domenica 24 maggio 2020

Sul piacere di rileggersi: è soltanto narcisismo?


Un post di Bruno Sebastiani


Ho appena terminato di correggere le bozze del mio prossimo libro (al quale dedicherò un articolo a tempo debito) e tale attività ha indotto in me una riflessione che può condurre a interessanti approfondimenti di tipo “neuro-pseudo-scientifico”.

Ho provato -lo confesso- un intimo piacere nel rileggere le pagine da me scritte e con esse ho sperimentato una sincera consonanza.

Bella forza, voi direte! Ci mancherebbe che l’autore non sia d’accordo con le sue tesi!

Ma credo che la questione meriti un’analisi di maggior spessore: essere l’autore preferito di se stessi è semplice manifestazione di narcisismo o sottintende questioni neurologiche più complesse?

Avevo già sperimentato il fenomeno. Ogni volta che prendo in mano un mio libro o un mio articolo, lo leggo e rileggo approvando mentalmente ogni singolo passaggio, e la lettura scorre veloce senza incepparsi come spesso capita con gli scritti altrui.

Certo, quando leggo Dostoevskij o Manzoni vengo rapito dal loro modo di scrivere e riconosco che non sarò mai in grado di raggiungere la loro perfezione stilistica né il loro livello di approfondimento psicologico dei personaggi.

Eppure essi il più delle volte scandagliano abissi al di fuori dei miei interessi primari.

È importante, fondamentale la lettura di altri autori, perché aiuta a mostrarci sfaccettature della realtà da noi poco o per nulla percepite.

Ma poi i nostri pensieri, pur arricchiti da questi apporti, tornano a ruotare intorno ai “perni” propri della nostra visione del mondo.

Cosa si nasconde dietro a questo meccanismo neurologico?

Io credo che nel cervello super-evoluto di ognuno di noi i neuroni e le sinapsi si dispongano e si colleghino in modo tale da rendere più probabile l’insorgere di un determinato tipo di ragionamento anziché di un altro. È una questione “meccanica”, seppur di altissima precisione.

Non chiedetemi quali neuroni, quali sinapsi e quali collegamenti siano responsabili di tutto ciò. Non so rispondervi io, ma temo che non saprebbe rispondervi neppure il più illustre dei neuroscienziati.

Però mi pare indubitabile che dietro ad ogni tipo di ragionamento vi sia un “set” di dispositivi fisici scatenanti. Le idee non nascono dal nulla e l’estrema complessità della nostra materia grigia non deve costituire alibi per “smaterializzare” gli apparati che producono i pensieri.

Le nozioni di hardware e software ci vengono incontro per illustrarci, pur in modo assai approssimativo, quale sia il meccanismo alla base di ogni ragionamento.

E l’hardware di ciascun essere umano è affine a quello di tutti i suoi simili, ma non identico, esattamente come ognuno ha un naso, due occhi, due orecchie, ecc., ma con differenze più o meno marcate.

Le differenze a livello di architettura neuronale si trasformano in differenze di vedute, sensazioni, opinioni.

Che sia così è senz’altro un bene. Pensate alla tristezza di una totale uniformità di vedute abbinata alla completa prevedibilità di ogni comportamento umano.

Ma l’abnorme sviluppo del nostro cervello ha comportato anche l’insorgere di una ulteriore caratteristica nella nostra specie, e cioè la possibilità di modificare l’architettura neuro-sinaptica in base a input di natura culturale. È un po’ come se il software potesse modificare l’hardware di un computer (a chi volesse approfondire questo argomento consiglio la lettura di questo articolo).

Dunque all’interno della nostra scatola cranica non sempre i nostri ragionamenti ruotano attorno ai medesimi perni.

Dal che ne discende un importante corollario alle affermazioni poste in apertura di questo articolo: capita ad alcuni (non a tutti) di prendere in mano propri libri o articoli scritti in anni passati e di non trovarsi più in consonanza con i medesimi. Cosa è accaduto? Non siamo più noi stessi? Perché abbiamo sostenuto certe teorie e ora non le riconosciamo più come nostre?

Semplicemente abbiamo appreso strada facendo nel corso della vita nuove nozioni, siamo entrati in contatto con nuove teorie che hanno modificato il nostro modo di pensare. Probabilmente i neuroni sono gli stessi (o si rinnovano?), ma i collegamenti tra le sinapsi si sono modificati. Il nostro modo di pensare ruota attorno a nuovi perni e ci ha fatto perdere la sintonia con i nostri lavori più o meno giovanili.

Così accadde a Nietzsche nei confronti de “La nascita della tragedia” e della sua infatuazione giovanile per il wagnerismo, così accadde a Lorenz che rinnegò in gran parte “Gli otto peccati capitali della nostra civiltà”, così pare sia accaduto a Lovelock, che all’età di 97 anni avrebbe rinnegato il suo pessimismo di oltre trent’anni prima nei confronti del destino di Gaia (a dimostrazione di come le modifiche “culturali” non conoscano limiti di età).

Dunque noi amiamo il nostro modo di ragionare e siamo in completa sintonia con noi stessi, ma le forme del pensiero non sono fisse.

Le nostre argomentazioni sono in grado di influenzare il modo di pensare altrui, che a sua volta può indurre modifiche nel nostro.

Ognuno sostiene con vigore le proprie affermazioni, ritenendole in assoluto le migliori. Ma vi sono visioni del mondo più coerenti di altre e alla lunga queste tendono a diffondersi, in special modo se avvenimenti del mondo della natura spingono in tal senso.

Oltre che dal pensiero altrui, infatti, il nostro modo di ragionare può essere prepotentemente condizionato da ciò che accade nel mondo reale.

Quest’ultima osservazione rafforza in me il convincimento che la mia teoria, il Cancrismo (ma anche ogni altra visione radicale sulla nocività umana), potrà purtroppo trovare ampia diffusione solo in concomitanza con l’esaurirsi delle risorse e con l’insorgere di gravi crisi economico – sociali – ambientali.

Siete in sintonia con questo modo di pensare? O le vostre connessioni inter-sinaptiche fanno ruotare i vostri pensieri attorno ad altri perni?

giovedì 21 maggio 2020

La Nuova Strategia Forestale Nazionale: Cosa vogliamo fare delle foreste italiane?



 Paul Bunyan è una figura leggendaria del folklore nordamericano. In questo filmato di Walt Disney del 1957, lo vediamo glorificato nella sua forma più classica: un uomo gigantesco e gioviale, in grado di abbattere un albero (anche più d'uno) con un singolo colpo d'ascia. E che non si chiede perché. Possiamo prenderlo come una metafora di un atteggiamento nei riguardi delle nostre foreste che poteva ancora andar bene negli anni 1950 (forse) ma che oggi non dovrebbe più aver spazio nella nostra visione del mondo. Purtroppo, sembra che sia ancora popolare in Italia.


Qui di seguito trovate un testo di Fiorenza Adriano e dei Liberi Pensatori a difesa della natura riguardo alla recente "predisposione della Strategia Forestale Nazionale" da parte del ministero delle politiche agricole. E' un documento che ha anche qualche cosa buona, ma più che altro in termini di chiacchere. Se poi vai a vedere la sostanza, viene fuori che vede ancora le foreste principalmente come una risorsa economica. Una risorsa da tagliare per massimizzare i profitti. E, cosa ancora peggiore, rimane legata alla visione obsoleta che le foreste sono una sorgente di energia rinnovabile che non contribuisce al riscaldamento globale. Ma, come sempre, quando considerazioni di profitto prevalgono, si finisce per fare danni -- anche molto grossi.

La questione è discussa in dettaglio nel testo qui sotto. Se vi sembra che i "Liberi Pensatori a Difesa della Natura" abbiano ragione, potete fare qualcosa anche voi per aiutare. Andate sulla pagina del Ministero e dite la vostra. Al link trovate un modulo da compilare con delle osservazioni, delle critiche, dei pareri. E' un'opportunità di intervenire. C'è tempo fino al 28 maggio per inviare i moduli. (UB).


Su Facebook, trovate il gruppo dei Liberi Pensatori.

___________________________________________________________________

Testo di Fiorenza Adriano e Liberi Pensatori a difesa della natura.


Siamo in Italia, immersi nel verde, in un paese ricco di boschi. Ha senso qui parlare di attacco alle foreste e alla biodiversità? Tenendo conto poi che il nostro stile di vita non può fare a meno del legname e dei suoi molteplici usi, che vanno dalla produzione di carta ai mobili al riscaldamento all'impiego nell'edilizia...Perché dunque da più parte i cittadini, quasi sempre invano, protestano e si oppongono ai tagli? C'è una petizione, sostenuta dal gruppo “Liberi Pensatori a Difesa della Natura” che chiede che la gestione delle foreste passi dalla competenza del Ministero delle Politiche Agricole al dicastero dell'Ambiente, in quanto ora il patrimonio boschivo viene inteso più che altro in modo produttivistico. E come mai, essendo il numero di firme cresciuto fino alle 80.000, la stampa tace e nessuna fonte ufficiale ne parla?

Attualmente è in corso una Consultazione Popolare riguardo alla nuova Strategia Forestale Nazionale proposta dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, consultazione a cui bisogna partecipare, perché è un modo di far valere la nostra opinione.

Vorrei qui far sentire la voce di alcuni rappresentanti del gruppo “Liberi Pensatori a difesa della natura”, impegnato sul fronte della tutela del nostro patrimonio boschivo. Le domande potrebbero essere molte, ma cercherò di limitarmi a quelle, a mio giudizio, essenziali.

PRIMA DOMANDA: Come mai si dice che le foreste italiane siano aumentate, nell'ultimo secolo?

LIBERI PENSATORI. Se teniamo conto soltanto della superficie occupata dai boschi, possiamo dire che le foreste siano in espansione. Il problema è prendere come punto di riferimento la volumetria dei nostri boschi, che dovrebbe essere, come media minima, di 250/300 metri cubi per ettaro. Per le foreste vetuste,anche di 500/600. La media italiana è invece adesso di 150 metri cubi per ettaro, cioè molto bassa e sta ad indicare che gran parte della superficie che noi intendiamo come ricoperta da foreste sia in realtà occupata da boschi poveri, cioè estesi come superficie, ma poveri come biomassa.
Il bosco poi ogni anno cresce, ma mancano dati certi sulla volumetria dei prelievi che, secondo alcune rilevazioni, paiono essere superiori a quelli della ricrescita, andando così ad impoverire costantemente il bosco.

Nella Proposta di Legge del Ministero delle Politiche Agricole notiamo la mancanza di una politica forestale chiara e mirata ad indicare l'incremento dei volumi di biomassa per ettaro, come previsto dagli accordi internazionali, nonché la carenza di fonti ufficiali dirette ed affidabili sulla volumetria dei prelievi legnosi. Lo stato di salute e di effettiva importanza e realtà delle foreste su un territorio sono direttamente indicati dai dati riguardanti la loro volumetria e non solo dalla superficie da esse occupata.

SECONDA DOMANDA: Che cosa comporta per i nostri boschi il fatto che le risorse forestali siano state inserite fra e fonti di energia rinnovabile? Quali sono i dati relativi ai prelievi di biomassa dalle foreste?

LIBERI PENSATORI La definizione “biomassa=rinnovabili”, adottata nel 1997 a Kyoto, con la conseguente erogazione di incentivi per favorire l'uso di tale fonte energetica, ha provocato un eccessivo sfruttamento dei boschi mondiali mettendoli in pericolo. In Italia molti affermano che i boschi siano scarsamente sfruttati e che occorrerebbe incentivare ulteriormente l'uso delle biomasse solide (legna da ardere, altri materiali legnosi e sottoprodotti) per la produzione di energia. I maggiori esperti del settore forestale affermano invece che i dati nazionali ed europei sui prelievi boschivi presentano incertezze anche gravi. In caso di incertezza e indeterminazione sarebbe saggio adottare la cautela, mentre pare prevalga una arbitraria temerarietà.

TERZA DOMANDA:Il taglio e il prelievo degli alberi incidono sul suolo, elemento importante per la biodiversità e pozzo di CO2, nonché deterrente allo scorrere impetuoso delle acque piovane verso valle, in quanto capace di diventare come una spugna che assorbe l'acqua e le consente di penetrare lentamente nel terreno. Come si trasforma il suolo con le ceduazioni e con quali conseguenze per la biodiversità e per gli alberi rimasti?

LIBERI PENSATORI A questo riguardo si parla di “pozzo” e di “fonte” di CO2. Pozzo è un serbatoio di CO2, che la cattura e la trattiene(sequestro). Fonte è l'origine di una diffusione di CO2, che la rilascia nell'aria (emissione).

“Pare dunque che i boschi italiani, e non solo, siano destinati a passare dalla condizione, per noi favorevole, di pozzo di CO2 a quella di fonte di CO2. Invece di trattenere e togliere dall'aria la CO2 possono diffonderla."

Gli effetti della gestione forestale sono rilevanti e possono alterare profondamente il bilancio del carbonio degli ecosistemi forestali. I boschi diventano fonte o pozzo in relazione alla direzione che assumono i flussi di scambio con l’atmosfera. A livello di ecosistema, il bilancio del carbonio è rappresentato dalla quantità fissata attraverso la fotosintesi, detta produzione primaria lorda. Una quota viene respirata dalle piante per i processi di sintesi e di mantenimento, un'altra quota viene respirata dalla componente eterotrofa attraverso la degradazione della sostanza organica. La Biomassa prodotta è uguale alla produzione primaria netta, ossia produzione lorda meno respirazione autotrofa. Una foresta è sink /pozzo o source /fonte a seconda del bilancio produzione primaria netta meno respirazione eterotrofa. Questa si chiama produzione netta di ecosistema. I tagli boschivi riducendo la fotosintesi ed esaltando la respirazione , (maggiore luce e calore nel suolo ) rendono le foreste sorgenti di CO2 per decenni.

In un bosco tagliato tutto il carbonio accumulato nei secoli dentro il suolo , a causa della maggiore luce che passa tra le chiome ridotte, ridiventa pericolosa CO2 , che si riversa nell’atmosfera.”
Per non parlare poi del danno al sottobosco e all'humus che, dopo un disboscamento o un diradamento degli alberi, impiegherà un numero molto alto di anni per ricostituirsi.

QUARTA DOMANDA: Il testo della Nuova Strategia Forestale Nazionale pare non essere adeguato ad una giusta conservazione e tutela delle nostre foreste. In quali punti pensate sia particolarmente carente?

LIBERI PENSATORI L'economia circolare ha come obiettivo la riduzione della pressione sulle risorse naturali. Si può parlare delle tre R: riciclo, riuso, risparmio del legno, per non incentivarne i consumi. Ci pare che invece la Nuova Strategia Forestale sia lontana dai principi dell'economia circolare e che, presupponendo erroneamente che le risorse forestali siano in crescita, si ponga l'obiettivo di incentivarne l'uso, a beneficio delle attività produttive ad esse collegato.

Noi riteniamo invece che le risorse forestali non siano affatto in crescita, ma in sofferenza. La mancanza di dati certi sui prelievi e sull'effettiva volumetria, ci pare molto grave e altrettanto grave la mancanza di esperti del settore che possano compiere studi e ricerche per arrivare a delle conclusioni serie. Non possiamo equiparare un bosco povero, lavorato a ceduo, con alberi radi e giovani, ad una foresta matura con alberi secolari e con una volumetria nella norma fissata dalle direttive europee. Non possiamo quindi accettare il concetto di superficie forestale in espansione. Riteniamo invece che le aree in cui ci sono foreste mature vadano assolutamente tutelate e protette, per favorirne, nel tempo, l'espansione. Riteniamo che non si possa più in alcun modo utilizzare foreste per attività collegate alla filiera del legno né tanto meno per fornire biomassa alle centrali.
Al fine di produrre legname per le attività collegate alla filiera del legno, pensiamo che la soluzione più ragionevole sia un processo graduale che operi il passaggio dalla selvicoltura alla arboricoltura con foreste messe a dimora in spazi agricoli non utilizzati. Pensiamo che le foreste mature debbano essere lasciate alla loro evoluzione naturale, per poter svolgere le loro funzioni ecosistemiche. In questo modo realmente si svilupperebbe un'economia basata su valori di conservazione e non ti taglio delle foreste.

QUINTA DOMANDA: attraverso la Consultazione Popolare ogni cittadino può esprimere la sua opinione riguardo alla nuova Strategia Forestale Nazionale proposta dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. La scadenza per inviare le nostre osservazioni è il 28 maggio. A livello pratico, come possono fare gli interessati per mandare al Ministero le loro osservazioni che, naturalmente, più saranno numerose e più avranno la possibilità di fare la differenza?

LIBERI PENSATORI La Consultazione Popolare è un mezzo di democrazia diretta che dovrebbe stimolare tutti a cercare di conoscere l'argomento. C'è poi un modulo da compilare. Ecco il link: 
https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/15339

ULTIMA DOMANDA: Volendo quindi riassumere in poche parole la vostra critica nei confronti della nuova Strategia Forestale, che cosa potete dire?

LIBERI PENSATORI Chiediamo una politica mirata alla conservazione e alla tutela del nostro patrimonio boschivo, con dati sicuri sui prelievi e sulle volumetrie dei boschi. Chiediamo inoltre che le foreste non siano più intese come fonti di energia rinnovabile per la produzione di energia. Riteniamo infine che la protezione della biodiversità sia un obiettivo primario da perseguire.


martedì 19 maggio 2020

Dopo il Coronavirus: per una visione della scienza più umana e moderna

(Immagine da Wikipedia)

Una cosa che è apparsa chiara con l'epidemia di coronavirus è stata lo scollamento totale fra scienza e politica. Da una parte, la scienza non è riuscita a fare gran cosa contro il virus: un vaccino non arriverà se non fra un anno almeno, se mai arriverà e, nel frattempo, l'epidemia è stata combattuta con metodi di isolamento sociale noti fin dal medioevo. Sono invece arrivate idee strampalate in quantità: cure alla varichina, tunnel sanificanti, barriere di plexiglas, vasche da pesci rossi da portare in testa, app antivirus da telefonino, braccialetti di allerta di prossimità, droni anti-deambulatori non autorizzati. Il tutto, è stato utilizzato più che altro per forzare i cittadini a subire un controllo che non si era mai visto in Italia e forse in nessun altro paese occidentale. Per non parlare del danno spaventoso fatto all'economia che si spera si possa riprendere, ma non è detto.

Abbiamo poi visto il fallimento della politica anche soltanto di capire cosa la scienza poteva dare. Il ministro Boccia ha chiesto agli scienziati "certezze inconfutabili," dimostrando non solo di non avere la minima idea di come funziona la scienza, ma anche la volontà precisa di scaricare sugli scienziati la responsabilità degli errori della politica. Non è stato il solo: i politici italiani si sono basati su un comitato di esperti nominato non si sa con quali criteri mentre il pubblico non ha visto altro che scienziati superstar televisivi che hanno variamente pontificato in onda. D'altra parte, i modelli predittivi si sono rivelati un disastro: troppi parametri variabili, troppe incertezze nei dati. Il famoso "modello di Ferguson" alla base dell'idea del "lockdown" prevedeva centinaia di migliaia di morti, se non milioni per i vari paesi europei. Cosa che non si è vista in nessun posto, indipendentemente dalle differenti politiche di contenimento. 

Insomma, un bel disastro. Fortunatamente l'epidemia sembra ormai passata dopo aver causato un numero di vittime in Italia non molto superiore a quello di una normale influenza stagionale. Può darsi che ritorni, ma per il momento siamo abbastanza tranquilli per cui possiamo anche riflettere su cosa potremmo fare per migliorare. Nel seguito, un post di Fabio Vomiero che è stato scritto prima del coronavirus, ma che ci offre molti interessanti spunti di riflessione (UB). 


Per una visione della scienza più umana e moderna

Guest Post di Fabio Vomiero

Nonostante sia abbastanza evidente come negli ultimi decenni lo sviluppo dirompente dell'attività scientifica abbia contribuito in modo sostanziale ed efficace a migliorare le nostre condizioni di vita e di benessere, la percezione comune della scienza stessa continua però ad essere pervasa e offuscata da diffusi sentimenti di timore, diffidenza e sospetto, che ne contribuiscono a generare un'immagine quantomeno fuorviante e molto spesso ridotta semplicemente alle sue peggiori conseguenze ideologiche.

Che poi anche la scienza, così come ogni altra attività cognitiva e produttiva umana, possa essere in qualche modo legata anche a contesti sociali ed economico-finanziari, o in qualche caso influenzata anche da comportamenti scorretti, è vero, ma non sarebbe comunque intellettualmente corretto interpretarla soltanto in base a questi parametri, laddove siano essi esasperati, così come non sarebbe corretto giudicare una grande religione monoteista in base soltanto alla sua deriva ideologica tendenzialmente belligena.

Ma per cercare allora di capire veramente che cosa sia la scienza alla sua radice, dovremmo per prima cosa cominciare a pensare non soltanto in termini di "esiti" e quindi ponendo l'attenzione sempre e soltanto sui risultati delle applicazioni scientifiche, ma piuttosto sulle "intenzioni", chiedendoci invece, per esempio, quali possano essere lo spirito e le motivazioni che spingono uno scienziato a dedicare la propria vita allo studio e alla ricerca.

La pratica della scienza, infatti, al di là delle etichette prescrittive e di tutta una retorica filosofica che lascia spesso il tempo che trova, è prima di tutto un'impostazione mentale, un gesto cognitivo, una sfida intellettuale, un approccio conoscitivo, un desiderio di mettersi a confronto, in qualche modo, con un mondo complesso che oppone sempre una certa resistenza alla nostra comprensione.

Da questo punto di vista l'attività scientifica non è quindi molto diversa da una forma d'arte, perché entrambe le attività, per esempio, mirano a delle rappresentazioni del mondo utilizzando naturalmente dei linguaggi specifici e servendosi anche della capacità, tipicamente umana, di utilizzare per il loro scopo un'intuizione, un gesto creativo, un ragionamento, una scelta stilistica, un'invenzione procedurale.

Poi naturalmente nella scienza le scelte stilistiche convergono anche verso un rigore metodologico e concettuale di fondo legittimato dalla forza dei fatti, delle dimostrazioni e delle rappresentazioni matematiche e che piano piano è stato condiviso e convalidato da un'intera comunità scientifica.

Ma ciò non significa affatto che la scienza sia riducibile soltanto a questo, o meglio, non si pensi che la scienza sia soltanto un "metodo" astratto, asettico, astorico, oppure, che si tratti soltanto di matematica, la quale è invece semplicemente una forma molto particolare ed efficace di linguaggio, oppure, ancora, che la scienza corrisponda soltanto a tutto ciò che è riconducibile in qualche modo al riduzionismo e al determinismo di stampo fisicalista.

In realtà, l'attuale pratica scientifica è molto più articolata e complessa rispetto a quell'immagine seicentesca che il biologo statunitense Stuart Kauffman definisce brillantemente "incantesimo galileiano" ed è molto più simile a una raffinata pratica artigianale in cui si inventano strumenti specifici su problemi specifici, piuttosto che all'idea di un metodo unico e universale, capace di decifrare un mondo scritto in forma matematica (Galileo), idea, quest'ultima, che all'epoca ben si conciliava con le pressanti esigenze delle sfere filosofico-religiose.

D'altra parte sarebbe quantomeno ingenuo pensare che dai tempi di Galileo e dopo almeno quattro grandi rivoluzioni scientifiche, darwinismo, relatività, fisica quantistica, biologia molecolare, che di fatto hanno riplasmato il nostro modo di guardare al mondo, non sia cambiato niente in termini metodologici e di implicazioni epistemologiche.

Rimane però il fatto che oggi, come ieri, l'attività scientifica più che una sorta di dispensatrice di certezze di ispirazione fisicalista capace di estrarre informazione neutra ed oggettiva sul mondo, visione questa che la avvicinerebbe peraltro pericolosamente a una modalità cognitiva tipica di altre forme di conoscenza, è invece prima di tutto un tentativo consapevole di descrizione intersoggettiva del mondo tramite la costruzione di modelli e teorie, utilizzando, ove possibile, la formalizzazione matematica e dove, evidentemente, è fondamentale la ricerca.

Nessuna Verità ontologica o metafisica, quindi, ma soltanto strade feconde che portano all'aumento della conoscenza e della comprensione teorica ed operativa dei sistemi studiati. Il mondo rimane il territorio da scoprire e da indagare e la scienza costruisce le sue mappe, le quali, per quanto sempre più precise e affidabili, non saranno mai il territorio stesso.

Si potrebbe dire che, in un certo senso, costruendo i nostri modelli e le nostre teorie ricostruiamo ogni volta il mondo. L'idea di un mondo, infatti, pensato già lì come struttura univoca, indipendentemente dalle nostre scelte osservazionali, non è oggetto di conoscenza scientifica; esiste sempre una corrispondenza biunivoca tra il mondo e lo scienziato, costruttore di modelli, una sorta di equilibrio cognitivo instabile, in cui il mondo suggerisce come poter essere osservato, e lo scienziato sviluppa via via nuovi strumenti e metodi di osservazione.

Qualche decennio fa, inoltre, il naturale declino della ricerca nei campi della fisica delle particelle e della meccanica newtoniana a favore, invece, di uno sviluppo esponenziale delle bioscienze, ha inevitabilmente introdotto alcune consapevolezze epistemologiche fino ad allora poco esplorate.

Si è capito, per esempio, che il mondo dei fenomeni naturali mesoscopici collocati tra il micro e il macro, di cui i principali rappresentanti sono i sistemi biologici, più che un libro di matematica, per dirla con Galileo, pare essere invece un libro di storia, in cui si racconta di eventi unici e irripetibili e dove si osservano processi di interazione continua, fluttuazioni, evoluzioni dinamiche, dissipazioni, rotture di simmetria, e dove anche il caso e la contingenza rivestono un ruolo di fondamentale importanza.

Nello studio di un sistema complesso, infatti, si è visto che esiste un accoppiamento strutturale con l'ambiente circostante talmente radicale, che in qualche modo, attraverso continui scambi di materia, energia e informazione, è in grado di cambiare anche le regole e la configurazione del sistema stesso, producendo emergenza di comportamenti nuovi e imprevedibili.

Pensiamo per esempio all'evoluzione biologica, alle dinamiche ecosistemiche, alla progressione di una malattia o a una guarigione, ai fenomeni sociali, economici, alle nostre esperienze, o solamente a quello che potrà essere il nostro pensiero tra cinque minuti.

L'unica possibilità che abbiamo per cercare di comprendere e studiare in qualche modo questi sistemi, è cercare di essere rigorosi nell'osservazione e flessibili nella costruzione di modelli, sapendo bene che ogni modello potrà cogliere benissimo certe osservabili del sistema, ma ignorarne inevitabilmente altre, e che, di conseguenza, una predicibilità completa del sistema stesso sarà pressoché impossibile.

Una situazione certamente molto diversa rispetto all'ingenuo sogno settecentesco di un mondo visto come una sorta di grande macchina (meccanicismo), in cui lo studio dei singoli componenti ci avrebbe permesso di analizzare, capire e prevedere in dettaglio l'evoluzione di ogni singolo fenomeno naturale (riduzionismo).

Teniamone conto, magari, quando l'ignoranza scientifica si scaglia contro una Commissione Grandi Rischi perché non è riuscita a prevedere un terremoto, di per sè impredicibile, o ritiene che i modelli climatici siano palesemente fallaci ogniqualvolta non riescano a prevedere nel dettaglio l'esatto aumento di temperatura globale, che comunque rimane evidente e conclamato.

Anche perchè, è proprio questa socratica dichiarazione di umiltà, di incertezza e di limite da parte della scienza a farne oggi il sistema più adatto alla produzione di una conoscenza utile, affidabile e concreta. Tutte le ipotesi o le congetture coerenti e plausibili, infatti, vengono sempre condivise, vagliate e sperimentate all'interno di un complesso ambito procedurale che ne valuta sempre la validità scientifica con un certo grado di fiducia.

Una volta Leonardo Sciascia scrisse in maniera provocatoria: "Viviamo come cani per colpa della scienza". E probabilmente in molti, non conoscendo bene il significato e il valore del reale fare scientifico, si riconosceranno ancora in questo inno a una presunta "non accettazione" di un qualcosa che sembra in qualche modo minacciare e prevaricare la nostra umanità, i nostri sentimenti, la nostra visione più o meno poetica del mondo.

In realtà, come abbiamo visto, gli aspetti più creativi e costruttivi della scienza stessa, la rendono invece un'attività che, quando fatta seriamente, diventa anche un'esperienza interiore e un motivo di soddisfazione emotiva e intellettuale di uguale dignità e seduzione rispetto per esempio all'arte.

Se si riuscirà pertanto a guardare la scienza da questa più umana e moderna prospettiva, non soltanto se ne potrà cogliere finalmente l'intrinseca bellezza, ma verrà anche a ridursi notevolmente la distanza, più forzata che reale, tra le due culture, senza nulla togliere ovviamente alla potenza conoscitiva ed esplicativa dell'impresa scientifica, che certamente rimane, comunque sia, unica ed esemplare.

domenica 17 maggio 2020

Il punto di vista di UniCredit -- Megatrend di prima dell'era del virus


Questo post di Bruno Sebastiani è stato scritto prima dell' "Era del Virus" ma contiene elementi che rimangono interessanti. Anche dopo il grande scombussolamento che abbiamo vissuto, i "megatrend" di cui ci racconta Sebastiani rimangono in moto.

Guest post di Bruno Sebastiani


Il rischio che si corre parlando di futuri scenari politici mondiali, di cambiamento climatico, di nuovi assetti demografici e di altri argomenti relativi ai “massimi sistemi” è di interloquire con un ristretto numero di fedeli lettori, sempre gli stessi, i quali sono già ampiamente convinti di ciò che si racconta loro.
Se dunque talvolta capita di trovare conferme ai nostri convincimenti sul triste futuro che ci aspetta presso autorevoli istituzioni “terze”, estranee cioè alla nostra abituale cerchia di interlocutori, questo è un avvenimento degno di essere raccontato, ed è ciò che mi accingo a fare.
Giorni addietro mi trovavo in banca per una delle solite noiose operazioni burocratiche che la società “complessa” ci costringe a fare. Davanti a me altre persone erano alle prese con analoghe incombenze e la cosa andava per le lunghe.
Per ingannare il tempo presi in mano il primo opuscolo colorato che si trovava esposto su una mensola. Titolo altisonante: “Avere un punto di vista chiaro sui mercati finanziari”. Gli diedi un’occhiata e mi sembrò che contenesse argomenti di un certo interesse. Lo portai a casa e qui lo sfogliai con maggior calma.
L’opuscolo, “Outlook 2019”, è ancora in distribuzione nelle Filiali UniCredit, anche se a breve sarà sostituito da un “Outlook 2020”. Ma gli argomenti di cui tratta travalicano il breve arco di tempo di 12 mesi e pertanto le considerazioni che riporta sono da ritenersi valide sul lungo periodo.
La sezione dell’opuscolo che ha maggiormente attirato la mia attenzione è stata quella titolata “Megatrend”, definiti come “Forze potenti che, gradualmente ma inesorabilmente, ridefiniscono in modo irreversibile gli scenari economici, sociali e politici entro cui la civiltà evolve.”
Ottima definizione, mi son detto proseguendo nella lettura per capire quali fossero queste “forze potenti” secondo gli analisti di UniCredit, i quali subito dopo precisano: “Istituti di ricerca e organizzazioni internazionali sono sostanzialmente concordi nell’individuare almeno 5 megatrend che sono all’opera in questa fase storica.”
Dunque queste 5 “forze potenti” che ci accingiamo ad esaminare non rispecchiano solo il punto di vista di UniCredit, ma sarebbero condivise a livello mondiale dai portavoce dei cosiddetti “poteri forti”. Motivo in più per approfondire la questione.
1° megatrend - «Un ribilanciamento del potere economico e politico a favore di paesi emergenti, specialmente asiatici, il cui ruolo sta evolvendo da quello di produttori a quello di consumatori. Si stima che entro il 2030 il 59% dei consumi globali sarà riconducibile alla classe media dell’Asia. Se le attuali traiettorie di crescita economica verranno confermate, la Cina sostituirà gli USA nel ruolo di superpotenza nell’arco di un decennio e l’India rivaleggerà con Washington nel 2050
Nulla da eccepire. Ma questo “ribilanciamento” cosa comporterà quantitativamente a livello di consumi mondiali e di conseguente sfruttamento delle risorse? Su questo punto Uni Credit tace, ma l’aver sottolineato la questione ha la sua importanza: significa aver offerto ad altri la possibilità di quantificare le conseguenze dei cambiamenti previsti.
2° megatrend – «Il progresso tecnologico … è un megatrend di cui sono immediatamente percepibili gli effetti. Lo sviluppo di Intelligenze Artificiali sempre più sofisticate, la robotizzazione di un crescente numero di mansioni, la capacità di archiviazione ed elaborazione dei dati in crescita esponenziale, così come l’onnipresenza della rete con lo sviluppo dell’Internet of Things, stanno ridisegnando profondamente dinamiche produttive e assetti sociali. Sviluppi per molti aspetti entusiasmanti e forieri di grandi opportunità che pongono però anche sfide importanti … in tema di lavoro e occupazione …»
La mia opposizione all’ottimismo di UniCredit (gli “sviluppi entusiasmanti forieri di grandi opportunità”) ha già formato oggetto di un paio di articoli (“Verso una rete sinaptica mondiale” e “Verso le macchine pensanti”) che invito il lettore a consultare, per comprendere come i rischi della connettività globale vadano ben al di là dei problemi occupazionali che pur costituiranno grave intralcio al funzionamento della macchina sociale.
3° megatrend – «Aumento e progressivo invecchiamento della popolazione costituiscono il terzo dei megatrend che sta sviluppando i suoi effetti. Oggi appena 4 paesi hanno una quota di popolazione di oltre 60 anni che supera il 30% del totale, ma nel 2050 questo valore salirà al 55%. Per quella data gli over60 nel mondo saranno 2,1 miliardi, oltre il doppio dei 962 milioni attuali. Nel 2042 i soli ultra 65enni dell’Asia supereranno la popolazione di Europa e USA messe assieme. Dinamiche che comportano sfide e opportunità per tutto ciò che riguarda l’assistenza sanitaria e le soluzioni previdenziali.»
Anche questa mega – tendenza è innegabile, come le precedenti, e attiene al delicato settore della “natalità”. Molti auspicano una riduzione della popolazione mondiale attraverso il controllo delle nascite. Ma questo tipo di politica, oltre ad essere di difficile attuazione (richiederebbe provvedimenti coercitivi ben poco liberali), implicherebbe – se attuata – difficoltà socio – organizzative di ampie dimensioni. Pochi giovani dovrebbero sostenere molti anziani, con il rischio che l’aumento dei consumi in certe aree geografiche (vedi 1° megatrend) vanifichi i risultati attesi dalla politica di contenimento della popolazione.
4° megatrend – «Popolazione più numerosa, più anziana ma anche sempre più concentrata nelle grandi città: l’urbanizzazione è il 4° megatrend. Si calcola che nel 2050 i due terzi della popolazione mondiale vivrà nelle grandi città. Nuove dotazioni infrastrutturali, ripensamento della mobilità e nuove soluzioni abitative sono le questioni chiave da risolvere per gestire questi cambiamenti.»
L’estensore di UniCredit, pur indicando correttamente le criticità che ci aspettano, non può fare a meno di alimentare la speranza (è il suo lavoro). Cerca anzi di far intravvedere agli investitori la possibilità di lucrare sulle “nuove dotazioni infrastrutturali, sul ripensamento della mobilità e sulle nuove soluzioni abitative”. Non gli avrebbero certo passato un testo che avesse messo in risalto il dramma che dovranno affrontare i nostri pronipoti nell’inferno di megalopoli sempre più affollate, calde e maleodoranti. Ancora una volta la medesima realtà risulta osservabile da differenti angolature e lo sarà fino al momento in cui la Natura offesa presenterà ad Homo sapiens il conto delle sue malefatte. E, in parte, anche l’estensore di UniCredit è costretto ad accennare a tale problema nell’ultima “forza potente” che prende in esame.
5° megatrend – «Ultimo megatrend, non certo per importanza, è il cambiamento climatico globale, con i rischi di scarsità di risorse idriche e alimentari che implica. Gli anni più caldi delle serie storiche si concentrano al 90% nell’ultimo ventennio, e nel 2030 la domanda di acqua potabile supererà del 40% l’offerta. Saranno quindi indispensabili nuove e più efficienti tecnologie per il controllo delle emissioni così come produzioni idriche, agricole e alimentari meno sensibili agli effetti del clima
Anche in questo caso tutti i danni da noi inferti alla biosfera vengono proposti alla clientela della banca come altrettante occasioni per effettuare lucrosi investimenti in nuovi settori iper – tecnologici. Non viene specificato come si potrà produrre più acqua potabile o far viaggiare camion e aerei con motori non inquinanti ecc. ecc. E si può star certi che invenzioni e applicazioni scientifiche in tal senso varranno escogitate, prodotte e distribuite, così come è stato fatto sin da quando la rivoluzione industriale ha stravolto il nostro modo di vivere. Ma fino a quando?
I tempi dell’economia sono brevi, quelli della finanza brevissimi, quelli della Natura molto più lenti, ma inesorabili!
Al di là delle finalità che hanno mosso la banca a redigere l’opuscolo esaminato, i 5 “megatrend” individuati costituiscono effettivamente i punti nodali con cui l’umanità dovrà confrontarsi nell’immediato futuro. Conviene pertanto approfondirli e sviscerarli in un’ottica di sopravvivenza anziché in quella di profitto proposta da UniCredit. Così riusciremo forse a prolungare per un po’ l’agonia della biosfera e a rinviare la dipartita dell’organismo che ci ospita e che noi irresponsabilmente stiamo divorando dall’interno.

sabato 16 maggio 2020

Lockdown: ma funziona veramente? Il gioco degli specchi

Immagine dal blog di "Tamino" "Open Mind" Dati interessanti che sembrano indicare che l'effetto del lockdown è esattamente il contrario di quello che avrebbe dovuto essere.


Questa faccenda del lockdown è una di quelle che sembrano ovvie e che poi non lo sono affatto. Qui "Tamino" -- pseudonimo di un climatologo americano -- confronta i dati fra la Svizzera e la Svezia e vengono fuori cose veramente difficili da capire.

Per prima cosa notiamo che quando si parla del fatto che in Svezia non hanno fatto il lockdown, ma hanno fatto meglio con il coronavirus, per esempio, dell'Italia, viene sempre fuori che "Si, ma gli svedesi sono differenti." Può anche darsi che gli svedesi abbiano un qualche tipo di "lockdown incorporato" che li rende diversi dagli italiani. Ma certo, in Svizzera non succede che quando due perfetti sconosciuti si incontrano per strada si baciano sulla bocca con grande entusiasmo. Insomma, se compariamo Svizzera e Svezia compariamo cose comparabili.

Allora, notate la differente traiettoria dei due casi. Il numero totale di infezioni è stato più o meno lo stesso, ma in Svizzera abbiamo avuto un "boom" iniziale e poi un declino. In Svezia, i casi sono saliti gradualmente, e ora stanno scendendo lentamente.

Tamino nel suo commento dice: "vedete che il lockdown funziona? Immaginatevi cosa sarebbe successo in Svizzera se non lo avessero fatto!" Forse, ma è un po' un salto carpiato all'indietro di logica. 

Ma non ci avevano raccontato che il lockdown serviva per "abbassare la curva"? Ovvero, doveva rallentare i contagi all'inizio per non sovraccaricare il sistema ospedaliero? E che se un paese non le adottava avrebbe visto un forte picco iniziale, prima del declino?

Perfetto: è proprio il contrario di quello che si vede in questo caso. La Svizzera, con misure di lockdown (*) iniziate il 13 Marzo ha visto un bel picco con un massimo a fine Marzo. La Svezia, senza lockdown, ha visto un aumento graduale dei casi. Appunto. Forse la Svizzera ha soltanto ritardato l'inevitabile? Ma allora perché il picco? E, inoltre, notate come la Svizzera sta gradualmente eliminando il lockdown a partire dai primi di Maggio, ma la curva non risale.

E allora? E allora, boh? Qui siamo sempre a discutere "cosa sarebbe successo se...." e "ma se invece...." e non si conclude niente. Questa faccenda del lockdown sembra sempre di più un gioco di specchi di quelli che usavano nei luna park di una volta. Ti sembra che ci sia una strada verso l'uscita, e invece vai a sbattere contro un vetro. E si vede che così doveva essere.





(*) da notare come in Svizzera il lockdown inteso come stare a casa non è mai stato obbligatorio come in Italia -- soltanto una raccomandazione da parte del governo. Ovviamente, gli Italiani sono tanto più stupidi degli svizzeri che se non ci fosse stata la polizia a costringerli a stare in casa, se ne sarebbero andati in giro a baciarsi sulla bocca per la strada. Meno male che il nostro governo a certe cose ci pensa!



giovedì 14 maggio 2020

Virus e inquinamento atmosferico: la correlazione di due malanni

La Cassandra Placata: viste le questioni interessanti sollevate da questo post di WM, la profetessa mi da il permesso di riaprire i commenti. Per favore rimanete in tema. Post razzisti o semplicemente antipatici risulteranno non solo nella eliminazione degli stessi, ma anche in una maledizione specifica che vi arriva dalla Dea Madre in persona che vi causerà un lieve mal di pancia per un paio di giorni. Maledizioni molto peggiori sono possibili se insistete.


Guest post di WM

All'inizio di marzo ho letto le prime considerazioni sulle possibili correlazioni tra alti livelli di inquinamento e pandemia Covid 19, il primo articolo era su Nimbus. La coincidenza tra zone altamente inquinate e concentrazione di infezioni era, è tuttora, effettivamente allarmante. Provo a riassumere.

Nelle settimane scorse erano anche apparse immagini satellitari che mostravano un significativo calo di NOx, gli ossidi di azoto in Cina, in pianura Padana.

Seguo giornalmente l'andamento del principale parametro che da anni decide le politiche più o meno restrittive alla circolazione automobilistica nelle nostre città: il PM10 (particolato 10 micron). Il valore limite per legge da non superare è di 50 microgrammi/metro cubo da non superare più di 35 giorni (d. lgs 155/2010). Spesso nelle città del nord questo valore raggiunge 60/70 e in alcuni casi supera i 100. Vengono bloccati i veicoli Diesel Euro 4 a volte Euro 5 ma quasi sempre l'effetto è insignificante.

A ottobre dello scorso anno ARPA Piemonte ha presentato uno studio molto interessante che riporto in sintesi:

(estratto da www.arpa.piemonte.it/news/qualita-dell2019aria-e-clima-una-sfida-odierna-con-lo-sguardo-al-futuro)

Se ci soffermiamo sulle emissioni di inquinanti e gas serra a livello regionale:

il traffico è responsabile del
- 67% delle emissioni di ossidi di azoto (di cui il 92% è generato dai veicoli diesel);
- 32% delle emissioni di particolato primario (di cui il 67% legato a risospensione e usura di freni/pneumatici e 30% legato alle emissioni esauste del traffico diesel);
- 23% delle emissioni di CO2 equivalente (di cui il 71% legate ai veicoli diesel).

il riscaldamento è responsabile del
- 9% delle emissioni di ossidi di azoto;
- 53% delle emissioni di particolato primario (di cui il 99% è riscaldamento a biomassa, legna o pellet);
- 17% delle emissioni di CO2 equivalente (di cui l’81% legato agli impianti termici a metano).

l’agricoltura è responsabile del:
- 11% delle emissioni di particolato - sia per la combustione delle stoppie, che per la zootecnia (sistemi di stabulazione degli animali, movimentazione dei mangimi, residui di pelle e piumaggio degli animali, condizioni delle strutture di ricovero);
- 10% delle emissioni di CO2 equivalente, legato alle colture agricole che emettono protossido di azoto e CH4 (come risaie e foraggere) e alla zootecnia (in particolare per la fermentazione enterica dei bovini e per la scorretta gestione dei reflui da allevamento, che producono CH4).

L’industria, che se non è più un problema per quanto riguarda il particolato primario, lo è ancora in parte per gli ossidi di azoto (21%, di cui il 60% è legato alle combustioni industriali che usano il metano come combustibile, in particolare l’industria del vetro, del cemento le centrali termoelettriche), è il maggior problema per la CO2 equivalente (42%, di cui il 62% è legato alle combustioni industriali che usano il metano come combustibile, in particolare l’industria termoelettrica).

Leggendo questi dati ci si chiede per quale motivo sia solo e sempre il motore diesel il colpevole se gli inquinanti e climalteranti hanno una provenienza così varia, ma così vanno le cose e si potrebbe aprire una discussione sulla ricerca del capro espiatorio ma non è la sede.

Torniamo al punto iniziale: il Virus Sars CoV 2 può essere veicolato dal particolato? Non sono un medico e tanto meno virologo, leggendo autorevoli ricercatori è altamente improbabile in quanto il Virus deve legarsi ad una cellula per riprodursi, ha bisogno di ambiente umido e moderatamente freddo. E' una condizione che in Pianura Padana può verificarsi con nebbie e inversioni termiche tipiche degli anticicloni invernali, inoltre il particolato potrebbe funzionare da nucleo di aggregazione se composto da materiale igroscopico. La sua composizione è molto variabile, da composti organici altamente tossici tipo Benzo(a)Pirene fino a granuli silicei passando per gomma, carbonio incombusto ecc.

Dunque non lo possiamo escludere, ma è molto difficile. Credo invece che l'inquinamento possa essere una concausa, gli ossidi di azoto e il particolato non solamente PM10 ma anche il PM2,5 e PM1, ben più penetranti, possono creare situazioni di infiammazioni croniche a livello polmonare favorendo l'attacco virale. Non si può nemmeno trascurare che l'OMS nel 2016 ha dichiarato che solo in Pianura Padana ci fossero 71000 morti/anno per patologie ascrivibili all'aria inquinata e su questo non è mai stata dichiarata zona rossa tutta quest'area.

Un altro fatto mi ha colpito alla fine di Marzo: in condizioni di scarso traffico, minore produzione energetica, meno voli aerei i valori di PM10 sono schizzati su tutta la Pianura Padana, da Veneto/Friuli al Piemonte, a concentrazioni superiori a 100 anche in aree dove sono solitamente basse (colline e montagne). Cosa era successo? Ce lo siamo chiesti in molti e alcuni laboratori delle varie ARPA regionali hanno condotto delle analisi chimico-fisiche. Il particolato era composto principalmente da materiale inorganico, sabbie silicee. La spiegazione relativamente semplice andava vista come effetto meteorologico, in quei giorni eravamo in presenza di una circolazione retrograda con correnti da Est e Nord Est che hanno portato a sbattere nell'imbuto Padano masse d'aria provenienti addirittura dal Caspio.

Questo dato deve far riflettere, potrebbe spiegare perché quasi sempre i blocchi del traffico sono ininfluenti e perché comunque bisogna agire per ridurre l'inquinamento dalle varie fonti e non solamente dal solito imputato: il motore diesel.

Ridurre la mobilità creando le condizioni per il telelavoro stabile, ridurre gli spostamenti non indispensabili per contatti commerciali dove la teleconferenza è possibile, ridurre il turismo mordi e fuggi, lezioni a distanza e così via. Cose possibili come dimostrato in questi mesi. Vedo purtroppo che per alcuni aspetti si sta andando in direzione opposta, eliminare le zone a traffico limitato, togliere vincoli su motori inquinanti, ritardare la applicazioni di norme più severe su nuovi modelli di vetture.

La tentazione di far tornare tutto come prima, il crederlo prima di tutto, dimostra una miopia molto forte. Queste Zoonosi Pandemiche nascono dal nostro modo di vivere, questa è la quinta in vent'anni. L'inquinamento sappiamo da dove viene, i virus anche, sapremmo trarne insegnamento? In questi giorni l'aria pulita, i cieli azzurri e il silenzio che alcuni hanno apprezzato, potrebbero darci un suggerimento?

wm


martedì 12 maggio 2020

CO2 nell'atmosfera: I conti non tornano. La storia del riscaldamento globale era tutta un imbroglio?



Dati dal NOAA sulla concentrazione di CO2 nell'atmosfera misurati il 2 Maggio all'osservatorio di Mauna Loa, alle Hawai'i. Vedete come la concentrazione di CO2 sia aumentata nonostante che il lockdown abbia ridotto le emissioni. Questo, ovviamente, vuol dire che tutta la scienza del clima è un imbroglio. Giusto? Ahem......


Vi ricordate la storiella dei due polacchi in automobile? A un certo punto, quello alla guida chiede all'altro "mi dici se funziona la freccia?" Quello si sporge dal finestrino e dice, "ora si, ora no, ora si, ora no......" 

Lo so che da noi questo tipo di barzellette non hanno i polacchi come bersaglio (come invece si usa in America). Mi scuso con gli amici polacchi, ma capiranno per quale ragione li ho menzionati. In ogni caso, la storiella non va intesa come un'offesa per le persone diversamente intelligenti per motivi fisici che meritano ogni rispetto da parte nostra, ma come una critica per quelli che hanno un cervello normale ma non lo usano. 

Mi riferisco a una discussione che si è vista recentemente su Facebook, dove qualcuno ha presentato il grafico che vedete più sopra argomentando che tutta la faccenda del CO2 come gas serra era una fesseria e, a proposito di Greta Thunberg, "ora la bimba possiamo rimandarla a scuola." 

Ne è seguita la solita baruffa, con commenti a lettere maiuscole, insulti vari, e accidenti qui e là contro gli scienziati e tu sei un incompetente, no tu, eccetera. Il che ha dimostrato come molta gente non ha ritegno a comportarsi come quello che diceva della freccia che funziona "ora si, ora no...."

E, come al solito, certe cose ti fanno cadere le braccia (o altre parti del corpo, a piacere). Non importa essere climatologi per capire come stanno le cose. Ci vogliono pochi minuti per fare una ricerchina sul Web e capire come stanno le cose. E se poi non la sapete fare basta chiedere a chi ha un minimo di competenza scientifica per farla. Guardate, ve lo racconto rapidamente

Allora, l'osservatorio ti Mauna Loa misura la concentrazione di CO2 nell'atmosfera. Sono un po' di più di 700 miliardi di tonnellate di carbonio che corrispondono a una concentrazione MEDIA di un po' di più di 400 parti per milione (ppm). 

Ogni anno emettiamo circa 10 miliardi di tonnellate (Gt) di carbonio bruciando combustibili fossili. Di questi, circa 5 Gt rimangono in atmosfera, il resto è assorbito dall'oceano o dalla biosfera. In pratica ogni anno si osserva un aumento MEDIO della concentrazione di circa 2.5 parti per milione. 

Questo vuol dire che l'aumento GIORNALIERO è poche parti per MILIARDO. E vedete benissimo dal grafico come l'errore sperimentale giornaliero è ben superiore (per non parlare delle misure a risoluzione oraria!) In pratica, l'aumento di concentrazione della CO2 si vede solo su una media su scala annuale. Su scale più brevi è mascherato, oltre che dall'errore sperimentale, dalle oscillazioni stagionali del metabolismo della biosfera. 

Aggiungiamo anche che qui si pretenderebbe di vedere una variazione di una variazione! Ovvero, mettiamo che il lockdown abbia ridotto le emissioni del 30% negli ultimi due mesi -- questo vorrebbe dire cercare di vedere una variazione di 2.5*2/12*.3= circa 0.1 ppm! Siamo ben sotto i limiti di rilevazione sperimentale e l'apparente aumento del 2 Maggio è soltanto un'oscillazione nella misura, come se ne vedono in tutte le misure. Infatti, se guardiamo la stessa serie di dati com'era l'11 Maggio lo vediamo bene:

Dovremo aspettare almeno alcuni mesi -- meglio un anno -- per vedere l'effetto della riduzione delle emissioni. Guardare i dati solo per qualche giorno è come pensare che la freccia di un automobile funzioni o non funzioni a seconda che uno la veda accesa o spenta in quel momento.

Ma allora, ragazzi, quando vi mettete a discutere su Facebook, non sarebbe il caso di connettere il cervello alla tastiera per non fare la figura del polacco in automobile?


(nota: i commenti del blog sono chiusi per evitare un'invasione di polacchi. Semmai, commentate sulla mia pagina di Facebook.)