giovedì 1 febbraio 2018

Virtuosismo demografico: al di là della crescita




Un post di Natan Feltrin (da "Mimesis")  





Di Natan Feltrin


«Anyone who believes that exponential growth can go on forever in a finite world is either a madman or an economist».

Kenneth Ewart Boulding



24 dicembre 2017, ore 16:57. Il World Population Clock, nel suo fluire senza tregua, segnala che sul pianeta Terra il numero di esseri umani ha raggiunto la vertiginosa cifra di 7.442.832.829. Quando per la prima volta impugnai la penna per descrivere le problematiche insite nella crescita demografica erano le 13:35 del 17 agosto 2016 e la popolazione umana contava 7.344.937.428 di individui. In questo umano lasso di tempo si sono aggiunti 97.895.401 di coinquilini su Gaia. Quasi 98 milioni!

Una cifra maneggiabile mentalmente, ma difficile a rappresentarsi nel concreto. Forse, dopo aver preso ad uso parlare di miliardi, tale quantità umana può non suonare così “decisiva” per le sorti politiche, economiche ed ecologiche globali, ma un siffatto considerare sarebbe una grave leggerezza. Onde essere più esemplificativi, si potrebbe dire che al banchetto del mondo si è aggiunta una Germania e più. D’altronde, sarebbe inesatto considerare questa aggiunta demografica come una “Germania”. Difatti, il motore rombante di questo trend globale non sono i paesi del “primo mondo”, ma le nazioni in cui il tenore di vita occidentale è ancora lontano quali il Niger, l’Afghanistan, il Burundi…, il cui tasso di fecondità totale si aggira attorno ai 7 figli per donna.

Con molto cinismo si potrebbe asserire che “fortunatamente” i nuovi arrivati non hanno tutti le prospettive di vita di un tedesco medio. Questo perché, stando al Global Footprint Network, se l’intera popolazione umana vivesse secondo gli standard di un paese sviluppato come la Germania occorrerebbero 3,2 pianeti Terra per soddisfare questa appagante way of life. Se, invece, tutti ambissero al sogno del consumismo made in USA allora si renderebbe necessaria la biocapacità di ben 5 pianeti blu! Considerata una popolazione superiore ai sette miliardi e tenuto conto di preoccupanti limiti ecologici, come iplanetary boundaries suggeriti dallo Stockholm Resilience Centre, il fatto che allo stato attuale siano necessarie 1,7 Terre per sostenere la presente biomassa umana dovrebbe far suonare un campanello di allarme. Al contrario, sebbene i prospetti delle Nazioni Unite prevedano 9,8 miliardi nel 2050 e 11,2 miliardi nel 2100, le poche voci che si levano a gridare “population matters” vengono additate come neomalthusiane e nemiche dell’umanità.

Del resto, nonostante la cattiva distribuzione del benessere nell’ecumene sia palese e più dell’11% della popolazione soffra la fame, l’unico imperativo capace di far bucare lo schermo a politici ed opinionisti d’ogni partito e ideale è quello della “crescita”. Sembra che ogni diagnosi sul corpo malato della società globale sia, da anni, sempre, faziosamente, la stessa: crisi economica. Come curare questo male “morale”? Beh, semplice: tornare a crescere, crescere, crescere e, se il motore dell’economia si inceppa, nuova benzina dovrà essere trovata in una iniezione di biomassa umana. Così quando paesi la cui denatalità, in un contesto di Netherlands fallacy,dovrebbe essere un segno di speranza per un futuro più “sostenibile”, questo baby bust si trasforma in una colpa sociale. Colpa sociale il cui rimedio intraprende due vie sinistre ed antitetiche: da un lato politiche popolazioniste e nazionaliste che, in casi estremi, trasformano i ventri femminili in strumenti bellici, come nella “guerra demografica” tra israeliani e palestinesi, dall’altro politiche di immigrazione incontrollata che spesso trattano gli individui umani come numeri su un grafico non capendo, e non volendo vedere, il rischio insito in questa dematerializzazione umana.

Come scrive il professor Andrea Zhok «è un’illusione immaginare che le persone possano muoversi come tra vasi comunicanti, spostandosi sul pianeta in tempo reale, seguendo le esigenze correnti dell’economia e del sostentamento, in modo simile a come si muovono la moneta elettronica o i titoli azionari da un paese ad un altro: una pericolosa illusione».

La demografia sembra essere ontologicamente non neutrale alle sorti del mondo, da tempo immemore il pendolo dell’opinione dotta è oscillato tra quelle che il Professor Scipione Guarracino ha chiamato la paura del “deserto” e del “formicaio”: le popolazioni umane sono sempre state considerate troppo numerose e prolifiche o troppo poco dense e fertili. Queste paure, più o meno fondate, si sono concretizzate storicamente in azioni politiche determinate che vanno dal popolazionismo degli Asburgo nel diciassettesimo secolo a quello dell’Italia fascista, dalle distopie dell’eugenetica alla politica del figlio unico cinese.

Ad inizio XXI secolo, però, una coscienza dei limiti planetari rende oggettivamente irrazionali politiche di incentivo alla crescita demografica in un pianeta sempre più “stretto” nella morsa di una feroce monocultura umana. La Terra da un punto di vista termodinamico non è un sistema chiuso e nemmeno isolato, ma finito. Perciò, seppure grazie al Sole possa garantirsi una omeostasi energetica, non possiede risorse illimitate e, di conseguenza, una condizione di Netherlands fallacy a livello globale sarebbe tautologicamente impossibile.

Terminata la corsa al land grabbing e raggiunto un livello di EROEI (Energy returned on energy invested) negativo dei combustibili fossili per il quale il petrolio non sarà più un bonus energetico, sfamare l’intera umanità diventerà un compito prometeico, qualcosa al di là delle possibilità dell’umano. Seppur esistano molteplici soluzioni auspicabili di efficienza energetica e di gestione degli sprechi, che non aver già intrapreso è un vero crimine contro l’umanità e l’intelligenza, queste dovranno scontrarsi con una realtà ecologica drammaticamente cangiante. La pesante macchina economica non potrà solo attuare un tardivo greenwashing basato su energie rinnovabili e tecnologie a presunto “impatto zero”, ma dovrà fronteggiare i costi che la manutenzione di una biosfera danneggiata porterà seco. Dunque all’investimento nella transizione energetica, obiettivo forse dell’industria 4.0., si dovrà aggiungere un pedaggio di cui il global warming è solo l’aspetto più “ chiacchierato”.

Alla cupa luce di queste allarmanti considerazioni occorrerebbe ridefinire il concetto di “virtuosismo demografico” slegandolo dai binari di una economia il cui fine è un dismorfico accrescimento del PIL per armonizzarlo al canovaccio di futuribili prosperi sostituendo ad una cronica crescita malata un’idea di sviluppo del benessere all’interno di un oikos florido e resiliente.





sabato 27 gennaio 2018

Se i diamanti costassero un euro al chilo, penseremmo che sono pacchiani

Ne è passato di tempo da quando lo stoico Cleante ringraziava Zeus per aver creato l'uomo, il gioiello della creazione. Ma i gioielli si apprezzano anche perché sono rari, se i diamanti fossero comuni come le patate, li considereremmo inutili e pacchiani (oltre a non essere buoni da mangiare). Oggi, con sette miliardi e mezzo di umani, la fama dell'uomo come gioiello della creazione si è alquanto appannata e Bruno Sebastiani non scende a compromessi nel parlare degli esseri umani come "Il Cancro del Pianeta." E' un titolo molto inquietante per un saggio che, peraltro, fa molte osservazioni corrette. (U.B.)




 IL CANCRO DELPIANETA

Un post di Bruno Sebastiani

E se la nostra intelligenza anziché essere una scintilla divina o una mirabile opera della natura (a seconda che ci si riconosca nel creazionismo o nell’evoluzionismo) fosse un tragico errore del processo evolutivo della vita, una via “svantaggiosa” imboccata casualmente da madre natura che ben presto l’abbandonerà per far ritorno a forme di vita meno distruttive per l’ambiente?

A questa domanda, tanto angosciante quanto di basilare importanza per tutto il genere umano, ho tentato di dare una risposta con la teoria contenuta nel saggio “Il Cancro del Pianeta” (Armando Editore, Roma, 2017).

E la risposta, purtroppo, è stata affermativa. Sì, la nostra intelligenza è il frutto di un’abnorme evoluzione patita dal nostro cervello, evoluzione che ci ha posti in grado di modificare l’ambiente che ci circonda a nostro vantaggio, ma a svantaggio di ogni altra realtà del pianeta.

Fin qui qualcuno potrebbe dire: che male c’è? Noi apparteniamo alla specie Homo sapiens, siamo all’apice della catena della vita ed è giusto che ci preoccupiamo principalmente di noi stessi. Sennonché la nostra vita dipende da tutte le altre realtà esistenti sul pianeta, realtà che stiamo dissennatamente e sistematicamente annientando! È come se ci trovassimo su una nave e continuassimo ad imbarcare acqua: prima o poi ci sarà il naufragio!

Il punto è proprio questo: la “scintilla divina” (o “mirabile opera della natura”) ci ha consentito di piegare a nostro vantaggio le leggi stesse della natura, di squilibrare, sempre a nostro vantaggio, il delicato ed ultra complesso sistema di congegni e meccanismi biologici formatisi spontaneamente in milioni e milioni di anni, e ci ha consentito di farlo in un battibaleno, in poche migliaia di anni, un’inezia di tempo cosmico. Ma non ci ha consentito di creare un nuovo equilibrio altrettanto solido come quello che abbiamo distrutto.

La nostra intelligenza (o ragione) è il software che gira nel nostro cervello ed è lo strumento più potente sviluppatosi su questo pianeta. Ma la sua potenza è niente rispetto a quella necessaria per governare in modo stabile ed equilibrato le innumerevoli variabili presenti in natura.
Erano nel giusto gli antichi asceti che si annientavano di fronte all’ignoto che essi chiamavano onnipotenza divina.

Ma l’essere umano non ha seguito la loro strada perché non poteva che intraprendere il cammino del cosiddetto “progresso”, indotto a ciò due impulsi irrefrenabili, e cioè:

  • da un lato la continua, spontanea crescita (e potenza elaborativa) del cervello, da meno di 500 cc a 1.400 cc in poco più di due milioni di anni;
  • dall’altro lato l’istinto di sopravvivenza della specie, presente in ogni appartenente al regno animale e preposto al mantenimento dell’equilibrio numerico tra tutti gli esseri viventi.

Questo istinto ha normalmente la funzione di non far prevalere una specie sulle altre: alcuni animali hanno sviluppato la forza fisica, altri l’agilità, altri la velocità, altri ancora il mimetismo e così via. Ognuna di queste “doti” si è evoluta al fine di consentire a ciascuna specie la conservazione del proprio posto nel mondo della natura, all’interno di un equilibrio dinamico in continuo movimento. Tale equilibrio in passato, milioni di anni or sono, si è spezzato più volte a causa di eventi catastrofici, quali impatti con asteroidi, glaciazioni, collisioni di placche tettoniche, eruzioni ecc. Ed ogni volta, dopo la catastrofe, la vita ha ripreso ad evolvere, sotto vecchie e nuove forme, fino a ricostituire il suo equilibrio dinamico.

Al di fuori di questi eventi, che condussero alle cosiddette “estinzioni di massa”, alcune specie si estinguono per motivi naturali, di norma per il venir meno delle loro specifiche fonti di sostentamento o l’insorgere di particolari mutazioni climatiche. Queste estinzioni, dette “estinzioni di fondo” (in inglese “background extinctions”) sono assai rare, nell’ordine di 4 – 5 famiglie ogni milione di anni.

Ma ai nostri giorni l’equilibrio che presiede alla contemporanea convivenza di tutte le specie viventi si è nuovamente spezzato, e non per motivi riconducibili ad eventi catastrofici, bensì a causa dell’utilizzo che stiamo facendo delle capacità intellettuali di cui ci siamo trovati involontariamente a disporre.

In pratica nella lotta per la vita, abitualmente regolata dall’istinto di sopravvivenza, noi uomini siamo intervenuti con la nuova super arma fornitaci dall’abnorme evoluzione del nostro cervello, abbiamo sbaragliato tutti gli avversari e siamo rimasti soli a dominare su tutti i regni della natura.

Ma così come è stato facile trionfare su ogni essere animato e inanimato presente sul pianeta, è altrettanto difficile ricreare un nuovo equilibrio che garantisca la continuità della vita sulla Terra. Il nostro trionfo ha comportato la diffusione del genere umano in ogni angolo del globo con un ritmo vertiginoso, cui ha corrisposto per contrappeso l’annientamento di tutte le forme di vita non riconducibili ad un diretto utilizzo antropico (alimentare in primis). Il nostro egoismo è stato tanto cieco da non farci comprendere che in natura tutto è collegato all’interno di un grande super organismo entro cui è germogliata la vita e di cui anche noi facciamo parte. Spezzando un’infinità di anelli apparentemente inutili, abbiamo interrotto il flusso vitale del super organismo, ed ora ne patiamo le conseguenze che portano i nomi tristemente noti di inquinamento, riscaldamento globale, desertificazione, sovrappopolazione ecc. ecc.

Come non intravvedere una corrispondenza tra questo tipo di comportamento e quello delle cellule in cui il materiale genetico muta al punto da trasformarle in agenti cancerosi, restii ad accettare la morte cellulare programmata (apoptosi) e destinati ad innescare con la loro proliferazione incontrollata il processo tumorale?

A mio avviso non ha grande importanza che questa correlazione abbia basi scientifiche o meno. Ciò che conta è che faccia intendere all’essere umano come il progresso di cui va tanto orgoglioso, la cosiddetta civiltà, altro non sia per l’ecosfera se non una malattia che tutto distrugge. Questo morbo, vero e proprio cancro del pianeta, minaccia di far sparire la vita in una nuova estinzione di massa, indotta questa volta non da eventi esogeni, ma da un errore commesso da madre natura stessa, una via svantaggiosa imboccata casualmente che presto sarà abbandonata, come ogni errore prodottosi nel corso del processo evolutivo.

Oggi ci troviamo in una situazione ambigua. Non possiamo negare gli enormi benefici che il progresso ha comportato per tanta parte dell’umanità. Ma non possiamo ignorare i danni irreversibili che abbiamo già causato all’ambiente e agli altri esseri viventi, danni che prossimamente si ritorceranno anche contro di noi.

Quando il cancro conclude la sua opera nefasta anche le cellule cancerose scompaiono insieme ai tessuti sani che hanno distrutto.

Ecco questa è la visione realistica contenuta nel mio saggio. Non mi sono posto il problema della “guarigione” perché ritengo che la “malattia” sia giunta ad un punto tale da lasciare ben poche speranze di risanamento.

Ho mantenuto però un barlume di speranza individuale, laddove ho suggerito a chi ne ha la possibilità di cercare rifugio in quel poco di natura che resta, come abbiamo fatto io e mia moglie che abbiamo lasciato la città in cui vivevamo (Milano) e ci siamo trasferiti in una casa ai margini di un bosco. Qui abbiamo aperto un Bed & Breakfast, al quale abbiamo dato nientemeno che il nome di Joie de Vivre.

Se la speranza collettiva non ha più ragion d’essere, rimane pur sempre la speranza individuale!


giovedì 25 gennaio 2018

La Mente di fronte alle catastrofi (2) Quanto siamo resilienti?

(Pubblicato anche sul blog Appello per la Resilienza)

Di Daniele Migliorino

In questo post propongo un'esercizio mentale volto ad anticipare un evento negativo, qualcosa di simile a quegli esercizi spirituali che facevano alcuni medievali, come la "meditatio mortis". Prendiamo l'ipotesi dell'arrivo di una meteora sulla terra, ipotesi che è stata cavalcata dalla filmografia catastrofista (basti pensare ad Armageddon).  Risultati immagini per meteorite

Per quanto ne so - basandomi ad esempio sulla "Storia della Terra" di McDougall - un'evento del genere è qualcosa che prima o poi riaccadrà, per via delle leggi della probabilità. Qui non mi interessa quando e se accadrà qualcosa del genere, quanto piuttosto prendere questo esempio come la "madre" di tutte le catastrofi annunciate.

Supponiamo che... un'organizzazione spaziale tipo la NASA avverta la popolazione che fra 6 mesi si abbatterà sulla Terra un'asteroide di dimensioni sufficientemente grandi da spazzare via metà della popolazione mondiale e che farebbe collassare l'intero network finanziario-commerciale su cui si basa la vita umana. Qualcosa come migliaia e migliaia di volte la potenza della più potente bomba atomica che sia capace di produrre, per esempio, il bravo Kim Jong-un.

Supponiamo che tutti gli enti governativi decidano che l'allerta è reale e avvertano la popolazione. Che cosa accadrebbe?

Nel film citato sopra gli esperti di turno valutano che l'unica chance per l'umanità è spaccare in due la meteora in modo da deviarla. La responsabilità nel film finisce per ricadere su quel gruppetto di astronauti che si incaricherà della missione.

Supponiamo che però non si possa far esplodere la meteora perchè è già troppo tardi... La popolazione viene avvisata che l'impatto è certo. La mente delle persone subito capisce e anticipa (la mente ha funzione di "anticipare"; si veda il post) che "sarà la catastrofe". A una parte dell'umanità toccherebbe la sorte peggiore, senza che si possa sapere a chi... Ci troveremmo ad affrontare tutti insieme, senza distinzioni di razze e privilegi sociali, lo stesso pericolo.

Le persone come reagiranno? Panico totale o collaborazione? La mente come si comporterà? Come un cavallo imbizzarrito o sarà sufficientemente calma per affrontare la situazione? In questi momenti sarebbe meglio aver coltivato la "consapevolezza" come un buddista o la frenesia come un'occidentale?
Risultati immagini per panico collettivo

Può essere che dopo un periodo iniziale di panico si cominci a cercare insieme delle soluzioni. Non sarebbe la più grande ricerca collettiva di una soluzione volta al bene comune?

La soluzione migliore che viene trovata prima di tutto è di calcolare il momento esatto in cui vi sarà l'impatto così da capire in che luogo avverrà e dunque... evacuare l'intera popolazione mondiale nel punto opposto della Terra! In tal modo forse sarà possibile salvarsi quasi tutti (ribadisco che questa "ipotesi" non ha valore reale; è solo a titolo di esperimento mentale)

La gente si arrende all'evidenza e comincia a entrare nell'ordine delle idee che non c'è alternativa. Ecco il punto che mi interessa: avviene un'immenso cambiamento per tutti e bisogna metterlo in atto. Bisogna trasferirsi dall'altra parte del globo e abbandonare tutto ciò che si aveva e faceva.

Improvvisamente non esiste più nessuna vita quotidiana con le sue piccole gioie e timori, con i suoi ritmi e regolarità, aspettative, responsabilità, progetti, ecc. Cambia l'intero campo dei valori individuali e collettivi. La mente viene invasa da immagini e pensieri nuovi che cacciano sullo sfondo la maggior parte di quelli che era solita rappresentarsi. Ora c'è un solo obiettivo: salvarsi e aiutare anche i propri familiari e tutto diviene funzionale a questo scopo. Paradossalmente per qualcuno la vita potrebbe anche riacquistare un "senso" poichè ne risperimenta il valore (la mente anticipa che si potrebbe perdere la vita).

TORNIAMO ALLA "REALTA'"...

La nostra situazione attuale riguardo ai cambiamenti climatici, mi domando, è poi molto diversa? L'unica differenza è che i dati che abbiamo a riguardo non possono darci certezze su cosa accadrà. Continuando però a spalmare le conseguenze più gravi di questo "evento" nei decenni a venire - come se non fossimo mai realmente nell'occhio del ciclone, ma sempre "Demain", come il titolo del film francese - di fatto finiamo con non concretizzare mai alcun comportamento collettivo adeguato (ma nemmeno individuale).

Il problema è che adesso c'è una vita concreta che devo mandare avanti, con tutti i suoi doveri, ed è assai difficile pensare che il futuro è adesso. "Che cosa dovremmo fare?" si chiedono in molti, con senso di impotenza. L'immenso problema è che la nostra stessa quotidianità è implicata nel problema. Non è che il Global Worming sia una fatalità che giunge all'umanità da un'altro pianeta, come una meteora appunto: siamo tutti noi, chi più chi meno, a contribuire alla quotidiana immissione di gas serra con i nostri comportamenti.

 Risultati immagini per impronta ecologica italia

Il sistema, dicono alcuni, è lock-in: è bloccato. Operare dei cambiamenti nel sistema è incredibilmente arduo, poichè bisogna modificare le "regole del gioco", quelle strutture/feedback che lo mantengono in essere. Cosa fare? Come farlo?

Ciò che non è abbastanza chiaro ai più è che ognuno di noi ha la sua parte di responsabilità in questa storia. Additiamo la responsabilità maggiore alle multinazionali, ai politici e al "sistema". Non possiamo accettare di farne parte anche noi. Siamo tutti "costretti" a giocare a questo gioco perverso guidato dalle corporations?

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Ciò che intendevo evidenziare è come tutti gli equilibri e le dinamiche cambiano quando un pericolo è evidente. Non c'è più alcun "sistema lock-in" di fronte a mobilitazioni simili, di colpo tutta la forza coercitiva che sembrava imporci di partecipare, quasi dall'esterno, secondo le norme stabilite alla vita sociale - viene meno.

Il sistema è bloccato solo perchè noi lo vogliamo (di solito inconsapevolmente). E' ingenuo pensare che i politici faranno qualcosa, anche se onesti, perché il politico non può cambiare la struttura del sistema.

Non ci potrà essere nessun "cambiamento sistemico guidato dal risveglio morale" (R. Heinberg) fino a che continuiamo a fare le stesse cose e come le facciamo prima. Se non facciamo diventare il cambiamento climatico "il nostro lavoro" che cosa credete che cambierà? Qui sta il vero blocco e modificarlo significa diventare resilienti, cioè in grado di affrontare il cambiamento.

Dobbiamo proprio esagerare, non come i buontemponi qui sotto!
Risultati immagini per pino e amedeo mondo
                                                                                                  



martedì 23 gennaio 2018

Gli errori di comunicazione sul cambiamento climatico






Un post di WM



Recentemente molti interventi su questo blog riguardavano la mancanza di attenzione su un tema così importante come il cambiamento climatico. Oggettivamente guardandomi intorno non posso che constatare che gli interessi sono altrove, alcuni certamente importanti come le pensioni, la mancanza di prospettiva di lavoro e la disoccupazione, altri molto meno che non sto a dire.

L'argomento è totalmente assente nel dibattito elettorale (non mi meraviglia) e nelle conversazioni pubbliche le questioni sono altre. Che fare? Penso che il principale errore sia nel proporre previsioni a lunga scadenza, dicendo che entro il 2100 il mare si innalzerà di 2/3 m, se non si vive in Bangladesh o alle Maldive (forse chi vive a Venezia apre le orecchie ma non ne sono sicuro) la prospettiva è troppo lontana, anche dire che nel 2040 la T potrebbe salire di 2 C°, fa venire in mente che mancano ancora più di 20 anni e poi a dicembre faceva più freddo del solito e via discorrendo .

Una strategia sarebbe invece quella di provare a raccontare che il cambiamento è in atto, che tra pochi anni il caldo e la siccità impediranno la coltivazione della vite, del frumento (e forse si passerà al sorgo più resistente alla siccità ma meno produttivo), che senza neve non si andrà a sciare, che le tempeste di metà gennaio in centro Europa sono un evidente segnale.

Sono esempi a caso per dare una prospettiva a breve ma far capire che se piove di meno non basta fare un buco in più per estrarre acqua sempre più profonda o dire che se lo scorso anno gli invasi alpini hanno prodotto meno energia idroelettrica la causa sono le minori precipitazioni adesso, non a lunga scadenza e che se la tendenza alla fusione dei ghiacciai procede a questo ritmo non bisogna attendere 20 anni perché scompaiano.

Far osservare che se sono caduti 2 m di neve sulle Alpi occidentali e 3 giorni dopo al sud c'erano 24 C° a gennaio non è solo una anomalia ma un chiaro effetto del cambiamento climatico.

Entrare nell'ottica dei sistemi caotici e il clima lo è per eccellenza, non è facile ma bisogna spiegare che l'evoluzione avviene a scatti, improvvisamente si riposiziona ad un livello diverso.

Quando trato questi argomenti è imbarazzante perché in genere l'interlocutore mi guarda dapprima curioso, poi nel momento in cui dico che il processo è in atto e non ci vuole molto tempo, cambia atteggiamento, infastidito o incredulo e cambia discorso.

Qualche tempo fa parlando con un un ingegnere, che mi ripeteva che il famoso “I limiti dello sviluppo” scritto nel '73 aveva sbagliato previsioni ho tentato di spiegare tra le altre cose che i sistemi complessi non sono lineari e per quanto i matematici abbiano inventato il caos deterministico e gli attrattori, non necessariamente i collassi sistemici portano a condizioni compatibili con le esigenze del genere umano.

Parole al vento, per lui o per quelli come lui, bisogna usare linguaggi più brutali e senza fronzoli.

I giornalisti vogliono sempre rassicurazioni, non bisogna mai creare il panico, i politici poveretti seguono sempre il cadreghino e la prospettiva non va oltre i 5 anni per cui inutile cercare sponda da quella parte.

L'unica strada è che tutti, ma dico tutti, gli scienziati, gli studiosi, non facciano sconti, dire come stanno le cose in modo chiaro e netto anche se ci sarà sempre qualcuno che dirà che non è vero; l'alternativa sarà non intervistarci più oppure cancellarci dai loro contatti ma siamo in tanti che si occupano di cambiamenti climatici, prima che esauriscano i nomi forse siamo in tempo.


wm




domenica 21 gennaio 2018

I grandi perché della vita



E' ormai tradizione che su Internet ci si occupi di gatti. E così un post leggero dove Elena Corna dimostra la sua capacità di vedere il mondo attraverso occhi non umani. 


Un racconto di Elena Corna


Immobile, con gli occhi chiusi, Romeo si lascia scaldare dal sole. Uno scatto improvviso di Silvestro, sdraiato accanto a lui, interrompe bruscamente le sue meditazioni. -Ecco, mai che si possa godersi un tramonto in pace. Che c’è? -

-Niente, un granchio… -

Romeo apre un occhio:- Già, eccolo lì. Bello grosso. E acchiappalo, no?- Silvestro allunga una zampa senza molta convinzione. - …Si è allontanato. Non ci arrivo…-

Romeo sospira:-Eh, se tu avessi fame, ma fame veramente, a quest’ora ti saresti alzato. I nostri antenati, quelli sì che sudavano sette strati di pelo per guadagnarsi di che vivere. Vedi quella nave laggiù? Un tempo su ogni nave venivano imbarcati uno o due di noi. Lavoravano come guardiani delle cambuse e delle stive. Se volevano mangiare, dovevano acchiappare i topi. Per fortuna, al giorno d’oggi moltissimi di noi non hanno più il problema di trovare il cibo. -

Silvestro sbadiglia con aria soddisfatta:- Sì, trovo che abbiamo fatto benissimo ad addomesticare la specie umana. E’ stata una gran trovata. -

Malachia, l’intellettuale del gruppo, che sonnecchiava poco lontano, non può fare a meno di intervenire: -In realtà la domesticazione della specie umana è iniziata almeno quattro millenni fa. Gli Egiziani ci adoravano addirittura. E fin dall’antichità noi siamo ammessi in tutti i palazzi reali, mentre le altre specie quasi sempre restano fuori. “Un gatto può sostenere lo sguardo di qualunque re”, dice un proverbio. -

Una sonora soffiata lo interrompe. Gonfiando la coda, Malachia sibila indispettito: -Madame, un po’ di rispetto. So bene che non sopporta i miei discorsi culturali, ma non mi soffi così o dimenticherò di essere un gentilgatto. -

Trudy, da poco madre, si affretta a scusarsi:- Oh, non soffiavo a te o alla tua cultura, per la quale ho la massima considerazione, ma a mio figlio… Vieni qui, Isidoro, smettila di rotolarti nella Posidonia. Dopo ti devo leccare per un’ora per toglierti quell’odore.- 

Il cucciolo si avvicina traballando, trascinandosi dietro svariate foglie di Posidonia. Per farsi perdonare, drizza le orecchie con l’aria del giovane curioso e desideroso di apprendere, come si addice a un vero gatto:  -Mamma, cosa vuol dire “domesticazione”? -

Romeo si stira e si mette seduto:-Te lo spiego io, piccoletto. Vedi, la specie dominante del pianeta, che si ritiene anche la più evoluta…- 

-Che invece siamo noi- interloquisce Silvestro Romeo gli dà una zampatina sulla testa, giusto perché aveva voglia di farlo già da prima, poi prosegue compunto:- Insomma, la specie dei Sapiens ha asservito tutte le specie che ha potuto; usano i cavalli per correre, gli elefanti per trasportare pesi, i cani per la caccia, per il salvataggio in mare, per fare la guardia e per un sacco di altre cose come trovare i tartufi…

I sapiens hanno un olfatto da schifìo- aggiunge Silvestro, rotolandosi quel tanto che basta per non essere a portata di zampa dell’amico. -insomma- riprende Romeo – molte specie sono imprigionate negli zoo, schiavizzate nei circhi, addirittura allevate per essere mangiate…- 

Trudy smette di ripulire il cucciolo e pianta i suoi occhi gialli in quelli dell’amico:- Ehm, Romeo…Per favore…- Non è proprio il caso di turbare il piccolo con il racconto delle innumerevoli atrocità che sono la specialità dell’homo sapiens. - Romeo capisce al volo.

-Per farla breve, piccoletto, noi siamo l’unica specie a condividere lo spazio dell’uomo senza che lui ci chieda niente. Sa benissimo che noi non obbediamo a nessuno. Anzi. Lui si incarica di proteggere e di nutrire le nostre comunità. Inoltre, secondo le sue stesse leggi, noi siamo individui liberi. Per il cane non è così; il cane deve avere un “padrone”. E se un cane vive con un umano, finisce per fare quel che vuole l’umano; ma se un gatto vive con un umano, è l’umano che fa quello che vuole il gatto. Generalmente bastano tre giorni, a un gatto, per addestrare il suo umano.- 

Il micetto ascolta con gli occhi sgranati:- Perbacco, e come ci siamo riusciti?-

-E’ per via dei topi- risponde Malachia –I sapiens credono di essere onnipotenti ma sono terrorizzati dai topi. Si calcola che ci siano 8 topi per ogni umano. E loro sanno benissimo che noi siamo tuttora il loro migliore alleato in caso di attacco topesco. -

-Macchè!- interviene Silvestro – E’ solo perché siamo così incredibilmente belli. Lo vedete quanti vengono qui a fotografarci!-

-Già, e ogni volta tu ti metti in posa.- ironizza Romeo

-Non so…- obietta Trudy con tono pensoso -Tigri, pantere e leoni sono bellissimi, anche più di noi-

-Lo credo, sono cugini nostri. Sfortunatamente per loro, sono anche grossi. E con troppi denti. Certo, anche noi possiamo essere feroci- sottolinea Romeo con una certa fierezza –ma siamo anche capaci di recitare la parte dei peluche. Loro no. -

- Una volta- racconta Malachia - è stato qui uno studioso. Lui diceva che ogni scienziato dovrebbe vivere con un gatto, per ricordarsi che non tutto si può sapere e quindi non è il caso di essere presuntuosi. ... Vanno in visibilio se gli facciamo le fusa, e non sanno proprio come facciamo! Il meccanismo esatto delle fusa è tuttora ignoto agli uomini. Il gatto mette in scacco l’intelligenza umana.-

-Può essere. Quello che è certo è che noi tiriamo fuori il meglio degli umani. Soprattutto quando li guardiamo fissi. Per questo non possono fare a meno di noi. E poi, ci trovano così…impeccabili. Nobili, ci definiscono.-

-Visto? E’ come dicevo. E’ che siamo terribilmente belli- conclude Silvestro, stirandosi in tutta la sua lunghezza e anche un po’ oltre.-

-Boh…sarà anche vero che tiriamo fuori il meglio di loro, però sono ancora una specie dissennata: si fanno guerra, maltrattano le altre specie e i loro stessi simili, buttano spazzatura dovunque…Guardate in mare, sta passando un sacchetto di plastica…- mormora Trudy.

Tutti gli occhi guardano verso il mare.

-Beh- commenta Romeo – li abbiamo addomesticati ma per renderli civili mi sa che ci vuole ancora tempo…Comunque, è tempo di pensare alle cose serie: è ora di cena!-

A queste parole, cinque codini fremono. Come un sol gatto, la compagnia si mette in moto. Sulla spiaggia restano le orme di tante nobili e impeccabili zampe.




P.S. Avrei voluto usare i nomi dei gatti della colonia, ma sul sito non ho trovato dati aggiornati…Così ho ritenuto più prudente usare i soliti nomi dei gatti dei cartoni animati.



giovedì 18 gennaio 2018

Addio ai Ghiacci



Inizio da  oggi una collaborazione con questo blog con rassegne librarie e riflessioni senza fissa periodicità su temi che possono contribuire a mio modesto parere alla conoscenza. Ho avuto un blog su questi argomenti che ho chiuso per varie ragioni non ultima lo spam dei negazionisti. Un grazie a Ugo Bardi per l'opportunità. (WM)


Un post di WM



Addio ai Ghiacci di Peter Wadhams Bollati Boringhieri 274 pagine 24 Euro


Nei limiti di un testo di divulgazione questo libro riesce a dare un quadro molto rigoroso di ciò che sta avvenendo al polo nord ma non solo, l'autore è stato per oltre  40 anni ricercatore tra i più rispettati a livello mondiale su ghiacci marini e oceano artico.

Viene spiegata molto bene la fisica dell'acqua. Ciò che mi ha sorpreso è la schiettezza nell'affermare che ormai abbiamo superato il punto di non ritorno, ormai il processo di fusione si autoalimenta e la riformazione durante la stagione invernale della banchisa artica non permette quelle trasformazioni che avvengono nell'arco di anni, il ghiaccio del primo anno più debole non riesce a trasformarsi negli anni successivi, cambia la struttura. Entro pochi anni l'Artico sarà libero dai ghiacci per buona parte dell'anno.

Le implicazioni sono gravi, la salinità che cambia, la diminuzione dell'albedo, le grandi masse d'acqua di fusione della Groenlandia che variano il  clima dell'estremo Nord ma con ripercussioni che influenzano la circolazione globale, le correnti a getto, l'Oscillazione del Nord Atlantico e così via. Una lettura agevole che introduce concetti difficili, dalla climatologia alla meteorologia ma rendendoli accessibili.

Non mancano alcune proposte di soluzione che secondo me sono l'unico limite del libro, una fiducia discutibile nella geo ingegneria e qualche accenno alla necessità di affidarsi alla energia nucleare, mai un dubbio sull'attuale modello ultra liberista che dall'Europa agli USA passando per la Cina sta devastando la biosfera.

Il messaggio è comunque chiaro, continuando così siamo spacciati, cambiando qualcosa anche.

WM