sabato 16 maggio 2020

Lockdown: ma funziona veramente? Il gioco degli specchi

Immagine dal blog di "Tamino" "Open Mind" Dati interessanti che sembrano indicare che l'effetto del lockdown è esattamente il contrario di quello che avrebbe dovuto essere.


Questa faccenda del lockdown è una di quelle che sembrano ovvie e che poi non lo sono affatto. Qui "Tamino" -- pseudonimo di un climatologo americano -- confronta i dati fra la Svizzera e la Svezia e vengono fuori cose veramente difficili da capire.

Per prima cosa notiamo che quando si parla del fatto che in Svezia non hanno fatto il lockdown, ma hanno fatto meglio con il coronavirus, per esempio, dell'Italia, viene sempre fuori che "Si, ma gli svedesi sono differenti." Può anche darsi che gli svedesi abbiano un qualche tipo di "lockdown incorporato" che li rende diversi dagli italiani. Ma certo, in Svizzera non succede che quando due perfetti sconosciuti si incontrano per strada si baciano sulla bocca con grande entusiasmo. Insomma, se compariamo Svizzera e Svezia compariamo cose comparabili.

Allora, notate la differente traiettoria dei due casi. Il numero totale di infezioni è stato più o meno lo stesso, ma in Svizzera abbiamo avuto un "boom" iniziale e poi un declino. In Svezia, i casi sono saliti gradualmente, e ora stanno scendendo lentamente.

Tamino nel suo commento dice: "vedete che il lockdown funziona? Immaginatevi cosa sarebbe successo in Svizzera se non lo avessero fatto!" Forse, ma è un po' un salto carpiato all'indietro di logica. 

Ma non ci avevano raccontato che il lockdown serviva per "abbassare la curva"? Ovvero, doveva rallentare i contagi all'inizio per non sovraccaricare il sistema ospedaliero? E che se un paese non le adottava avrebbe visto un forte picco iniziale, prima del declino?

Perfetto: è proprio il contrario di quello che si vede in questo caso. La Svizzera, con misure di lockdown (*) iniziate il 13 Marzo ha visto un bel picco con un massimo a fine Marzo. La Svezia, senza lockdown, ha visto un aumento graduale dei casi. Appunto. Forse la Svizzera ha soltanto ritardato l'inevitabile? Ma allora perché il picco? E, inoltre, notate come la Svizzera sta gradualmente eliminando il lockdown a partire dai primi di Maggio, ma la curva non risale.

E allora? E allora, boh? Qui siamo sempre a discutere "cosa sarebbe successo se...." e "ma se invece...." e non si conclude niente. Questa faccenda del lockdown sembra sempre di più un gioco di specchi di quelli che usavano nei luna park di una volta. Ti sembra che ci sia una strada verso l'uscita, e invece vai a sbattere contro un vetro. E si vede che così doveva essere.





(*) da notare come in Svizzera il lockdown inteso come stare a casa non è mai stato obbligatorio come in Italia -- soltanto una raccomandazione da parte del governo. Ovviamente, gli Italiani sono tanto più stupidi degli svizzeri che se non ci fosse stata la polizia a costringerli a stare in casa, se ne sarebbero andati in giro a baciarsi sulla bocca per la strada. Meno male che il nostro governo a certe cose ci pensa!



giovedì 14 maggio 2020

Virus e inquinamento atmosferico: la correlazione di due malanni

La Cassandra Placata: viste le questioni interessanti sollevate da questo post di WM, la profetessa mi da il permesso di riaprire i commenti. Per favore rimanete in tema. Post razzisti o semplicemente antipatici risulteranno non solo nella eliminazione degli stessi, ma anche in una maledizione specifica che vi arriva dalla Dea Madre in persona che vi causerà un lieve mal di pancia per un paio di giorni. Maledizioni molto peggiori sono possibili se insistete.


Guest post di WM

All'inizio di marzo ho letto le prime considerazioni sulle possibili correlazioni tra alti livelli di inquinamento e pandemia Covid 19, il primo articolo era su Nimbus. La coincidenza tra zone altamente inquinate e concentrazione di infezioni era, è tuttora, effettivamente allarmante. Provo a riassumere.

Nelle settimane scorse erano anche apparse immagini satellitari che mostravano un significativo calo di NOx, gli ossidi di azoto in Cina, in pianura Padana.

Seguo giornalmente l'andamento del principale parametro che da anni decide le politiche più o meno restrittive alla circolazione automobilistica nelle nostre città: il PM10 (particolato 10 micron). Il valore limite per legge da non superare è di 50 microgrammi/metro cubo da non superare più di 35 giorni (d. lgs 155/2010). Spesso nelle città del nord questo valore raggiunge 60/70 e in alcuni casi supera i 100. Vengono bloccati i veicoli Diesel Euro 4 a volte Euro 5 ma quasi sempre l'effetto è insignificante.

A ottobre dello scorso anno ARPA Piemonte ha presentato uno studio molto interessante che riporto in sintesi:

(estratto da www.arpa.piemonte.it/news/qualita-dell2019aria-e-clima-una-sfida-odierna-con-lo-sguardo-al-futuro)

Se ci soffermiamo sulle emissioni di inquinanti e gas serra a livello regionale:

il traffico è responsabile del
- 67% delle emissioni di ossidi di azoto (di cui il 92% è generato dai veicoli diesel);
- 32% delle emissioni di particolato primario (di cui il 67% legato a risospensione e usura di freni/pneumatici e 30% legato alle emissioni esauste del traffico diesel);
- 23% delle emissioni di CO2 equivalente (di cui il 71% legate ai veicoli diesel).

il riscaldamento è responsabile del
- 9% delle emissioni di ossidi di azoto;
- 53% delle emissioni di particolato primario (di cui il 99% è riscaldamento a biomassa, legna o pellet);
- 17% delle emissioni di CO2 equivalente (di cui l’81% legato agli impianti termici a metano).

l’agricoltura è responsabile del:
- 11% delle emissioni di particolato - sia per la combustione delle stoppie, che per la zootecnia (sistemi di stabulazione degli animali, movimentazione dei mangimi, residui di pelle e piumaggio degli animali, condizioni delle strutture di ricovero);
- 10% delle emissioni di CO2 equivalente, legato alle colture agricole che emettono protossido di azoto e CH4 (come risaie e foraggere) e alla zootecnia (in particolare per la fermentazione enterica dei bovini e per la scorretta gestione dei reflui da allevamento, che producono CH4).

L’industria, che se non è più un problema per quanto riguarda il particolato primario, lo è ancora in parte per gli ossidi di azoto (21%, di cui il 60% è legato alle combustioni industriali che usano il metano come combustibile, in particolare l’industria del vetro, del cemento le centrali termoelettriche), è il maggior problema per la CO2 equivalente (42%, di cui il 62% è legato alle combustioni industriali che usano il metano come combustibile, in particolare l’industria termoelettrica).

Leggendo questi dati ci si chiede per quale motivo sia solo e sempre il motore diesel il colpevole se gli inquinanti e climalteranti hanno una provenienza così varia, ma così vanno le cose e si potrebbe aprire una discussione sulla ricerca del capro espiatorio ma non è la sede.

Torniamo al punto iniziale: il Virus Sars CoV 2 può essere veicolato dal particolato? Non sono un medico e tanto meno virologo, leggendo autorevoli ricercatori è altamente improbabile in quanto il Virus deve legarsi ad una cellula per riprodursi, ha bisogno di ambiente umido e moderatamente freddo. E' una condizione che in Pianura Padana può verificarsi con nebbie e inversioni termiche tipiche degli anticicloni invernali, inoltre il particolato potrebbe funzionare da nucleo di aggregazione se composto da materiale igroscopico. La sua composizione è molto variabile, da composti organici altamente tossici tipo Benzo(a)Pirene fino a granuli silicei passando per gomma, carbonio incombusto ecc.

Dunque non lo possiamo escludere, ma è molto difficile. Credo invece che l'inquinamento possa essere una concausa, gli ossidi di azoto e il particolato non solamente PM10 ma anche il PM2,5 e PM1, ben più penetranti, possono creare situazioni di infiammazioni croniche a livello polmonare favorendo l'attacco virale. Non si può nemmeno trascurare che l'OMS nel 2016 ha dichiarato che solo in Pianura Padana ci fossero 71000 morti/anno per patologie ascrivibili all'aria inquinata e su questo non è mai stata dichiarata zona rossa tutta quest'area.

Un altro fatto mi ha colpito alla fine di Marzo: in condizioni di scarso traffico, minore produzione energetica, meno voli aerei i valori di PM10 sono schizzati su tutta la Pianura Padana, da Veneto/Friuli al Piemonte, a concentrazioni superiori a 100 anche in aree dove sono solitamente basse (colline e montagne). Cosa era successo? Ce lo siamo chiesti in molti e alcuni laboratori delle varie ARPA regionali hanno condotto delle analisi chimico-fisiche. Il particolato era composto principalmente da materiale inorganico, sabbie silicee. La spiegazione relativamente semplice andava vista come effetto meteorologico, in quei giorni eravamo in presenza di una circolazione retrograda con correnti da Est e Nord Est che hanno portato a sbattere nell'imbuto Padano masse d'aria provenienti addirittura dal Caspio.

Questo dato deve far riflettere, potrebbe spiegare perché quasi sempre i blocchi del traffico sono ininfluenti e perché comunque bisogna agire per ridurre l'inquinamento dalle varie fonti e non solamente dal solito imputato: il motore diesel.

Ridurre la mobilità creando le condizioni per il telelavoro stabile, ridurre gli spostamenti non indispensabili per contatti commerciali dove la teleconferenza è possibile, ridurre il turismo mordi e fuggi, lezioni a distanza e così via. Cose possibili come dimostrato in questi mesi. Vedo purtroppo che per alcuni aspetti si sta andando in direzione opposta, eliminare le zone a traffico limitato, togliere vincoli su motori inquinanti, ritardare la applicazioni di norme più severe su nuovi modelli di vetture.

La tentazione di far tornare tutto come prima, il crederlo prima di tutto, dimostra una miopia molto forte. Queste Zoonosi Pandemiche nascono dal nostro modo di vivere, questa è la quinta in vent'anni. L'inquinamento sappiamo da dove viene, i virus anche, sapremmo trarne insegnamento? In questi giorni l'aria pulita, i cieli azzurri e il silenzio che alcuni hanno apprezzato, potrebbero darci un suggerimento?

wm


martedì 12 maggio 2020

CO2 nell'atmosfera: I conti non tornano. La storia del riscaldamento globale era tutta un imbroglio?



Dati dal NOAA sulla concentrazione di CO2 nell'atmosfera misurati il 2 Maggio all'osservatorio di Mauna Loa, alle Hawai'i. Vedete come la concentrazione di CO2 sia aumentata nonostante che il lockdown abbia ridotto le emissioni. Questo, ovviamente, vuol dire che tutta la scienza del clima è un imbroglio. Giusto? Ahem......


Vi ricordate la storiella dei due polacchi in automobile? A un certo punto, quello alla guida chiede all'altro "mi dici se funziona la freccia?" Quello si sporge dal finestrino e dice, "ora si, ora no, ora si, ora no......" 

Lo so che da noi questo tipo di barzellette non hanno i polacchi come bersaglio (come invece si usa in America). Mi scuso con gli amici polacchi, ma capiranno per quale ragione li ho menzionati. In ogni caso, la storiella non va intesa come un'offesa per le persone diversamente intelligenti per motivi fisici che meritano ogni rispetto da parte nostra, ma come una critica per quelli che hanno un cervello normale ma non lo usano. 

Mi riferisco a una discussione che si è vista recentemente su Facebook, dove qualcuno ha presentato il grafico che vedete più sopra argomentando che tutta la faccenda del CO2 come gas serra era una fesseria e, a proposito di Greta Thunberg, "ora la bimba possiamo rimandarla a scuola." 

Ne è seguita la solita baruffa, con commenti a lettere maiuscole, insulti vari, e accidenti qui e là contro gli scienziati e tu sei un incompetente, no tu, eccetera. Il che ha dimostrato come molta gente non ha ritegno a comportarsi come quello che diceva della freccia che funziona "ora si, ora no...."

E, come al solito, certe cose ti fanno cadere le braccia (o altre parti del corpo, a piacere). Non importa essere climatologi per capire come stanno le cose. Ci vogliono pochi minuti per fare una ricerchina sul Web e capire come stanno le cose. E se poi non la sapete fare basta chiedere a chi ha un minimo di competenza scientifica per farla. Guardate, ve lo racconto rapidamente

Allora, l'osservatorio ti Mauna Loa misura la concentrazione di CO2 nell'atmosfera. Sono un po' di più di 700 miliardi di tonnellate di carbonio che corrispondono a una concentrazione MEDIA di un po' di più di 400 parti per milione (ppm). 

Ogni anno emettiamo circa 10 miliardi di tonnellate (Gt) di carbonio bruciando combustibili fossili. Di questi, circa 5 Gt rimangono in atmosfera, il resto è assorbito dall'oceano o dalla biosfera. In pratica ogni anno si osserva un aumento MEDIO della concentrazione di circa 2.5 parti per milione. 

Questo vuol dire che l'aumento GIORNALIERO è poche parti per MILIARDO. E vedete benissimo dal grafico come l'errore sperimentale giornaliero è ben superiore (per non parlare delle misure a risoluzione oraria!) In pratica, l'aumento di concentrazione della CO2 si vede solo su una media su scala annuale. Su scale più brevi è mascherato, oltre che dall'errore sperimentale, dalle oscillazioni stagionali del metabolismo della biosfera. 

Aggiungiamo anche che qui si pretenderebbe di vedere una variazione di una variazione! Ovvero, mettiamo che il lockdown abbia ridotto le emissioni del 30% negli ultimi due mesi -- questo vorrebbe dire cercare di vedere una variazione di 2.5*2/12*.3= circa 0.1 ppm! Siamo ben sotto i limiti di rilevazione sperimentale e l'apparente aumento del 2 Maggio è soltanto un'oscillazione nella misura, come se ne vedono in tutte le misure. Infatti, se guardiamo la stessa serie di dati com'era l'11 Maggio lo vediamo bene:

Dovremo aspettare almeno alcuni mesi -- meglio un anno -- per vedere l'effetto della riduzione delle emissioni. Guardare i dati solo per qualche giorno è come pensare che la freccia di un automobile funzioni o non funzioni a seconda che uno la veda accesa o spenta in quel momento.

Ma allora, ragazzi, quando vi mettete a discutere su Facebook, non sarebbe il caso di connettere il cervello alla tastiera per non fare la figura del polacco in automobile?


(nota: i commenti del blog sono chiusi per evitare un'invasione di polacchi. Semmai, commentate sulla mia pagina di Facebook.)

domenica 10 maggio 2020

Svezia sanguinaria: lo sterminio dei deboli e degli anziani





Mi è arrivato proprio oggi questo commento su Facebook, che mi sembra meriti una breve discussione. Sulla mia pagina, avevo riportato gli ultimi dati sulla mortalità generale del ministero della salute. Questi dati qui:


Dati che avevo commentato brevemente notando come l'epidemia fosse in declino al nord e praticamente scomparsa al sud.

Beh, quasi subito mi arriva il comento di cui sopra, dove mi si accusa di un post "normalizzatore" perché non avrei avuto "rispetto" per "le decine di migliaia di morti", anziani famiglie, ecc...

Ora, pensateci un attimo: che senso ha un'accusa del genere? Tenete conto che ogni anno in Italia muoiono circa 650.000 persone per tutte le cause. L'epidemia di COVID si avvia a concludersi avendo causato circa 30.000 morti in tutto -- non è detto che non riprenda fiato nel futuro, ma per ora questi sono i dati.

Ovviamente, nessun disprezzo per le vittime del COVID, per carità -- ma perché dovrebbero richiedere più rispetto di tutti quelli, tanti di più, che muoiono di infarto, di tumore, di incidenti, e tutto il resto? E non mi dite che certe morti sarebbero più evitabili di altre, proprio quando con la scusa del coronavirus c'è chi propone di ricominciare a inquinare quanto e più di prima, facendo probabilmente danni ben maggiori alla salute umana.

Ma il bello del commento che ho ricevuto è la sparata contro la Svezia: accusata di essere un paese dove "si gode alla morte del prossimo, soprattutto se debole." Pensateci un attimo, fa impressione. In un certo senso, si può anche capire che molte persone si siano fatte imbrogliare con la storia che i cinesi mangerebbero pipistrelli e robacce del genere. Dopotutto, della Cina sappiamo poco e per capire che come stanno le cose veramente ci vuole una piccola ricerca sul Web che non tutti sono in grado di fare (se la fate, trovate che non è escluso che qualcuno mangi pipistrelli in Cina, ma è cosa molto rara e quasi certamente non ha niente a che vedere con l'epidemia).

Ma la Svezia? Un paese europeo, non lontano da noi, che sappiamo benissimo essere abitato da gente civile e del tutto normale. E' un paese democratico, al momento governato da una coalizione di socialdemocratici e verdi. Eppure è bastata una piccola campagna di propaganda sui media per raccontarci che in Svezia stesse succedendo chissà quale disastro con chissà quanti morti per convincere tutti che il governo svedese avesse consciamente scelto di non implementare il lockdown per realizzare un programma eugenetico diretto a sterminare i deboli. E che era quello che stava succedendo.

In realtà, la Svezia si avvia a concludere questa fase dell'epidemia con circa 3000 morti su 10 milioni di abitanti. L'Italia si avvia ad avere circa 30.000 morti su 60 milioni di abitanti e quindi ha fatto peggio della Svezia. Ora, si può discutere sul fatto che la Svezia ha fatto peggio di paesi vicini come la Danimarca e la Norvegia, ma meglio della Gran Bretagna. Ma NON si può dire che gli svedesi sono un popolo di sanguinari sterminatori. 

Come è possibile? Basta così poco, qualche riga di testo sui media, per convincere tutti delle cose più assurde? Sembrerebbe di si, ma allora con quale organo del corpo ragiona molta gente? Mi sa che, purtroppo, non è il cervello.


giovedì 7 maggio 2020

La torre più alta: fino a dove possiamo arrivare?



Un post di Bruno Sebastiani

Alcuni desideri apparentemente irraggiungibili hanno da sempre stimolato la fantasia e i sogni dell’uomo.
Uno di questi è stato ed è tuttora quello di volare. Passi da gigante sono stati fatti in questa direzione con la realizzazione delle “macchine volanti”, dalle mongolfiere ai dirigibili fino agli aerei, agli elicotteri e ai deltaplani. È lontano il tempo in cui la cera con cui erano fatte le ali posticce di Icaro si sciolse al sole, ma l’uomo si aspetta ulteriori passi in avanti dal futuro e il Flyboard di Franky Zapata rappresenta il modello più avanzato in tal senso, anche se ulteriori novità, tra cui l’auto-volante, non mancheranno di sorprenderci a breve.
Un’altra ambizione, anch’essa orientata al cielo, è quella di costruire edifici sempre più alti, la cui cima sia così lontana da terra da poter toccare le nuvole. Nell’antichità questo sogno si concretizzò nella biblica Torre di Babele, la cui costruzione, come noto, fu interrotta da Yahweh che confuse le lingue degli uomini per evitare che divenissero troppo potenti.
Tenuto conto di quel che è stato realizzato in seguito, si può dire che l’intervento non sia stato molto efficace.
Anche le piramidi egizie e tutti gli altri edifici monumentali dell’antichità (dai campanili delle chiese ai minareti delle moschee, alle torri medievali) puntavano a soddisfare il desiderio di realizzare costruzioni sempre più alte e ben visibili a distanza.
In tempi moderni i progressi delle tecniche costruttive non potevano che accrescere l’ambizione di cimentarsi in questa corsa verso l’alto.
Fu l’ingegnere Eiffel, sul finire del XIX secolo, a dare simbolicamente il via a questa nobile gara.
Ma la sua torre, alta 300 metri, è da intendersi, allora come oggi, più un’opera “estetica” realizzata in ferro che non un vero e proprio edificio simbolo di attività umane.
Lo sviluppo di quest’ultimo genere di costruzioni si concretizzò nei primi decenni del ‘900 negli Stati Uniti. New York, per questa sua specifica caratteristica, assunse nell’immaginario collettivo il ruolo di “capitale del mondo”.
L’Empire State Building, costruito nel 1931, con una altezza di 381 metri (443 tenendo conto della antenna / guglia), è stato il grattacielo più alto del mondo dal 1931 fino al 1973, anno in cui fu superato dalle Torri Gemelle del World Trade Center.
Da allora la corsa all’altezza delle moderne Torri di Babele ha assunto un ritmo sempre più frenetico e anche i Paesi asiatici e quelli arabi hanno iniziato a competere.
Se consideriamo i 50 grattacieli più alti al mondo, 11 sono stati edificati nel XX secolo e ben 39 nel XXI, tra il 2000 e il 2019 (in soli 20 anni). Altri 42 di altezza superiore ai 350 metri sono attualmente in costruzione.
Di questi, 92 in totale, solo 11 si trovano negli USA (più i 2 andati distrutti l’11 settembre 2001), nessuno in Europa e 4 in Russia. I restanti 75 sono dislocati in Paesi arabi (18) e in Asia (ben 57!).
Nel blog de Il Cancro del Pianeta ho dedicato una intera sezione a queste “Torri di Babele” prendendo in considerazione i 20 grattacieli più alti al mondo e per ognuno ho fornito alcune notizie salienti, come ad esempio le dimensioni, il nome dei progettisti e altro.
Un aspetto interessante che emerge da queste notizie è che, pur se la collocazione geografica dei grattacieli si sta spostando sempre più a est, molti degli studi di architettura che ne hanno curato la progettazione hanno sede negli USA o in Europa, così come diverse imprese costruttrici.
Perché dedicare tanto spazio a questo fenomeno urbanistico in un blog dedicato a smascherare la nocività dell’essere umano per il pianeta?
Per vari motivi.
Innanzitutto la trasversalità inter-nazionale dei costruttori offre il miglior esempio del globalismo imperante: se le ricchezze necessarie a edificare questi colossi si trovano in Cina o in Arabia, all’impresa collaborano uomini e società di tutto il mondo e poi, una volta terminata l’opera, i locali e gli uffici realizzati vengono dati in uso a banche, negozi o centri commerciali di ogni Paese.
In secondo luogo questi edifici, sui quali si appunta l’interesse generale per via delle loro eccezionali dimensioni, in realtà rappresentano solo la punta dell’iceberg della frenesia edificatrice che sta attraversando l’intero pianeta.
Una popolazione mondiale in continua crescita non può che comportare una cementificazione sempre più massiccia delle terre emerse. Le megalopoli asiatiche e africane sono emblematiche al riguardo, ma anche le grandi città europee si stanno espandendo in periferie tanto ampie quanto esteticamente sgradevoli.
Tempo addietro, per dare un’idea “tangibile” del fenomeno, scrissi un articolo dal titolo “E se tutti gli edifici della Terra fossero monopiano?”. Il mio intendimento era far capire come l’elevazione verticale delle case, fino all’altezza dei grattacieli, rispondesse anche alla concreta esigenza di contenere il più possibile il consumo del suolo: se la sovrappopolazione rappresenta già di per sé una delle maggiori preoccupazioni, immaginate che problema costituirebbe se le abitazioni degli uomini fossero tutte ad un solo piano, come le capanne dei primi agricoltori o le tende dei popoli nomadi.
Da questo punto di vista più gli edifici sono alti più si può far fronte al numero crescente dei loro occupanti.
Il mio interessamento per le moderne Torri di Babele ha anche un’altra motivazione. L’evoluzione ci ha dotati di capacità cerebrali di assoluto rilievo e noi abbiamo sempre utilizzato queste facoltà per primeggiare nel mondo della natura. Ma ciò che raggiungiamo non è mai sufficiente, vogliamo sempre superare i nostri stessi record. La gara a chi costruisce il grattacielo più alto è un ottimo esempio al riguardo e ciò giustifica la presenza della sezione “Torri di Babele” all’interno del blog Il Cancro del Pianeta. Potrebbe avere come sottotitolo: “La ricerca del primato condizione tipica di Homo sapiens”. Con l’avvertenza che questo genere di ricerca, in assenza di nostri diretti competitori, si traduce inevitabilmente in un danno irreparabile agli altri esseri viventi e alla biosfera nel suo complesso.
Un paio di elementi di particolare interesse relativamente alla graduatoria dei grattacieli più alti:
1 - al terzo posto si trova la Al-Bait Abraj Towers, complesso di edifici monumentali ubicato a La Mecca, in mezzo al deserto, dietro la spianata contenente la Kaaba, il luogo più sacro dell’Islam. Raggiunge i 530 metri di altezza, 601 tenendo conto dell’antenna/guglia. La presenza di questo edificio in quel luogo dimostra come anche le religioni considerate più “integraliste” non rifuggano dalle sirene della modernità e del progresso tecnologico. Del resto non è stato proprio Allah, come Yahweh, a collocarci al vertice della Creazione?
2 – oggi l’edificio più alto del pianeta è il Burj Khalifa (Torre di Khalifa) e si trova a Dubai. Khalifa è il nome dell’Emiro di Abu Dhabi a cui è dedicata la torre. Misura al tetto 739 metri, che diventano 829,8 considerando i sovrastanti elementi architettonici non strutturali.
È la più alta torre mai realizzata dall’uomo, ma già un nuovo edificio, di cui è iniziata la costruzione nel 2013, sta per carpirle il primato. Si chiamerà Jeddah Tower e sarà il primo grattacielo a superare i 1.000 metri di altezza!
Nel 1957 il famoso architetto americano Frank Lloyd Wright aveva presentato il progetto per un grattacielo alto oltre un miglio (1.600 m) che doveva essere costruito a Chicago, ma l’impresa non ebbe seguito. Ecco il tipico esempio di come la via delle realizzazioni umane, pur non essendo sempre diritta, tende comunque ad avanzare di continuo. Alle volte ci si ferma un attimo, alle volte si riflette, ma indietro non si torna mai: ciò che non viene concretizzato oggi lo sarà domani, tutto ciò che può essere realizzato prima o poi lo sarà, nel bene o nel male (si pensi all’utilizzo dell’energia atomica sia a scopi di pace sia a scopi di guerra).
La storia dei grattacieli e quella del progresso vanno di pari passo: entrambe puntano diritte alla fase finale della malattia che noi rappresentiamo per il pianeta Terra.

lunedì 4 maggio 2020

La scienza del Coronavirus dalla teoria alla pratica





Guest post di Fabio Vomiero

Mi ero ripromesso di non scrivere niente sul Coronavirus, visto che il panorama mediatico è già ampiamente affollato fino alla noia.

Poi però ho pensato che potesse invece trattarsi di una buona occasione per cercare di analizzare, in chiave epistemologica, l'incontro tra gli aspetti più teorici della scienza stessa e gli aspetti invece più pratici, quelli per esempio delle reazioni concrete del mondo scientifico di fronte ad una insolita emergenza, o quelli, ancora più interessanti, delle interconnessioni, spesso problematiche, tra scienza e società.

Cominciamo quindi dall'inizio. Una pandemia virale di origine zoonotica, originata molto probabilmente da una serie di comportamenti umani assolutamente deplorevoli, ampiamente pronosticata dalle scienze biologiche da almeno un trentennio, e che arriva dopo che i precedenti segnali di allarme, susseguitesi a pochi anni di distanza l'uno dall'altro, i casi SARS e MERS, non erano andati a buon fine, dalla prospettiva del virus, soltanto per via di qualche contingenza fortunata.

E questo è già il primo grande tema su cui riflettere: la scienza da una parte, che studia, indaga, capisce, conosce, predice scenari, individua rischi, e la società bulimica e intellettualmente limitata e miope dall'altra, che non riesce a guardare oltre l'orizzonte piatto del PIL, dell'economia e della finanza.

Vengono allora in mente una miriade di altre questioni analoghe: i cambiamenti climatici, lo sfruttamento e l'esaurimento delle risorse, l'inquinamento, la prevenzione dei danni da terremoti o da altri eventi estremi, il modello alimentare e dello stile di vita, gli OGM e altro ancora.

Ma il Covid-19 è comunque una novità nel panorama scientifico, è un virus nuovo, non lo conosciamo nel dettaglio, non ci sono cure specifiche nè vaccini, non abbiamo solidi dati epidemiologici disponibili, tuttavia, come spesso accade, la scienza trova e utilizza sempre i metodi e le conoscenze per poter operare nel miglior modo possibile.

Si costruiscono modelli, si fanno inferenze e ragionamenti, si individuano pattern ricorrenti, si trovano analogie con quello che già si sa, si elaborano le migliori ipotesi plausibili, si utilizza la mente allenata e preparata di gente che studia sistemi simili da tutta una vita, non si cade mai dalle nuvole come invece fanno la maggior parte dei politici e di tutte quelle persone che leggono soltanto i romanzetti d'amore, piuttosto che qualche buon libro divulgativo scritto da scienziati seri e preparati.

Ma il prof. Burioni dice una cosa, il prof. Tarro un'altra, la professoressa Capua un'altra ancora... Certo, è possibile, non è una cosa positiva, ma è possibile, semplicemente perchè nè Burioni, nè Tarro e la Capua sono "la scienza", ma soltanto alcuni esponenti umani della scienza stessa che, con tutti i loro pregi, i loro limiti, le loro ambizioni e il loro background culturale, decidono di esporsi al pubblico con ragionamenti anche rischiosi, così come ogni altro essere umano.

Bisogna quindi stare molto attenti di questi tempi, è per questo che anche nei confronti della scienza, prima o poi dovremo imparare necessariamente a "farci l'orecchio", allo stesso modo di come ce lo facciamo naturalmente e allegramente per la letteratura, la pittura o la musica.

Del resto, anche nel caso del Coronavirus, fin dal momento dell'inizio dell'epidemia si sarebbero già potuti tracciare, a grandi linee, i possibili scenari con le sole conoscenze scientifiche che già avevamo e che comunque sono state poi integrate velocemente dai risultati che man mano sarebbero arrivati da quella grande macchina di produzione di conoscenza che si chiama ricerca scientifica. Un sistema di lavoro creativo, intersoggettivo, universale, sinergico e proteso verso obiettivi comuni, che unisce gli scienziati negli intenti e nei metodi e dove certamente non mancano i dibattiti e le discussioni, seppure all'interno di linguaggi e contesti specifici e condivisi.

I problemi, infatti, non sono quasi mai rappresentati dalla scienza, siamo sempre noi, semmai, miseri esseri biologicamente simili a molti altri animali, che facciamo un uso spesso sconsiderato delle conoscenze scientifiche per creare i nostri "mostri", teorici o tecnologici che siano. Scienza e tecnica non sono per niente la stessa cosa anche se seguono dinamiche molto spesso interconnesse, ci vuole la massima chiarezza su questo punto.

Tornando al Coronavirus, per esempio, anche la creazione dell'ultimo gadget tecnologico, "App Immuni", non è affatto scienza, ma soltanto l'ennesima e misera dimostrazione di quanto, in effetti, le logiche della scienza continuino ad essere, purtroppo, ancora molto distanti da quelle di certa tecnologia e della società.

Nel caso di Immuni, per esempio, si tratta ancora una volta di quella diffusa trappola concettuale che tende a confondere la realtà, con il modello della realtà stessa.

Tutti i dati che abbiamo sull'epidemia, infatti, non sono dati reali, ma soltanto stime, modelli quantitativi che a fatica sviluppiamo per poter studiare e seguire in qualche modo il fenomeno. I numeri reali sono tutt'altra cosa e nessuno li conosce veramente, probabilmente il numero dei contagiati effettivi da Coronavirus potrebbe essere di almeno 3-4 volte superiore, ma ne sapremo certamente di più tra qualche mese.

Ma a parte l'allegorica trovata di Immuni e di qualcos'altro, una lancia a favore del nostro governo la vorrei comunque spezzare, perchè, nonostante gli errori ovvi e naturali che chiunque avrebbe commesso in una situazione del genere, i nostri rappresentanti hanno invece capito, con coerenza e intelligenza, che l'unico modo possibile per cercare di gestire e arginare al meglio l'emergenza sarebbe stato quello di ascoltare e avere fiducia nelle principali istituzioni scientifiche nazionali e internazionali.

Per esempio, l'epidemia nel nostro Paese è iniziata, come sempre accade, con una curva di aumento dei nuovi casi (incidenza) di tipo esponenziale, ma che ha raggiunto rapidamente il suo punto di flesso soltanto dopo un mese circa (esattamente una dozzina di giorni dopo l'inizio del lockdown), mentre i casi totali (prevalenza) hanno raggiunto, per il momento, un valore massimo che, tenendo conto di quel fattore 3 o 4, potrebbe essere stimato in almeno 600.000-800.000 casi.

Ebbene, 600.000 casi sono soltanto l'1% della popolazione italiana. Sapete quanti contagiati fa l'influenza, il cui modello epidemiologico dinamico diventa a questo punto molto interessante perchè, comunque sia, si tratta di un altro virus a RNA, a diffusione aerea come il Coronavirus e dall'indice di contagiosità apparentemente molto simile? 6 milioni almeno ogni anno, al netto di tutti i vaccinati.

Vogliamo quindi provare a tradurre una possibile ondata di 6-8 milioni di persone affette da Coronavirus nel giro di qualche mese, nel numero di pazienti da intubare in terapia intensiva o nei relativi morti? Ognuno si può fare il proprio semplice calcolino considerando che la percentuale di casi che necessitano di terapia intensiva è di circa il 10%, mentre l'indice di letalità è intono al 3%.

Ecco perchè l'attuazione di straordinarie misure di sanità pubblica, il cosiddetto "lockdown", che peraltro non è mai stato completo, è stata una scelta necessaria e fondamentale, proprio perchè in assenza di un vaccino o di un'immunità di gregge naturale, nonchè di cure specifiche, il distanziamento sociale e il rispetto di basilari regole igieniche e comportamentali sono diventati l'unica nostra possibilità di scampo.

Da questo questo punto di vista, pertanto, anche la cosiddetta "fase 2" diventa anch'essa un passaggio logico e razionale; si prova a riavviare gradualmente il sistema socio-economico, monitorando però attentamente la reazione dei dati epidemiologici e si rivaluta periodicamente. D'altra parte il virus circola ancora, e anche se subisce delle mutazioni e l'estate oramai alle porte ci darà certamente una mano, non c'è alcuna evidenza scientifica che sia diventato "meno potente"come qualcuno dice. Altro che riaprire tutto, quindi.

Un pò come si fa nel caso di una reazione allergica alimentare quando si devono togliere di colpo tutti gli alimenti sospetti per poi provare a reintrodurli, uno alla volta, per testare l'eventuale reazione del paziente.

E non fatevi nemmeno ingannare dalle costanti bufale, fake, interpretazioni superficiali di dati e fraintendimenti vari, che spesso spopolano nei media e nel web, come quando per esempio si racconta di Paesi dove tutti fiabescamente hanno continuato la loro vita normale e il virus non ha fatto alcun danno, o di altri, che pur avendo implementato qualche forma di lockdown, hanno poi riaperto tutto dall'oggi al domani senza il minimo fastidio. Anche perchè, ammesso che così fosse, gli eventuali danni si paleserebbero dopo almeno un paio di settimane, non il giorno dopo.

Pertanto, per evitare il rischio di guai ancora più seri, non è che abbiamo molte altre possibilità per il prossimo futuro. Del resto, tutto ha un costo nell'economia della vita e, in ogni caso, bisogna sempre fare delle scelte precise e spesso anche difficili, tra le molte possibili.

Dovremo quindi necessariamente imparare a convivere con il virus, almeno per un pò, osservando attentamente tutte quelle linee guida comportamentali dettate da chi studia da una vita le epidemie e la profilassi e, nel frattempo, osservare attentamente come risponderanno gli indici epidemiologici, in attesa della disponibilità quantomeno di un vaccino sicuro ed efficace, oppure di una sempre possibile attenuazione della contagiosità e/o della patogenicità del virus per cause naturali perlopiù imprevedibili.

E ai tanti amici "dissidenti concettuali", che presto fanno a parlare maldestramente di "dittatura", scientifica o politica che sia, vorrei quindi ricordare che l'alternativa a questa certamente impegnativa linea programmatica, sarebbe stata, con tutta probabilità, quella di avere invece un'emergenza sanitaria fuori controllo con una marea di morti e di malati che non si sarebbero potuti curare a causa della rapida saturazione delle strutture sanitarie.

Come se, fra l'altro, le molte migliaia di persone già decedute prematuramente in solitudine senza nemmeno il conforto dei propri cari, compresi medici e infermieri, e le molte altre migliaia di pazienti che hanno sofferto le pene dell'inferno per moltissimi giorni, immobili, da soli, e con un tubo infilato nella gola e con chissà quali conseguenze future, non fossero già abbastanza.


domenica 3 maggio 2020

Per una rilettura dell'antispecismo


Peter Wenzel - Adamo ed Eva nel paradiso terrestre

Guest post di Bruno Sebastiani

Un “amico” di Facebook, commentando il mio articolo su “Antivaccinismo e dintorni”, conclude dicendo: “Sarebbe davvero interessante una lettura dell'antispecismo dal punto di vista “cancrista”.
Detto fatto. Lo accontento subito, anche perché l’argomento è ben ricco di stimoli, tutti da approfondire.
Egli dice: “Obiettivo dell'antispecismo è superare le gerarchie delle specie. Non è un'ideologia, ma un dato scientifico, perché è la stessa scienza a dimostrare che non esiste una specie animale più importante di un'altra.”
Poi soggiunge: “Non è il caso di addentrarsi nelle motivazioni filosofiche ed etiche che stanno dentro al pensiero antispecista […] metterlo accanto ai no vax mi sembra qualcosa di molto azzardato se non addirittura molto superficiale”.
Effettivamente io avevo immaginato un unico ampio schieramento che raggruppasse tutti gli “anti” che si contrappongono alla società edonista – consumista, al fine di proporre la teoria cancrista come elemento “ideologico” unificante.
Ero consapevole della differenza che intercorre tra le varie anime di questo mondo, che definivo “variegato e combattivo”, ma in quella sede mi premeva concentrarmi più sulla proposta che non sull’analisi delle varie componenti.
Affrontare ora il discorso dell’antispecismo è l’occasione per fare un ulteriore passo avanti nell’opera di chiarificazione e di unificazione degli sforzi di tutte le cellule-uomo consapevoli della propria nocività per la biosfera.
I termini “specismo” e “antispecismo” risalgono al 1970 e da allora hanno trovato diffusione nel mondo ambientalista e, più specificamente, in quello vegano - animalista.
Ma i concetti che sottintendono sono vecchi come il mondo. In occidente è stato Aristotele il primo a teorizzare la superiorità della nostra specie su tutte le altre, come ebbi a ricordare nel mio primo libro: “Tutti gli uomini sono protesi per natura alla conoscenza”, questo l’incipit della Metafisica, e subito dopo viene confermata, come cosa ovvia e scontata, la superiorità dell’essere umano su tutti gli altri animali, alcuni dei quali sarebbero privi di memoria, e quindi non possono far tesoro dell’esperienza, altri non avrebbero capacità di imparare in quanto privi di udito. Quelli dotati di memoria e udito sarebbero capaci di imparare, ma nella loro vita “sono presenti soltanto immagini e ricordi, mentre l’esperienza vi ha solo una limitatissima parte; nella vita del genere umano, invece, sono presenti attività artistiche e razionali” (da “Il Cancro del Pianeta”, cap. 12)
Da lì in avanti ogni filosofo, ogni corrente di pensiero, indipendentemente dall’appartenenza ideologica, religiosa o culturale, ha sempre confermato la superiorità della specie Homo sapiens su ogni altra.
Prima di occuparmi di questa visione del mondo indifferenziata e totalizzante, vorrei soffermarmi sul fatto che la stessa era ovunque diffusa ben prima dei ragionamenti di Aristotele.
Questa considerazione non è affatto scontata. Infatti molti, in accordo con il mito rousseauiano del buon selvaggio, pensano che gli uomini primitivi vivessero in armonia con la natura, nel rispetto di ogni essere vivente.
Purtroppo non era così. O meglio: forse lo era prima che il nostro cervello subisse l’abnorme evoluzione che ci trasformò in quello che siamo, quando cioè eravamo dei semplici primati, come i gorilla e gli scimpanzè.
Da quando diventammo “homo”, prima “habilis”, poi “erectus” e infine “sapiens”, il nostro rapporto con flora e fauna è sempre stato conflittuale.
Le nostre accresciute capacità cerebrali ci servirono per organizzare battute di caccia più proficue e per ricavare dalla terra prodotti più abbondanti di quelli che potevamo raccogliere a mani nude nei boschi.
Ma questo riferimento alla caccia e all’agricoltura non rende bene l’idea delle estinzioni e delle devastazioni che abbiamo perpetrato ai danni della biosfera sin dai primordi.
In America distruggemmo la mega fauna, in Europa gli orsi, i lupi e ogni altro animale in competizione con noi per il cibo e in Nuova Zelanda i giganteschi moa.
Il tema è assai ampio. Rinvio chi volesse approfondirlo al mio articolo su “La distruzione della natura nell’antichità” o al sesto capitolo del libro di Stefano Mancuso “L’incredibile viaggio delle piante” (Editori Laterza).
Occupiamoci ora del “post Aristotele” e dell’idea, ovunque diffusa e pressoché unanimemente condivisa nei secoli, della superiorità della nostra specie su ogni altro essere vivente.
È vero, come afferma il mio amico di Facebook, che “è la stessa scienza a dimostrare che non esiste una specie animale più importante di un'altra”?
No, caro amico, purtroppo non è vero. Certo, la scienza non rileva differenze tipologiche, non dice, ad esempio, che l’uomo è dotato di un’anima immortale e gli animali no, che gli uomini provano sentimenti e gli animali no. Ma certifica qualcosa di ben più importante al fine di sancire la differenza tra noi e loro, per stabilire inequivocabilmente la nostra superiorità nei loro confronti: conta il numero dei neuroni e delle sinapsi all’interno del cervello, sia del nostro sia di quelli di ogni altra specie animale. Così facendo appura in modo matematico, inequivocabile e incontrovertibile, l’immensa superiorità quantitativa del nostro connettoma, ovvero della nostra intelligenza, rispetto a quella di ogni altra specie vivente.
È non è questo il tipo di superiorità, di importanza, che ci pone “di diritto” ai vertici della piramide gerarchica della biosfera?
Per chi volesse prendere visione di uno dei tanti articoli scientifici che attestano questa realtà, suggerisco di consultare quello che ho inserito tra i documenti del sito de Il Cancro del Pianeta, originalmente pubblicato su Frontiers in Neuroanatomy.
Sento già sollevarsi le proteste di chi dice: “Ma essere più intelligenti non significa avere maggiori diritti e poter disporre a piacimento della vita altrui! Anzi, significa avere più responsabilità nella salvaguardia dei diritti dei più deboli!
Santa innocenza! Ma se non è bastata la predicazione di Gesù Cristo, del Buddha e di Maometto per dare a questo mondo la giustizia, se non sono bastate la Rivoluzione americana, quella francese e quella comunista per tutelare i diritti dei più bisognosi (e parliamo di uomini…), come ci si può illudere che i nostri contemporanei, sempre più sotto pressione a causa di sovrappopolazione, esaurimento delle risorse, inquinamento e riscaldamento globale, si prodighino per alleviare le sofferenze degli animali?
Sarà un caso, ma queste sofferenze sono proprio aumentate a dismisura da quel 1970 in cui si cominciò a parlare di “antispecismo” (più probabilmente si cominciò a parlarne proprio perché qualcuno si avvide delle sofferenze che avevamo iniziato a infliggere agli animali su vasta scala).
Gli allevamenti intensivi si sono moltiplicati e si sono estesi anche al mondo acquatico. Certo, nel frattempo sono stati chiusi un po’ di zoo e forse è diminuita qualche esibizione ferina nei circhi. Ma queste operazioni di facciata nascondono un mondo di sofferenze animalesche che si è enormemente dilatato.
Come affrontare dunque il problema da un punto di vista concettuale per dare all’antispecismo delle basi ideologiche più solide di quelle velleitarie che lo hanno sin qui contraddistinto?
La mia proposta è la seguente:
1) abbandonare l’idea che tutte le specie siano uguali e abbiano pertanto diritto ad occupare il medesimo posto nella scala gerarchica della biosfera. Non lo sono, come abbiamo visto, per intelletto (punto principale), ma non lo sono neppure per dimensioni né per capacità di accesso al cibo (è la cosiddetta catena alimentare a stabilire chi sta alla base e chi ai vertici del processo nutritivo);
2) riconoscere che l’essere umano, a seguito di fortuite alterazioni intervenute nel suo patrimonio genetico, ha conseguito capacità cerebrali maggiori di ogni altro essere vivente (vedasi -tra i vari riferimenti- l’articolo a suo tempo pubblicato su Wired da Viola Rita con i link da me aggiunti alla relativa documentazione scientifica);
3) prendere atto che queste capacità cerebrali hanno creato gravissimi danni all’ambiente, dimostrando che l’essere umano è in grado di sbilanciare a proprio vantaggio gli ultra-delicati equilibri della biosfera, ma non è assolutamente capace di ricreare un equilibrio complessivo altrettanto stabile come quello distrutto, indispensabile al mantenimento della vita sul pianeta;
4) ammettere che una siffatta attività è del tutto analoga a quella svolta dalle cellule del nostro organismo quando da sane si trasformano in tumorali a seguito di fortuite mutazioni nel loro materiale genetico. Ciò comporta l’alterazione irreversibile dell’equilibrio tra la proliferazione e la morte cellulare programmata (omeostasi) e dà luogo a una divisione cellulare incontrollata, con la conseguente distruzione dei tessuti sani adiacenti e poi di quelli più remoti attraverso le metastasi;
5) dedurre da quanto precede che le capacità cerebrali maggiori di cui al punto 2), lungi dal costituire la causa della superiorità della specie Homo, sono l’elemento che ne determina la nocività, avendolo trasformato in agente distruttore della biosfera.
A questo punto specismo e antispecismo assumono un significato diverso da quello che siamo soliti attribuire a queste due categorie. Non dobbiamo combattere il primo in nome della parità delle specie, ma dobbiamo riconoscere che le differenze tra le specie esistono. Dobbiamo però prendere atto che solo una (la nostra) ha rotto il patto di alleanza con la natura, mentre tutte le altre, pur nella loro diversità, hanno sempre vissuto rispettando l’equilibrio interspecifico inscritto nel loro DNA (non considero qui i comportamenti abnormi degli animali addomesticati o destinati alla macellazione, in quanto indotti dalla specie umana).
Definirsi cancristi anziché antispecisti significa dunque aver fatto un passo in più sulla via della consapevolezza (si veda in proposito la presentazione del mio libro “Il cancro del pianeta consapevole).
Siamo specisti perché riconosciamo che le differenze tra le specie esistono e siamo cancristi perché riconosciamo che l’unica nociva per la biosfera è quella umana.
Dopodiché chi è sensibile al benessere del mondo animale continuerà ad adoperarsi per alleviarne le sofferenze e chi non lo è (la stragrande maggioranza della popolazione) continuerà a comportarsi come prima.
Ma per cercare di convincere questi ultimi a modificare i propri comportamenti non dobbiamo sostenere che tutte le specie sono uguali.
Dobbiamo dimostrare che la nostra è dannosa, che siamo il cancro del pianeta!