lunedì 16 gennaio 2017

Arpaia e il fantaclima: il coraggio di dire certe cose




Un romanzo duro e difficile questo di Bruno Arpaia che si svolge in un futuro devastato dal cambiamento climatico. Ma un romanzo che cerca di trasmettere delle idee e di percorrere nuove strade.



C'è stata un epoca, fino a qualche decennio fa, in cui i romanzi avevano un peso su quello che la gente pensava e faceva. Vi ricordate della grande stagione dei romanzi di Fantascienza? Pensate all'importanza dei romanzi russi nel periodo Sovietico: Dudintsev, Grossman, Solzhenitsyn con il suo "Arcipelago Gulag" del 1973. Anche in Italia, abbiamo avuto scrittori influenti sulla cultura, Calvino, Pavese, Buzzati, e tanti altri. E se volete un romanzo che ha avuto un profondo significato politico e culturale a livello mondiale, potete prendere la trilogia dell'anello, di Tolkien, pubblicata negli anni 1950.

Poi, con gli anni, tutto si è acquietato. A partire dagli anni 1980, più o meno, in tutto il mondo la letteratura è diventata una cosa irrilevante, banale, vuota. Potete citare qualche grande romanzo pubblicato negli ultimi due-tre decenni? Molto difficile; perlomeno per me è impossibile. Oggi diciamo che è colpa di Internet, ma la cosa è cominciata molto prima. E' successo un po' quello che è successo alla letteratura Latina: dopo la grande stagione dei vari Virgilio, Orazio, Tacito, Terenzio, eccetera, non c'è stato più un autore degno di essere ricordato. E a quel tempo l'Internet non c'era. 

Io credo che la sparizione della letteratura non sia tanto colpa di Internet, quanto del fatto che gli scrittori che non hanno più niente da dire. E non hanno più niente da dire perché la società non ha più niente da sentirsi dire. Non abbiamo più sogni, soltanto incubi. Non abbiamo più desideri, soltanto la sopravvivenza. Non abbiamo più un futuro, soltanto il presente. E la letteratura è sempre a proposito dei sogni, degli obbiettivi, e del futuro. 

Ma il futuro arriva comunque, anche se uno cerca di ignorarlo. Il futuro di questo pianeta devastato ci sta arrivando addosso a una velocità spaventosa. E qualcuno comincia ad accorgersene. Lo spazio del futuro è sempre uno spazio narrativo. Al momento in cui il futuro diventa visibile, diventa una storia. La nostra società, oggi, è così povera di storie perché non vede il futuro, ne ha soltanto paura. 

Qualcuno, tuttavia, si sta accorgendo di questo futuro che ci si para davanti, così minaccioso e terribile. Il risultato è una nuova narrativa del futuro, quello che in inglese si chiama "Climate Fiction," che potremmo tradurre come "Fantaclima", equivalente della "Fantascienza." 

E' un genere ancora embrionale, ma che cerca di fornire un'immagine narrativa del futuro. E' un idea che va oltre la povera, stentata, farraginosa narrazione che gli scienziati hanno cercato di fornire e che nessuno ha veramente capito. Il futuro è una questione di narrativa, e sulla narrativa di oggi ci stiamo giocando il futuro di domani. Un gioco che somiglia a una roulette russa dove ci giochiamo la sopravvivenza della specie umana. 

In Italia, Bruno Arpaia prova a costruire una narrativa del futuro basata sui risultati della scienza del Clima, con "Qualcosa là Fuori" (*), un primo ingresso della letteratura italiana nel genere Climate Fiction. Ne viene fuori un romanzo durissimo e spietato. Una storia del futuro basata su un destino di stile siriano della penisola italiana i cui cittadini si ritrovano in un paese devastato dalla siccità, trasformati in nuovi profughi alla ricerca della sopravvivenza nelle regioni del Nord Europa. Pur non essendo uno scienziato, Arpaia conosce bene i risultati della scienza del clima e li interpreta in modo sostanzialmente corretto. Lo scenario che dipinge può essere pessimista, ma è ampiamente entro i limiti di quello che i modelli climatici ci presentano come possibile. 

"Qualcosa là Fuori" è un romanzo che non concede quasi niente alla speranza, ma che non chiude completamente la porta alla sopravvivenza non solo degli esseri umani come specie, ma anche della cultura, della scienza, e dell'amore reciproco. Non so che successo potrà avere un romanzo così duro in un mondo dove tutti sono ormai anestetizzati di fronte alla TV o sui social del Web. Ma per chi si cimenta nella lettura, il romanzo di Arpaia fa il mestiere che deve fare: ti mette di fronte a un futuro diverso, ti costringe a pensare. 




(*) Per una personale critica di tipo letterario di questo romanzo, le sue cose buone sono il ritmo serrato, le scene epiche dell'esodo della colonna dei profughi, l'interazione fra i protagonisti in fuga. Si sente che il romanzo è scritto da un professionista che ha bene in mano l'arte di costruire il racconto. Peraltro, io ci ho trovato anche dei difetti. In particolare, l'uso della tecnica del "flahsback" che, a mio parere, Arpaia usa in modo eccessivo, spezzettando il flusso narrativo e venendo fuori anche occasionalmente in scene un po' gratuite. Ma un romanzo è come una persona (vi ricordate le "persone-libro" di Ray Bradbury in "Fahreneit 451"?). E nessuna persona è perfetta ed è così che deve essere.  




giovedì 12 gennaio 2017

Le elezioni Americane: il dibattito che non c'è stato


La situazione negli USA sta diventando molto confusa e non tutti sono sicuri che Trump diventerà presidente, considerando l'ondata di accuse che i servizi segreti del suo paese gli stanno sparando addosso. Aspettando gli eventi, vale la pena di rileggersi come siamo arrivati qui in un articolo apparso in Dicembre su "Cassandra's Legacy".  Qualsiasi cosa avvenga nelle prossime settimane, i veri problemi rimangono ignorati.
 

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR



Il picco della produzione del greggio convenzionale è arrivato fra il 2008 e il 2011. Sembra che abbiamo superato il picco di “tutti i liquidi” nel 2015, anche se ci vorrà ancora un po' di tempo per essere sicuri che sia iniziata una tendenza al declino irreversibile. Naturalmente, il raggiungimento del picco ha generato un negazionismo veemente persino sul fatto che il picco esista. In questo articolo, Eugene Marner commenta sul come e quando le elezioni presidenziali abbiano completamente ignorato i duri fatti del declino della fornitura di energia netta da parte dei combustibili fossili. (immagine da “The Victory Report”)


Da The Daily Star, di Eugene Marner

Qui negli States, recentemente abbiamo tenuto delle elezioni che hanno lasciato molti sorpresi, molti sbigottiti e molti altri impazienti di spiegare cosa sia successo e cosa facciamo adesso. Un sacco di pensieri profondi e sospiri sono finiti in quelle analisi e non ho intenzione di competere qui con gli esperti di storia e di politica. Mi piacerebbe, tuttavia, offrire quello che penso possa essere una parte importante del contesto degli eventi recenti, un contesto che è definito ed imposto dalla geologia e dalla fisica. Suggerisco che le elezioni del 2016 possano essere definite le elezioni del picco del petrolio, anche se il problema non è certamente mai emerso pubblicamente.

giovedì 5 gennaio 2017

Ma perché l'Europa non ne fa mai una giusta? La Caporetto delle Energie Rinnovabili


La lezione di Brexit on ha insegnato nulla alla banda di burocrati che comandano a Bruxelles. Non avendo di meglio da fare, se la prendono con le energie rinnovabili in attesa che tutta la baracca vada a pezzi. E ben gli starà.

U.

Dal Blog di Dario Tamburrano.

La caporetto delle energie rinnovabili

Sembrerebbe confermato il sostanziale addio alla priorità di dispacciamento per le rinnovabili. Target 2030 UE solo al 27% e per giunta non vincolante a livello nazionale

La Caporetto delle energie rinnovabili nell’UE. Ieri sono stati diffusi i leak di alcune proposte della Commissione Europea relative all’energia ed attese per la fine del mese. Le hanno fruttato il premio “Fossile del Giorno” a Marrakech, dove é in corso la conferenza sul clima COP22 dove i governi stanno discutendo su come rendere operativo l’accordo raggiunto l’anno scorso a Parigi per contenere le emissioni di gas serra e il riscaldamento globale conseguente all’uso dei combustibili fossili.

Dall’utilissimo blog di stollmeyer.eu (vi consigliamo di seguirlo) sono stati diffusi finora i leak di:
Sottolineiamo che i leak non rappresentano la versione definitiva dei documenti: possono ancora essere apportati cambiamenti anche significativi, ma la tendenza e l’aria che tira a Bruxelles sono comunque chiare.
Secondo i leak, la Commissione Europea vorrebbe fissare ad appena il 27% la quota di energia da fonti rinnovabili da consumare nell’UE al 2030. Il target 2020 é pari al 20% ed é già a portata di mano. Il target 2030, a differenza di quello attuale, varrebbe solo a livello UE e non sarebbe vincolante per i singoli Stati membri. Nei documenti leakati é scritto chiaro e tondo che, in assenza di politiche di sostegno e con le sole loro gambe, le rinnovabili nel 2030 assicurerebbero comunque il 24,3% dell’energia consumata nell’UE.

E gli incentivi alle rinnovabili? Sono ancora possibili, ma da assegnare mediante gara d’appalto. Note positive sono che sarà vietato ridurli retroattivamente, viene sancito il diritto all’autoconsumo e alla remunerazione dell’energia prodotta ma non consumata e ceduta alla rete elettrica. Almeno questo dovrebbe impedire il ripetersi e il diffondersi di esperienze come quelle vissute negli ultimi anni in Paesi come Italia e Spagna.

Ma non facciamoci troppe illusioni: cedere alla rete l’energia elettrica da fonti rinnovabili non sarà mica tanto semplice, perché la Commissione Europea vorrebbe sostanzialmente cancellare – era già trapelato giorni fa – la priorità di dispacciamento.

“Priorità di dispacciamento” vuol dire dare priorità all’immissione in rete dell’energia rinnovabile, perché altrimenti troverebbe davanti a sé un semaforo perlopiù rosso e passerebbe la voglia e il vantaggio economico di produrla. Nella rete elettrica infatti produzione e consumo devono essere sempre bilanciati, ma la produzione di energia da fonti fossili (gas, carbone… e per certi versi anche da nucleare) é programmabile ed adattabile ai consumi attesi: mentre non lo é l’energia prodotta col vento e col sole.

Al momento da quello che si legge nei leak, chi già ha ora la priorità di dispacciamento la conserverebbe. Gli Stati Membri potrebbero accordarla ai nuovi produttori soltanto a patto che la capacità di generazione elettrica con priorità di dispacciamento non superi il 15% della capacità di generazione totale installata.

Bisognerà fare i conti per bene sulla versione definitiva dei documenti, una volta che saranno approvati: quelle della Commissione Europea sono solo proposte che devono ancora passare attraverso il Parlamento Europeo ed il Consiglio UE.

Ad occhio comunque, se non ci saranno sorprese o cambiamenti, con tali regole in Italia non potranno essere di fatto installati altri impianti rinnovabili con priorità di dispacciamento.

Un pasticcio insomma, ben lontano dalle dichiarazioni a favore delle rinnovabili (e dell’efficienza energetica) della Commissione Europea e completamente inconciliabili con gli impegni assunti solo un anno fa firmando l’Accordo di Parigi.

Dopo il deludente pacchetto per l’economia circolare, non ci meraviglierebbe che anche in questo caso, venga confermata anche nelle versioni definitive questa vera e propria marcia indietro.

Attendiamo la pubblicazione del winter package nella sua veste ufficiale sperando che qualcuno riesca a ricondurli alla ragione.



sabato 31 dicembre 2016

Cosa ci possiamo aspettare dal 2017? La nuova politica energetica di Trump promette di essere un disastro per tutti

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR



Michael Klare ha pubblicato un lungo commento su “Tomgram” riguardo a quello che sembrano essere le attuali scelte politiche di Donald Trump sull'energia e correttamente osserva quanto siano contraddittorie. Fondamentalmente,

La spinta principale del suo approccio non poteva essere più chiara: abolire tutte le regole e le direttive presidenziali che si frappongono ad un'estrazione fossili senza limiti, compresi gli impegni presi dal presidente Obama nel dicembre 2015 sull'Accordo sul Clima di Parigi. 

In altre parole, Trump sembra essere bloccato in una visione di solo mercato del problema, pensando che le realtà fisiche non abbiano alcun ruolo nell'estrazione delle risorse fossili. In questo non è certo solo, ma il problema è che la deregolamentazione non è così importante quanto sembri pensare Trump. Non è stato perché il mercato aveva troppe regole che i prezzi del petrolio sono schizzati a 150 dollari al barile nel 2008 e si sono mantenuti intorno ai 100 dollari al barile dal 2011 alla fine del 2014. E non è stato perché la produzione di petrolio è stata improvvisamente deregolamentata che i prezzi sono collassati al di sotto dei 40 dollari al barile nel 2015. Il mercato petrolifero, come tutti i mercati, soffre le instabilità che, a volte, potrebbero essere curate dalle regole. Eliminare tutte le regole potrebbe invece causare ulteriori altalene dei prezzi ed oscillazioni forti, piuttosto che un aumento di produzione.

Se le società petrolifere sono nei guai, in questo momento, è perché i prezzi del petrolio sono troppo bassi, non perché l'estrazione del petrolio è troppo regolamentata e le politiche di Trump – se dovessero funzionare – potrebbero danneggiare l'industria dei combustibili fossili ancora di più. Questo, in sé stessa, non è una brutta cosa – specialmente in termini di effetti sul clima. Il problema è che le idee di Trump di rivitalizzare l'industria dei combustibili fossili potrebbe non essere limitata alla deregolamentazione, ma potrebbe comportare uno scoraggiamento attivo dell'energia rinnovabile, una politica che, per esempio, il governo italiano ha applicato con successo negli ultimi anni.

Quindi perché Trump vuol fare una cosa del genere? Possiamo solo immaginare cosa passi per la testa di un anziano ricco di 70 anni che non è famoso per essere particolarmente esperto in qualcosa. Klare ipotizza una possibile spiegazione in questi termini:

In un certo senso, non c'è dubbio, si tratta, perlomeno in parte, della nostalgia persistente del presidente eletto per l'America che cresceva in fretta (e in gran parte priva di regole) degli anni 50. Quando Trump stava crescendo, gli Stati Uniti erano un motore di espansione straordinario e la sua produzione di beni fondamentali, compresi petrolio, carbone e acciaio, si gonfiavano quotidianamente. Le più grandi industrie del paese sono state fortemente sindacalizzate; i sobborghi stavano esplodendo; gli edifici per appartamenti crescevano in tutto il quartire di Queens, a New York City, dove ha iniziato Trump; le auto uscivano dalle linee di montaggio in quello che era tutto fuorché la “Rust Belt” (la cintura degli stati industrializzati ora in declino, ndt) e le raffinerie e le centrali a carbone producevano l'enorme quantità di energia necessaria perché tutto questo accadesse.  
E non dimenticate un altro fattore: la vendicatività di Trump – in questo caso, non solo verso i suoi oppositori democratici nella recente campagna elettorale, ma verso coloro che hanno votato contro di lui. Il Donald è ben consapevole che la maggior parte degli americani che si preoccupano del cambiamento climatico e che sono a favore di una rapida trasformazione ad un'America ad energia verde non ha votato per lui.  
Data il suo noto debole di attaccare chiunque frustri le sue ambizioni o parli negativamente di lui e il suo impulso a punire i verdi tramite, fra le altre cose, la cancellazione di ogni misura adottata dal presidente Obama per accelerare l'utilizzo dell'energia rinnovabile, aspettatevi che faccia a pezzi l'EPA e che faccia del suo meglio per fare a brandelli ogni ostacolo allo sfruttamento dei combustibili fossili. Se questo significa precipitare l'incenerimento del pianeta, così sia. A Trump o non importa (visto che ha 70 anni e non vivrà per vederlo accadere), o non crede davvero nella scienza, o non pensa che questo porterà danno agli interessi degli affari della sua azienda nei prossimi decenni. 

Questa interpretazione di Michael Klare potrebbe essere corretta o non corretta, ma sottolinea un problema fondamentale: le elezioni danno il potere alle persone sulla base delle loro promesse, ma nessuno sa veramente come si comporteranno una volta che hanno il potere nelle loro mani. La storia del mondo è piena di capi che avevano problemi mentali di ogni genere o avevano anche solo una visione del mondo che era completamente al di fuori della realtà. Il risultato di solito sono stati disastri assoluti in quanto i capi, nella maggior parte dei casi, si rifiutano di apprendere dai loro errori. E non solo questo, essi tendono a raddoppiare, peggiorando le cose.

Riguardo a Donald Trump, come ho discusso in un post precedente, nessuno può sapere cosa succede nella sua testa. Tutto quello che posso dire è che l'America potrebbe avere un bisogno disperato della benedizione di Dio nel prossimo futuro.

mercoledì 28 dicembre 2016

Grillo e l'Energia: di chi sono le "Balle Nucleari"?


Luca Longo critica un post apparso sul blog del Movimento 5 Stelle accusandolo Beppe Grillo di raccontare "Balle Nucleari". Ma se esaminiamo bene la faccenda, vediamo che le balle non sono quelle di Grillo!


Luca Longo si era già provato a criticare sul "Linkiesta" le proposte del Movimento 5 Stelle sull'energia in un post che avevo definito "patetico" in quanto vago e privo di argomenti. Adesso, Longo si lancia di nuovo all'attacco con un post dal titolo "Balle Nucleari", riferite a un post del "blog delle stelle", dove si discute la possibilità di eliminare le importazioni di energia elettrica di origine nucleare.

Stavolta, Longo ha provato a mettere insieme un po' di numeri. Ma non ha fatto di meglio, anzi, semmai di peggio. Tutta la sua critica si basa sul fatto che l'M5S proporrebbe di chiudere "di botto" le importazioni di energia e che questo vorrebbe dire che dovremmo trovare il modo di sostituire "il 14,6% dell’elettricità che ci serve," il che sarebbe, evidentemente, impossibile.

Ma è tutto sbagliato: secondo il GSE, le importazioni di energia nucleare nel 2015 in italia sono state del 5,1%, non del 14.6%! Longo ha confuso le importazioni di energia nucleare con le importazioni di energia in generale, che invece sono in gran parte energia idroelettrica dalla Svizzera. Un erroretto di quasi un fattore 3, cosa volete che sia fra amici?

Ancora peggio è sostenere, come fa Longo, che il M5S vuole chiudere "di botto" le importazioni di energia. E' vero che il sottotitolo del post è piuttosto infelice in quanto parla dell' "arco della legislatura di governo." Ma il contenuto del post, invece, non dice assolutamente di fermare le inportazioni né di botto e nemmeno durante una singola legislatura (e notate che nel post su linkiesta NON hanno linkato il post sul blog del M5S, altrimenti sarebbe stato troppo facile per i lettori notare l'incongruenza).

Il post sul blog delle stelle è scritto da Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Qualenergia, che è una persona seria e competente. Sostiene che le importazioni di energia nucleare potrebbero essere gradualmente ridotte fino a eliminarle entro il 2025. E' un obbiettivo certamente possibile se si considera che parliamo del 5% e se pensiamo di cominciare a lavorarci sopra da adesso, promuovendo l'energia rinnovabile. Silvestrini fa anche notare alcuni punti importanti, per esempio il fatto che le centrali nucleari francesi sono vecchie e che dovranno essere presto smantellate, e non sembra che il governo francese abbia le risorse o l'interesse per costruirne di nuove. Per cui, che a uno piaccia il nucleare o no, il problema di svincolarsi dai reattori nucleari francesi si pone; o perlomeno dovrebbe porsi per un governo che abbia seriamente a cuore l'interesse del paese.

Ora, fatemi dire che non sono qui per fare propaganda per il M5S. Tuttavia, devo anche dire che Beppe Grillo e il movimento 5 stelle continuano a essere l'unica forza politica di una certa rilevanza in Italia a considerare come importante il problema energetico e a sostenere la necessità di passare alle rinnovabili. Lo fanno non senza qualche ingenuità e alcune imprecisioni; e dovrebbero anche imparare che non si fanno piani energetici con la politica del no. Ma perlomeno certe cose le dicono e ci si impegnano anche. Invece, il governo Renzi si è impegnato soltanto per affossare le rinnovabili in favore dei fossili.

Queste cose sono importanti perché quando si parla di energia si parla di una risorsa vitale per il paese. Quindi, bisognerebbe fare il possibile per non parlare a caso e, quando uno cita dei numeri, come fa Luca Longo, almeno citi i numeri giusti. Altrimenti, si raccontano davvero delle balle nucleari. 







venerdì 23 dicembre 2016

Un Natale Abbastanza Buono a Tutti



Il 2016 non è stato un anno molto buono per molte ragioni, una delle quali è stata che Leonard Cohen ci ha lasciato. Così, ho pensato che un buon modo per celebrare questo natale poteva essere di pubblicare una vecchia versione di "Silent Night" che Leonard Cohen ha cantato nel 1979, insieme a Jennifer Warnes.

Quello di quest'anno non sarà un grandissimo natale, ma può essere comunque un Natale abbastanza buono. Buon (abbastanza) Natale a tutti.



giovedì 22 dicembre 2016

Referendum, olio, clima e vita artificiosa


La Calabria è la seconda regione olivicola italiana

di Silvano Molfese


Dopo la bocciatura popolare della riforma costituzionale mi sembra che la discussione pubblica si stia concentrando su durata del governo e simili. Ma quali dovrebbero essere le priorità dell’esecutivo e dell’intera società?

Prima vi dico come è andata la produzione olivicola in Calabria: così scarsa che, mio malgrado, ho dovuto comprare l’olio da un’altra regione. L’andamento climatico avverso è stato la principale causa di un raccolto decisamente ridotto. Stiamo bruciando combustibili fossili in gran quantità e l’ eccesso di gas serra, sta determinando il caos climatico.

Questo sistema economico, che mira alla crescita produttiva infinita, è stato caratterizzato da elevati consumi di energia a basso costo energetico (carbone, petrolio e gas); anche gli altri minerali erano sufficientemente concentrati e quindi energeticamente poco costosi. Da alcuni anni queste condizioni favorevoli sono venute meno. Gli altri cardini del sistema sono: l’industrializzazione, la privatizzazione dei mezzi di produzione, la tecnologia, il consumismo, la pubblicità e l’aumento della popolazione. (A)

I limiti del pianeta Terra ovviamente pongono un barriera insuperabile alla crescita infinita sicché cade l’architrave del sistema economico adottato; ma ben più preoccupante deve essere considerato l’inquinamento, primo fra tutti il crescente accumulo di gas serra: è sempre più a rischio la nostra sicurezza alimentare.

Dopo il precedente referendum sulle trivelle del 17 aprile negli interventi di Jacopo Simonetta  (Abbiamo perso; è una novità? ) e di Ugo Bardi ( La grande sconfitta del referendum: lettera aperta agli ambientalisti ) ci si chiedeva se e come era possibile cercare una via d’uscita dal disastro ecosistemico ed economico con ciò che rimane del movimento ambientalista.

Penso che un movimento d’opinione sia diverso da partito: la strategia politica può averla un gruppo ben organizzato, un partito per l’appunto. Ma forse ci sono contrasti per la leadership tra gli ambientalisti più attivi. (B)

Inoltre non sono stati individuati ed accettati due, tre obiettivi concreti che siano condivisibili e che possano attrarre una larga parte della popolazione. Premesso che in Italia è necessario ridurre la disoccupazione, il buon senso mi suggerisce che dovremmo concentrarci sulle energie rinnovabili, fermare il consumo di suolo, aumentare l’autosufficienza alimentare e puntare sul trasporto pubblico. 

Per conciliare lavoro e ambiente Erik Assadourian (1) ha fatto delle concrete quanto scomode proposte: in questa società “..più una persona è ricca e più consuma. Da ultimo, in un pianeta con 7 miliardi di abitanti, un reddito ecologicamente sostenibile è nell'ordine di 5.000 dollari pro capite l'anno (in termini di parità di potere d'acquisto), di gran lunga al di sotto dell'attuale valutazione del livello di povertà occidentale. Superata questa soglia, gli individui acquistano case più grandi, più elettrodomestici, hanno l'aria condizionata, più gadget elettronici e addirittura viaggiano in aereo.

Ma come fa la società a far convergere in modo volontario i redditi globali verso standard più bassi? Trasferire il carico fiscale sarà fondamentale, cosi come la redistribuzione degli orari di lavoro. Ridurre la durata della settimana lavorativa media contribuirà a creare lavoro e reddito per altri, oltre ad abbassare il reddito di chi lavora troppo.”

 “Uno dei modi più diretti per rivedere il sistema di tassazione è semplicemente quello di regolare gli oneri della tassa sul reddito.” Negli USA  “…  Durante la Seconda guerra mondiale, le aliquote marginali dell'imposta sul reddito per chi guadagnava oltre 200.000 dollari all'anno raggiunsero il 94%.”

Il guaio è che c’è un consenso consumista, che in diversa misura addormenta la coscienza di una moltitudine di persone ed ovviamente anche di chi si definisce ambientalista.

Oggi siamo mentalmente molto distanti dagli ambienti naturali

Purtroppo nei paesi sovrasviluppati tempi e modi del vivere quotidiano sono scanditi da una artificiosità impressionante che ci ha allontanato dalla realtà della biosfera e dai suoi ritmi: il camminare quotidianamente in mezzo ai campi o in un bosco sotto le stelle ci farebbe percepire in maniera tangibile la sensazione del limite.

Forse anche per queste ragioni molti, tra gli alti tecnocrati di banche e finanza, sono convinti che “l'attuale crisi è soltanto un'oscillazione momentanea, che l'economia è sempre cresciuta e quindi per forza tutto riprenderà a crescere.” Non si vuol prendere atto che questo sistema economico è in declino. ()

Il bello è che economisti e banchieri sono stati incapaci di intravedere la crisi finanziaria di portata mondiale, iniziata nel 2007, tant’è che la regina Elisabetta II chiedeva “come fosse stato possibile che nessuno avesse previsto il crollo sopra menzionato” (Arnaldo Orlandini): pur di mantenere i propri privilegi, i gruppi dominanti puntano a distogliere l’attenzione delle persone dal cambiamento  climatico, sicurezza alimentare e questione energetica.

Ben diversa fu invece la capacità predittiva di chi utilizzò la dinamica dei sistemi: Viktor Gelovani, adattò all'Unione Sovietica il modello del mondo usato per “I Limiti dello Sviluppo” e  scoprì che l'Unione Sovietica stava per collassare. Sicché “è andato dalla dirigenza del paese e ha detto: 'la mia previsione mostra che non avete alcuna possibilità. Dovete cambiare le vostre politiche'. E i dirigenti hanno detto: 'no, abbiamo un'altra possibilità: tu puoi cambiare la tua previsione'”. (I Limiti della Crescita nell'Unione Sovietica e in Russia: storia di un fallimento)

Quale il criterio guida da seguire? Luigi Sertorio, dopo aver definito la biosfera ed averne spiegato il funzionamento, propone un’antropologia cosmocentrica. (2) Si potrebbe obbiettare che sono tutte conoscenze recenti e solo una ristretta minoranza è consapevole che, per analizzare una realtà così complessa, uno strumento adeguato è la dinamica dei sistemi. Ma quanti hanno letto “I limiti dello sviluppo” in Italia? Un milione? Ammesso che siano così numerosi, costituirebbero meno del 2% della popolazione italiana. (C)

Questo sistema economico nel giro di due secoli ha fagocitato le numerose forme di civiltà umane esistenti. Credo che oggi si debba parlare di “civiltà umana imperante” la quale dispone di protesi di potenza ed abilità sempre più potenti e l’etica?  E’ rimasta quella di due secoli fa. Sertorio sostiene che la disgiunzione tra economia, etica e scienza ha contribuito alla situazione attuale. (3)

E’ evidente che ho toccato temi complessi e decisamente scottanti: gran parte della nostra classe dirigente fugge da tali problemi per paura di dover mettere in discussione il sistema economico adottato. Intanto il riscaldamento globale avanza e le alternative possibili diminuiscono sicché i rischi per la sicurezza alimentare si fanno sempre più tangibili anche in Italia.

Note al testo

(A) Il sistema industriale, oltre a produrre beni uniformi, in gran quantità, poco tempo, meno manodopera, comporta, tra l’altro, una sempre più forte concentrazione, anche di potere, di pochi su una moltitudine di singoli individui. Fino a cinque secoli addietro in Europa, bene o male, convivevano tre sistemi proprietari: quello del sovrano, dei signori, e gli usi civici per il resto della popolazione (Ugo Mattei “Beni comuni”). Adesso si punta a privatizzare “di tutto di più”, per riprendere uno slogan della RAI.

(B) Ritengo che in Italia un diffuso ambientalismo, anche se in fase embrionale, sia iniziato dopo la tragedia di Seveso rimanendo circoscritto nella coscienza dei più fino a quando non salta la centrale di Chernobyl. Da li si sarebbe dovuto prendere atto che “non nel mio giardino” era diventato impossibile: gran parte dell’opinione pubblica italiana si accorse che il mondo era diventato piccolo. Si cominciò a parlare in maniera seria delle questioni ambientali e ci si rese conto di quanto fossero complessi e connessi tra loro i problemi che la società industriale crea alla biosfera e quindi anche agli uomini di allora, e oggi più di prima. Dopo Chernobyl, in Italia ci son voluti più di 40 mesi per organizzare un qualificato incontro di valenza internazionale sulle questioni ambientali: mi riferisco al convegno che fu preparato presso l’Università di Siena da Legambiente a fine ottobre del 1989 “Ecosviluppo dai nuovi limiti alle politiche ambientali” ed a cui partecipai.

(C)  Per colmare questo vuoto, volendo, la RAI potrebbe presentare giornalmente, nelle ore di maggiore ascolto, dibattiti e programmi di approfondimento come Scala Mercalli che, però, è stato cancellato per ciò che diceva.


Bibliografia

(1)  Assadourian E.  2012 - Il cammino dei paesi sovrasviluppati verso la decrescita. State of the World 2012 - Edizioni Ambiente, 98-99
(2) Sertorio L. 2013 – Storia dell’incertezza . Edizioni Seb27, 96-106
(3) Ibidem, 75-81