venerdì 6 marzo 2020

Il Segno della Terra: Un saluto per i tempi del coronavirus



Statuette sumere del 2700 a.C., attualmente presso l'Iraq Museum di Baghdad. Cosa stanno facendo? Stanno pregando? O forse stanno cantando? Potrebbe anche essere che questo sia un gesto di saluto. In una leggera variante, le mani tenute in questo modo potrebbero simboleggiare la sfera rotonda della Terra - questo potrebbe essere definito "Il segno della Terra" o "Il segno di Gaia". Potrebbe essere una buona idea resuscitare questo tipo di saluto ai tempi del coronavirus

English Version

Gli esseri umani si sono salutati per tutta la loro lunga storia in vari modi. Anche la stretta di mano standard è molto antica, anche se è tornata di moda solo negli ultimi tempi. Principalmente, fu solo durante il diciannovesimo secolo che la stretta di mano sostituì il cappello. Quest'ultimo era considerato elitario perché i cappelli venivano usati per contrassegnare il proprio status sociale.

Alcuni gesti di saluto hanno un suono inquietante, come il "saluto romano" che i fascisti italiani avevano adottato e diffuso. Al contrario, il tradizionale gesto di saluto buddista non ha quella cattiva fama. Si chiama Anjali Mudra, o Namaste in Hindi. Viene fatto con le mani unite davanti al petto e inchinandosi un po 'in avanti, come fa Richard Gere nell'immagine. In Iran, ho visto persone che si salutavano mettendosi una mano sul petto e inchinandosi leggermente. Penso che sia uno stile un po' passato di moda anche in Iran, ma è un modo gentile per mostrare rispetto reciproco.

Ognuno di questi gesti e molti altri potrebbero essere utili per un nuovo stile di saluti nell'età del coronavirus, quando non è consigliabile che le persone si tocchino. L'idea sembra diffondersi: in Italia qualche idiota ha persino proposto di tornare al saluto fascista! Personalmente, ho usato spesso il gesto del namaste. È una cosa gentile e vedo che si sta diffondendo, anche se all'inizio è un po' una sorpresa per chi viene salutato in quel modo per la prima volta.

Ma mi ero posto una domanda anche prima dello scoppio dell'epidemia di coronavirus. Potremmo escogitare qualche gesto nuovo, originale, adatto ai nostri tempi? Qualche settimana fa, ero con la mia collega Ilaria Perissi e stavamo discutendo di questa idea. Quale potrebbe essere un gesto riconoscibile che definirebbe i vari movimenti che chiamiamo "extinction rebellion", "venerdì per il futuro" e simili?

Avevo già in mente qualcosa come il gesto sumerico, quello che si vede nella figura all'inizio di questo post. Ma prima che potessi dire qualcosa al riguardo, Ilaria ha unito le sue mani a forma di sfera e e ha detto: "Questo è il segno della Terra". Ecco le mani di Ilaria, in una foto scattata proprio quel giorno!



Sono rimasto di stucco: non avevo immaginato di avere una collega Sumera! Ma mi ha detto che non conosceva il gesto sumero prima che le parlassi. Aveva solo pensato che formare una sfera con le sue mani poteva essere buon modo per simboleggiare la Terra. E penso che abbia ragione: potrebbe essere un nuovo modo di salutarsi, con un cenno ai nostri antichi antenati sumeri (non so se avessero immaginato che la Terra fosse una sfera, ma avrebbero potuto).

Quindi, stiamo sperimentando questo segno di saluto. Sembra funzionare bene, è molto simile al segno del namaste se accompagnato da un inchino in avanti, ma con il significato aggiunto di un'espressione di rispetto per la nostra Madre Terra. Chissà? È un'idea che potrebbe diffondersi! Alcuni dei miei studenti hanno gentilmente accettato di posare mentre facevano il segno. Eccoli qui, fluttuanti nello spazio.


Per finire, ecco di nuovo Ilaria mentre fa il segno della Terra. Lo sfondo è coerente con la sua esperienza nell'esaurimento delle risorse marine, argomento del nostro prossimo libro, Il mare svuotato.




















Se poi volessimo proprio fare i Sumeri, potremmo accompagnare il gesto con le parole sumere  Silim o Silimma Hemeen, entrambi vogliono dire "sii in buona salute", cosa che sembra particolarmente appropriata alla situazione attuuale

mercoledì 4 marzo 2020

Filtri identitari, nazionalismo e crisi ecologica




Un post di Federico Tabellini

Nei momenti di grande incertezza, negli esseri umani cresce il bisogno d'identità. Gli eventi politici recenti, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, ne sono la prova. Uno spirito anti-globale e localistico ha preso d’assedio le due sponde dell’atlantico. Nonostante la globalizzazione dell’informazione, e forse in parte per sua causa, lo stato-nazione – questo binomio in apparenza inscindibile nel nostro tempo – è riemerso prepotentemente come il frame interpretativo egemone sulla realtà: un vero e proprio manto ideologico che ricopre ogni cosa, alterandone la fisionomia.

Gli stati fanno appello all’identità nazionale per rafforzare la propria coesione interna. Le nazioni che non sono organizzate in stati (la Catalogna, per esempio) rivendicano un riconoscimento istituzionale: vogliono costituirsi come stati. Oggi più che quindici anni fa, vediamo attraverso le lenti distorsive dello stato-nazione, ci sentiamo parte di esso, e in base a esso ci auto-definiamo nelle nostre interazioni con gli altri. Persino chi nel proprio intimo non vede, non sente e non si definisce in rapporto allo stato-nazione, ne è costretto nei propri rapporti sociali da un lessico culturale comune. L’alternativa è l’incomprensione, l’isolamento socio-semantico. Siamo italiani, cinesi, statunitensi o indiani prima che esseri umani. La domanda ‘sei italiano?’ utilizza il verbo essere in quasi tutte le lingue indoeuropee. Se l’io è un individuo, il noi, quando non specificato, è una nazione; il loro è una nazione.

L’identità, è fatto noto, nasce dalla distinzione. Per fare parte di qualcosa, occorre auto-escludersi da una realtà più ampia. La mera somiglianza raramente accende la scintilla identitaria. Tutti siamo umani, solo alcuni sono italiani: per ciò, mentre con la specie umana non intratteniamo una relazione emozionale, essere italiani è un sentimento identitario. Essere italiani è un’esperienza, essere umani una mera constatazione. Sappiamo di essere umani ma sentiamo di essere italiani. E poco importa che essere umani costituisca una realtà tangibile, biologica, laddove essere italiani rappresenti un mero costrutto storico-culturale. I costrutti storico-culturali appaiono spesso più reali della realtà, non è forse vero?

Sì – è vero –, ma cosa c’entra tutto questo con i temi trattati sul blog? C’entra, c’entra eccome. La rinnovata importanza delle identità nazionali si ripercuote sul modo in cui i grandi problemi del presente vengono non solo percepiti, ma anche affrontati (o  ignorati). I problemi locali diventano magicamente problemi nazionali, problemi degli italiani. Lo stato se ne deve assumere la responsabilità legale, certamente, ma sono gli individui ad attribuire ad esso una responsabilità morale. E i problemi globali, o anche solo transnazionali, non avendo un referente identitario chiaro cui fare appello, sono avvertiti come seccature esterne da delegare, o di cui liberarsi al più presto. La colpa è degli indiani, si dice, dei cinesi, o di un altro esterno che, guarda caso, è sempre rinchiuso nei confini semantici dello stato-nazione.

In Italia tanto il voto alle elezioni regionali quanto quello alle europee è di norma ridotto a un terreno di prova per le elezioni nazionali, le uniche che sembrano avere valore. La stampa e i media di massa privilegiano le notizie di portata nazionale, relegando alle pagine interne tanto quelle locali quanto quelle di portata globale, oppure ponendo l’attenzione su loro aspetti di livello nazionale. I problemi degli italiani diventano così più importanti di quelli dei milanesi o degli europei. La crisi ecologica globale, invece, acquista cogenza e riceve la maggiore attenzione solo quando la sempre più frequente alluvione o (inserisci-qui-un-disastro) colpisce la penisola.

Il doppio binario con cui si considera lo stato-nazione e qualsiasi altra entità politica fa sì che una riforma sgradita a livello europeo spinga ampie frange della popolazione a voler mandare all’aria l’intera Unione, laddove la medesima riforma a livello nazionale provocherebbe al più la richiesta di un cambio nella gestione dello stato. Dai problemi sovra-nazionali si scappa, solo i problemi nazionali vengono affrontati – spesso male, ma questo è un altro discorso. Tale atteggiamento è uno dei principali fattori alla base della paralisi politica di fronte alle grandi sfide globali del nostro tempo, crisi ecologica in primis. (E la colpa del fallimento, superfluo ribadirlo, è sempre dell’altro, e l’altro è sempre, immancabilmente, uno stato-nazione).

Vuoi un esempio? Eccone qua uno: accecati dalla nostra visione stato-centrica del mondo, dimentichiamo che i cinesi, pur contribuendo per un quarto alle emissioni globali di Co2, inquinano assai meno degli statunitensi, che concorrono per un ‘mero’ 15%. Eh sì, perché i cinesi sono 1 miliardo e 400 milioni, gli statunitensi ‘solo’ 320 milioni. Però a noi usare gli stati come metro di giudizio fa assai comodo. Utilizzare le emissioni pro capite come metro di giudizio farebbe ricadere la responsabilità sui nostri consumi, sui nostri stili di vita insostenibili. Utilizzare gli stati ci permette di andare in piazza a protestare contro il riscaldamento climatico dopo un pranzo veloce al MacDonald. Grazie alla loro visione stato-centrica del mondo, gli statunitensi possono illudersi di essere virtuosi. Loro (il ‘popolo americano’, non i singoli americani) inquinano meno dei cinesi! E gli australiani? Hanno le più alte emissioni pro capite al mondo dopo l’Arabia Saudita, ma ci sono solo 25 milioni di australiani. Un altro popolo virtuoso. 

Se solo avessimo il coraggio di scostarci per un istante dagli occhi le nostre preziose lenti identitarie, il mondo ci apparirebbe diverso, assai diverso. Chissà, potremmo persino arrivare a condannare gli australiani più dei cinesi, i tedeschi più degli italiani, gli italiani più degli indiani. Ma sarebbe un errore. Perché non è questo il punto. Non il principale, almeno. Il punto è che sono gli individui che inquinano, non i popoli. Ciò non vuol dire che i governi nazionali, in quanto nucleo del potere politico globale, non abbiano la responsabilità più grande di avviare il cambiamento. Significa però che la ripartizione dell’onere di quel cambiamento non può avere come punto di riferimento esclusivo gli stati. Dividere la popolazione mondiale per le emissioni globali e vedere di quanto sono superiori a un livello di emissioni pro capite sostenibile per il pianeta, e usare quel numero come referente individuale, ha più senso che parlare delle emissioni della Cina, dell’India e degli Stati Uniti. È anche probabile che ci faccia passare dalla parte del tort… ah! Hai visto com’è facile? Ci sono quasi cascato anch'io. Stavo parlando ancora di noi-italiani; mi stavo rimettendo le lenti davanti agli occhi. Invece proviamo a guardarci come individui, e a giudicarci come tali, e a usare un plurale (se proprio dobbiamo) che trascenda i confini immaginari delle nazioni. Un plurale inclusivo, che responsabilizzi tutti in egual misura, senza discriminare secondo la categoria più idiota di tutte: il luogo di nascita. Dovremmo farlo a maggior ragione in questo momento d’incertezza, di crisi identitaria (espressione paradossale, visto che l’identità l’alimenta, la crisi).

Noi europei, che in gran parte non sentiamo di esserlo, ripudiamo l’Europa invece di renderla, come sarebbe auspicabile, il fulcro  di uno sforzo comune e coordinato verso il cambiamento. Ci rifugiamo nei nazionalismi, quando ciò di cui avremmo disperatamente bisogno è un meta-nazionalismo che ponga al centro l’essere umano. Un eco-umanismo globalizzato che ci faccia vedere il mondo in termini di individui (presenti e futuri) e specie – non solo quella umana, ma anche le numerose altre che stiamo distruggendo giorno per giorno –, anziché in termini di nazioni. Un meta-nazionalismo che ci faccia sentire più europei che italiani, e più umani che europei. E che ci faccia vedere in faccia la realtà.

Come dici? Non riesci proprio a vederla? Guarda qua, l’ho compressa in una frase e ripulita per bene dalle incrostazioni sovraniste, che di questi tempi quelle si appiccicano ovunque come la muffa. Ecco, sta qui sotto:

‘Il futuro dell’Europa conta più del futuro dell’Italia, e il futuro del pianeta infinitamente più di entrambi.’

Abbiamo fatto l’Italia, abbiamo fatto gli italiani. Ora è tempo di fare l’Europa e gli europei, e l’umanità soprattutto, e gli esseri umani.

sabato 29 febbraio 2020

Il potere della parola


Un Post di Bruno Sebastiani


Sin dalla più remota antichità è ben noto il potere della parola parlata e ancor più di quella scritta.
“Verbo”, “Logos” sono due tra le definizioni che meglio descrivono questo concetto.
Il linguaggio verbale articolato è prerogativa unica della nostra specie. Ha potuto svilupparsi a seguito della abnorme evoluzione intervenuta nella scatola cranica del genere Homo.
Man mano che aumentava il numero dei neuroni, delle sinapsi e dei relativi collegamenti all’interno della neocorteccia, le nostre capacità verbali andavano affinandosi e articolandosi in parole, frasi, ragionamenti.
Da allora l’organizzazione sociale dell’umanità si è sviluppata come ben sappiamo. Ma quello che vorrei sottolineare con questo mio intervento è che la gran parte dei ragionamenti di Homo sapiens si è basata su alcune parole chiave dal significato comunemente e universalmente accettato.
Una di queste è proprio la parola “uomo” e tutte le sue derivazioni: umanità, umano e, ovviamente, anche il suo femminile, donna, e i suoi dintorni, famiglia, figli, nipoti, genitori, e le sue estensioni, umanesimo, persona ecc. A tutti questi vocaboli è convenzionalmente attribuito valore più che positivo, sacro. La supremazia del genere Homo è un diritto acquisito e conclamato. L’essere supremo stesso, dio (altra parola chiave), ci ha investiti di tale diritto, che nessuno può e deve contestare.
Questa idea, questa visione del mondo, ruota intorno alla parola “uomo”, che rappresenta il perno, l’asse portante di tutta la costruzione ideologica che abbiamo edificato per giustificare il nostro dominio nei confronti di ogni altro essere vivente.
Una serie di altri sostantivi (e relativi aggettivi) beneficiano di un valore altrettanto positivo in quanto intimamente connessi alla condizione umana: intelletto, ragione, coscienza e così via, (intelligente, raziocinante, cosciente ecc.).
In opposizione a queste “parole chiave” dall’intrinseco valore positivo, all’interno del vocabolario ne sono rintracciabili altre dall’intrinseco valore negativo.
“Bestia”, “animale”, “belva” sono le più generiche, “asino”, “maiale”, “serpe” ecc. le più specifiche.
Inutile dire che la valenza contraria trae origine dall’assenza di quelle qualità tipicamente “umane” che attribuiscono valore positivo a tutto ciò che ruota intorno al concetto di Homo.
E se agli esseri “bruti” viene talvolta riconosciuta qualche caratteristica positiva (fedeltà, perseveranza, acutezza) è solo perché le stesse appartengono anche al genere umano.
In presenza di questo stato di cose, che possibilità di diffusione può avere una teoria che attribuisca valore negativo a quel ben dell’intelletto che accrescendosi ci ha sospinti fuori dallo stato di natura? Pressoché nulla, perché alla parola Homo e a tutti i suoi derivati è collegato un’intrinseca e imprescindibile accezione positiva.
Questo è il grande potere della parola, contro il quale è impossibile battersi.
Proviamo allora ad aggirare l’ostacolo.
Sostituiamo la parola “uomo” con la parola “cellula”.
Quest’ultima è “l'unità morfologico-funzionale degli organismi viventi” (Wikipedia).
E noi uomini, mutatis mutandis, non siamo forse -insieme a tutti gli altri esseri viventi- le unità morfologico-funzionali di un organismo più ampio denominato biosfera?
Senza scomodare l’ipotesi Gaia di lovelockiana memoria, è ben intuitivo il fatto che ogni essere vivente non è isolato, non è fine a se stesso, ma si mantiene in vita solo in quanto appartiene a un sistema composto da miriadi di altri esseri tra loro interagenti. Potremmo forse vivere se non ci fossero le piante e gli animali ad alimentarci? Lo stesso discorso vale per ogni altro vivente, e dunque non solo è plausibile ma è anche ben accettabile l’idea di considerarci cellule tra le cellule, piccole unità morfologico-funzionali del fenomeno “vita”, tipico del pianeta Terra.
Quale vantaggio è ottenibile definendoci “cellule” anziché “uomini”? Che il sostantivo “cellula” non trascina con sé quel pesante fardello di significanze sacre e inviolabili indissolubilmente legate al secondo termine.
Potremo forse così compiere in modo indolore quell’atto di estraniazione indispensabile per far emergere la negatività di quanto accaduto nel nostro cervello a seguito della sua abnorme crescita.
Anche le cellule nascono, si alimentano, si riproducono e muoiono. Ma nessuno ha mai pensato di attribuire loro quell’aurea di sacralità connessa ad ogni essere umano.
Senza questi piccoli mattoncini non ci sarebbe alcun essere vivente, così come senza piante e animali non ci sarebbe vita sulla Terra.
Osservandoci come cellule anziché come uomini riusciremo forse a comprendere la limitatezza delle nostre dimensioni, tanto materiali quanto “spirituali”. Riusciremo anzi a comprendere come questo ultimo genere di dimensioni sia solo un frutto onirico partorito dalla nostra mente a seguito del suo abnorme sviluppo (sulla limitatezza delle nostre capacità intellettive vedasi l’articolo “La nostra intelligenza tra microcosmo e macrocosmo”).
E poi, guardandoci intorno, riusciremo forse a compiere l’ulteriore passo verso la comprensione del fatto che da cellule “sane” ci siamo tristemente trasformati in cellule “malate”, anzi in cellule “maligne”.
La devastazione del pianeta, la nostra espansione territoriale ai danni di ogni altro genere di cellule “sane” sulla Terra (tanto vegetali quanto animali) potrà forse essere più agevolmente compresa nella sua drammatica realtà.
Cellule, non uomini, e per di più cellule malate, non sane.
Il potere della parola “uomo” e dei suoi derivati va disinnescato, pena la impossibilità di comprendere la realtà.

martedì 25 febbraio 2020

Coronavirus: Il Ritorno degli Untori

 

Questo post è una traduzione di un testo in inglese pubblicato su "Cassandra's Legacy" -- è scritto per dei lettori non-Italiani, ma mi è sembrato comunque interessante tradurlo e presentarlo qui.



Alessandro Manzoni (1785-1873) fu uno dei più grandi scrittori italiani della storia, noto anche al di fuori dell'Italia per il suo romanzo "I Promessi Sposi". Manzoni è vissuto molto prima dell'esistenza dei social media e, ai suoi tempi, anche i giornali erano qualcosa di nuovo. Ma era un ottimo osservatore della società e oserei dire che potrebbe essere visto come uno dei primi creatori della scienza che oggi chiamiamo "memetica", la scienza della diffusione delle idee ("meme") .

Nei Promessi Sposi e nel successivo saggio storico "Storia della colonna infame", Manzoni racconta la storia della peste bubbonica di Milano del 1629-1631. Colpendo una società già indebolita da una carestia precedente e dal disastro della guerra dei 30 anni, la peste uccise quasi il 50% della popolazione. Coloro che l'hanno vissuta sono stati preda di un'illusione che li ha portati a pensare che la peste fosse causata dalle azioni dei malvagi definiti "untori", una parola ben nota in italiano ma difficile da tradurre in inglese. Letteralmente, significa "ingrassatori" e si riferisce a persone che diffonderebbero sostanze velenose su persone e cose al fine di diffondere l'infezione - il termine potrebbe anche essere tradotto come "spargitori di peste". Si diceva che gli untori si impegnavano nell'infettare la gente perché posseduti dal diavolo, forse per guadagni politici o economici, o semplicemente perché erano malvagi.

Il romanzo e il saggio di Manzoni forniscono un resoconto straordinario di come il meme degli untori si era diffusa tra i cittadini di Milano al punto che diverse persone innocenti furono linciate per strada. Altri furono accusati, torturati e costretti a confessare i loro presunti crimini. Quindi furono processati in tribunali che non fecero di più che dar voce alla pazzia della folla. Molti furono giustiziati e, in un caso, fu eretta una colonna di pietra ("La colonna dell'infamia") per commemorare l'esecuzione di due di loro.

In questa storia, possiamo immediatamente riconoscere il nostro mondo: l'esistenza dei malvagi untori è un classico esempio di fake news. La reazione aggressiva del pubblico è qualcosa che vediamo ogni giorno sui nostri social media dove, per fortuna, le persone non sono linciate per davvero (finora). Un tocco particolarmente interessante di Manzoni è il personaggio immaginario di Don Ferrante, un mediocre intellettuale mediocre che trova un momento di popolarità quando inizia a dichiarare che la peste non esiste o che, in ogni caso, non è contagiosa, anzi è il risultato di una strana congiunzione astrale. Riconosciamo in questo personaggio alcuni dei nostri moderni "scettici" che sostengono più o meno la stessa cosa sui cambiamenti climatici. Alla fine, anche Don Ferrante si ammala di peste, ma fino all'ultimo momento continua a negare che esista. Muore maledicendo le stelle!

Alcune cose sono senza tempo e non dipendono dall'esistenza di Internet o persino dei media stampati. Ma oggi sicuramente il Web può diffondere odio e notizie false a una velocità incredibile. In Italia, l'epidemia di COVID-19 è arrivata solo qualche giorno fa e i social media stanno già esplodendo in un'ondata di odio contro gli untori odierni, che si suppone siano i Verdi, il Governo, i Comunisti, gli Immigrati, gli Africani e in in generale i "do-gooders" (in italiano, "buonisti") che non hanno fatto nulla per evitare la diffusione della pandemia quando era ancora possibile fermarla.

Nel complesso, il coronavirus è una minaccia che non può essere nemmeno lontanamente paragonata alla peste bubbonica, ma la reazione generale più o meno la stessa: la folla vuole il sangue. Lo affermano chiaramente nei loro commenti (solo un esempio che ho letto ieri: "Sono una madre, se i miei figli si infettano, voi comunisti morirete per primi). Curiosamente, queste sono spesso le stesse persone che accusano gli scienziati del clima di essere "allarmisti".


All'inizio, i leader della destra italiana sembravano intenzionati a usare il coronavirus come strumento per far cadere l'attuale governo di centro-sinistra. Ma sembra che ora si siano tirati un po' indietro, lasciando ai loro seguaci di basso livello il compito di soffiare sul fuoco della polemica. Quindi, vediamo un certo grado di razionalità ancora presente: sperabilmentenon vedremo gente linciata per strada accusata di essere untori (ma abbiamo visto attacchi fisici a persone di aspetto cinese - fortunatamente senza vittime, finora).

La situazione si sta evolvendo rapidamente e vedremo cosa succederà nei prossimi giorni. Una cosa che è già chiara, comunque, è che l'attuale sistema politico, polarizzato com'è, rende impossibile affrontare le emergenze senza esagerare la minaccia o, al contrario, negarla. In tutti i casi, una delle due parti è tentata di cavalcare il problema per guadagnare trazione nel gioco politico. È un disastro che non porta da nessuna parte. Lo stiamo vedendo bene per i cambiamenti climatici e non solo in Italia: con questo sistema decisionale, non possiamo controllare nulla. Possiamo solo sperare in bene (un concetto espresso in italiano come "lo stellone" ).


Nota: Manzoni non era uno scrittore prolifico. Oltre alle poesie, ci ha lasciato un romanzo, due tragedie e un lungo saggio. Tutti meritano assolutamente una lettura. In particolare, se avete tempo, leggete l' "Adelchi". La storia di questo principe longobardo è scritta in uno stile che per noi è un po 'insolito, ma è una storia potente, veramente epica e umana allo stesso tempo. Prefigura il nostro fascino moderno per il Medioevo. Maggiori informazioni su questo argomento sul mio blog "Chimere"

sabato 22 febbraio 2020

La Peste Nera: Qual è la Cosa Peggiore che ci può Capitare con il Coronavirus?

I quattro cavalieri dell'apocalisse di Albrecht Durer (1498): carestia, peste, guerra e la morte stessa. Di certo, gli antichi avevano capito che i collassi derivano da una combinazione di diversi fattori. È l'essenza di quello che chiamo "Effetto Seneca". Oggi, se il coronavirus rimane isolato come una minaccia per la vita umana, non causerà un declino della popolazione. Ma se gli altri cavalieri intervengono, allora le cose potrebbero cambiare in peggio.


Tradotto dall'inglese e leggermente adattato da "Cassandra's Legacy"


I dati sull'epidemia di coronavirus cominicano a sembrare veramente preoccupanti. E' vero che la diffusione dell'infezione in Cina sta rallentando e quindi si può sperare che l'epidemia si possa contenere. Ma, come tutti sappiamo, il mondo reale ha sempre dei modi per sorprenderci. Quindi, lasciamo cadere per un po 'l'aggettivo "probabile" e facciamo la domanda scomoda: qual è la cosa peggiore che può accadere? Potremmo assistere a un grave collasso della popolazione mondiale?

Come al solito, se vogliamo capire il futuro, dobbiamo prima capire il passato. Quindi, diamo un'occhiata ad alcuni dati per le più grandi pandemie della storia, quelle che hanno colpito l'Europa durante il Medioevo e in seguito:




European Population in history (from Langer, W. L. The Black Death. Sci. Am. 210, 114–121 (1964))


Questi dati sono alquanto incerti, ma esiste un accordo generale sul fatto che la grande peste del 14 ° secolo (correttamente definita "Peste Nera") abbia spazzato via circa il 40% della popolazione europea, alcuni dicono di più. Se questo non è il caso peggiore, quale sennò? Una nuova epidemia potrebbe causare qualcosa di simile?

In linea di principio, se una cosa è successa nel passato, potrebbe succedere di nuovo. Ma, naturalmente, può succedere solo se si verificano condizioni simili. Se esaminiamo in dettaglio il caso delle pandemie europee, vediamo che non hanno mai colpito in momenti casuali, hanno colpito popolazioni già in difficoltà. Virus e batteri sono creature opportunistiche che tendono ad espandersi quando trovano un bersaglio debole. Nel caso della peste nera del XIV secolo, colpì l'Europa dopo il fallimento del tentativo di espandersi ad est con le crociate. L'Europa si era trovata sovrappopolata, nel mezzo di una crisi sociale e culturale, e senza via d'uscita. Il risultato fu una serie di carestie, guerre interne e turbolenze sociali e politiche che aprirono la porta alla pestilenza. Qualcosa di simile è accaduto con la seconda esplosione principale della peste del 17 ° secolo. È arrivata dopo la guerra dei 30 anni che aveva distrutto il tessuto stesso della società europea, creando povertà, carestie e lo sfollamento di intere popolazioni.

La regola secondo cui le pandemie arrivano con le carestie vale anche per l'ultima (finora) grande pandemia mondiale: l'influenza spagnola del 1918-1920. Era associata alle carestie generate dalla prima guerra mondiale. A differenza del caso della Morte Nera, tuttavia, la spagnola è arrivata in un contesto di espansione economica e crescita della popolazione. Certo, è stato un disastro: potrebbe aver ucciso circa l'1-2% della popolazione mondiale dell'epoca (ovvero 20-50 milioni di vittime su una popolazione di circa 2 miliardi). Ma è a malapena visibile nelle curve di crescita della popolazione del 20 ° secolo. Altre moderne epidemie, AIDS, Ebola, SARS, ecc., si stanno espendendo solo in paesi dove ci sono carenze alimentari, di assistenza sanitaria, e di altro tipo. In occidente o non esistono oppure, come l'AIDS, sono in netta remissione (di nuovo, finora).

Al contrario, le carestie possono causare uno spopolamento esteso anche quando non sono associate a pestilenze. Un buon esempio è la carestia irlandese del 1848. In pochi anni ha spazzato via circa la metà della popolazione irlandese, ma non era associata a una specifica malattia umana. A volte, non c'è nemmeno bisogno delle carestie per causare lo spopolamento: lo stress sociale ed economico è sufficiente. Un buon esempio nei tempi moderni è quello dell'Ucraina, dove la popolazione ha iniziato a diminuire all'inizio degli anni '90 e continua a diminuire dopo la perdita di circa il 20% del totale. Non ci sono state epidemie né carestie in Ucraina: gli ucraini morivano -- e stanno tuttora morendo -- a causa di una combinazione di cibo di scarsa qualità, mancanza di strutture sanitarie, governo pessimo, depressione, droghe pesanti, alcol e altro.





C'è una regola generale, qui: i disastri non arrivano mai da soli. È perché quando un sistema complesso è in condizion di overshoot, è fragile: è sensibile anche a piccole perturbazioni dall'esterno. Queste perturbazioni tendono a generare una cascata di reazioni che fa crollare l'intero sistema. È l'essenza di quello che chiamo "Effetto Seneca" ovvero che la crescita è lenta, ma il declino è rapido.

Tornando al coronavirus di oggi, possiamo concludere che non causerà grandi disastri fintanto che rimarrà da solo ad attaccare l'umanità. Il mondo non sta vedendo grandi guerre e non soffre delle grandi carestie del passato. Quindi, anche se il virus si diffondesse fuori dalla Cina, forse potrebbe uccidere l'1% dell'attuale popolazione. Sarebbe un terribile disastro, ovviamente, ma non cambierebbe la traiettoria di crescita della popolazione mondiale, proprio come non lo ha fatto l'influenza spagnola.

Sì, ma, come ho detto all'inizio, la realtà ha molti modi per sorprenderci. Forse non c'è bisogno di grandi carestie o guerre perché una popolazione sia sufficientemente indebolita da essere un buon bersaglio per un attacco virale. Pensiamo all'inquinamento: in gran parte, è un fenomeno moderno. Al tempo dell'influenza spagnola, la gente aveva fame, ma non trasportava nei loro corpi le quantità di metalli pesanti, pesticidi, sostanze chimiche, microplastiche e altre robacce che tutti noi abbiamo al giorno d'oggi. E non vivevano in un mondo surriscaldato con 410 ppm di anidride carbonica nell'atmosfera, come noi. Per non parlare del rapido declino dei servizi sanitari, della scarsa qualità della dieta media, della diffusione di alcol e droghe pesanti, degli effetti sulla salute della depressione, dei danni arrecati da cattivi governi e non dimenticare il rischio di essere ammazzati. Di conseguenza, la popolazione di molti paesi occidentali sembra aver iniziato a muoversi lungo la stessa traiettoria che la popolazione ucraina ha iniziato a seguire 30 anni fa. L'aspettativa di vita non è più aumentata in Occidente a partire dal 2014 e sembra che stia leggermente diminuendo.




Life expectancy in selected Western countries. Data from World Bank


Oltre alla popolazione indebolita, esiste un altro fattore che può favorire il cavaliere della peste: la crisi economica creata dalla paura del virus. Non dimentichiamoci che se oggi quasi 8 miliardi di persone possono sopravvivere è perché possono acquistare cibo e riceverlo tramite quell'immenso sistema commerciale che chiamiamo "globalizzazione" e le sue navi portacontainer che attraversano gli oceani. Ma se le merci smettono di essere trasportate, il cibo smetterà di essere spedito nei luoghi in cui è necessario. Di conseguenza, uno dei quattro cavalieri in più, la carestia, inizierà a galoppare. E anche il terzo cavaliere, la guerra, potrebbe decidere di iniziare a galoppare, anche lui, portando con sé l'ultimo, la morte. Quindi, sì, in linea di principio non è impossibile vedere un collasso di popolaione equivalente a quello dell'antica peste nera.

Ma non dimentichiamoci che questo è uno scenario: una storia che ci stiamo raccontando. Sta a noi assicurarci che rimanga una storia e non diventi realtà. Il futuro non è mai prevedibile, possiamo solo essere preparati per quello che verrà.



Un commento del troll personale di Ugo Bardi, il sig. Kunning-Druger 

"Ed eccoti qui, caro Bardi. Sapevo che saresti arrivato a questo: immagino che tu e i tuoi amici del Club di Roma siate molto felici, ora. Il coronavirus non è esattamente quello che avete sempre desiderato? Fin dall'inizio, il Club di Roma ha lavorato per pianificare lo sterminio della maggior parte dell'umanità. E ora la bandiera dei nemici dell'umanità è stata presa dal piccolo mostro chiamato Greta Thunberg. Ma sappiamo chi sei e sappiamo cosa lo stai facendo. Se il tuo piano diventerà realtà, sapremo chi sono i criminali che ci sono dietro."








mercoledì 19 febbraio 2020

Il cane, il gatto e io





Un post di Bruno Sebastiani



Mentre io sto qua seduto alla mia scrivania a spremermi le meningi per produrre articoli e libri, i miei animali di casa, Nina il cane e Mochi il gatto, se ne stanno a dormicchiare nelle loro cucce o vagano nella campagna adiacente.

Mentre io al mattino, quando mi sveglio, mi lavo i denti e mi faccio la doccia e la barba, loro continuano a sonnecchiare pigramente, e sono sempre puliti, con il pelo lucido e splendente.

Mentre io, dopo essermi lavato, cerco una camicia e un paio di pantaloni puliti da indossare, loro rimangono beatamente nudi giorno e notte.

Mentre io e mia moglie quotidianamente ci prepariamo la colazione e cerchiamo qualcosa da mettere sotto i denti, loro attendono più o meno impazientemente che le loro ciotole vengano riempite.

E quando finiamo di mangiare, a noi tocca lavare piatti e ciotole. Operazione da ripetersi tre volte al giorno.

Mentre noi per poter mangiare dobbiamo fare la spesa o coltivare l’orto, loro raccolgono ciò che noi e la natura offriamo loro.

Mentre io vado in posta, in banca, all’assicurazione, in comune, ascolto il geometra, consulto l’avvocato, mi reco dal notaio e dal commercialista ecc. ecc., loro restano a casa a giocare o a riposare.

Mentre io consulto freneticamente il mio smartphone per vedere i messaggi e le mail che mi sono arrivate o per leggere i post sui vari blog, loro continuano a riposare o tutt’al più gironzolano fuori casa annusando ogni angolo e brucando un po’ di erba.

Mentre io ogni quattro o cinque anni vado a votare per stabilire chi debba essere il mio capo (di zona, comune, provincia, regione o nazione), loro non hanno capi e vivono liberi e sereni.

Mentre io leggo per imparare o guardo la televisione per informarmi, loro restano silenti e paiono sapere tutto.

Mentre io e mia moglie ci relazioniamo con amici e conoscenti usando un linguaggio misurato e facendo attenzione a non urtare l’altrui suscettibilità, loro abbaiano e miagolano al mondo senza remore o complessi.

Mentre io percepisco l’avanzamento della vecchiaia e ad esso abbino l’inevitabile pensiero della fine, loro invecchiano senza pensare al futuro, vivono in un eterno presente.

Chi è dunque superiore tra me e loro? Chi vive in modo più consono a quanto Madre Natura aveva stabilito per le nostre specie?

Sento risuonare in me le parole di Nietzsche nell’aforisma 224 de “La Gaia Scienza”:

«Temo che gli animali vedano nell’uomo un essere loro uguale che ha perduto in maniera estremamente pericolosa il sano intelletto animale: vedano cioè in lui l’animale delirante, l’animale che ride, l’animale che piange, l’animale infelice.»

Ma non posso concludere queste brevi note inneggianti alla perfezione del mondo naturale e deprecanti la stolta condizione umana senza considerare anche gli aspetti negativi della vita di Nina e di Mochi.

Essi non vivono a fianco di loro simili. Essi non possono riprodursi. Essi non mangiano ciò che offrirebbe loro la natura, ma si accontentano del triste contenuto di buste e scatolette. Essi non sono temprati ai rigori dell’inverno, ma il loro fisico è indebolito dal caldo di una temperatura sempre costante.

Ebbene, tutti questi gravi aspetti negativi della loro vita di animali domestici da chi e da cosa dipendono?

Non siamo forse noi che li isoliamo dai loro simili, che li leghiamo al guinzaglio, che li facciamo sterilizzare per non avere il fastidio di convivere con le loro avventure amorose e con i frutti dei loro accoppiamenti, che li cibiamo con alimenti artificiali, che li rinchiudiamo tra quattro mura se dobbiamo lasciarli soli, che li costringiamo a convivere con tante altre abitudini per loro ben innaturali?

Certo, li amiamo. Pensate cosa faremmo se li odiassimo!

sabato 15 febbraio 2020

La Sagra degli Assatanati: Commenti al mio Post sull'Inquinamento Atmosferico


Population-exposure-to-air-pollutants

In un mio post recente sul "Fatto Quotidiano" avevo detto che la Pianura Padana "è ormai diventata una camera a gas." Guardate i dati, qui sopra, e non mi sembrava una metafora fuori luogo. Di certo, nessuno dei lettori del "Fatto" l'ha presa come qualcosa di diverso. Questo però ha molto fatto arrabbiare un signore che chiamero qui "CB" che ha scritto la seguente lettera alla redazione del Fatto


Buongiorno, il Dott. Ugo Bardi scrive nel suo articolo sopra citato: “Per non parlare poi del disastro della Pianura Padana che è ormai diventata una camera a gas”. Orbene, già un’altra volta scoprii e sbugiardai il dott. Bardi a spacciare dati falsi (vedi articolo “Incentivi auto elettriche, un regalo ai ricchi? Non direi”).
Basta andare a consultare i dati ARPA (ad esempio fare una ricerca qui: https://www.arpalombardia.it/sites/DocumentCenter/Documents/RAPPORTO%20SULLO%20STATO%20DELL'AMBIENTE%20IN%20LOMBARDIA%20-%202006/09_RSA_Atmosfera.pdf ) per constatare come TUTTI, ma proprio TUTTI gli indicatori della qualità dell’aria in pianura padana sono in continuo e costante miglioramento dagli anni 60.
Francamente comincio ad averne le tasche piene di leggere sul vostro sito sciocchezze del genere, e mi piacerebbe che una volta per tutte la smetteste di far pubblicare  articoli che non sono né condivisibili né opinabili: sono semplicemente FALSI.
L’ho già scritto nei commenti all’articolo, che però è rimasto li tranquillo come sempre.
E’ troppo sperare nel vostro intervento? Grazie
 CB

Al che mi è parso il caso di rispondere:

Gentile sig. CB,
 mi fa piacere notare che i miei modesti articoli sul "Fatto Quotidiano" suscitano tanto interesse in lei. E si può immaginare come apprezzo il suo atteggiamento costruttivo e la gentilezza con la quale lei pone le sue critiche.

Quindi, sono andato a studiarmi l'articolo che lei cita. Non posso che darle ragione sulla diminuzione dell'inquinamento nel periodo che l'articolo considera, ovvero fino al 2005. Ma questo era 15 anni fa.  Purtroppo, la tendenza non è stata mantenuta, come può verificare, per esempio, in questo articolo:
https://res.mdpi.com/d_attachment/sustainability/sustainability-11-06019/article_deploy/sustainability-11-06019-v3.pdf
In aggiunta, le incollo qui di seguito [n.d.a. in testa a questo post] una recente mappa dell'europa in termini di "particulate matter" e vedrà che cosa intendevo quando dicevo che la Pianura Padana sembra una camera a gas. Guardi bene i colori della pianura padana -- cosa le fa venire in mente?

Insomma, io spero che sarà d'accordo con me che bisogna fare tutto il possibile per salvaguardare la salute del pubblico, anche a costo di usare una terminologia non del tutto rigorosa per evidenziare il problema. E che un elemento importante per migliorare, anche se certamente non il solo, è ridurre le emissioni di particolato dai motori diesel.

Quindi, la ringrazio ancora per i suoi commenti e spero che non me ne vorrà se insisto a dire che la trazione elettrica dei veicoli è una buona cosa per migliorare la qualità dell'aria che tutti noi respiriamo.

Cordiali saluti
Ugo Bardi


Vi aspettavate che il signor CB ne sarebbe stato contento? Beh, no, certamente no. La legge che "nessuno mai cambia idea" è più rigorosa di quelle della termodinamica. Ecco cosa mi risponde.

Il punto non è affatto se i veicoli elettrici siano o no un buon modo per migliorare la qualità dell’aria (che oltretutto non è certo l’unica cosa da mettere nel conto). Il punto è che le, ad esempio, nel 1980 la concentrazione totale di PTS e PM10 a Milano (media annua) era di 180 microgrammi al metro cubo: nel 2007 40. E lei mi vuol dire che ora è peggio del 1980? Non è affatto di mio interesse il colore suggestivo usato nelle cartine. La pianura padana ha le criticità che ha per la sua particolare geografia.
Utilizzo un linguaggio aspro perché lei scrive volontariamente delle cose non vere, e lo ammette lei stesso: “anche a costo di usare una terminologia non rigorosa”. No, lei è un docente universitario, non può scrivere cose del genere.
Oltretutto sarebbe anche da verificare quanto del particolato ha origine naturale, quanto arrivi effettivamente dal motore delle automobili. Ho letto di studi (mi perdonerà se non ho voglia di passare le giornate a recuperare dati per confutare quanto lei scrive) che ben descrivevano che le PTS emesse dai motori siano ormai quasi trascurabili, rispetto a tutto il resto.
Quindi resto della mia opinione, certo che questo non le farà perdere il sonno.

E così va la vita  - gli fa fatica giustificare le sue critiche delle quali era tanto sicuro all'inizio. Ma perché mai si sarà arrabbiato tanto?