sabato 31 dicembre 2016

Cosa ci possiamo aspettare dal 2017? La nuova politica energetica di Trump promette di essere un disastro per tutti

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR



Michael Klare ha pubblicato un lungo commento su “Tomgram” riguardo a quello che sembrano essere le attuali scelte politiche di Donald Trump sull'energia e correttamente osserva quanto siano contraddittorie. Fondamentalmente,

La spinta principale del suo approccio non poteva essere più chiara: abolire tutte le regole e le direttive presidenziali che si frappongono ad un'estrazione fossili senza limiti, compresi gli impegni presi dal presidente Obama nel dicembre 2015 sull'Accordo sul Clima di Parigi. 

In altre parole, Trump sembra essere bloccato in una visione di solo mercato del problema, pensando che le realtà fisiche non abbiano alcun ruolo nell'estrazione delle risorse fossili. In questo non è certo solo, ma il problema è che la deregolamentazione non è così importante quanto sembri pensare Trump. Non è stato perché il mercato aveva troppe regole che i prezzi del petrolio sono schizzati a 150 dollari al barile nel 2008 e si sono mantenuti intorno ai 100 dollari al barile dal 2011 alla fine del 2014. E non è stato perché la produzione di petrolio è stata improvvisamente deregolamentata che i prezzi sono collassati al di sotto dei 40 dollari al barile nel 2015. Il mercato petrolifero, come tutti i mercati, soffre le instabilità che, a volte, potrebbero essere curate dalle regole. Eliminare tutte le regole potrebbe invece causare ulteriori altalene dei prezzi ed oscillazioni forti, piuttosto che un aumento di produzione.

Se le società petrolifere sono nei guai, in questo momento, è perché i prezzi del petrolio sono troppo bassi, non perché l'estrazione del petrolio è troppo regolamentata e le politiche di Trump – se dovessero funzionare – potrebbero danneggiare l'industria dei combustibili fossili ancora di più. Questo, in sé stessa, non è una brutta cosa – specialmente in termini di effetti sul clima. Il problema è che le idee di Trump di rivitalizzare l'industria dei combustibili fossili potrebbe non essere limitata alla deregolamentazione, ma potrebbe comportare uno scoraggiamento attivo dell'energia rinnovabile, una politica che, per esempio, il governo italiano ha applicato con successo negli ultimi anni.

Quindi perché Trump vuol fare una cosa del genere? Possiamo solo immaginare cosa passi per la testa di un anziano ricco di 70 anni che non è famoso per essere particolarmente esperto in qualcosa. Klare ipotizza una possibile spiegazione in questi termini:

In un certo senso, non c'è dubbio, si tratta, perlomeno in parte, della nostalgia persistente del presidente eletto per l'America che cresceva in fretta (e in gran parte priva di regole) degli anni 50. Quando Trump stava crescendo, gli Stati Uniti erano un motore di espansione straordinario e la sua produzione di beni fondamentali, compresi petrolio, carbone e acciaio, si gonfiavano quotidianamente. Le più grandi industrie del paese sono state fortemente sindacalizzate; i sobborghi stavano esplodendo; gli edifici per appartamenti crescevano in tutto il quartire di Queens, a New York City, dove ha iniziato Trump; le auto uscivano dalle linee di montaggio in quello che era tutto fuorché la “Rust Belt” (la cintura degli stati industrializzati ora in declino, ndt) e le raffinerie e le centrali a carbone producevano l'enorme quantità di energia necessaria perché tutto questo accadesse.  
E non dimenticate un altro fattore: la vendicatività di Trump – in questo caso, non solo verso i suoi oppositori democratici nella recente campagna elettorale, ma verso coloro che hanno votato contro di lui. Il Donald è ben consapevole che la maggior parte degli americani che si preoccupano del cambiamento climatico e che sono a favore di una rapida trasformazione ad un'America ad energia verde non ha votato per lui.  
Data il suo noto debole di attaccare chiunque frustri le sue ambizioni o parli negativamente di lui e il suo impulso a punire i verdi tramite, fra le altre cose, la cancellazione di ogni misura adottata dal presidente Obama per accelerare l'utilizzo dell'energia rinnovabile, aspettatevi che faccia a pezzi l'EPA e che faccia del suo meglio per fare a brandelli ogni ostacolo allo sfruttamento dei combustibili fossili. Se questo significa precipitare l'incenerimento del pianeta, così sia. A Trump o non importa (visto che ha 70 anni e non vivrà per vederlo accadere), o non crede davvero nella scienza, o non pensa che questo porterà danno agli interessi degli affari della sua azienda nei prossimi decenni. 

Questa interpretazione di Michael Klare potrebbe essere corretta o non corretta, ma sottolinea un problema fondamentale: le elezioni danno il potere alle persone sulla base delle loro promesse, ma nessuno sa veramente come si comporteranno una volta che hanno il potere nelle loro mani. La storia del mondo è piena di capi che avevano problemi mentali di ogni genere o avevano anche solo una visione del mondo che era completamente al di fuori della realtà. Il risultato di solito sono stati disastri assoluti in quanto i capi, nella maggior parte dei casi, si rifiutano di apprendere dai loro errori. E non solo questo, essi tendono a raddoppiare, peggiorando le cose.

Riguardo a Donald Trump, come ho discusso in un post precedente, nessuno può sapere cosa succede nella sua testa. Tutto quello che posso dire è che l'America potrebbe avere un bisogno disperato della benedizione di Dio nel prossimo futuro.

mercoledì 28 dicembre 2016

Grillo e l'Energia: di chi sono le "Balle Nucleari"?


Luca Longo critica un post apparso sul blog del Movimento 5 Stelle accusandolo Beppe Grillo di raccontare "Balle Nucleari". Ma se esaminiamo bene la faccenda, vediamo che le balle non sono quelle di Grillo!


Luca Longo si era già provato a criticare sul "Linkiesta" le proposte del Movimento 5 Stelle sull'energia in un post che avevo definito "patetico" in quanto vago e privo di argomenti. Adesso, Longo si lancia di nuovo all'attacco con un post dal titolo "Balle Nucleari", riferite a un post del "blog delle stelle", dove si discute la possibilità di eliminare le importazioni di energia elettrica di origine nucleare.

Stavolta, Longo ha provato a mettere insieme un po' di numeri. Ma non ha fatto di meglio, anzi, semmai di peggio. Tutta la sua critica si basa sul fatto che l'M5S proporrebbe di chiudere "di botto" le importazioni di energia e che questo vorrebbe dire che dovremmo trovare il modo di sostituire "il 14,6% dell’elettricità che ci serve," il che sarebbe, evidentemente, impossibile.

Ma è tutto sbagliato: secondo il GSE, le importazioni di energia nucleare nel 2015 in italia sono state del 5,1%, non del 14.6%! Longo ha confuso le importazioni di energia nucleare con le importazioni di energia in generale, che invece sono in gran parte energia idroelettrica dalla Svizzera. Un erroretto di quasi un fattore 3, cosa volete che sia fra amici?

Ancora peggio è sostenere, come fa Longo, che il M5S vuole chiudere "di botto" le importazioni di energia. E' vero che il sottotitolo del post è piuttosto infelice in quanto parla dell' "arco della legislatura di governo." Ma il contenuto del post, invece, non dice assolutamente di fermare le inportazioni né di botto e nemmeno durante una singola legislatura (e notate che nel post su linkiesta NON hanno linkato il post sul blog del M5S, altrimenti sarebbe stato troppo facile per i lettori notare l'incongruenza).

Il post sul blog delle stelle è scritto da Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Qualenergia, che è una persona seria e competente. Sostiene che le importazioni di energia nucleare potrebbero essere gradualmente ridotte fino a eliminarle entro il 2025. E' un obbiettivo certamente possibile se si considera che parliamo del 5% e se pensiamo di cominciare a lavorarci sopra da adesso, promuovendo l'energia rinnovabile. Silvestrini fa anche notare alcuni punti importanti, per esempio il fatto che le centrali nucleari francesi sono vecchie e che dovranno essere presto smantellate, e non sembra che il governo francese abbia le risorse o l'interesse per costruirne di nuove. Per cui, che a uno piaccia il nucleare o no, il problema di svincolarsi dai reattori nucleari francesi si pone; o perlomeno dovrebbe porsi per un governo che abbia seriamente a cuore l'interesse del paese.

Ora, fatemi dire che non sono qui per fare propaganda per il M5S. Tuttavia, devo anche dire che Beppe Grillo e il movimento 5 stelle continuano a essere l'unica forza politica di una certa rilevanza in Italia a considerare come importante il problema energetico e a sostenere la necessità di passare alle rinnovabili. Lo fanno non senza qualche ingenuità e alcune imprecisioni; e dovrebbero anche imparare che non si fanno piani energetici con la politica del no. Ma perlomeno certe cose le dicono e ci si impegnano anche. Invece, il governo Renzi si è impegnato soltanto per affossare le rinnovabili in favore dei fossili.

Queste cose sono importanti perché quando si parla di energia si parla di una risorsa vitale per il paese. Quindi, bisognerebbe fare il possibile per non parlare a caso e, quando uno cita dei numeri, come fa Luca Longo, almeno citi i numeri giusti. Altrimenti, si raccontano davvero delle balle nucleari. 







venerdì 23 dicembre 2016

Un Natale Abbastanza Buono a Tutti



Il 2016 non è stato un anno molto buono per molte ragioni, una delle quali è stata che Leonard Cohen ci ha lasciato. Così, ho pensato che un buon modo per celebrare questo natale poteva essere di pubblicare una vecchia versione di "Silent Night" che Leonard Cohen ha cantato nel 1979, insieme a Jennifer Warnes.

Quello di quest'anno non sarà un grandissimo natale, ma può essere comunque un Natale abbastanza buono. Buon (abbastanza) Natale a tutti.



giovedì 22 dicembre 2016

Referendum, olio, clima e vita artificiosa


La Calabria è la seconda regione olivicola italiana

di Silvano Molfese


Dopo la bocciatura popolare della riforma costituzionale mi sembra che la discussione pubblica si stia concentrando su durata del governo e simili. Ma quali dovrebbero essere le priorità dell’esecutivo e dell’intera società?

Prima vi dico come è andata la produzione olivicola in Calabria: così scarsa che, mio malgrado, ho dovuto comprare l’olio da un’altra regione. L’andamento climatico avverso è stato la principale causa di un raccolto decisamente ridotto. Stiamo bruciando combustibili fossili in gran quantità e l’ eccesso di gas serra, sta determinando il caos climatico.

Questo sistema economico, che mira alla crescita produttiva infinita, è stato caratterizzato da elevati consumi di energia a basso costo energetico (carbone, petrolio e gas); anche gli altri minerali erano sufficientemente concentrati e quindi energeticamente poco costosi. Da alcuni anni queste condizioni favorevoli sono venute meno. Gli altri cardini del sistema sono: l’industrializzazione, la privatizzazione dei mezzi di produzione, la tecnologia, il consumismo, la pubblicità e l’aumento della popolazione. (A)

I limiti del pianeta Terra ovviamente pongono un barriera insuperabile alla crescita infinita sicché cade l’architrave del sistema economico adottato; ma ben più preoccupante deve essere considerato l’inquinamento, primo fra tutti il crescente accumulo di gas serra: è sempre più a rischio la nostra sicurezza alimentare.

Dopo il precedente referendum sulle trivelle del 17 aprile negli interventi di Jacopo Simonetta  (Abbiamo perso; è una novità? ) e di Ugo Bardi ( La grande sconfitta del referendum: lettera aperta agli ambientalisti ) ci si chiedeva se e come era possibile cercare una via d’uscita dal disastro ecosistemico ed economico con ciò che rimane del movimento ambientalista.

Penso che un movimento d’opinione sia diverso da partito: la strategia politica può averla un gruppo ben organizzato, un partito per l’appunto. Ma forse ci sono contrasti per la leadership tra gli ambientalisti più attivi. (B)

Inoltre non sono stati individuati ed accettati due, tre obiettivi concreti che siano condivisibili e che possano attrarre una larga parte della popolazione. Premesso che in Italia è necessario ridurre la disoccupazione, il buon senso mi suggerisce che dovremmo concentrarci sulle energie rinnovabili, fermare il consumo di suolo, aumentare l’autosufficienza alimentare e puntare sul trasporto pubblico. 

Per conciliare lavoro e ambiente Erik Assadourian (1) ha fatto delle concrete quanto scomode proposte: in questa società “..più una persona è ricca e più consuma. Da ultimo, in un pianeta con 7 miliardi di abitanti, un reddito ecologicamente sostenibile è nell'ordine di 5.000 dollari pro capite l'anno (in termini di parità di potere d'acquisto), di gran lunga al di sotto dell'attuale valutazione del livello di povertà occidentale. Superata questa soglia, gli individui acquistano case più grandi, più elettrodomestici, hanno l'aria condizionata, più gadget elettronici e addirittura viaggiano in aereo.

Ma come fa la società a far convergere in modo volontario i redditi globali verso standard più bassi? Trasferire il carico fiscale sarà fondamentale, cosi come la redistribuzione degli orari di lavoro. Ridurre la durata della settimana lavorativa media contribuirà a creare lavoro e reddito per altri, oltre ad abbassare il reddito di chi lavora troppo.”

 “Uno dei modi più diretti per rivedere il sistema di tassazione è semplicemente quello di regolare gli oneri della tassa sul reddito.” Negli USA  “…  Durante la Seconda guerra mondiale, le aliquote marginali dell'imposta sul reddito per chi guadagnava oltre 200.000 dollari all'anno raggiunsero il 94%.”

Il guaio è che c’è un consenso consumista, che in diversa misura addormenta la coscienza di una moltitudine di persone ed ovviamente anche di chi si definisce ambientalista.

Oggi siamo mentalmente molto distanti dagli ambienti naturali

Purtroppo nei paesi sovrasviluppati tempi e modi del vivere quotidiano sono scanditi da una artificiosità impressionante che ci ha allontanato dalla realtà della biosfera e dai suoi ritmi: il camminare quotidianamente in mezzo ai campi o in un bosco sotto le stelle ci farebbe percepire in maniera tangibile la sensazione del limite.

Forse anche per queste ragioni molti, tra gli alti tecnocrati di banche e finanza, sono convinti che “l'attuale crisi è soltanto un'oscillazione momentanea, che l'economia è sempre cresciuta e quindi per forza tutto riprenderà a crescere.” Non si vuol prendere atto che questo sistema economico è in declino. ()

Il bello è che economisti e banchieri sono stati incapaci di intravedere la crisi finanziaria di portata mondiale, iniziata nel 2007, tant’è che la regina Elisabetta II chiedeva “come fosse stato possibile che nessuno avesse previsto il crollo sopra menzionato” (Arnaldo Orlandini): pur di mantenere i propri privilegi, i gruppi dominanti puntano a distogliere l’attenzione delle persone dal cambiamento  climatico, sicurezza alimentare e questione energetica.

Ben diversa fu invece la capacità predittiva di chi utilizzò la dinamica dei sistemi: Viktor Gelovani, adattò all'Unione Sovietica il modello del mondo usato per “I Limiti dello Sviluppo” e  scoprì che l'Unione Sovietica stava per collassare. Sicché “è andato dalla dirigenza del paese e ha detto: 'la mia previsione mostra che non avete alcuna possibilità. Dovete cambiare le vostre politiche'. E i dirigenti hanno detto: 'no, abbiamo un'altra possibilità: tu puoi cambiare la tua previsione'”. (I Limiti della Crescita nell'Unione Sovietica e in Russia: storia di un fallimento)

Quale il criterio guida da seguire? Luigi Sertorio, dopo aver definito la biosfera ed averne spiegato il funzionamento, propone un’antropologia cosmocentrica. (2) Si potrebbe obbiettare che sono tutte conoscenze recenti e solo una ristretta minoranza è consapevole che, per analizzare una realtà così complessa, uno strumento adeguato è la dinamica dei sistemi. Ma quanti hanno letto “I limiti dello sviluppo” in Italia? Un milione? Ammesso che siano così numerosi, costituirebbero meno del 2% della popolazione italiana. (C)

Questo sistema economico nel giro di due secoli ha fagocitato le numerose forme di civiltà umane esistenti. Credo che oggi si debba parlare di “civiltà umana imperante” la quale dispone di protesi di potenza ed abilità sempre più potenti e l’etica?  E’ rimasta quella di due secoli fa. Sertorio sostiene che la disgiunzione tra economia, etica e scienza ha contribuito alla situazione attuale. (3)

E’ evidente che ho toccato temi complessi e decisamente scottanti: gran parte della nostra classe dirigente fugge da tali problemi per paura di dover mettere in discussione il sistema economico adottato. Intanto il riscaldamento globale avanza e le alternative possibili diminuiscono sicché i rischi per la sicurezza alimentare si fanno sempre più tangibili anche in Italia.

Note al testo

(A) Il sistema industriale, oltre a produrre beni uniformi, in gran quantità, poco tempo, meno manodopera, comporta, tra l’altro, una sempre più forte concentrazione, anche di potere, di pochi su una moltitudine di singoli individui. Fino a cinque secoli addietro in Europa, bene o male, convivevano tre sistemi proprietari: quello del sovrano, dei signori, e gli usi civici per il resto della popolazione (Ugo Mattei “Beni comuni”). Adesso si punta a privatizzare “di tutto di più”, per riprendere uno slogan della RAI.

(B) Ritengo che in Italia un diffuso ambientalismo, anche se in fase embrionale, sia iniziato dopo la tragedia di Seveso rimanendo circoscritto nella coscienza dei più fino a quando non salta la centrale di Chernobyl. Da li si sarebbe dovuto prendere atto che “non nel mio giardino” era diventato impossibile: gran parte dell’opinione pubblica italiana si accorse che il mondo era diventato piccolo. Si cominciò a parlare in maniera seria delle questioni ambientali e ci si rese conto di quanto fossero complessi e connessi tra loro i problemi che la società industriale crea alla biosfera e quindi anche agli uomini di allora, e oggi più di prima. Dopo Chernobyl, in Italia ci son voluti più di 40 mesi per organizzare un qualificato incontro di valenza internazionale sulle questioni ambientali: mi riferisco al convegno che fu preparato presso l’Università di Siena da Legambiente a fine ottobre del 1989 “Ecosviluppo dai nuovi limiti alle politiche ambientali” ed a cui partecipai.

(C)  Per colmare questo vuoto, volendo, la RAI potrebbe presentare giornalmente, nelle ore di maggiore ascolto, dibattiti e programmi di approfondimento come Scala Mercalli che, però, è stato cancellato per ciò che diceva.


Bibliografia

(1)  Assadourian E.  2012 - Il cammino dei paesi sovrasviluppati verso la decrescita. State of the World 2012 - Edizioni Ambiente, 98-99
(2) Sertorio L. 2013 – Storia dell’incertezza . Edizioni Seb27, 96-106
(3) Ibidem, 75-81

martedì 20 dicembre 2016

Pinuccia Montanari assessore all'ambiente del comune di Roma. Avanti con l'economia circolare!



di UB

Pinuccia Montanari non è soltanto una persona competente, ma anche una carissima amica e collaboratrice. Soltanto due mesi fa era a Firenze, invitata per farci una lezione nel corso di formazione sull'economia circolare. Ma sono anni che collaboriamo in tante cose, soprattutto sulla questione dei rifiuti.

Ora, Pinuccia si è presa questo impegno con grande coraggio. Ce ne vuole per gestire qualsiasi cosa che abbia a che vedere con il comune di Roma, come abbiamo visto dagli eventi degli ultimi tempi. Ma quella del sindaco Raggi è stata una scelta saggia. Mettere una persona competente in un ruolo dove può far valere la propria competenza è sempre una scelta che paga.

Quindi, tantissimi auguri a Pinuccia e sono sicuro che saremo in tanti a darle una mano quando ne avrà bisogno. Forza Pinuccia! Avanti con l'economia circolare!!





lunedì 19 dicembre 2016

Comunicazione nella scienza del clima: la fiducia genera fiducia

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR



Con più di 50.000 studenti, l'Università di Firenze è una gigantesca organizzazione con moltissimi problemi. Ma è anche un'università antica e prestigiosa che, a volte, riesce a fare qualcosa di giusto. Recentemente ha organizzato una giornata informativa sul cambiamento climatico per i suoi impiegati che ha avuto un notevole successo, dimostrando che la fiducia genera fiducia.  

Perché non riusciamo a comunicare il pericolo del cambiamento climatico? Forse le persone non hanno informazioni sufficienti? (Questo è il modello del “deficit di informazioni”). O forse hanno troppe informazioni? (Questo si chiama modello di “cognizione culturale”). O forse non hanno le giuste informazioni? O c'è qualcos'altro di sbagliato?

Senza entrare nei dettagli del dibattito, vi racconto di un avvenimento che mi ha aperto gli occhi. Mi ha fatto capire che c'è un problema di “deficit di informazioni”, ma anche che le cose non sono così semplici. Penso che più che un deficit di informazioni, c'è un “deficit di fiducia" che blocca la comunicazione. Non è sufficiente dire alle persone come stanno le cose: dobbiamo ingenerare fiducia. E la fiducia produce fiducia. Ma fatemi raccontare questa storia. 

Quest'anno, l'Università di Firenze ha deciso di offrire al suo personale – gli impiegati che lavorano in amministrazione o nei servizi – tre “giornate di informazione” su materie legate alla sostenibilità. Una di queste giornate di informazione è stata dedicata al cambiamento climatico e si è tenuta il 9 novembre del 2016. 

Il primo punto è che questa doveva essere una lezione, non un giorno di vacanza: ci sarebbero state diverse conferenze per un totale di circa otto ore che abbiamo pianificato come vere lezioni di livello universitario. C'era modellazione, paleoclimatologia, negoziati climatici, comunicazione, mitigazione, adattamento ed altro. Si trattava di comunicazione diretta a non scienziati, ma gli oratori erano tutti specialisti nei loro campi e non hanno tentato di addolcire la pillola o di banalizzare il tema. Insomma, era una cosa impegnativa.

Ad essere onesto, non ero sicuro che avrebbe funzionato. Temevo che le persone avrebbero preso l'iniziativa come una scusa per un giorno di vacanza; non si sarebbero presentati o si sarebbero presentati e sarebbero scomparsi subito dopo. Oppure, se fossero rimasti, sarebbero stati annoiati a morte e avrebbero dormito per tutto il giorno. Mi aspettavo persino che qualche idiota fra il pubblico si sarebbe alzato e avrebbe detto una cosa tipo “non vedete quanto fa freddo oggi? Il cambiamento climatico è una truffa!”

Ma non è successo niente di tutto questo. Con una certa sorpresa da parte mia, l'aula magna dell'Università di Firenze era gremita da circa duecento persone, principalmente impiegati dell'università, ma anche studenti e membri della facoltà. La maggior parte di loro sono rimasti coraggiosamente seduti per tutte le otto ore delle conferenze, un'impresa notevole (in alcuni momenti, alcuni sono dovuti restare in piedi perché non c'erano sedie sufficienti a disposizione). E non solo sedevano nella stanza, ascoltavano le conferenze. Dopo le molte esperienze con conferenze e lezioni pubbliche, sono in grado di percepire se il pubblico è attento o no e loro lo erano. Non dormivano. In realtà ho individuato alcuni occhi chiusi qua e là – è normale. Ma, nel complesso, direi che erano più attenti di molti dei miei studenti. 

Non abbiamo tentato di fare una valutazione formale dei risultati di questa iniziativa, ma penso di avere feedback informali sufficienti da potervi dire che il messaggio è passato. Molte persone non erano soltanto interessate, erano sorprese. Non avevano idea che la scienza del clima fosse un campo così profondo, ampio ed affascinante. Non si erano mai resi conto della portata della minaccia che abbiamo di fronte. 

Per me, come ho detto, è stata un'esperienza che mi ha aperto gli occhi e che mi ha fatto rivalutare tutto ciò che sapevo sulla comunicazione scientifica. Mi ha fatto capire quanto lontana sia la scienza del clima per persone che soffrono davvero di un problema di deficit di informazioni. La maggior parte di quelli che non sono scienziati prendono le informazioni dai media mainstream (MSM) e ci sono due problemi con questa cosa: uno è che ricevono solo frammenti e scorci, immersi nel rumore generale delle notizie. L'altro, forse più importante, è che giustamente non si fidano dei MSM. Eppure, dove altro possono prendere le informazioni? E' davvero una combinazione mortale: cattiva informazione  da una fonte di cui si diffida, c'è da stupirsi che nessuno stia facendo niente per il cambiamento climatico? 

Ed ecco l'università, un'istituzione piena di problemi ma che si suppone che esista per creare scienza e cultura, non per fare soldi. A causa di questo, gode di un certo prestigio e, stavolta, lo ha usato per fare qualcosa di giusto. Ha detto ai suoi impiegati, “vi apprezziamo, quindi vi offriamo la nostra conoscenza sul cambiamento climatico gratuitamente. Abbiamo fiducia che lo apprezzerete”. E gli impiegati hanno risposto ricambiando la fiducia e apprezzando questo dono. La fiducia genera fiducia. 

Penso che questa esperienza abbia un valore generale. Concorda con un fatto descritto, per esempio, da Ara Norenzayan nel suo libro “Big Gods”. Detto in breve, le persone crederanno al messaggio se (e solo se) si fidano del messaggero. Quindi non stupisce che le persone non siano molto trasportate dai messaggi che ricevono da parte dei MSM – non solo ricevono un messaggio poco comprensibile, non si fidano del messaggero. Ma quando ricevono il messaggio da un'istituzione fidata e da persone che, chiaramente, fanno del loro meglio per informarli, allora capiscono. Non è una questione di volume o di addolcire la pillola, non una questione di strategie o di pubbliche relazioni. E' una questione di fiducia. 

Ed è qui il problema: abbiamo sperperato così tanta della fiducia che l'opinione pubblica aveva nelle sue fonti di informazione che viviamo oggi nel pieno dell' “Impero delle bugie”. Saremo mai in grado di ripristinare la fiducia? Forse non è impossibile, ma molto, molto difficile. Eppure, ciò che ha fatto l'Università di Firenze è stato un passo nella giusta direzione. Forse può essere replicato in seguito, chi lo sa? 

Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno partecipato a questa giornata informativa come relatori o come organizzatori, in ordine alfabetico. 

Adele Bertini
Marco Bindi
Francesca Bigi 
Federico Brocchieri
Stefano Caserini
Gianfranco Cellai 
Sara Falsini
Alessandro Galli 
Giovanni Pratesi 
Luca Toschi 

venerdì 16 dicembre 2016

Ma Grillo ha veramente capito tutto sull'energia?




A qualche giorno di distanza dalla pubblicazione del mio post "Grillo ha capito tutto" sull'energia, posso provare a fare il punto sulle reazioni che ho ricevuto. E, devo dire, sono piacevolmente sopreso.

Senza pretendere di avere dati statistici, ci sono stati tantissimi commenti favorevoli e anche quelli contrari sono stati quasi sempre educati (anche su "ComeDonChisciotte", il che è tutto dire!). C'è stato, è vero il solito gruppetto dei complottisti, sciachimisti, fusofreddisti, ecc. che sono intervenuti ma, devo dire, con una certa moderazione nel tono delle loro esternazioni. Un bel risultato in un epoca in cui sembra molto difficile discutere con qualcuno con cui non sei d'accordo senza insultare i suoi parenti stretti.

A parte quelli che sono d'accordo con me, credo che le critiche che ho ricevuto meritino un commento, che vi passo qui di seguito.

1. In primo luogo c'è stata una critica politica. Ho ricevuto diversi commenti del tenore, "siccome Grillo è un fascista/dittatore/nemico del popolo/eccetera, ne consegue che non si può essere d'accordo con lui su nessun argomento." Su questo mi limito a notare che mi sembra di aver colpito nel segno quando ho ricevuto qualche commento un po' stizzito da parte di persone legate in vari modi al PD. Evidentemente, si sono resi conto del disastro che è stato il governo Renzi con le sue politiche energetiche che hanno fatto scomparire decine di migliaia di posti di lavoro e un intero settore industriale italiano.

2. Critiche specifiche al post di Grillo. Qui, a mio modesto parere, chi critica non ha capito quello che Grillo voleva dire nel suo post. Non era un programma politico, non era un programma energetico. Era un post giornalistico che serviva a stabilire delle priorità. Allora, non ha senso criticarlo nel senso che non dice tutto quello che c'è da dire sull'energia, perché mancano certe cose, perché certe cose sono troppo enfatizzate. Il punto è che Grillo è intervenuto con forza per stabilire la priorità dell'energia e questa è la cosa buona. Va detto, in ogni caso, che Grillo non è un tecnico e tende a entusiasmarsi su cose che non meritano entusiasmo. Per questa ragione, nel passato ha anche nettamente sbarrocciato su questioni energetiche, come quando si è messo a sostenere l'olio di colza come combustibile per i motori diesel (e questo glie l'ho fatto notare esplicitamente). Diciamo, comunque, che sta migliorando, ma farà bene a rimanere su argomenti generali.

3. Molte critiche sono state basate sul fatto che bisogna privilegiare l'efficienza e il risparmio piuttosto che la produzione di energia. Questo punto avrebbe bisogno di un'estesa trattazione. Mi limito a dire che era una posizione legittima una decina di anni fa; per intendersi, al tempo in cui Maurizio Pallante cominciava a proporre il concetto del "Secchio Bucato," nel senso che bisognava tappare il buco prima di ingegnarsi a riempire il secchio. Ma oggi le rinnovabili sono molto meno costose di allora e, allo stesso tempo, l'urgenza di liberarsi dei combustibili fossili è diventata pressante. Quindi, è sensato oggi dare la priorità alla produzione di energia rinnovabile dando un taglio netto all'uso dei fossili.

4. Una critica comune è che il governo fa male per principio a dare dei sussidi alla produzione di energia rinnovabile; cosa vista come una perversione del libero mercato. Una posizione che mi trova in completo disaccordo: il governo ha fatto quello che un governo deve fare: correggere il meccanismo del libero mercato per distribuire le risorse a favore della comunità. Nessuno si lamenta (di solito) se le proprie tasse sono pagate per ospedali, o per la pubblica istruzione, o per tante altre infrastrutture che non rendono soldi ma che sono necessarie alla comunità. E allora perché prendersela in particolare con il fotovoltaico?

5. Sono state ripetute molte leggende comuni sul fotovoltaico; tipo che occupa troppo spazio, che non rende l'energia spesa per costruirlo, che è inquinante, che usa elementi rari, eccetera. Tutte cose che indicano come manchi un minimo di informazione pubblica su come stanno le cose. Lo stesso vale per qualche tentativo di ritirar fuori i famosi "errori del Club di Roma" che peraltro è stato spesso rintuzzato da commentatori più informati.

6. C'è stato, infine, il discorso che i fattori politici, tipo uscire dall'euro, sono la cosa importante e che l'energia è una cosa secondaria. Mi aspettavo molti più commenti di questo tenore di quelli che ho visto; in ogni caso è un punto di vista lecito anche se, a mio parere, sbagliato. Non si può avere democrazia senza energia.

Insomma, io credo che questi siano gli argomenti che un dibattito sul futuro del paese dovrebbe prendere in considerazione. Forse questo mio post è stato un modesto contributo ad andare nella giusta direzione. Quindi, rilevo con grande piacere che molta gente ha capito quanto sia importante l'energia rinnovabile per il nostro paese. Adesso andiamo avanti.