ministero




Questo video, prodotto da Walt Disney nel 1958, mostra il mitico boscaiolo americano Paul Bunyan, sconfitto dalla sega a vapore in un orgia di distruzione della foresta -- ovviamente i veri sconfitti sono gli alberi, ma a quel tempo a queste cose non si faceva caso.

Qui di seguito, la lettera che io e Ilaria Perissi stiamo sottomettendo al MIPAAF (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) per invitare a una maggiore cautela nel considerare le foreste soltanto come un "servizio ecosistemico" da sviluppare al massimo possibile. Mi veniva in mente di scrivere alla fine, "e in ogni caso i boschi non sono una risorsa economica ma un dono della Dea" -- ma forse è meglio che non lo faccia. 

Non che ci daranno retta, è solo per farsi sentire. Se avete voglia di scrivere anche voi qualcosa, potete farlo a questo link. Non costa niente ed è una piccola soddisfazione che ci possiamo prendere. Fra i protestatori, anche il nostro Jacopo Simonetta (vi passerò le sue osservazioni nel prossimo post). Attenzione che la data di scadenza per presentare osservazioni è il 28 Maggio!

________________________________________________________
Al Mipaaf
Oggetto: strategia forestale nazionale
 

Gentile ministro,
Ci permettiamo con queste osservazioni di far notare alcuni difetti di fondo insiti nella struttura del documento sulla Strategia Forestale Nazionale: quello di considerare la biomassa legnosa come una significativa fonte di energia rinnovabile e di altri usi sostitutivi del petrolio e degli idrocarburi fossili in generale
Questo appare chiaro fin dall’inizio del documento, dove si dice per esempio che si prevede (p. 6):
un aumento, a partire dai Paesi a più alto tasso di sviluppo, dei consumi energetici per produzioni termiche, ma anche di energia elettrica e di bio-fuel per il settore dei trasporti”
E, come si legge nella stessa pagina, si prevede
. un aumento correlato ai consumi di biomasse legnose conseguente alle politiche di de-carbonizzazione e quindi all’affermazione di nuovi impieghi di materie prime rinnovabili nella bio-economia: bio-plastiche, bio-tessili, bio-medicinali, prodotti ingegnerizzati per l’edilizia e tutti gli altri nuovi materiali in grado di sostituire prodotti ricavati da fonti non rinnovabili. “
Questa visione rappresenta un errore fondamentale nel contesto della transizione energetica che il nostro paese sta affrontando, come pure gli altri paesi definiti come ad “Alto tasso di Sviluppo” nel documento. Un errore sottolineato dalla terminologia usata, con l’uso di concetti quali “servizi ecosistemi” – non credo che ci sia bisogno di sottolineare che il concetto che l’ecosistema è “al servizio” dell’umanità è basato su una visione ottocentesca dell’economia e che oggi è, quantomeno, fuori luogo.
Andando nel dettaglio, va detto che è ancora diffusa l’idea che la biomassa legnosa sia sfruttabile come fonte di energia rinnovabile e sostenibile, un valido strumento per mitigare il problema del riscaldamento globale. Ma anche questa si sta rivelando una visione obsoleta. La ricerca più recente (vedi i riferimenti bibliografici) ha evidenziato i limiti di questa idea.
Se è vero che, in teoria, il biossido di carbonio immesso nell’atmosfera dalla combustione delle biomasse verrà prima o poi riassorbito dall’ecosistema, il processo è dinamico e ha un suo ciclo la cui lunghezza decennale incompatibile con gli obbiettivi di decarbonizzazione stabiliti dal trattato di Parigi del 2015.
In aggiunta, i risultati dell’analisi di processo mediante LCA (life cycle analysis) indicano come l’energia da biomassa sia un processo sempre poco efficiente, che alle volte richiede un consumo di energia fossile paragonabile o anche superiore a quello che produce. Ovvero, il parametro noto come EROEI (energy return of energy invested) è spesso vicino a 1 o anche inferiore.
Questo basso ritorno energetico è particolarmente vero per i biocombustibili, i quali sono in ogni caso una tecnologia perdente per via della loro bassa efficienza di produzione (per non parlare del loro uso in motori termici a bassa efficienza anche loro).
In sostanza, bisogna dire con chiarezza che la biomassa NON è una forma di energia rinnovabile e, in particolare, NON è una forma di energia adatta al nostro paese, se non per applicazioni locali e marginali. Sappiamo tutti molto bene che l’Italia non è non un paese che possiede ampie risorse sfruttabili di biomassa. Stabilire una strategia nazionale basata sull’idea di una crescita dello sfruttamento delle foreste rischia di sprecare preziose risorse economiche e danneggiare seriamente l’ecosistema boschivo anche di più di quanto non è danneggiato attualmente e in modi che non sarebbero rimediabili se non in tempi molto lunghi.
L’Italia, come tutti sappiamo, è il paese del sole ed è dal sole che deve trovare l’energia di cui ha bisogno per il futuro usando tecnologie moderne e ad alta efficienza come per esempio, ma non solo, l’energia fotovoltaica.
Dr. Ilaria Perissi
Consorzio Interuniversitario Nazionale per la Scienza e la Tecnologia dei Materiali (INSTM)

Prof. Ugo Bardi,
Dipartimento di Chimica, Università di Firenze



Bibliografia


CO2 emissions from biomass combustion for bioenergy: atmospheric decay and contribution to global warming. F. Cherubini, G.P. Peters, T. Berntsen, A. H. Stromman E. Hertwich
GCB Bioenergy, Volume 3, Issue 5, 2011

Does replacing coal with wood lower CO2 emissions? Dynamic lifecycle analysis of wood bioenergy
John D Sterman, Lori Siegel, and Juliette N Rooney-Varga3
Environmental Research Letters, Volume 13, Number 1

The Biofuel Delusion: The Fallacy of Large Scale Agro-Biofuels Production
Authors Mario Giampietro, Kozo Mayumi, Earthscan, 2009