domenica 15 dicembre 2019

A proposito di Greta Thunberg: una lettera per i miei amici non-occidentali



Cari amici non occidentali,

prima di tutto, vorrei dirvi che capisco la vostra perplessità su Greta Thunberg. Capisco impressione vi può aver fatto quest'ultima acrobazia dei media occidentali nel nominarla "Persona dell'anno". Dal vostro punto di vista, sembra proprio un altro trucco dell'Occidente, uno tra i tanti. E capisco che tutto questo faccia aumentare il sospetto che l'intera storia del cambiamento climatico non sia altro che una bufala creata dall'Impero occidentale per mantenere il suo dominio su tutto il pianeta.

Si, capisco. Ma vorrei chiedervi di fare uno sforzo per capire noi occidentali. Vedete, a volte ho la sensazione che una delle caratteristiche dell'inferno potrebbe essere che le persone che vi sono dentro non si rendono conto di esserci. Sarebbe una cosa davvero malvagia, ma, dopotutto, era un poeta occidentale, Baudelaire, che aveva detto che il miglior trucco del diavolo è convincerti che non esiste. Quindi, se l'inferno è un luogo in cui ti vengono dette bugie su tutto, incluso che non sei all'inferno, allora noi occidentali viviamo veramente all'inferno, almeno un certo tipo di inferno.

Non sono solo bugie, è il tipo di bugie. I media occidentali si sono evoluti in una macchina per produrre paura e odio. Chiunque, qualsiasi gruppo, qualsiasi credo, può essere distrutto da questa macchina. E non puoi fare molto per reagire. Se dubiti della narrazione ufficiale, sei un cospirazionista. Se chiedi la pace, sei il tirapiedi di Putin. Se protesti contro il tuo governo, sei un terrorista. Se neghi il ruolo dell'Occidente nel guidare il mondo, sei un traditore. Inoltre, la maggior parte degli occidentali è convinta che la propaganda sia una cosa del mondo non occidentale e che i loro media siano liberi e indipendenti. Eh, si, Baudelaire aveva ragione.

Certo, non mi fate dire che il mondo non occidentale è un paradiso di verità. Non ci penso nemmeno. Tutte le nazioni, tutti gli stati, tutte le culture, hanno i loro pregiudizi, i loro filtri, le loro convinzioni radicate e, in molti casi, le loro macchine propagandistiche. Ognuno di noi, occidentali e non occidentali, vede il mondo attraverso i filtri che la nostra cultura, le nostre tradizioni e i nostri media ci mettono davanti. Ma voi, non occidentali, avete una possibilità che a noi viene negata. Potete usare usare l'inglese per leggere i media occidentali senza essere parte del target a cui loro si rivolgono. E, come dicevo, capisco che spesso non vi piace quello che leggete.

E così, torniamo a Greta Thunberg. Certo, capisco che questa ragazza non è nata da sola come fenomeno mediatico, come alcuni potrebbero voler credere. È supportata da un team di esperti di alto livello, non poteva certamente combattere il Behemot dei media occidentali da sola. E capisco che il suo messaggio potrebbe essere frainteso, imbastardito e sfruttato per l'ennesimo giro di greenwashing -- e probabilmente lo sarà. Lo so bene. (Nota alla traduzione Italiana: e se volete convincervi di questo, io e i miei collaboratori ci abbiamo fatto uno studio mediatico sopra)

Ma non è questo il punto. Il punto è che l'apparizione di Greta Thunberg è stata sorprendente e inaspettata. Se è un prodotto della propaganda, allora è un tipo insolito di propaganda. Sarebbe la prima volta in molti decenni che i nostri media ci presentano un messaggio che non si basa sull'idea di qualcosa o qualcuno che è il male e che deve essere distrutto. Questa ragazza ha attraversato tutte le barriere dei media con un semplice messaggio: la verità sul cambiamento climatico. Non ci stava dicendo di uccidere o odiare nessuno, ci stava solo dicendo di lavorare insieme per garantire che la sua generazione potesse avere un futuro. E portava il messaggio con una forza interiore, un modo di porsi, una capacità di dire cose dirette che era quasi incredibile. È sorprendente il modo in cui ha attirato su di sé tutti i tipi di insulti, maltrattamenti e maledizioni, ma nulla le è rimasto addosso davvero. Vi ricordate la "Teflon-presidenza" di Ronald Reagan? Bene, questa ragazza non è solo rivestita di teflon: indossa un'armatura di Mythril come gli eroi della trilogia dell'anello.

Capisco che è possibile che questa ragazza scompaia dalla mediasfera in breve tempo, come accade oggi per la maggior parte delle idee che nascono e muoiono sul Web. Ma potrebbe rivelarsi qualcosa di più, forse non la persona specifica di Greta Thunberg, ma nel messaggio che rappresenta. Un messaggio forte che dice all'umanità di rispettare le cose che fanno vivere l'umanità: il nostro pianeta e tutti gli esseri viventi in esso.

Permettetemi di menzionare qualcosa che ho imparato non molto tempo fa, quando ero in Iran. Era il tempo dell'Arbaeen, la commemorazione del martirio dell'Imam Husayn ibn Ali, quaranta giorni dopo l'Ashura. Qualcuno dei miei amici iraniani mi ha detto (o forse ho letto da qualche parte) che "l'Imam Husayn è una figura che noi sciiti offriamo come dono all'intera umanità, come esempio di virtù e di giustizia". E questo mi ha colpito come qualcosa che vale la pena ricordare. In tutte le culture, abbiamo qualcosa o qualcuno che veneriamo come un tesoro: una persona, una poesia, un'opera d'arte, un modo di vedere il mondo. E questi tesori, penso, li dovremmo condividere con il resto dell'umanità, come doni.

Ora, ovviamente, non ho l'autorità per dire cosa l'entità che chiamiamo "Occidente" dovrebbe o non dovrebbe fare. Di sicuro, abbiamo condiviso con il mondo molti doni avvelenati in passato. Ma questa ragazza, Greta Thunberg, potrebbe essere un vero tesoro, un dono che potremmo offrire al resto del mondo. Per una volta, dall'Occidente arriverebbe un messaggio di pace e armonia. Potrebbe davvero succedere? Difficile da credere, certo, ma è una grande speranza.




Ringraziamenti: Chandran Nair

martedì 10 dicembre 2019

Ballando nudi nel campo del sapere




«I poeti affermano che la scienza distrae dalla bellezza delle stelle – semplici globi di gas. Anche io riesco a vedere le stelle in una notte nel deserto e sentire la loro magia. Ma vedo più o meno cose?» – Richard Feynman.


Un post di Fabio Vomiero


Non che l'eccentrico inventore della tecnica PCR (Polymerase Chain Reaction) Kary Mullis, purtroppo recentemente scomparso, fosse l'emblema della razionalità, del resto uno scienziato che crede negli oroscopi, sostiene di essere stato rapito dagli alieni, propone tesi complottistiche contro la causa virale dell'AIDS, senza peraltro nascondere di avere fatto un uso abituale di LSD, non può certamente rappresentare la migliore icona del ragionamento scientifico.

Tuttavia, la parafrasi del titolo di un suo interessante e fortunato libro1, così come l'impareggiabile efficacia di uno dei più grandi fisici del secolo scorso in una sua affermazione riportata nel sottotitolo, appaiono estremamente promettenti nell'introdurre il tema di questa breve riflessione.

Proveremo infatti a parlare di questioni, come quelle del sapere e della conoscenza, che da sempre hanno appassionato e diviso schiere di pensatori, filosofi e scienziati e che oggi, come ieri, faticano ancora a trovare una giusta collocazione logica all'interno di uno scenario teorico ed epistemologico completo e condiviso.

Ma cominciamo allora con il considerare alcune situazioni sociologiche abbastanza emblematiche.

Primo, in Italia con il termine "cultura" si intende in generale un sapere prevalentemente di tipo umanistico e questo è evidente, si provi soltanto a pensare all'iconografia del cosiddetto "intellettuale" e ci si troverà di fronte a un giornalista tuttologo, a un letterato scrittore, a un filosofo, al massimo a uno storico dell'arte; è molto più facile e immediato, infatti, pensare a un Massimo Cacciari o a un Vittorio Sgarbi come prototipo di "intellettuale", piuttosto che a un Alberto Redi o a un Edoardo Boncinelli, circoscrivendo così, di fatto, l'intellettualità alla filosofia, alla letteratura o all'arte. Così come è molto più probabile che uno studente di scuola secondaria conosca perfettamente l'opera di Omero piuttosto che conoscere sufficientemente il metabolismo e la funzione dei nutrienti o come funziona un antibiotico. Un tipo di orientamento cognitivo, questo, peraltro molto comune e ben radicato nelle società contemporanee, che è l'esatta espressione di un rapporto tra scienza e umanesimo quantomeno problematico, tanto che lo scienziato e scrittore Charles P. Snow ne aveva efficacemente discusso nel suo libro Le due culture già alla metà del secolo scorso.

Secondo, siamo generalmente così pieni di pregiudizi, di credenze, di miti e di falsa conoscenza derivata dalle fake, dal passaparola e dal sentito dire, che poi diventa sempre molto difficile riuscire a sgomberare adeguatamente la mente per ottenere quella predisposizione intellettuale necessaria a rimettere in discussione le nostre convinzioni, molto spesso sbagliate.

Terzo, appare abbastanza evidente come negli ultimi decenni si sia diffusa una sorta di ingiustificata e paradossale diffidenza nei confronti del sistema scienza per tutta una serie di ragioni che andrebbero meglio approfondite.

Quarto, i principali responsabili di questa artificiosa e inutile divergenza tra scienza e umanesimo, resa evidente in particolar modo a partire dalla fine dell'Ottocento, sono proprio gli umanisti stessi, i quali, preoccupati della crescente pervasività del sapere scientifico, hanno cercato di difendere con i denti il loro "bunker" di isolamento culturale. Basti pensare soltanto a quanti umanisti in media si interessino costruttivamente anche di scienza, pochissimi, e a quanti scienziati invece si dedichino comunemente anche a materie umanistiche e artistiche, praticamente tutti.

Bene, ma se qualcuno non dovesse essere ancora troppo convinto da questa breve e sommaria analisi, cominci allora a guardarsi un po' in giro con una certa curiosità analitica, cercando di raccogliere qualche dato concreto e significativo. Magari provando a considerare quante persone credano ancora negli oroscopi o "frequentino" in qualche modo maghi, guaritori, maestri di vita e millantatori di ogni tipo, o quante altre persone credano ancora nel creazionismo, nell'omeopatia, o riescano a fare soltanto una rapida e corretta analisi costi-benefici oppure una valutazione grossolana di un rischio in base al calcolo delle probabilità, o semplicemente a come siano strutturati i palinsesti televisivi e le testate dei giornali, o quali ancora siano le materie preferite nelle scuole e gli argomenti trattati dai saggi nelle librerie, o per esempio ancora, quanti concorrenti nei giochi a quiz scelgano per prime, o meno, le domande di scienza rispetto alle altre.

Va da sè, che una desolante e per certi versi paradossale prospettiva di questo tipo significa soltanto una cosa: tra due possibili modi di pensare, di ragionare e di guardare al mondo, l'uno istintivo, rapido, emotivo, superficiale, facile, e l'altro riflessivo, razionale, critico, esigente, spesso difficile e controintuitivo, tipico della scienza, si continua a preferire prevalentemente il primo e a ignorare il secondo.

Ecco qual è il problema.

La cultura che si respira e che si insegna nel nostro Paese infatti non aiuta molto. Famiglia, scuola e società, continuano a galleggiare, senza nemmeno rendersene conto, al di sopra di un pericoloso substrato di antiscientificità che genera incoscienza, e l'incoscienza si sa, conduce spesso verso i disastri. Viviamo nel mito del passato con una tale ossessione e spreco di energie intellettuali, da non preoccuparci nemmeno troppo per il presente e soprattutto per il futuro, come ci ricorda saggiamente anche l'architetto Renzo Piano quando afferma che «Il passato è un ottimo rifugio, ma il futuro è l'unico posto dove possiamo andare».

Non ci piace affatto, infatti, l'idea eraclitea del cambiamento, che peraltro è nella natura di tutte le cose e di tutti i processi biotici e abiotici del mondo, perchè possiamo sentirci al sicuro solamente quando le cose sono per sempre, come il diamante della pubblicità o come il greco al liceo, che, si usa pontificare, serve per "aprire" la mente, nonostante nessuno abbia ancora mai fornito uno straccio di prova, naturalmente, per mostrare che effettivamente studiare il greco "apra" di più la mente dello studiare la musica, la matematica, una materia scientifica o una seconda lingua.

E veniamo alla filosofia, questa forma del sapere sicuramente interessante, ma che, per sua natura, non può che essere comunque sempre al centro di un dibattito epistemologico infinito, non privo di venature ideologiche. L'ultimo attacco, soltanto qualche mese fa ad opera dello scienziato Edoardo Boncinelli con il suo La farfalla e la crisalide3, un'analisi critica ben strutturata e argomentata, che segue peraltro da vicino il pensiero di tutta una lunga lista di altri scienziati tra i quali i fisici Lawrence Krauss, Stephen Hawking, Leonard Mlodinow, Neil Tyson, il premio Nobel Steven Weimberg, il biologo Richard Dawkins e il già citato Richard Feynman, solo per fare qualche esempio.

Nessuno mette in dubbio che la filosofia, infatti, possa essere quella caratteristica peculiare dell'essere umano che, essendo più di ogni altra, espressione di un elevato livello di autocoscienza, ci distingue certamente, insieme al linguaggio articolato, dai nostri cugini primati.

Solo che, probabilmente, sarebbe il caso che la filosofia, una volta mutati i contesti storici e sociali, cominciasse finalmente a ridefinire anche sè stessa e soprattutto i suoi limiti, tenendo conto anche del fatto che, in realtà, tutti noi facciamo normalmente della filosofia, per dirla con Antonio Gramsci.

Il problema quindi non è la filosofia, ma la scienza, semmai, è questa la complessa e particolare attività cognitiva umana, ancora semisconosciuta ai più, che dovrebbe invece essere studiata e in qualche modo finalmente capita per poter fare una reale differenza. Ricordando inoltre che il fare scientifico moderno, sempre più operativamente orientato verso un linguaggio plurale e interdisciplinare, valuta, seleziona e utilizza certamente tutta la filosofia che serve, concetto questo che potrà anche essere sgradito a molti filosofi, ma che, se vogliamo, trova invece la sua legittimazione logica proprio in un semplice sillogismo aristotelico: se la scienza è prima di tutto un'attività cognitiva umana, e gli esseri umani sono anche filosofi, allora la scienza è anche filosofia.

Anche la scienza, infatti, è prima di tutto stupore e meraviglia, con buona pace di Aristotele e Platone.

La scienza sperimentale, inoltre, che peraltro si è evoluta proprio dal pensiero filosofico naturale, non è aridamente e cinicamente soltanto tutto ciò che è matematizzabile, computabile e prevedibile in dettaglio come tendono a sostenere alcuni filosofi della scienza, perchè se così fosse, bisognerebbe considerare scienza soltanto la matematica e la fisica classica, escludendo, di fatto, perlomeno la meccanica quantistica, i sistemi complessi, le bioscienze e tutti quei territori di indagine scientifica, che anche Galileo ignorava, in cui bisogna necessariamente fare i conti con la gestione dell'incertezza e dell'indeterminazione e per i quali, effettivamente, manca ancora una teorizzazione epistemologica adeguata e condivisa.

Del resto è abbastanza ovvio che anche nella scienza ogni osservazione, ogni dato e ogni modello, dovranno essere in qualche modo sempre vagliati all'interno di un complesso ambito procedurale fatto anche di interpretazioni e di contesti teorici stratificati culturalmente.

Se uno scienziato non fosse anche una sorta di filosofo allora sarebbe meglio che cambiasse mestiere, non essendo nemmeno immaginabile che fisici teorici o biologi evoluzionisti possano lavorare tranquillamente senza essersi mai interrogati sul perchè l'universo sia fatto in un certo modo piuttosto che in un altro, o su che cosa siano la vita e la coscienza, oppure semplicemente sull'essenza del nostro essere, chi siamo, da dove veniamo, eccetera, eccetera.

E inoltre, come è possibile che alcuni filosofi insistano nell'assegnare alla filosofia un valore epistemologico superiore a quello della scienza, quando è così evidente che all'interno del pensiero filosofico, a differenza del sapere scientifico, può essere vero tutto e il contrario di tutto.

Basti soltanto guardare alla storia della filosofia o ai banali dibattiti filosofici contemporanei per rendersene subito conto. Su questo, pare essere d'accordo persino un filosofo e teologo come Vito Mancuso: «Se c'è un insegnamento che è possibile trarre dai duemilacinquecento anni di storia della filosofia è che l'esercizio rigoroso della ragione filosofica ha condotto a differenti e contrastanti risultati»4. Certo, e non potrebbe essere altrimenti visto che la filosofia, da sempre, si caratterizza proprio per essere un terreno di disputa più che di consenso.

La realtà è che «La filosofia è vuota senza la scienza», come sostiene giustamente il matematico "intellettuale" Piergiorgio Oddifreddi5, o perlomeno, rischia fortemente di esserlo, e se fino a circa quattrocento anni fa potevamo avere l'alibi di non saperlo, ora non più. Di conseguenza, anche tutto il discorso legato al mito autopoietico dell'insegnamento del pensiero critico proprio attraverso lo studio della filosofia, viene logicamente a decadere proprio in virtù di un'analisi critica verso quella stessa fonte (la filosofia) che dovrebbe in realtà generarlo e alimentarlo (il pensiero critico).

E poi, francamente, che cosa ci vuole a essere critici nei confronti di pensieri filosofici di secoli o millenni fa, quando si era praticamente ignoranti su tutto; non si conoscevano le principali leggi fisiche e la loro validità universale (isotropia e omogeneità dello spaziotempo), non si sapeva di che cosa fossero fatte la materia e l'energia, non si sapeva praticamente nulla di biologia, di neuroscienze, di relatività, di meccanica quantistica.

Si provi piuttosto a formulare delle critiche logicamente e formalmente corrette, in un senso o nell'altro, nei confronti di complessi temi scientifici, ma non solo, come l'origine della vita, l'evoluzione biologica, gli OGM, i vaccini, i cambiamenti climatici, la questione energetica, la crisi ambientale, la nutrizione umana, la situazione demografica e socioeconomica internazionale.

Ecco perchè oggi, più che mai, è indispensabile conoscere scientificamente il mondo, come ci ricorda anche il filosofo americano James Flynn quando afferma che «E` un privilegio essere alfabetizzati in un'età scientifica»6, perchè, piaccia o non piaccia, è proprio su questi temi che prima o poi si deciderà il nostro futuro.

Con il linguaggio della matematica si impara la logica formale e con lo studio delle scienze si impara invece a ragionare in maniera corretta basandosi principalmente sui dati scientifici, sulle prove e sull'evidenza, nonchè, certamente, sull'esercizio metodico della ragione, che, a questo punto, non è più il criterio esclusivo della filosofia.

Altro che scientismo.

Infine, c'è la conoscenza che deriva dalle sfere teologico-religiose, certamente rispettabile, ma che diventa anche evidentemente discutibile nel momento stesso in cui questa particolare modalità di situazione cognitiva rischia di annullare completamente il pensiero critico e impedisce al ragionamento di mantenere una certa razionalità. In questo caso, infatti, ci troviamo di fronte a una forma di conoscenza che non può nemmeno essere confrontata con quello che ci insegna il metodo scientifico. Una conoscenza con pretesa di Verità Assoluta, che deriva e si accetta per Rivelazione da parte di un'Entità inconoscibile, indescrivibile o soltanto inimmaginabile da ogni possibilità di indagine e di esplorazione scientifica.

Ammesso poi che sia logicamente legittimo parlare di Verità Assoluta anche al di fuori dell'unico contesto in cui probabilmente è possibile farlo, e cioè all'interno del perimetro ben delimitato di un codice arbitrario e artificioso inventato dall'uomo come il linguaggio, matematico o letterario che sia.

Ecco perchè il credo religioso, così come molta filosofia, a differenza della ricerca di intersoggettività da parte dell'attività scientifica, implicano necessariamente un atto di fede e godono pertanto di un'autonomia che, evidentemente, non può che essere di tipo personale.




Bibliografia:

1) Mullis, L.1998. Ballando nudi nel campo della mente, Baldini Castoldi Dalai.

2) Snow, L.1959. Le due culture, Feltrinelli.

3) Boncinelli, L.2018. La farfalla e la crisalide, Cortina.

4) Mancuso, L.2011. Io e Dio, Garzanti

5) Odifreddi, L.2009. Il matematico impenitente, TEA.

6) Flynn, L.2013. Osa pensare, Mondadori Università.




lunedì 2 dicembre 2019

L'Arte della Guerra Secondo la Teoria dei Sistemi Complessi




DI UGO BARDI
https://cassandralegacy.blogspot.com/2019/10/the-art-of-war-according-to-science-of.html


Quindi, in tutte le tue battaglie combattere e conquistare non è la suprema eccellenza; l’eccellenza suprema consiste nello spezzare la resistenza del nemico senza combattere. (Sun Tzu, L’arte della guerra)


L’idea che il collasso possa essere uno strumento utilizzabile in guerra potrebbe risalire allo storico e teorico militare cinese Sun Tzu, che nel suo “L’arte della guerra” (5° secolo a.C.), enfatizza il concetto di vincere le battaglie sfruttando la debolezza del nemico piuttosto che la forza bruta.

È normale che in guerra il conflitto si concluda con il crollo di una delle due parti ma, in alcuni casi, il collasso avviene senza grossi combattimenti o addirittura nessuno. Un esempio particolarmente rappresentativo è quello del crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, arrivato dopo diversi decenni di “Guerra Fredda” che non era mai sfociata in un conflitto aperto. Come aveva già notato Sun Tzu, la capacità di innescare il collasso della struttura militare o socio-economica del nemico è probabilmente la strategia di risoluzione dei conflitti più efficace. Ma come raggiungere questo risultato? La moderna scienza dei sistemi complessi può dirci molte cose sui fattori coinvolti nel collasso di tali sistemi, sebbene non possa fornire ricette valide per tutte le situazioni.

Il collasso è una caratteristica dei sistemi caratterizzati da una rete di relazioni interne che comportano un feedback: società, economie, gruppi, aziende, eserciti ed altro ancora, sistemi che definiamo appunto “complessi.” Il feedback può smorzare o esaltare l’effetto delle perturbazioni sui vari elementi del sistema e può arrivare a generare un tipo di collasso chiamato “Collasso di Seneca” o “Scogliera di Seneca.” Questo collasso si verifica quando i diversi elementi del sistema agiscono in sinergia, intensificando gli effetti di una perturbazione che, alla fine, fa crollare l’intero sistema.

Dopotutto, la guerra è principalmente un problema di feedback tra entità combattenti. Gli eserciti manovrano, si scontrano tra loro, si ritirano o avanzano, ma il risultato finale è sempre lo stesso: la lotta termina quando i feedback si accumulano in modo tale che una delle due parti collassa. A quel punto, la battaglia è finita.

Possiamo considerare gli eserciti come reti di soldati, ognuno connesso ai soldati vicini. In uno scontro militare, la perdita di un singolo nodo, cioè di un singolo soldato, ha di per sé un effetto limitato sulle prestazioni del sistema. Ma può essere devastante se entra in azione il mortale meccanismo del feedback. Un soldato scappa, un altro soldato lo vede correre e fa lo stesso. Altri seguono l’esempio. Questo potrebbe causare la dissoluzione dell’intero esercito, un tipico esempio di collasso generato dal feedback e anche l’incubo dei comandanti militari di tutta la storia. Certo, negli eserciti reali le cose non sono così semplici, ma è anche vero che gli eserciti dell’antichità avevano spesso una catena di comando mal definita e questo li rendeva particolarmente esposti al crollo repentino. Ad esempio, nella battaglia di Manzikert, nel 1071 d.C., i Bizantini erano stati sconfitti dai Turchi perché, tra gli altri fattori, alcuni settori dell’esercito erano stati presi dal panico e si erano dati alla fuga.

Una volta che iniziamo a considerare la guerra in termini di sistemi complessi che interagiscono tra loro, possiamo capire come la selezione naturale sul campo di battaglia abbia portato gli eserciti ad evolversi in strutture più resistenti al collasso. Nel 1800, i Prussiani avevano sviluppato un esercito in cui ogni soldato avrebbe dovuto continuare a ricaricare e a sparare, indifferente a tutto ciò che accadeva intorno a lui. Idealmente, avrebbe dovuto continuare a sparare anche se fosse stato l’ultimo a rimanere in piedi. In pratica, i Prussiani avevano interrotto le connessioni orizzontali della rete dell’esercito, lasciando solo quelle “verticali” che collegavano i soldati ai loro ufficiali. Era il concetto, attribuito a Federico il Grande, che i soldati comuni avrebbero dovuto temere i propri ufficiali più del nemico. Questo aveva reso la rete resiliente al collasso: perdere un nodo non avrebbe comportato una valanga di perdite di nodi a causa del feedback.

L’idea prussiana si era dimostrata vincente ed è ancora il modo in cui sono organizzati gli eserciti moderni. Ma, se ha reso più difficile il collasso “dal basso,” ha aumentato le possibilità di un collasso dall’alto verso il basso. Un esercito strutturato verticalmente è vulnerabile ad un “attacco di decapitazione,” un concetto già noto a quelli che, molto tempo fa, avevano inventato il gioco degli scacchi. Un caso moderno di questo tipo di collasso si era verificato in Italia nel settembre del 1943. Dopo l’improvvisa rimozione del carismatico leader italiano, Benito Mussolini, le forze armate italiane si erano praticamente disintegrate quando il re d’Italia era fuggito dalla capitale, Roma, lasciando l’esercito senza comando e senza chiare istruzioni. In questo modo, [il re, con la sua fuga] aveva traslato nella vita reale il concetto scacchistico dello “scaccomatto.” Altri esempi di crollo per decapitazione esistono nella storia, uno è stato il collasso delle forze albanesi durante invasione italiana del 1939. Sarebbe stata ogni caso una lotta senza speranza, ma la fuga del re d’Albania, Zog, aveva causato la scomparsa totale di ogni resistenza, un altro caso di scaccomatto nella vita reale.

Alcuni casi di attacchi di decapitazione falliti. Un esempio è il tentativo di alcuni ufficiali tedeschi di uccidere Adolf Hitler nel 1944. Non erano riusciti nel loro intento, quindi non sapremo mai che cosa sarebbe successo se Hitler fosse morto quel giorno. Un altro esempio è stato l’attacco contro l’Iraq nel 2003, che mirava ad uccidere la maggior parte dei membri del governo iracheno. Anche quel tentativo era fallito.

Il problema insito nell’idea di distruggere una struttura militare per decapitazione è duplice: il primo è che anche il nemico sa benissimo che i sui leader sono un obiettivo di valore e quindi fa di tutto per proteggerli il meglio possibile. Bisogna ricordare qui la figura del kagemusha, il “guerriero ombra” della storia militare giapponese, il cui compito era quello di impersonare un leader militare per indurre il nemico a concentrare i propri sforzi su di lui, piuttosto che sul vero bersaglio. E’ anche vero però che in tempi moderni gli eserciti hanno sviluppato una struttura meno rigida, in cui le piccole unità possono continuare a combattere anche se perdono il contatto con il loro centro di comando. È un modo di combattere che era stato introdotto da Edwin Rommel durante la Prima Guerra Mondiale ed ampiamente utilizzato da Heinz Guderian durante la Seconda.

Un altro esempio recente di resilienza in un conflitto armato è stato lo scontro del 2006 tra Israele ed Hezbollah, in Libano. L’apparato bellico di Hezbollah è ben lungi dall’essere un esercito tradizionale: è un sistema altamente resiliente basato su piccole unità con pochissimi collegamenti tra loro. Alla fine, [questo sistema] ha avuto la meglio contro un avversario teoricamente molto più potente. Dare un certo grado di libertà alle piccole unità è rischioso, poiché queste unità potrebbero non comportarsi secondo gli ordini del comando centrale. Ma sembra essere molto efficace nei tempi moderni, anche a causa dello sviluppo delle moderne tecniche di propaganda. Oggi, i soldati normalmente non combattono per denaro, sono fortemente condizionati dalla propaganda o dalle credenze religiose.

Alla fine, condurre una guerra è praticamente una questione di comando e controllo ed esistono molte possibili interpretazioni su come controllare un esercito in modo da renderlo resistente al collasso. Fino ad oggi, la propaganda rimane il principale strumento motivazionale per indurre i soldati a combattere ma, come ho affermato in un precedente post, la guerra moderna sembra affidarsi sempre più ad armi robotizzate, telecomandate o addirittura autonome.

Un concetto legato alla nascita dei robot militari è quello del “Network Centered Warfare” chiamato anche, talvolta, “Effect based operations.” L’idea è di trasformare un esercito in una singola arma usando sofisticate tecniche di comunicazione. La domanda, quindi, è chi controllerebbe quell’arma? Se esiste un unico sistema di controllo centrale, l’intero sistema diventa nuovamente vulnerabile ad un attacco per decapitazione. Un attacco al centro operativo potrebbe renderlo inutile, proprio come i pezzi sulla scacchiera quando il re è sotto scacco.

Ma è anche perfettamente possibile organizzare i robot militari in unità piccole e relativamente indipendenti. Non cambia però la domanda principale: chi controllerà i robot militari? È una domanda che, finora, non ha trovato una risposta semplice. Ovviamente, i robot non sono sensibili alla propaganda, ma i loro controllori sono ancora esseri umani. La propaganda è uno strumento che era stato sviluppato per controllare i fanti schierati in tricea di fronte al nemico, ora abbiamo bisogno di strumenti per controllare i controllori dei robot,  professionisti specializzati che operano in sicurezza da postazioni remote. Tecniche appropriate non sono ancora state sviluppate e non sappiamo quale forma potrebbero prendere e in che modo influenzerebbero il modo di condurre una guerra.

Quindi, è difficile prevedere quale sarà il futuro delle tecniche di guerra ma, chiaramente, nulla cambierà nelle sue caratteristiche di base: la guerra è una lotta che può essere combattuta nello spazio reale, nello spazio virtuale o in entrambi. Probabilmente vedremo un grosso passaggio alla guerra virtuale, ma quello che stiamo seguendo è un percorso tortuoso. Come sempre, il futuro sarà quello che doveva essere.



Tratto da “The Seneca Effect” (Springer 2017)
Fonte: cassandralegacy.blogspot.com
Link: https://cassandralegacy.blogspot.com/2019/10/the-art-of-war-according-to-science-of.html

venerdì 29 novembre 2019

Un monumento enigmatico



Di Bruno Sebastiani


Negli Stati Uniti, in Georgia, esiste un monumento che merita di essere descritto e interpretato. Si tratta delle “Georgia Guidestones” o “Pietre Guida della Georgia”, da qualcuno ribattezzato la Stonehenge americana.

Il riferimento è al sito devozionale neolitico che si trova in Inghilterra e la cui costruzione risale ad un periodo compreso tra il 3100 e il 1600 a.C.


Al contrario, le Pietre della Georgia sono recentissime, hanno meno di 50 anni.

Nel 1979 un signore, sotto lo pseudonimo di R.C. Christian, commissionò a una ditta di Elberton la realizzazione della struttura. La scelta del luogo dipese dal fatto che Elberton, capoluogo della contea di Elbert, è considerata la “capitale del granito” degli Stati Uniti. Quanto allo pseudonimo pare che sia stato un tributo al fondatore del rosacrocianesimo, Christian Rosenkreuz, del XIV secolo.

Il monumento, inaugurato nel marzo 1980, consta di un pilastro al centro e quattro lastre rettangolari alte quasi sei metri attorno a forma di "X", con una lastra di copertura appoggiata al pilastro e alle lastre.
Un foro posto nel pilastro centrale consente di individuare la stella polare, mentre una fessura inquadra il sole nascente durante i solstizi e gli equinozi.
Un altro foro, ricavato nella pietra orizzontale, a mezzogiorno preciso fa entrare un raggio di sole, che, riflettendosi sul pilastro centrale, indica il giorno dell’anno.
Per realizzare l’opera fu necessario l’intervento di un astronomo che indicò come orientare correttamente le pietre secondo il percorso del sole durante l’anno.
Ma l’elemento di maggior interesse non è la funzione astronomica del monumento, bensì il “decalogo” inciso in otto lingue (inglese, spagnolo, swahili, hindi, ebraico, arabo, cinese e russo) sulle quattro grandi lastre verticali, e cioè:
1.     Mantieni l'Umanità sotto 500.000.000 in perenne equilibrio con la natura.
2.     Guida saggiamente la riproduzione, migliorando salute e diversità.
3.     Unisci l'Umanità con una nuova lingua viva.
4.     Domina passione, fede, tradizione e tutte le cose con la sobria ragione.
5.     Proteggi popoli e nazioni con giuste leggi e tribunali imparziali.
6.     Lascia che tutte le nazioni si governino internamente, e risolvi le dispute esterne in un tribunale mondiale.
7.     Evita leggi poco importanti e funzionari inutili.
8.     Bilancia i diritti personali con i doveri sociali.
9.     Apprezza verità, bellezza e amore, ricercando l'armonia con l'infinito.
  1. Non essere un cancro sulla terra, lascia spazio alla natura, lascia spazio alla natura.


La struttura del monumento è stata progettata per resistere agli eventi più catastrofici che potrebbero abbattersi sulla Terra e i dieci “comandamenti” hanno la funzione, nell’intendimento di chi li ha scritti, di indicare la via per costruire un mondo nuovo, una civiltà che non finisca per autodistruggersi (nel 1979 l’ipotesi di un conflitto nucleare non appariva tanto remota, e per la verità non lo è neppure oggi).
Ai bordi della pietra sommitale c’è inciso un messaggio scritto in quattro lingue morte (babilonese, greco antico, sanscrito, e geroglifici egiziani) che recita: "Lascia che queste pietre-guida conducano a un'era della ragione."
Discosta dal monumento, c’è un’altra pietra dove ci sono incise le spiegazioni per l’uso astronomico, l’autore (R.C. Christian), gli sponsor (un piccolo gruppo di americani che cercano l’Era della Ragione), e il riferimento a una capsula del tempo che dovrebbe essere sepolta sotto la pietra, ma senza indicazioni per la data di apertura.
Su una lastra a breve distanza sono incise alcune note sulla storia e lo scopo del monumento.



Quale il significato e quale la portata dei messaggi incisi nel granito? Tralasciamo l’interpretazione di chi crede che il monumento sia una base di atterraggio per alieni con le indicazioni ai medesimi per ricostruire la società degli uomini.
Più attendibile la versione di chi crede che con il “decalogo” qualcuno (non importa chi) abbia voluto indicare i principi che – se applicati – consentirebbero la sostenibilità della presenza umana sul pianeta.
Non a caso il primo “comandamento” è “Mantieni l'Umanità sotto 500.000.000 in perenne equilibrio con la natura”. È indubbio infatti che tutti i problemi da noi creati ai danni della biosfera (e in definitiva di noi stessi) derivino dalla proliferazione indiscriminata della nostra specie.
In altri articoli e nei miei libri ho paragonato questa pandemia alla crescita di un cancro che divora i tessuti sani dell’organismo ospitante.
In sintonia con questa ipotesi l’ultimo “comandamento” recita: “Non essere un cancro sulla terra, lascia spazio alla natura, lascia spazio alla natura”.



Ma un tumore può decidere di non essere più un tumore? Lasciamo in sospeso l’argomento in attesa di riprenderlo in altra sede.
Osserviamo invece che l’insieme dei “comandamenti” è stato interpretato come una sorta di programma per l’instaurazione di un Nuovo Ordine Mondiale.
In tale direzione andrebbe il punto 3) “Unisci l'Umanità con una nuova lingua viva”, ma, a mio avviso, non andrebbe il punto 6) “Lascia che tutte le nazioni si governino internamente, e risolvi le dispute esterne in un tribunale mondiale”: il fantomatico Nuovo Ordine, infatti, dovrebbe puntare all’unificazione amministrativa, politica ed economica degli oltre duecento stati sovrani oggi esistenti, pena l’ingovernabilità del pianeta a causa delle troppe unità amministrative separate, autonome e spesso tra loro litigiose.
Indipendentemente dai reali intendimenti del novello Mosè estensore di questo decalogo, le Pietre Guida attirarono le ire dei nemici del mondialismo e alcuni di costoro nel 2008 le sfregiarono con scritte in vernice rossa. In particolare una delle scritte diceva: “L’elite vuole l’80% di noi morto, vedi il punto 1”.



Questa affermazione, per quanto farneticante possa apparire, fa riferimento al dilemma fondamentale della nostra specie, la sovrappopolazione, ed è sbagliata per difetto. In quell’anno la popolazione mondiale era di 6.764 milioni di persone: rimanere in 500 milioni avrebbe significato una riduzione di 6.264 milioni di esseri umani, e cioè quasi il 93% del totale!
Sicuramente chi aveva indicato la cifra di 500 milioni non pensava ad una riduzione con sistemi violenti, bensì ad una decrescita demografica attraverso il controllo delle nascite. Ma anche un simile sistema ha gravi controindicazioni.
Ho dedicato a questo argomento un capitolo del mio libro “Il Cancro del Pianeta”, dal titolo “Le improponibili soluzioni al problema della sovrappopolazione”. A quelle pagine rimando chi fosse interessato ad approfondire l’argomento.
Comunque sia, l’aver messo il decremento degli esseri umani come prima raccomandazione sta a significare che gli estensori del decalogo erano veramente “illuminati”, a conoscenza cioè della reale origine dei problemi che affliggono la biosfera.
Questi ultimi sono causati dalla crescita esponenziale della popolazione, e quindi dei consumi, in un mondo dalle risorse limitate. Si potrà consumare meno e in modo più razionale, così come potremo sfruttare le risorse in modo più produttivo, ma prima o poi non ci sarà abbastanza cibo per una popolazione in continuo aumento né energia per un numero di macchine sempre crescente.
Questa consapevolezza è confermata anche dal già citato ultimo “comandamento”: “Non essere un cancro per la Terra, lascia spazio alla natura, lascia spazio alla natura”.
L’aver individuato il nocciolo della questione fa del monumento un punto di riferimento importante, al quale si deve guardare con interesse.
Personalmente non approvo il richiamo alla ragione per il dominio delle passioni e per la creazione di una nuova era. Il motivo è che è stata proprio la ragione a condurci nella attuale situazione di tragico degrado ambientale. È stata la ragione che ci ha consentito di uscire dallo stato di natura e ci ha condotto, passo dopo passo, a sfigurare il volto del pianeta e a distruggere innumerevoli specie animali e vegetali.
Ma quel che è fatto è fatto. C’è da chiedersi se la causa di tutti i mali sia ora in grado di ripararli, se un tumore possa decidere di non essere più un tumore.
Le Pietre Guida della Georgia sono fatte per durare millenni. Chissà se qualcuno le troverà in futuro e le leggerà così come noi oggi leggiamo gli antichi caratteri cuneiformi! Una cosa è certa: in un’epoca in cui le costruzioni sono fatte solo per soddisfare esigenze materiali e per durare pochi decenni il monumento americano rappresenta una importante eccezione degna di rispetto e attenzione.

domenica 24 novembre 2019

Fitta rete stradale: conseguenze agro-ambientali


di Silvano Molfese
In Italia, dopo la ricostruzione bellica, la disponibilità di energia a basso costo ha consentito di ampliare la rete stradale tagliando colline e montagne, costruire ponti, eccetera: molte mulattiere sono state trasformate in strade asfaltate smuovendo milioni e milioni di metri cubi di terreno.

In pratica è stato adottato un sistema di mobilità individuale indotto anche dalla industria automobilistica. L’entusiasmo per la velocità e la libertà di muoversi ha fatto dimenticare che il territorio nazionale è geologicamente giovane, cioè a rischio sismico, ed è costituito per oltre tre quarti da collina e montagna.

La facilità di raggiungere luoghi più lontani ha favorito l’espansione dei centri urbani e la costruzione di numerosi insediamenti industriali e commerciali impermeabilizzando superfici agricole sempre più estese.

I diversi pianificatori del territorio (progettisti, politici, costruttori ecc.), oltre a dimenticare la legge della produttività decrescente, non hanno neanche preso in considerazione gli effetti del cambiamento climatico sulle produzioni agricole.

Alla fine della nota riporto dei calcoli dettagliati; inoltre ho richiamato una bibliografia risalente anche a trenta anni addietro per sottolineare che da tempo si conoscono gli effetti deleteri del sistema di mobilità individuale intensamente motorizzato.

Su questo sistema, particolarmente energivoro, incombe la riduzione delle rese energetiche dei combustibili fossili, in primis il petrolio. (https://www.aspoitalia.it/index.php/articoli/articoli-dei-soci/374-l-eroi-delle-compagnie-petrolifere ; https://aspoitalia.wordpress.com/2015/09/08/il-punto-di-rottura/ )

 

Strade: aumenta la pressione antropica sul territorio
La rete stradale italiana ha raggiunto uno sviluppo molto elevato che da qualche tempo è ritenuto eccessivo in rapporto al territorio. In Italia, ci sono oltre 1.600 km di strade per mille km2, escluse le strade dei centri urbani (Tab. n. 1).

Tab. n. 1- Lunghezza della rete stradale italiana  (km in migliaia )


Autostrade 6,5
Strade ANAS 17,0
Strade provinciali 154,0
comunali extraurbane 310,0
totale 487,5

(Bucchi, 2014)

Ovviamente questa capillare rete stradale asfaltata, associata all’elevato numero di auto e moto circolanti, 45 milioni nel 2017 (statistiche ACI), modifica quantità e qualità della presenza umana sul territorio, oggi molto più di 50 anni addietro, con un radicale stravolgimento degli habitat.

Case, traffico, inquinamento: la pressione antropica è decisamente cresciuta a dismisura.



Strade forestali: con un SUV si raggiungono i posti più sperduti


Il territorio, in questo modo, è diventato un colabrodo: con un fuoristrada o con una moto da cross di fatto si possono raggiungere, in poco tempo, anche le zone più impervie. Inoltre la frammentazione degli habitat comporta anche una riduzione della loro resilienza. (Wolf, 1988)

Mortalità sulle strade


Sulla lapide è scritto: A ricordo della mia cara Mamma


Tra gli effetti negativi di una diffusa ed intensa mobilità individuale la prima cosa che balza agli occhi è l’elevata mortalità registrata negli incidenti stradali.

In Italia dal 1952 al 2018 sono morte quasi 468 mila persone e ne sono rimaste ferite ben 16 milioni (Tab. n. 2). Dietro a questi numeri c’è il dolore dei familiari.


Tab. n. 2 - Incidenti stradali: numero di morti e feriti dal 1952 al 2018.

(morti feriti)


Italia 467.775 16.084.835

media annua 6.982 240.072

(fonte ISTAT)


Rispetto agli anni ’70 del secolo scorso, quando si arrivò ad oltre diecimila decessi annui, nell’ultimo lustro i morti in incidenti stradali si sono ridotti notevolmente ma comunque sono in media pur sempre nove deceduti al giorno di cui si parla molto poco.

Per una completa analisi dei costi umani e sociali sarebbe necessario valutare anche il numero di invalidi permanenti.

A tutto ciò si devono aggiungere gli effetti sulla salute dei gas di scarico.

Aumento dei costi per gli agricoltori


Recinto su bordo strada per limitare le intrusioni

La possibilità di raggiungere le zone più remote in breve tempo comporta anche un aggravio dei costi per gli imprenditori agricoli: per esempio oggi la facilità di accesso per una larga fetta della popolazione comporta un aumento dei rischi per furti; facilità nello scarico delle più varie tipologie di rifiuti: basti pensare agli pneumatici, buste e bottiglie di plastica, lattine ecc. che si trovano lungo i bordi delle strade, anche le più sperdute. Tutto ciò può spingere gli agricoltori a recintare le proprietà con aggravio dei costi di produzione.

Perdite di terreno agrario e di copertura vegetale

Se la lunghezza totale delle strade italiane è di 487.500 km, considerando una larghezza media di 7 metri, incluse le cunette laterali, il terreno occupato dalle strade si estenderebbe su oltre 341 mila ettari: quasi quanto la superficie della provincia di Parma.

(Il calcolo è stato fatto escludendo le strade interpoderali e quelle forestali realizzate in questi ultimi decenni; anche per i 6.500 km di autostrade a due e tre corsie di marcia è stata calcolata una larghezza di 7 m .)

La diminuzione della copertura vegetale comporta una minore emissione di ossigeno ed una ridotta fissazione di biossido di carbonio, gas ad effetto serra, da parte delle piante.


Impermeabilizzazione delle superfici


In seguito alla costruzione di strade e case le superfici impermeabilizzate sono aumentate a dismisura in questi ultimi decenni. L’acqua, anziché penetrare nel terreno a rimpinguare le falde, scorre più velocemente a valle.


Strade e incendi

Uno dei fattori di rischio, considerato di notevole importanza per gli incendi dei boschi, è costituito dalla rete viaria:

“La presenza di strade e quindi una maggiore presenza dell’uomo, rende più vulnerabile il bosco, infatti, molti incendi si sviluppano proprio in prossimità delle vie di comunicazione come risulta dalle analisi condotte sui punti di innesco degli incendi dal Corpo Forestale dello Stato.” (Aloisi et Al. 2011)

Danni alle specie utili all’agricoltura

A mo’ di esempio possiamo considerare l’Erinaceus europaeus, il riccio, che è un insettivoro utile all’agricoltura frequente vittima delle auto sotto le quali rimane schiacciato.

Si ciba prevalentemente di coleotteri, curculioni, stercorari, bruchi, limacce e millepiedi (Pratesi et Al, 1995).




Riccio schiacciato da un’auto

L’azione di disturbo provocata dalle macchine viene esercitata anche sugli aspetti riproduttivi di questi come di altri predatori. Unitamente agli altri fattori come incendi, accumulo di veleni (insetticidi ed antiparassitari), individui schiacciati dalle auto, ecc., si determina una riduzione del numero di questi come di altri utili predatori.

Se non teniamo conto anche di ciò si ridurranno le alternative presenti in natura per la difesa delle colture agrarie.

In altri paesi europei hanno predisposto tunnel e ponti per favorire l’attraversamento delle strade da parte della fauna selvatica. (Otto et Al. 2005)


In bici ridotti consumi energetici


Prendendo come riferimento il consumo energetico di un ciclista, a parità di tragitto, lo spostamento in auto con un solo passeggero richiede una quantità di energia pari a 52 volte quella consumata in bicicletta. (Lowe, 1990).

Consumi energetici con diverse modalità di trasporto (in Joule).





(Modificato da Lowe, 1990) - (*) auto con 1 solo passeggero


Sulle ferrovie maggiore sicurezza e risparmio di terreno

La mobilità delle persone può essere vantaggiosamente assicurata dal treno: su due binari ferroviari viaggiano, in un’ora, tante persone quante ne possono transitare su sedici corsie autostradali! (Lowe, 1993). Pertanto le punte di elevata mobilità possono essere risolte decisamente con la ferrovia e certamente non con le auto.

Sono molto minori i rischi di incidenti su ferrovia rispetto al trasporto su strada.

Si deve tener conto inoltre che la larghezza della piattaforma per una normale linea ferroviaria a doppio binario è di 10 metri (Leonardi, 2009) e si occupa una superficie di gran lunga inferiore a quella utilizzata per sedici corsie autostradali 88 metri (piattaforma di 22 m per quattro corsie).


Con l’ozono, gas di scarico dei veicoli, produzioni agricole più basse
Tra i gas di scarico delle auto bisogna considerare la formazione di ozono (O3 ).  L’ozono è un forte ossidante e, quando la concentrazione al suolo supera i limiti naturali, causa danni alla respirazione cellulare e quindi sia ai vegetali che agli animali. In condizioni normali le concentrazioni di ozono al livello del terreno arrivano fino a 0,025 parti per milione (ppm).

Negli USA è stato riscontrato che i danni dovuti all’eccesso di ozono si verificano sia nelle zone rurali, scarsamente popolate e sia in quelle urbanizzate con intenso traffico auto-veicolare. E’ stato sperimentalmente verificato che concentrazioni medie stagionali di ozono pari a 0,09 ppm causano riduzioni produttive del 13% sul mais e del 31 % sulla soia. (Brown et Al., 1990)


Costi delle strade e veicoli circolanti

Pur essendo diventati un popolo di automobilisti, credo che la maggioranza delle persone non abbia idea di quanto sia costoso costruire le strade e poi farne la manutenzione; ma, quel che è peggio, non si ha la più vaga idea dei costi energetici e delle emissioni di biossido di carbonio (CO2 ) gas climalterante.

L’energia richiesta per produrre cemento risulta pari a 3,2 GJ per tonnellata (https://library.e.abb.com/public/fd0dbf1c5f5dfd66c1257ce0002d0408/Rapporto_ABB_Efficienza_Energetica_Trend_Globali.pdf ) che equivalgono a circa 74 kg di petrolio; le emissioni di CO2 sono di 700 kg per tonnellata di cemento (Pagani, 2008).

Per la produzione di una tonnellata di acciaio servono ben 22 GJ (Bardi, 2011) che corrispondono a 505 kg di petrolio.

Per il costo di costruzione delle strade possiamo considerare la stima fatta per il sistema autostradale-tangenziale del nodo di Bologna da cui si evince che per la viabilità ordinaria di nuova costruzione i costi, rivalutati al 2018, sono quantificabili in circa 1,17 milioni di euro a km, per una piattaforma stradale larga sette metri, a cui si deve aggiungere l’IVA .

Nel novembre 2011, per l’inaugurazione del tratto funzionale della nuova s.s. 106 “Jonica”, furono rendicontate spese di 27,2 milioni di € a km, per un tracciato avente una piattaforma stradale larga 22 metri costituito per l’82% da viadotti e gallerie. (Dati riportati nell’invito per l’inaugurazione della tratta stradale).

Altro dato quasi sconosciuto è il numero di veicoli circolanti in Italia. I dati ripresi dall’ACI, ci dicono che nel 2017 c’erano circa 38,5 milioni di autovetture circolanti e ben 6,5 milioni di moto per un totale di ben 45 milioni: il doppio di auto e moto che erano in circolazione nel 1985!

 

Specifiche tecniche

Per il contenuto energetico del petrolio ho considerato 43.543 kJ per kg

Dati da “Riorganizzazione del sistema autostradale-tangenziale del nodo di Bologna”. Per calcolare il costo chilometrico su viabilità ordinaria ho utilizzato il valore di 135 € /m2 dell’anno 2003 che ho rivalutato al 2018, utilizzando il coefficiente pari a 1,243 (ISTAT). 167,8 € /m2 per i 7.000 m2 si ottiene 1.174.600 € per 1 km di strada larga 7 m . (https://www.cittametropolitana.bo.it/pianificazione/Engine/RAServeFile.php/f/PTCP/studiofattibilita.pdf , pagina 15-10).

Il tratto funzionale della strada statale 106 “Jonica” tra lo svincolo di Borgia e lo svincolo di Simeri Crichi (dati desunti dalla brochure per l’inaugurazione del 7 novembre 2011), è costato circa 326,9 milioni di euro, ha una piattaforma stradale larga in totale 22,00 metri; è lungo 12 km; la lunghezza complessiva delle gallerie è di 7,18 km; la lunghezza complessiva dei viadotti è pari a 2,64 km.


Bibliografia


Aloisi R., Colloca C., Coroniti T., Paone R., Rizzo G., 2011 – Carta del rischio potenziale di incendio boschivo della Regione Calabria (scala 1: 250.000) . ARSSA Monografia divulgativa 2011, 37

Bardi U. , 2011 – La Terra svuotata. – Editori Riuniti University press, 90
 

Brown L.R., Young J.E. 1990 – Sfamare l’umanità negli anni ’90. State of the World 1990 ISEDI, 99-131.

Bucchi, A., 2014. – La storia delle strade. Relazione presentata l’11 dicembre 2014 presso la Scuola di Ingegneria e Architettura dell’Università di Bologna, 18

Leonardi G., 2009 - Infrastrutture ferroviarie. (https://www.unirc.it/documentazione/materiale_didattico/597_2009_217_5722.pdf)

Lowe M.D., 1990 – In bicicletta verso il futuro. State of the World 1990 . ISEDI, 197 - 221

Lowe M.D., 1993 – Riscoprire le ferrovie. State of the World 1993 . ISEDI, 193 - 221

Ott J., Padoa Schioppa E., 2005 – Strade e popolazioni animali: effetti di disturbo. Estimo e Territorio, 6, 2005, 38 – 43

Pagani M., 2008 - Il bel paese di cemento /4 Aumentano le emissioni di CO2 - 6 giugno 2008 su http//ecoalfabeta.blogosfere.it (scaricato all’epoca ma non più presente sul Web)

Pratesi F., Hulsmann E. , 1995 – Alleati sconosciuti. Edagricole, 2-3

Wolf E.C., 1988 - Evitare un’estinzione di massa delle specie. State of the World 1988 ISEDI, 137-1

domenica 17 novembre 2019

Note di teologia Gaiana: la Dea è un superorganismo?



La bellezza della teologia gaiana è che, contrariamente alla teologia ordinaria, non dovete fidarvi soltanto di di testimonianze di seconda mano circa il soggetto dei vostri studi. Gaia esiste e potete percepirla tutt’intorno a noi. Allora, la domanda è: che cosa è, o anche: chi è Gaia?

Come sapete l’idea moderna di Gaia in quanto cittadina della sfera terrestre è stata sviluppata negli anni 1970 da James Lovelock. Si è poi evoluta in differenti versioni ed è stata fraintesa in vari modi. Per esempio, Toby Tyrrell ha scritto un intero libro cercando di dimostrare che “Gaia “non esiste. Ed è riuscito solo a dimostrare che si può scrivere un intero libro su qualcosa che non si capisce affatto.

Ma è vero che certi modi di comprendere Gaia sono insostenibili alla luce di ciò che sappiamo della biologia. Si parla a volte di Gaia come di un “superorganismo” e a volte di come si impegni a ottimizzare l’ecosistema per gli esseri viventi. Questo non è possibile, come spiega per esempio un testo di Victor Gorshkov e Anastasia Makarieva del 2003 nel quale gli autori notano correttamente che se si suppone che Gaia sia un superorganismo, allora non può esistere.

Però, un attimo. Chi ha detto che Gaia è un superorganismo? E poi, che cos’è un superorganismo? Il termine è sufficientemente vago per poter essere usato e capito male. In generale si tratta di un assemblaggio di sottounità biologiche che non si riproducono individualmente, ma che dipendono da organi specializzati. Una cellula eucariota è un superorganismo, così come una colonia di formiche. E se tu, caro lettore, sei un essere umano, allora anche tu sei un superorganismo. Ma questo non vuol dire che Gaia lo sia. Per esempio, ho tra le mani il libro di Lovelock del 1988 “Gli anni di Gaia “e non trovo il termine “superorganismo,” che si riferisca a Gaia.

All’opposto, Lovelock aveva un’idea molto chiara di quello che è Gaia e lo ha descritto con il suo modello “Daisyword" un ecosistema molto semplificato composto da margherite che possono essere nere o bianche. Notate che le margherite non sono di due specie, come si spiega chiaramente nel libro, sono una sola specie con un grado di polimorfismo nella loro pigmentazione. Il meccanismo gaiano di Daisyworld consiste nel modificare leggermente la frequenza di uno dei loro alleli – cioè che l’allele tinta bianca diventa più frequente o prevalente- per contrastare un aumento progressivo della radiazione solare. Esse lo fanno per mantenere una temperatura ottimale, ma questo influenza anche l’ambiente. Con un maggior numero di margherite bianche, l’albedo del pianeta aumenta, la luce del sole è maggiormente riflessa nello spazio e il pianeta si raffredda. Un evento raro nell’ecosistema reale, ma certe alghe possono utilizzare questa strategia.



Immagine da gingerboot.com

Il modello Daisyword è una di quelle idee geniali che possono essere del tutto incomprese. È stata capita male: è stata percepita come un giocattolo, o come se non avesse rapporto col mondo reale, o semplicemente come insignificante. Però attenti: potete dire che è troppo semplice, rozza, ingannevole, quel che volete, ma tutti i modelli sono falsi e tutti i modelli sono utili se si tiene conto dei loro limiti. Questo è il caso di Daisyworld, un modello “a livello Zero” che apre per noi una visione completamente nuova sul funzionamento dell’ecosistema terrestre – Gaia. Un vero colpo di genio da parte uno degli spiriti più brillanti della nostra epoca.

Comunque ciò che discutiamo qua è il fatto che le margherite di Daisy World NON sono un superorganismo. Non hanno nulla della struttura complessa delle sottounità che costituiscono un superorganismo. Non si tratta che di una popolazione di individui vagamente accoppiati. In questo caso agiscono sull’ambiente modificando leggermente il loro genoma, Lovelock aveva in mente una scala temporale di milioni di anni, dunque c’era tempo a sufficienza perché il genoma cambiasse. Ma questa non è una condizione indispensabile, in una scala temporale più breve non abbiamo bisogno di intervenire sul genoma per far scattare il meccanismo gaiano. Ecco come Gorshkov e Makarieva descrivono il concetto che chiamano “regolazione biotica”.

Supponiamo che gli oggetti viventi capaci di controllare l’ambiente siano gli alberi e che la caratteristica ambientale da regolare sia la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera. Supponiamo inoltre che durante una grande perturbazione atmosferica (eruzione vulcanica, attività antropiche), la concentrazione globale dell’anidride carbonica dell’atmosfera diventi notevolmente superiore all’ottimale biotico. Tutti gli alberi del pianeta coperto di foreste affrontano delle condizioni ambientali sfavorevoli più o meno uguali per tutti. Gli alberi normali cominciano immediatamente a lavorare per eliminare il carbonio dall’atmofera allo scopo di ristabilire la concentrazione ottimale di anidride carbonica. Questo può avvenire per esempio depositando l’eccesso di carbonio atmosferico sotto forma organica nel suolo e nei sedimenti.

Un diverso meccanismo Gaiano potrebbe non coinvolgere soltanto la biosfera ma l’insieme del metasistema formato dalla geosfera, dall’atmosfera e dalla biosfera. È il caso del ciclo geologico del carbonio che sembra essere stato fondamentale per mantenere la temperatura della terra all’incirca costante su una scala temporale di centinaia di milioni di anni, come ho spiegato in un articolo precedente.

Nessuno di questi meccanismi implica un controllo centralizzato, né altruismo, né intelligenza, né pianificazione o altre cose di questo genere – nessun superorganismo di nessun genere. Ed ecco che Gaia ci appare. È una proprietà sviluppata dall’ecosistema che si traduce in retroazioni interne che tendono a mantenere il sistema in uno stato omeostatico.

Tornando alla teologia, adesso possiamo rispondere alla domanda posta all’inizio, chi è Gaia? In quanto fenomeno collettivo dell’ecosistema, assomiglia molto ai demoni che Gesù incontra nel paese dei Geraseni quando gli dicono “Il mio nome è legione, perché noi siamo molti”. Allora, Gaia è un demone? Forse. Nell’antichità, il concetto di demone (δαίμων) non aveva in sé la valenza negativa che gli verrà poi attribuito in seguito dal Cristianesimo. Un demone è una forza, un aggregato, un’egregora della natura, generalmente benevolo, ma non onnipotente.

Le parole hanno il significato che noi vogliamo attribuire loro: possiamo dire che Gaia e “solo” un ecosistema e che non è affatto una dea, nel senso che certamente non è benevola e misericordiosa e che non deve essere adorata (certamente no!). Ma c’è anche il concetto di “deferenza” definito come un “un sentimento di profondo rispetto con sfumature di paura”. Il rispetto dovrebbe essere un atteggiamento appropriato nei confronti di una creatura estremamente potente che può spazzar via l’umanità in breve tempo.

Se voi non venerate o peggio disprezzate la Dea, male ve ne incoglierà: gli antichi avevano il concetto di hubris (ὕβρις) che provocava la Nemesi (Νέμεσις), la dea della vendetta, che dava un castigo appropriato a coloro che si rendevano colpevoli di un’eccessiva confidenza. Potrebbe essere che Nemesi non sia che un altro nome di Gaia, ma a ben guardare non abbiamo bisogno di una Dea in collera per distruggere l’umanità, sembriamo perfettamente in grado di farlo da soli. In conclusione tutto è nelle mani delle Moire (Μοῖραι) che svolgono dalle loro mani il filo del destino.





venerdì 15 novembre 2019

Lettera aperta ai giovani che lottano per la salvezza della biosfera


di Bruno Sebastiani

Cari ragazzi
voi avete dato vita a una rivoluzione, ed è la prima volta nella storia che una rivoluzione ha come obiettivo la salvezza della biosfera.
Questo è un avvenimento che rappresenta una svolta epocale nella vicenda umana e deve pertanto essere supportato da una base ideologica che rappresenti una svolta altrettanto epocale nella storia del pensiero.
Per tale motivo vi propongo alcuni spunti per la costruzione di una valida base ideologica.
1.  Nessun essere vivente ha mai creato squilibri ai danni della biosfera come quelli causati dall’uomo. Questo perché gli animali sono guidati dall’istinto e gli “interessi” contrapposti delle varie specie si sono sempre autoregolati nell’ambito del mondo della natura.
2.   Ad un certo punto della sua evoluzione biologica il cervello dell’uomo ha superato le dimensioni che gli consentivano di vivere seguendo semplicemente l’istinto e tale crescita gli ha permesso di iniziare ad intervenire sul mondo della natura modificandolo a suo piacimento.
3.     L’istinto di sopravvivenza unito alle nuove facoltà intellettuali ha dato vita alla volontà di potenza. Nella lotta per la vita Homo sapiens ha sconfitto con questa nuova arma, la super intelligenza, tutti i suoi concorrenti ed è diventato il re del mondo.
4.   Per giustificare questa nuova condizione gli antichi si sono inventati miti e religioni secondo i quali saremmo stati investiti di questo potere nientemeno che dal creatore dell’Universo.
5.     In base a tali convincimenti sin dagli albori della storia abbiamo iniziato a distruggere i tessuti sani del pianeta, portando all’estinzione un gran numero di specie animali ed intervenendo pesantemente sul mondo vegetale con l’invenzione dell’agricoltura.
6.   L’opera di distruzione è andata via via aumentando di intensità parallelamente alla crescita e alla diffusione della cosiddetta “civiltà”, fino ad oggi, momento storico in cui stiamo prendendo coscienza di essere molto vicini al punto di “non ritorno”.
7.     Questa tragica situazione si è verificata perché l’intelligenza umana è cresciuta fino a consentirci di modificare l’ambiente a nostro favore e a sfavore di tutti gli altri esseri viventi, ma non è cresciuta a sufficienza per ristabilire un equilibrio altrettanto duraturo.
8.    Abbiamo operato come le cellule di un tumore: siamo cresciuti a dismisura e abbiamo distrutto i tessuti sani dell’organismo planetario che ci ospita, ed ora ci accorgiamo di aver portato questo organismo in prossimità della fine, che costituirebbe anche la nostra fine.
9.   Pur in presenza di una situazione tanto grave è doveroso tentare di mettere in atto ogni azione che possa scongiurare, o quanto meno ritardare, la distruzione della biosfera. Per tale motivo è assolutamente necessario avviare sin da subito ogni iniziativa volta alla decrescita.
È compito della vostra rivoluzione individuare sistemi e strumenti con i quali intervenire nei confronti dei governanti per richiamare la loro attenzione alle vere priorità. Ma nel fare questo non dovete farvi ingannare da negazionisti e falsi ecologisti, e il modo migliore per restare saldi nei vostri propositi è di ancorare il vostro movimento ad una solida base ideologica.
Quella che vi ho indicato è solo una traccia di un percorso tutto da scrivere, ma credo che contenga in sé i punti fondamentali da approfondire.