martedì 4 agosto 2015

Economia per un mondo pieno

Da “Great Transition Initiative”. Traduzione di MR

Di Herman Daly Giugno 2015

Questo saggio è stato adattato da un discorso fatto in occasione del premio Pianeta Blu, nel novembre 2014. 

A causa della crescita economica esponenziale dalla Seconda Guerra Mondiale, ora viviamo in un mondo pieno, ma ci comportiamo ancora come se fosse vuoto, con ampi spazi e risorse per un futuro indefinito. Gli assunti di fondo dell'economia neoclassica, sviluppata nel mondo vuoto, non valgono più, in quanto l'onere cumulativo della specie umana sta raggiungendo – o, in alcuni casi, superando – i limiti della natura a livello locale, regionale e planetario. L'ossessione prevalente per la crescita economica ci mette sulla strada del collasso ecologico, sacrificando il sostegno stesso del nostro benessere e della nostra sopravvivenza. Per invertire questa traiettoria sinistra, dobbiamo transitare verso un'economia di stato stazionario concentrata sullo sviluppo qualitativo, anziché sulla crescita quantitativa, e sull'interdipendenza di economia umana e ecosfera globale. Sviluppare politiche ed istituzioni per un'economia di stato stazionario ci richiederà di rivisitare la questione dello scopo e dei fini dell'economia.

L'economia come sottosistema dell'ecosfera

Quando lavoravo alla Banca Mondiale, spesso sentivo l'affermazione “Non c'è conflitto fra l'economia e l'ecologia. Possiamo e dobbiamo far crescere l'economia e proteggere l'ambiente allo stesso tempo”. Lo sento ancora dire molto oggi.

Anche se si tratta di un'idea confortante, è al massimo vera a metà. La parte “vera” nasce da una confusione fra redistribuzione e crescita aggregata. Quasi sempre esistono possibilità di una migliore assegnazione – più di qualcosa di desiderato in cambio di una riduzione di qualcosa di meno desiderato. Tuttavia, la crescita aggregata, ciò che intendono i macro economisti col termine “crescita” (ed anche il significato in questo saggio), è che il valore totale del mercato di tutti i beni ed i servizi finali (PIL) si espande.

L'economia, come mostrato nella Figura 1, è un sottosistema aperto della più vasta ecosfera, che è finita, non in crescita e materialmente chiusa, anche se aperta aperta ad un volume continuo e non crescente di energia solare. Quando l'economia cresce in dimensioni fisiche, incorpora materia ed energia dal resto dell'ecosistema in sé stessa. Deve, per la legge di conservazione della materia e dell'energia (Prima Legge della termodinamica), invadere l'ecosistema, dirottando materia da usi precedentemente naturali. Più economia umana (più persone e beni) significa meno ecosistema naturale. In questo senso, l'affermazione che “non c'è conflitto” è falsa. C'è un conflitto fisico ovvio fra la crescita dell'economia e la preservazione dell'ambiente.

Che l'economia sia un sottosistema dell'ecosfera sembra forse troppo ovvio da enfatizzare. Eppure la visione opposta è comune ai piani alti. Per esempio, un recente studio del Comitato sul Capitale naturale del governo britannico ha asserito che “l'ambiente è parte dell'economia e dev'essere integrato adeguatamente in essa così che le opportunità di crescita non vadano perdute”. Al contrario, è l'economia che è la parte e deve essere integrata nel complesso dell'ecosfera finita di modo che il limiti della crescita non vengano superati. (1)

Ma questo conflitto fisico è economicamente importante? Alcuni credono di vivere ancora in un mondo “vuoto”. Nel mondo vuoto, l'economia era piccola in rapporto all'ecosistema che la conteneva, le nostre tecnologie di estrazione e di raccolta non erano così potenti ed eravamo presenti in numero ridotto. I pesci di riproducevano più rapidamente di quanto fossimo in grado di pescarli, gli alberi crescevano più rapidamente di quanto potessimo tagliarli e i minerali nella crosta terrestre erano abbondanti. In altre parole, le risorse naturali non erano proprio scarse. Nel mondo vuoto, aveva senso economicamente dire che non c'era conflitto fra crescita economica ed ecosistema, anche se non era propriamente vero in senso fisico.


Figura 1: Welfare in un mondo pieno e vuoto

La teoria economica neoclassica si è sviluppata durante quest'epoca e ne incorpora ancora molti assunti. Ma il mondo vuoto si è rapidamente trasformato in mondo “pieno” grazie alla crescita, grazie all'obbiettivo principale di ogni paese – capitalista, comunista o a metà strada. Dalla metà del XX secolo, la popolazione mondiale è più che triplicata – da due miliardi a oltre sette miliardi. Le popolazioni di bovini, polli, maiali e piante di soia e mais hanno fatto altrettanto. La popolazione non vivente di automobili, edifici, frigoriferi e cellulari è cresciuta anche più rapidamente. Tutte queste popolazioni, viventi e non viventi, sono quello che i fisici chiamano “strutture dissipative” - vale a dire, il loro mantenimento e riproduzione richiede un flusso metabolico, un volume che comincia con l'esaurimento delle risorse a bassa entropia provenienti dall'ecosfera e finisce col ritorno di rifiuti inquinanti ad alta entropia nell'ecosfera. Questo distrugge l'ecosfera da entrambi i lati, un costo inevitabile necessario per la produzione, la manutenzione e la riproduzione della riserva di persone e di ricchezza. Fino a poco tempo fa, la teoria economica standard ignorava il concetto di rendimento metabolico e, ancora adesso, la sua importanza è grandemente sottovalutata. (2)

Il concetto di flusso metabolico in economia porta con sé le leggi della termodinamica, che sono scomode per l'ideologia della crescita. La prima Legge, come osservato sopra, impone uno scambio quantitativo di materia/energia fra l'ambiente e l'economia. La Seconda legge, che l'entropia (o disordine) dell'universo aumenta sempre, impone un degrado qualitativo dell'ambiente – estraendo risorse a bassa entropia e dando indietro rifiuti ad alta entropia. La Seconda Legge della Termodinamica impone quindi un conflitto aggiuntivo fra l'espansione dell'economia e la preservazione dell'ambiente, cioè che l'ordine e la struttura dell'economia è pagata imponendo disordine nell'ecosfera che la sostiene. Inoltre questo disordine, esportato dall'economia, distrugge le complesse interdipendenze ecologiche del nostro ecosistema di supporto vitale.

Coloro che negano il conflitto fra crescita ed ambiente spesso affermano che siccome il PIL viene misurato in unità di valore, non necessariamente ha un impatto fisico sull'ambiente. Ma si deve ricordare che un dollaro di benzina è una quantità fisica – recentemente circa un quarto di gallone negli Stati Uniti. Il PIL è un aggregato di tutte le quantità di questo genere “del valore di un dollaro” comprate per l'uso finale e di conseguenza è un indice di valore ponderato di quantità fisiche. Il PIL certamente non è perfettamente correlato col flusso di risorse. Ciononostante, le probabilità di “disaccoppiamento” assoluto del flusso di risorse dal PIL sono piuttosto limitate, anche se se ne parla molto e sono e desiderate. (3)

I limiti sono resi visibili considerando una matrice ingresso-uscita di un'economia. Quasi ogni settore richiede ingressi da (e fornisce uscite per) quasi ogni altro settore. E questi ingressi richiedono un ulteriore giro di ingressi per la loro produzione, ecc. L'economia cresce come un insieme integrato, non come un misto di settori separati. Anche i settori dell'informazione e dei servizi richiedono ingressi di risorse fisiche sostanziali. In aggiunta al limite dal lato dell'offerta riflesso nell'interdipendenza ingresso-uscita dei settori di produzione, c'è il limite del lato della domanda di ciò che è stato chiamato “ordinamento lessicografico dei desideri” - a meno che prima non abbiamo cibo a sufficienza nel piatto, non siamo interessati all'informazione contenuta in mille ricette su Internet. E, naturalmente, il Paradosso di Jevons – l'idea che, man mano che la tecnologia avanza, l'aumento di efficienza col quale viene usata una risorsa tende ad aumentare il tasso di consumo di quella risorsa – nega gran parte dei benefici di tale progresso. Ciò non nega le reali possibilità del miglioramento dell'efficienza tecnica nell'uso delle risorse, o il miglioramento etico nell'ordinamento delle nostre priorità. Ma questi rappresentano uno sviluppo qualitativo e di frequente non vengono colte nel PIL, che riflette principalmente la crescita quantitativa.

Siccome il PIL riflette le attività dannose sia quelle benefiche, gli economisti ecologici non lo hanno considerato come desiderabile in sé. Hanno invece distinto la crescita (aumento quantitativo in dimensione per accrescimento o assimilazione di materia) dallo sviluppo (miglioramento qualitativo di progettazione, tecnologia o priorità etiche). Gli economisti ecologici sostengono lo sviluppo senza crescita – miglioramento qualitativo senza aumento quantitativo di flusso di risorse oltre una scala ecologicamente sostenibile. Data questa distinzione, si potrebbe infatti dire che non c'è necessariamente conflitto fra sviluppo qualitativo ed ambiente. Il calcolo del PIL mescola insieme crescita e sviluppo, così come costi e benefici. Esso quindi confonde anziché chiarire.

Da un mondo vuoto a un mondo pieno: il fattore limitante è cambiato

Quando il flusso entropico diventa troppo grande, sopraffa o la capacità rigenerativa delle fonti della natura o la capacità assimilativa dei pozzi della natura. Questo ci dice che non viviamo più nel mondo vuoto, ma piuttosto abitiamo in un mondo pieno. I flussi di risorse ora sono il fattore di scarsità e il lavoro e le riserve di capitale ora sono relativamente abbondanti. Questo schema di fondo di scarsità è stato invertito da un secolo di crescita.


Figura 2: Cambiamento dei fattori limitanti

Questa immagine semplice è istruttiva. In passato, la pesca era limitata dal numero di pescherecci e pescatori. Ora è limitata dal numero di pesci e dalla loro capacità di riprodursi. Più pescherecci non portano a più pesce pescato. Il fattore limitante non è più il capitale di pescherecci costruite dall'uomo, ma il capitale naturale rimasto di popolazioni di pesce e del loro habitat acquatico.
La logica economica vi direbbe di investire sul fattore limitante. La vecchia politica economica di costruire più pescherecci ora è antieconomica, quindi dobbiamo investire in capitale naturale, il nuovo fattore limitante. Come lo facciamo? Intanto, possiamo farlo riducendo la pesca per permettere alle popolazioni di pesci di tornare ai livelli precedenti e con altre misure come lasciare a maggese i terreni agricoli per ripristinare la loro fertilità. Più in generale, possiamo farlo ripristinando l'ecologia, la biodiversità, la conservazione e le pratiche d'uso sostenibili.

Si potrebbero disegnare quadri analoghi per altre risorse naturali. Cos'è che alla fine dei conti limita la produzione di legna tagliata? E' il numero di motoseghe, di segherie e taglialegna o le foreste che rimangono e il tasso di crescita dei nuovi alberi? Cosa limita i raccolti dell'agricoltura irrigua? E' il numero di tubi, irrigatori e pompe p le riserve d'acqua nelle falde, il loro tasso di riempimento e il flusso di acqua di superficie nei fiumi? Cosa limita il numero di barili di petrolio greggio pompato: il numero di piattaforme di trivellazione o i depositi di petrolio accessibile rimasti? Cosa limita l'uso di tutti i combustibili fossili: le nostre attrezzature minerarie e i motori a combustione o la capacità dell'atmosfera di assorbire i gas serra risultanti senza causare un drastico cambiamento climatico? In tutti i casi, è il secondo, il capitale naturale (sorgente o pozzo che sia), piuttosto che il capitale costruito dall'uomo.

Gli economisti tradizionali hanno reagito a questo cambiamento dell'identità del fattore limitante in tre modi. Il primo è che lo hanno ignorato – continuando a credere che viviamo nel mondo vuoto del passato. Il secondo è che hanno fatto finta che il PIL sia un numero etereo ed angelico piuttosto che un aggregato fisico. Il terzo è che hanno affermato che il capitale naturale non ha, di fatto, sostituito il capitale prodotto dall'uomo come fattore limitante, perché il capitale prodotto dall'uomo e il capitale naturale sono sostituti intercambiabili, almeno secondo le funzioni di produzioni neoclassiche.

Solo se i fattori di produzione sono complementi quello in numero ridotto può essere limitante. Quindi anche se il capitale naturale ora è più scarso di prima, questo non sarà un problema, dicono gli economisti neoclassici, perché il capitale prodotto dall'uomo è un sostituto “quasi perfetto” delle risorse naturali. Viene rappresentato come tale in funzioni di produzione moltiplicative come la ampiamente usata Cobb-Douglas. Ma moltiplicare i “fattori” di produzione per ottenere un “prodotto” è matematica, non economia. Nel mondo reale, ciò che chiamiamo “produzione” è di fatto trasformazione, non moltiplicazione. Le risorse naturali vengono trasformate da ingressi di capitale e di lavoro in prodotti utili e rifiuti.

Mentre le tecnologie migliorate possono certamente ridurre i rifiuti e facilitare il riciclo, gli agenti di trasformazione (capitale e lavoro) non possono essere utilizzati come sostituti diretti del materiale e dell'energia che vengono trasformati (risorse naturali). Possiamo produrre una torta di 4 chili e mezzo con solo mezzo chilo di ingredienti semplicemente usando più cuochi e forni? E, inoltre, come possiamo produrre più capitale (o lavoro) senza usare più risorse naturali? Mentre un investimento di capitale in sonar potrebbe aiutare a localizzare i pesci che rimangono, il sonar non è un buon sostituto di più pesce nel mare. E cosa succede al valore del capitale dei pescherecci, compresi i loro sonar, man mano che il pesce scompare?

Limiti alla crescita e la scala ottimale dell'economia in un mondo pieno

E' chiaro dalla Figura 1 che la transizione da un mondo vuoto ad uno pieno comporta costi e benefici. La freccia marrone da Economia a Welfare  rappresenta i servizi economici (benefici provenienti dall'economia). E' piccola nel mondo vuoto ma grande nel mondo pieno. Cresce ad un tasso decrescente perché, come esseri razionali, per primi soddisfiamo i desideri più importanti – La legge dell'utilità marginale decrescente. I costi della crescita sono rappresentati dai servizi ecosistemici in contrazione (freccia verde) che sono grandi nel mondo vuoto, ma piccoli nel mondo pieno. Diminuisce ad un tasso crescente man mano che l'ecosistema viene soppiantato dall'economia perché noi – in teoria – sacrifichiamo prima i servizi ecosistemici meno importanti – La legge dei costi marginali crescenti.

Possiamo riformulare ciò nei termini della Figura 3, che mostra il beneficio marginale in declino della crescita dell'economia e il costo marginale in aumento del risultante sacrificio ambientale:


Figura 3: I limiti della crescita

Dal diagramma, possiamo distinguere tre concetti di limiti della crescita:

1. Il limite della futilità si presenta quando l'utilità marginale della produzione arriva a zero. Anche senza nessun costo di produzione, c'è un limite a quanto possiamo consumare continuando a goderne. C'è un limite ai beni di cui possiamo godere in un dato periodo di tempo, così come c'è un limite dei nostri stomaci e della capacità sensoriale del nostro sistema nervoso. In un mondo con una povertà considerevole e in cui i poveri osservano quelli molto ricchi che si godono ancora la loro ricchezza in eccesso, molti vedono questo limite di futilità come molto lontano, non solo i poveri, ma tutti. Per il suo postulato di “non sazietà”, l'economia neoclassica formalmente nega il concetto di limite di futilità. Tuttavia, degli studi hanno mostrato che, oltre una “soglia di sufficienza”, sia la felicità percepita sia gli indici obbiettivi del benessere cessano di aumentare col PIL. (4)

2. La catastrofe ecologica è rappresentata da un netto aumento verticale della curva del costo marginale. Alcune attività umane, o nuova combinazione di attività, potrebbero indurre una reazione a catena, o punto di non ritorno, e far collassare la nostra nicchia ecologica. Il principale candidato per il limite catastrofico al momento è il cambiamento climatico fuori controllo indotto dai gas serra emessi nella ricerca della crescita economica. Quello che potrebbe accadere lungo l'asse orizzontale è incerto. L'assunto di un costo marginale in continuo e leggero aumento è piuttosto ottimistico. Data la nostra comprensione limitata di come funziona l'ecosistema, non possiamo essere sicuri di aver messo correttamente in sequenza i nostri sacrifici di servizi ecologici dal meno al più importante. Nel far strada alla crescita, potremmo sacrificare per ignoranza un servizio ecosistemico vitale prima di uno superficiale. Quindi la curva del costo marginale potrebbe in realtà salire e scendere in modo discontinuo, rendendo difficile definire il terzo e più importante limite, cioè il limite economico.

3. Il limite economico è definito dall'uguaglianza del costo marginale e del beneficio marginale e della corrispondente massimizzazione del beneficio netto. Il limite economico sembrerebbe essere il primo limite che incontriamo. Di sicuro si verifica prima del limite di futilità e probabilmente prima del limite di catastrofe. Nella peggiore ipotesi, il limite di catastrofe potrebbe coincidere col limite economico e determinarlo in modo discontinuo. Pertanto è molto importante stimare i rischi di catastrofe ed includerli come costi da conteggiare nella curva della disutilità prima possibile.

Dal grafico è evidente che la produzione e il consumo aggregati in aumento vengono giustamente chiamati crescita economica solo fino al limite economico. Oltre quel punto diventa crescita antieconomica perché aumenta i costi più dei benefici, rendendoci più poveri, non più ricchi. Ciononostante, continuiamo perversamente a chiamala crescita economica. Infatti, non troverete il termine “crescita antieconomica” in nessun libro di testo di macroeconomia. Ogni aumento di PIL reale viene chiamato “crescita economica” anche se aumenta i costi più rapidamente dei benefici. Che più ricco (più ricchezza netta) sia meglio di più povero è una verità lapalissiana. La domanda rilevante, però, è: la crescita ci rende più ricchi o ha cominciato a renderci più poveri aumentando il “malessere” più rapidamente del “benessere”?

Ci sono esempi di “malessere” ovunque, anche se sono ancora non misurati nei conteggi nazionali. Comprendono cose come scorie nucleari, cambiamento climatico da eccesso di carbonio in atmosfera, perdita di biodiversità, miniere esaurite, deforestazione, suolo eroso, pozzi e fiumi prosciugati e buco dell'ozono. Comprendono anche lavoro estenuante e pericoloso e il debito non saldabile derivato dal tentativo di spingere la crescita nel simbolico settore finanziario oltre ciò che è possibile nel settore reale.

Gli economisti osserveranno che la logica impiegata nella Figura 3 è famigliare in macroeconomia – la dimensione ottimale di una unità macroeconomica, che sia una ditta o una famiglia, si verifica dove il costo marginale è uguale al beneficio marginale. La logica non viene applicata alla macroeconomia, tuttavia, perché la seconda viene pensata come il Tutto piuttosto che una Parte. Quando una Parte si espande in un Tutto finito, impone un costo di opportunità sulle altre Parti che si devono restringere per farle spazio. Quando il Tutto stesso si espandesi pensa che non imponga nessun costo di opportunità perché non sostituisce niente, espandendosi presumibilmente nel nulla. Ma come visto nella Figura 1, la macroeconomia non è il Tutto. E' anche lei una Parte, una parte della più ampia economia naturale, l'ecosfera, e la sua crescita infligge costi di opportunità sul Tutto finito che devono essere considerati. Il rifiuto di riconoscere questo dipende dal fatto che molti economisti non possono concepire la possibilità che la crescita del PIL possa mai essere antieconomica.

Gli economisti standard potrebbero accettare la Figura 3 come un quadro statico ma poi sosterrebbero che, in un mondo dinamico, la tecnologia sposterebbe la curva dei benefici marginali verso l'alto e quella dei costi marginali verso il basso, spostando la loro intersezione (limite economico) sempre verso destra di modo che la crescita continua rimane sia desiderabile si possibile. Tuttavia, gli 'spostatori' di curve macroeconomiche devono ricordare tre cose. La prima è che la macroeconomia che cresce fisicamente è comunque limitata dalla propria sostituzione dell'ecosfera finita e dalla natura entropica del proprio flusso di mantenimento. La seconda è che la tempistica della nuova tecnologia è incerta. La tecnologia attesa potrebbe non essere inventata o entrare in funzione fino a dopo che abbiamo superato il limite economico. Manteniamo quindi la crescita antieconomica aspettando e sperando che le curve si spostino? La terza è che le curve possono anche spostarsi nella direzione sbagliata, spostando il limite economico indietro verso sinistra. I “progressi” tecnologici del piombo tetraetile e dei clorofluorocarburi hanno spostato la curva dei costi in giù o in su? E l'energia nucleare? O il “fracking”?

Adottare un'economia di stato stazionario ad un macro livello (mentre, naturalmente, favoriamo i miglioramenti di assegnazione al micro livello) ci aiuta ad evitare di essere spinti oltre il limite economico. Potremmo prenderci il nostro tempo per valutare nuove tecnologie piuttosto che adottarle ciecamente nell'interesse della crescita aggregata che potrebbe anche essere antieconomica. E lo stato stazionario ci da una qualche assicurazione contro i rischi della catastrofe ecologica ,che invece aumentano col 'crescismo' e l'impazienza tecnologica.

Tre prospettive sull'integrazione di economia ed ecosistema

La nostra visione e le politiche dovrebbe basarsi su una visione integrata ed un'ecosfera non in crescita. Tre diverse concezioni hanno fondato tali tentativi sull'integrazione e tutti e tre partono dalla visione dell'economia come sottosistema dell'ecosfera e riconoscono quindi i limiti della crescita. Tuttavia differiscono nel modo in cui ognuna tratta il confine fra economia e il resto dell'ecosistema e queste differenze hanno grandi conseguenze nelle politiche di come ci adattiamo ai limiti.


Figura 4: Approcci all'integrazione di economia ed ecosistema

L'imperialismo economico cerca di espandere i confini del sottosistema economico finché non invade l'intera ecosfera. L'obbiettivo è un sistema, la macroeconomia come Tutto. Questo è ottenuto  attraverso l'internalizzazione completa di tutti i costi e benefici esterni nei prezzi. Quella miriade di aspetti della biosfera non scambiati abitualmente nei mercati vengono trattati come se fossero per imputazione di “prezzi ombra” - la miglior stima dell'economista di cosa il prezzo della funzione o cosa sarebbe se venisse scambiata in un mercato competitivo. Ogni cosa nell'ecosfera viene teoricamente resa comparabile in termini della capacità del suo prezzo di aiutare o ostacolare gli individui a soddisfare i loro desideri. Implicitamente, il fine perseguito è un livello ancora maggiore di consumo e il modo di ottenere effettivamente questo fine è la crescita del valore di scambio aggregato dei beni e dei servizi finali messi sul mercato (PIL).

L'imperialismo economico è essenzialmente l'approccio neoclassico. Le preferenze soggettive individuali, tuttavia capricciose o istruite, vengono prese come la fonte ultima di valore. Questo è un giudizio di valore perverso, non l'assenza di giudizi di valore, come la trattano di solito gli economisti. Siccome i desideri soggettivi sono pensati come infiniti nel complesso, così come la sovranità, la scala delle attività dedite alla loro soddisfazione tende ad espandersi. L'espansione è considerata come “tutti i costi sono internalizzati nei prezzi”.

Mentre i costi possono certamente essere internalizzati nei prezzi, questa non dovrebbe diventare una scusa per permettere l'eccessiva acquisizione dell'ecosfera da parte della crescita economica. Sfortunatamente, molti dei costi della crescita che abbiamo vissuto sono arrivati come sosprese. Non possiamo internalizzarli se prima non possiamo immaginarli e prevederli. Inoltre, anche dopo che alcuni costi esterni sono diventati piuttosto visibili (vedi cambiamento climatico), l'internalizzazione è stata molto lenta, parziale e con molta opposizione. Le ditte che massimizzano i profitti hanno un incentivo ad esternalizzare i costi. Finché l'idoneità evolutiva dell'ambiente di sostenere la vita non viene percepita come valore dagli economisti, è probabile che venga distrutta nella ricerca imperialistica di soggiogare ogni molecola e fotone della creazione alle regole pecuniarie dell'attuale massimizzazione del valore.

Non c'è dubbio che una volta che la scala dell'economia è cresciuta al punto che beni e servizi ambientali in precedenza gratuiti diventano scarsi è meglio se dovessero avere un prezzo positivo che riflette la loro scarsità che continuare ad avere un prezzo zero. Ma la domanda precedente rimane: stiamo meglio con la nuova scala più grande con beni che prima erano gratuiti al giusto prezzo o la vecchia scala più piccola con beni gratuiti a loro volta al giusto prezzo (a zero)? In entrambi i casi, i prezzi sono giusti. Questa domanda di macro scala ottimale non viene posta e nemmeno risposta dall'economia neoclassica e neanche da quella Keynesiana nella loro cieca ricerca della crescita.

Il riduzionismo ecologico comincia con la giusta intuizione secondo cui gli esseri umani e i mercati non sono esenti dalle leggi di natura. Ma poi procede verso la falsa illazione secondo cui l'azione umana è completamente spiegabile dalle leggi della natura e riducibile ad esse. Cerca di spiegare qualsiasi cosa accada all'interno del sottosistema economico con le stesse leggi naturali che applica al resto dell'ecosistema. Ingloba il sottosistema economico indifferentemente all'interno del sistema naturale, cancellandone i confini. Portata all'estremo, questa visione pretende di spiegare tutto con un sistema materialistico deterministico che non ha spazio per lo scopo e la volontà. Questa è una visione sensibile da cui studiare l'ecologia di una barriera corallina o di una foresta pluviale. Ma se si adotta per studiare l'economia umana, si rimane invischiati nella scomoda implicazione politica secondo cui la politica non può fare nessuna differenza.

L'ecologia ha ereditato dalla sua disciplina madre, la biologia, una misura della filosofia meccanicistica della biologia moderna. Ciò deriva da un fondamentalismo neo Darwiniano che spesso è accettato acriticamente da molti importanti biologi come una metafisica deterministica validata dalla scienza, piuttosto che come una fruttuosa ipotesi di lavoro per fare scienza. Il determinismo è completamente in contrasto con politiche intenzionali di qualsiasi tipo e di conseguenza con qualsiasi pensiero economico che punti alle politiche. Un matrimonio felice fra economia ed ecologia, come nella “economia ecologica”, deve superare questa incompatibilità latente. L'imperialismo economico riduce tutto alla volontà ed all'utilità umana, trascurando i limiti oggettivi del mondo naturale. Il riduzionismo ecologico vede solo leggi naturali deterministiche e le estende imperiosamente in  “spiegazioni” materialiste di volontà e consapevolezza umana come mere illusioni. E' una tragica ironia che la disciplina le cui scoperte scientifiche hanno fatto molto per aprire gli occhi ai pericoli ambientali che abbiamo di fronte è anche la disciplina le cui presupposizioni metafisiche hanno fatto molto per indebolire la nostra volontà di rispondere a questi pericoli con politiche intenzionali. (5)

L'imperialismo economico e il riduzionismo ecologico sono entrambi visioni monistiche, anche se monismo opposti. La ricerca monistica di una singola entità o principio con cui spiegare tutto porta ad un eccessivo riduzionismo da entrambe le parti. Di certo, la scienza dovrebbe sforzarsi per la più ridotta o parsimoniosa spiegazione possibile senza ignorare i fatti. Ma rispetto per i fatti empirici fondamentali da un lato e scopo e volontà coscienti dall'altro ci dovrebbero portare ad un tipo di dualismo pratico. Dopo tutto, che il nostro mondo consista di due caratteristiche fondamentali non offre alcuna improbabilità intrinseca rispetto a quello che poggia solo su una. Come interagiscono queste due caratteristiche fondamentali del nostro mondo (causa materiale e causa finale) è un mistero venerabile – esattamente il mistero che i monisti di entrambi i tipi stanno cercando di evitare. Stanno meglio negando l'ordine mentale del proprio monismo che negando i fatti che indicano un dualismo disordinato.  

La prospettiva che rimane è il sottosistema di stato stazionario. Questo non tenta di eliminare il confine del sottosistema espandendolo per farlo coincidere col sistema complessivo o riducendolo a niente. Piuttosto, afferma sia l'interdipendenza sia la differenza qualitativa fra l'economia umana e l'ecosistema naturale. Il confine deve essere riconosciuto e disegnato nel posto giusto. La scala del sottosistema umano definita dal confine ha un optimum e il flusso con cui l'ecosfera mantiene fisicamente e rifonde il sottosistema economico dev'essere ecologicamente sostenibile. L'obbiettivo dell'economia è di minimizzare il consumo di bassa entropia per ottenere uno standard di vita sufficiente – vagliandolo lentamente e con cura attraverso tecnologie efficienti tese a scopi importanti. L'economia non dovrebbe essere vista come una macchina stupida dedita a massimizzare i rifiuti. Il suo scopo ultimo è mantenere e godersi la vita a lungo (non per sempre) ad un livello sufficiente di ricchezza per una buona (non lussuosa) vita.

L'idea di un'economia di stato stazionario proviene dall'economia classica ed è stata sviluppata da John Stuart Mill (1857), che la chiamava “stato stazionario”. (6) In un tale stato, la popolazione e la riserva di capitale non crescerebbero più, anche se l'arte di vivere continuerebbe a migliorare. La costanza di queste due riserve fisiche definivano la scala del sottosistema economico. I tassi di nascita sarebbero uguali ai tassi di morte e i tassi di produzione a quelli di deprezzamento. Oggi, aggiungiamo che entrambi i tassi dovrebbero essere uguali a livelli bassi piuttosto che a livelli alti, perché valutiamo la longevità delle persone e la durata dei manufatti e vogliamo minimizzare il flusso, soggetto al mantenimento di riserve sufficienti per una buona vita.

Politiche per un'economia di stato stazionario

L'economia ecologica dovrebbe cercare lo sviluppo di una visione di stato stazionario e andare oltre le strade senza uscita di imperialismo economico e riduzionismo ecologico. Dieci politiche per andare verso un'economia di stato stazionario sono presenti sotto. Molte potrebbero venire adottate indipendentemente e gradualmente, anche se hanno coesione nel senso che alcune compensano le lacune di altre. Naturalmente, la questione del livello desiderato dell'economia di stato stazionario è cruciale e i limiti locali, regionali e globali devono essere considerati nel plasmare politiche efficaci.

(1) Sviluppare sistemi di Cap-Auction-Trade per le risorse fondamentali (in particolare i combustibili fossili): mettere dei tetti per le risorse naturali secondo tre regole chiave: (1) le risorse rinnovabili non devono essere esaurite più velocemente di quanto si rigenerino, (2) le risorse non rinnovabili non devono essere esaurite più velocemente di quanto vengano sviluppati i sostituti rinnovabili e (3) i rifiuti provenienti dall'uso di tutte le risorse non devono essere riversate nell'ecosistema più rapidamente di quanto possano essere assorbite e ricostituite dai sistemi naturali. Questo approccio ottiene scala sostenibile ed efficienza di mercato, evita effetti di rimbalzo ed aumenta i ricavi d'asta per rimpiazzare le tasse regressive.

(2) Spostamento fiscale: spostare la base fiscale da “valore aggiunto” (lavoro e capitale) a ciò a cui viene aggiunto il valore, per esempio il flusso di risorse naturali, la fonte di costi sociali come l'inquinamento e gli effetti negativi sulla salute pubblica. Tali tasse incoraggeranno anche un uso efficiente delle risorse.

(3) Limitare la disuguaglianza: stabilire un limite minimo e massimo di reddito, mantenendo le differenze sufficientemente grandi da preservare gli incentivi ma sufficientemente piccole da sopprimere le tendenze plutocratiche delle economie di mercato.

(4) Riformare il settore bancario: passare dal sistema bancario dalla riserva frazionaria al 100% di obblighi di riserva sui depositi a vista. I soldi non sarebbero più prevalentemente indebitamento gravato da interessi creato dalle banche private, ma  debito non gravato da interessi emesso dal Tesoro. Ogni dollaro prestato per gli investimenti sarebbe un dollaro precedentemente risparmiato da qualcun altro, ripristinando l'equilibrio classico fra investimento ed astinenza dal consumo e ammortizzando i cicli di espansione e contrazione.

(5) Gestire il mercato per il bene pubblico: passare dal mercato libero e dalla mobilità libera del capitale ad un mercato internazionale equilibrato e regolato. Mentre l'interdipendenza delle economie nazionali è inevitabile, la loro integrazione in un'economia globale non lo è. Il libero mercato svende le politiche di internalizzazione dei costi interni, portando ad una corsa verso il basso. La mobilità libera del capitale annulla l'argomentazione del fondamentale vantaggio comparativo di libero scambio delle merci. (7)

(6) Espandere il tempo libero: ridurre il lavoro convenzionale in favore del lavoro part-time, del lavoro personale, e del tempo libero, abbracciando in tal modo il benessere come misura centrale di prosperità riducendo la spinta alla produzione illimitata.

(7) Stabilizzare la popolazione: lavorare verso un equilibrio in cui le nascite più l'immigrazione sia uguale alle morti più l'emigrazione e in cui ogni nascita sia una nascita voluta.
(8) Riformare i conti nazionali: separare il PIL in un conto dei costi e in un conto dei benefici così che il flusso di crescita possa essere fermato quando i costi marginali eguagliano quelli dei benefici marginali.

(9) Ripristinare la piena occupazione: ripristinare la Legge per la Piena occupazione del 1945 degli Stati Uniti ed il suo equivalente in altre nazioni per far tornare la piena occupazione lo scopo  e la crescita economica il mazzo temporaneo. La disoccupazione/sottoccupazione è il prezzo che paghiamo alla crescita tramite l'automazione, la delocalizzazione, il mercato deregolamentato e una politica di immigrazione di lavoro a basso costo. In condizioni di stato stazionario, i miglioramenti di produttività porterebbero ad aumentare il tempo libero piuttosto che la disoccupazione.

(10) Far progredire solo la governance globale: cercare la comunità mondiale come una federazione di di comunità nazionali, non la dissoluzione di nazioni in un solo “mondo senza confini”. La globalizzazione da parte del libero mercato, la libera mobilità del capitale e la migrazione libera dissolve la comunità nazionale, non lasciando niente da federare. Tale globalizzazione è individualismo a caratteri cubitali – un feudalesimo post nazionale aziendale all'interno di beni comuni globali. Piuttosto, rafforzare la visione originale di Bretton Woods di economie nazionali interdipendenti e resistere alla visione del WTO di una unica economia integrata globale. Rispettare il principio di sussidiarietà: anche se il cambiamento climatico e il controllo delle armi richiedono istituzioni globali, l'applicazione di leggi fondamentali e la manutenzione delle infrastrutture rimangono problemi locali. Concentriamo la nostra limitata capacità di cooperazione globale su quei bisogni e funzioni che la richiedono realmente.

Contesto etico ed ecologico delle economie più ampio

Una cosa è suggerire un profilo generale di politiche, ma è completamente un'altra cosa dire come ci assicuriamo la volontà, la forza e la chiarezza dello scopo per portare a termine quelle politiche – specialmente quando abbiamo trattato la crescita come il sommo bene durante l'ultimo secolo. Tale volontà richiederà un grande cambiamento di visione filosofica e di pratica etica, un cambiamento che viene difficilmente garantito anche alla luce di circostanze sempre più pericolose in cui si trova il pianeta.

Come modo di contemplare un tale cambiamento, considerate la “piramide fini-mezzi” della Figura 5. Le politiche consigliate sopra sono a metà, sotto “Economia Politica”. Alla base della piramide ci sono fini ultimi (bassa entropia materia-energia) di cui abbiamo bisogno per soddisfare i nostri desideri, ma che non possiamo produrre, solo consumare. Usiamo questi mezzi ultimi direttamente, guidati dalla tecnologia, per produrre mezzi intermedi (per esempio manufatti, beni, servizi) che soddisfano direttamente i nostri bisogni. Questi mezzi intermedi sono assegnati dall'economia politica per servire i nostri fini intermedi (per esempio, salute, comfort, educazione), eticamente classificati da quanto fortemente contribuiscono al Fine Ultimo nelle circostanze esistenti. Possiamo percepire il Fine Ultimo solo vagamente, ma per classificare eticamente i nostri fini intermedi, dobbiamo confrontarli a qualche criterio ultimo. Non possiamo evitare un'indagine filosofica e teologica nel Fine Ultimo solo perché è difficile. Dare priorità richiede che qualcosa vada al primo posto.


Figura 5: Una piramide fini-mezzi dell'attività umana

La posizione di mezzo dell'economia è significativa. L'economia tradizionalmente ha a che fare con l'assegnazione di dati mezzi intermedi per soddisfare una data gerarchia di fini. Serve il problema tecnologico di convertire i mezzi finali in mezzi intermedi e il problema etico di classificare i fini intermedi con riferimento ad un Fine Ultimo come risolto. Tutto ciò con cui l'economia ha a che fare, quindi, è assegnare efficientemente dati mezzi fra una data gerarchia di fini. Trascurando il Fine Ultimo e l'etica, l'economia è stata troppo materialista; trascurando i mezzi fisici finali e la tecnologia, non è stata sufficientemente materialista.

La politica economica finale (stewardship - gestione) è il problema totale dell'uso di mezzi finali per servire meglio il Fine Ultimo, non più dare per scontate la tecnologia e l'etica, ma come passi nel problema complessivo da risolvere. Il problema generale è troppo grande per essere affrontato senza ridurlo alle sue parti. Ma senza una visione del problema nel suo totale, le parti non stanno insieme.
La base scura della piramide rappresenta la conoscenza relativamente solida e consensuale di varie fonti di bassa entropia materia-energia. Il vertice chiaro della piramide rappresenta il fatto che la nostra conoscenza del Fine Ultimo è incerta e non quasi consensuale come la fisica. Il singolo vertice disturberà i pluralisti che pensano che ci sono molti “fini ultimi”. Grammaticalmente e logicamente, tuttavia, “ultimo” richiede il singolare. Eppure c'è sicuramente spazio per più di una percezione della natura del Fine Ultimo singolare e molto bisogno di tolleranza e pazienza nel ragionare insieme su di esso.

Il Fine Ultimo, qualsiasi esso sia, non può essere la crescita. Un migliore punto di partenza per ragionare insieme è l'aforisma di John Ruskin che recita: “Non c'è ricchezza, ma vita”. Come potrebbe essere riformulata questa intuizione come obbiettivo politico? Suggerirei la definizione seguente: massimizzare il numero cumulativo di vite che verranno mai vissute nel tempo ad un livello di ricchezza pro capite sufficiente per una buona vita. Ciò lascia aperta la tradizionale questione etica di cosa sia la buona vita, mentre condiziona la sua risposta alle realtà di ecologia e dell'economia della sufficienza. Come minimo, sembra un'approssimazione più ragionevole dell'attuale obbiettivo impossibile di “sempre più cose per sempre più gente per sempre”.

Note

1. Dieter Helm, Lo stato del capitale naturale: ripristinare il nostro patrimonio naturale (Londra: UK Natural Capital Committee, 2014).

2. Questo nonostante i contributi di Nicholas Georgescu-Roegen e Kenneth Boulding. Vedete Nicholas Georgescu-Roegen, La legge di entropia e il processo economico (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1971); Kenneth Boulding, “L'economia della nave spaziale Terra in arrivo” su Qualità ambientale in un'economia in crescita, ed. H. Jarrett (Baltimora: Johns Hopkins University Press, 1966), 3-14.

3. Tim Jackson, Prosperità senza crescita: economia per un pianeta finito (Londra: Earthscan, 2009), 67–71.

4. Come indicato dal GPI (Genuine Progress Indicator) ed il suo predecessore ISEW (Index of Sustainable Economic Welfare). Per una indagine informativa, vedete Ida Kubiszewski, Robert Costanza, Carol Franco, Philip Lawn, John Talberth, Tim Jackson e Camille Aylmer, “Oltre il PIL: misurare ed ottenere il Global Genuine Progress”, Economia ecologica 93 (settembre 2013): 57-68.

5. Questa contraddizione è più evidente nel lavoro dell'acclamato naturalista ed ambientalista Edward O. Wilson, che afferma con forza sia il determinismo materialista sia l'attivismo ambientale. Riconosce la contraddizione e, incapace di risolverla, ha semplicemente scelto di conviverci. Vedete Wendell Berry, la vita è un miracolo (Un saggio contro la superstizione moderna) (Washington, DC: Counterpoint Press, 2000), 26. Vedete anche il capitolo 23 in Economia ecologica e sviluppo sostenibile di  Herman Daly, (Cheltenham, UK: Edward Elgar, 2007).

6. John Stuart Mill, Principi di economia politica IV.VII.I (Londra, 1848).

7. Ai capitalisti interessa la massimizzazione dei profitti assoluti, pertanto cercano di minimizzare i costi assoluti. Se il capitale è mobile fra le nazioni, si sposterà verso la nazione coi costi assoluti più bassi. Solo se il capitale è internazionalmente immobile i capitalisti si scomoderanno a confrontare i rapporti di costo interno dei paesi e sceglieranno di specializzarsi nei prodotti interniche hanno il costo relativo più basso in confronto alle altre nazioni e di scambiare quel bene (sul quale hanno un vantaggio comparativo) con altri beni. In altre parole, il vantaggio comparativo è una seconda migliore politica che i capitalisti seguiranno solo quando la prima migliore politica di seguire il vantaggio assoluto viene bloccata dall'immobilità del capitale internazionale. Per approfondire quato, vedete il capitolo 18 di Ecologia economica di Herman Daly e Joshua Farley (Washington, DC: Island Press, 2004).

lunedì 3 agosto 2015

Chi ha ucciso i dinosauri? (Indizio: probabilmente non quello che pensavate)

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi



Nel film “Fantasia” di Walt Disney (1940), i dinosauri venivano mostrati in un mondo caldo e secco di vulcani attivi. Scoperte recenti mostrano che una cosa del genere potrebbe realmente essere accaduta e che l'idea che i dinosauri siano stati uccisi dall'impatto di un asteroide sembra essere incompatibile coi dati disponibili. Sembra piuttosto che i dinosauri siano scomparsi a causa del riscaldamento globale conseguente alle emissioni di grandi quantità di gas serra da parte dei vulcani. Per molti aspetti, non è diverso da quello che sta accadendo a noi oggi.


Lo so cosa state pensando: questi stupidi scienziati; prima ci dicono che un asteroide ha ucciso i dinosauri, ora ci dicono che non è vero. Come possiamo dargli retta quando ci dicono che sono gli esseri umani a causare il riscaldamento globale?

domenica 2 agosto 2015

L'eruzione di metano si avvicina

DaCounter Punch”. Traduzione di MR (via Sam Carana)

Di Robert Hunziker

L'IPCC, così come i governi mondiali, ignora i rischi di un Artico senza ghiaccio (Wadhams). Piuttosto, un Artico senza ghiaccio è viene ampiamente salutato dalla maggior parte del mondo come un modo positivo di procedere nella riapertura delle rotte commerciali del nord, nuove corse per i traghetti e accesso ad enorme bacino di combustibili fossili. Secondo il professor Peter Wadhams dell'Università di Cambridge, un Artico senza ghiaccio, con la relativa e concomitante eruzione potenziale di metano, viene raramente menzionato dall'IPCC nella sua valutazione. Evidentemente l'IPCC non vuole parlare della possibilità di grandi catastrofi. In realtà, un Artico senza ghiaccio libera tempestosamente eoni di metano intrappolato dall'ultima Era Glaciale. Le ramificazioni sono profonde. Quando il Vaticano recentemente ha tenuto incontri coi principali scienziati sul cambiamento climatico in preparazione dell'enciclica del Papa del giugno 2015, uni degli ospiti invitati era il professor Peter Wadhams. Assumendo che all'Accademia Pontificia delle Scienze abbiano ascoltato con attenzione le sue parole, potrebbero soffrire di attacchi di insonnia.

Lo stato del ghiaccio del Mare Artico e perché conta

Peter Wadhams, professore di Fisica dell'Oceano e Capo del Gruppo di Fisica dell'Oceano Polare, Dipartimento di Matematica Applicata de Fisica Teorica dell'Università di Cambridge, di recente si è recentemente impegnato in una intervista molto franca: “Il nostro tempo sta finendo – Il ghiaccio marino dell'Artico se ne sta andando”, del 15 maggio 2015 (tutte le citazioni seguenti provengono da quell'intervista). “Ho misurato lo spessore del ghiaccio che è sceso del 50% negli ultimi 30 anni. In estate, per esempio, di solito si vedeva il ghiaccio del pack molto pesante da rendere molto difficile il passaggio di una nave. Oggi, somiglia più ad un pianeta blu. E' un Artico quasi senza ghiaccio. E' un grande cambiamento”. Di conseguenza, col passare del tempo, il rischio di una grande eruzione di metano aumenta insieme alla disintegrazione del ghiaccio marino in corso. “Siamo davvero preoccupati riguardo all'Artico costiero... le piattaforme continentali della Siberia sono su acque molto basse. E fino a poco tempo fa c'era sempre ghiaccio su quelle piattaforme, persino in estate... ora, in si ritira estate e scompare già per 2-3 mesi da quelle piattaforme. Ciò favorisce il riscaldamento dell'acqua. E, quando l'acqua si riscalda, causa la fusione del permafrost subacqueo, che non si era fuso dall'ultima Era Glaciale, e questo favorisce il rilascio di metano”

Secondo il professor Wadhams, il Mare Siberiano Orientale è un mostro in agguato. Wadhams crede che l'effetto di un'eruzione di metano potrebbe essere catastrofica quanto una collisione di un asteroide con la Terra. La quantità di riscaldamento sarebbe immediata e ampia. La probabilità che questo accada: “Direi che è circa del 50%, perché stiamo assistendo alla fusione del permafrost e al fatto che il metano viene già rilasciato”. Di fatto, gli scienziati sul campo stanno già assistendo ad aumenti consistenti dei grandi pennacchi di metano in estate mentre scoprono nuove aree di rilascio di metano. Solo fino a poco tempo fa, il Mare Siberiano Orientale veniva monitorato ogni anno da una nave russa. Mentre oggi, e durante gli ultimi due anni, le navi svedesi stanno andando altrove nell'Artico e “stanno vedendo tanto metano uscire quanto quello della Siberia orientale”. “Per cui non è una probabilità bassa l'alto rischio di catastrofe. Si tratta di un rischio altamente catastrofico ed altamente probabile”. Wadhams crede che la scomparsa completa del ghiaccio a metà estate potrebbe verificarsi nei prossimi due anni. Al momento, il volume di ghiaccio a metà estate è solo un quarto di quello degli anni 80. Se questa tendenza continua, il ghiaccio estivo si ridurrà a zero molto presto.
Impatto di un Artico senza ghiaccio.

I cambiamenti nell'Artico stanno alimentando cambiamenti altrove sul pianeta. “Per esempio, la scomparsa del ghiaccio nell'Artico sta portando masse di aria più calda a spostarsi sulla Groenlandia in estate. Ciò causa la fusione più rapida della calotta glaciale della Groenlandia. E questo sta causando all'accelerazione dell'aumento del livello del mare”. Risultato, anziché un metro di aumento del livello del mare in questo secolo, come previsto dall'IPCC, la fusione della Groenlandia potrebbe causare un aumento di un paio di metri, o più. Di fatto, alcuni glaciologi parlano di 4 o 5 metri. L'impatto cataclismico finale di troppo aumento del livello del mare sarebbe che alcune aree del mondo, come Miami, dovrebbero essere completamente abbandonate, svuotate ed evacuate come a Cernobyl, molto come a Cernobyl, a causa di politiche energetiche folli. Non solo questo, il riscaldamento globale accelera come risultato in conseguenza della perdita di ghiaccio marino artico, che riduce l'albedo globale, che è il modo in cui la radiazione viene riflessa verso lo spazio esterno, ma con la perdita di uno sfondo di ghiaccio bianco riflettente, l a radiazione solare viene assorbita da uno sfondo scuro, e tutto ciò porta ad un tasso di riscaldamento del mondo molto più rapido di quanto previsto dalla scienza ufficiale, l'IPCC. “Quindi questo tentativo di fingere di poter mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C, che era già una finzione, è persino più ridicolo. Saranno sicuramente 4 o 5°C per la fine del secolo, il che avrà impatti piuttosto catastrofici sulla produzione agricola”.

Cosa fare?

In quanto a fermare il rilascio di metano in mare “riportando indietro il ghiaccio marino artico, alcune persone lo stanno proponendo. Il problema è che non si può realmente riportare il ghiaccio senza raffreddare il pianeta. Le temperature globali governano il ghiaccio marino, non può essere isolato o mirato. Trovare un modo di riportare indietro il ghiaccio marino artico non funzionerà, a meno che non si possa raffreddare l'intero pianeta”. La sola possibilità realistica, ironicamente, è la modifica del metodo del fracking usato nella trivellazione di petrolio e gas utilizzando piattaforme in mare l'ungo la costa Artica, una rete di trivellazioni orizzontali per la creazione di cavità per risucchiare il metano per impedirgli di uscire nell'atmosfera (Wadhams). Ma non è stata fatta nessuna ricerca su questo. E' stato soltanto suggerito. A prescindere da come, cosa o quando, la risoluzione del problema è un'impresa enorme e travolgente: “C'è una cospirazione della compiacenza nel mondo in cui si immagina ancora che se facciamo poche cose minori, piccoli aggiustamenti e riduciamo l'emissione di biossido di carbonio, allora tutto andrà bene. Ma non sarà così perché abbiamo già troppo biossido di carbonio in atmosfera. Stiamo già andando oltre i 2°C di riscaldamento anche se non emettessimo più, a causa del biossido di carbonio già presente in atmosfera. Quindi non solo dobbiamo smettere di emetterlo o di ridurlo, riducendo le emissioni, ma trovare modi di toglierlo dall'atmosfera e questa è una tecnologia che non è stata sviluppata”. Il cambiamento climatico ha un effetto progressivo, che lavora lentamente in tutto il mondo. Ma tutta questa lentezza di sta accumulando in un grande cambiamento. Inoltre, quando i modelli meteorologici distruggono l'agricoltura, causando la fame nel mondo, sarà troppo tardi per fare qualsiasi cosa. Sfortunatamente, è l'inerzia globale il problema. “Le forze di inerzia sono così enormi.. l'uso dei combustibili fossili è molto radicato nella nostra società. Tutto nella vita proviene dai combustibili fossili”.

Tempistica del caso peggiore

Il solo modo di salvare la civiltà per com'è attualmente è di abbassare i livelli di CO2 e ciò può essere ottenuto soltanto da qualche metodo drastico per rimuovere realmente CO2 dall'atmosfera. “Non possiamo farcela scherzando con la riduzione delle nostre emissioni, non possiamo nemmeno farlo fermando le nostre emissioni, perché ci siamo spinti troppo oltre. Dobbiamo realmente toglierlo”. Il professor Wadhams afferma che la ricerca sul cambiamento climatico, in modo centrale, diventa l'obbiettivo principale di uno sforzo scientifico mondiale e dev'essere fatto urgentemente, come il Progetto Manhattan (ironicamente). La società sarà costretta ad usare qualche tecnologia, che non è stata nemmeno ancora verificata, per rimuovere il CO2 per evitare una catastrofe. Di conseguenza, non c'è tempo di giocherellare. Wadhams crede nel peggiore scenario, “in 10 anni saremo realmente già nella minestra”.

Attuali condizioni meteorologiche artiche

Secondo Arctic News, il 2 luglio, “Mentre i media danno grande importanza alle ondate di calore che hanno colpito di recente paesi popolosi come India, Pakistan, Stati Uniti, Spagna e Francia, viene data meno attenzione alle ondate di calore che colpiscono l'Artico”. Inoltre, “Le ondate di calore che hanno recentemente colpito Alaska e Russia ora sono seguite da un'ondata di calore nella Siberia Orientale... un luogo ben all'interno del Circolo Artico... il 2 luglio 2015 sono state registrate temperature di 37,1°C”. E, ancora peggio, “Con temperature di 37,1°C registrate il 2 luglio 2015, ci si può aspettare un'enorme fusione dove c'è ancora ghiaccio marino nelle acque al largo della Siberia, mentre le acque dove il ghiaccio marino non c'è già più si scalderanno rapidamente. Notate che le acque al largo della costa della Siberia sono profonde meno di 50 metri, quindi il riscaldamento si può estendere rapidamente fino al fondo del mare, che contiene enormi quantità di metano sotto forma di gas libero e di idrati”. Inoltre, il primo luglio 2015 è stata registrata una temperatura di 36°C vicino al fiume Kolyma che si getta nel Mare Siberiano Orientale.

L'Artico è più caldo di Miami!

In qualche modo, 36°C nell'Artico fa sembrare il mondo sottosopra/rovesciato, non è vero?

Robert Hunziker vive a Los Angeles e può essere contattato presso roberthunziker@icloud.com





sabato 1 agosto 2015

Grafico del giorno: terreno agricolo mondiale pro capite 1961-2012

DaDesdemona Despair”. Traduzione di MR (via Maurizio Tron)

L'agricoltura mondiale sarà in grado di sostenere una popolazione umana di 12 miliardi di persone nel 2100? La risposta riguarda in gran parte quanto terreno c'è a disposizione per coltivare. Sfortunatamente, l'area di terreno coltivabile del mondo sta declinando ad un tasso enorme. La Convetion dell'Onu per Combattere la Desertificazione (UNCCD) stima che “ogni anno va perso terreno pari a 12 milioni di ettari, equivalente alla Bulgaria o al Benin”. (Desertificazione pdf, p. 12)


Cause della desertificazione

Questa perdita di terreno coltivabile è causata dagli esseri umani che distruggono il suolo e provocano l'abbassamento delle falde acquifere:

Nei paesi in cui le principali risorse economiche dipendono da attività agricole, ci sono poche fonti alternative di reddito, o nessuna. Il suolo viene danneggiato dall'uso eccessivo quando gli agricoltori trascurano o riducono i periodi di maggese, che sono necessari per permettere al suolo di recuperare abbastanza da produrre abbastanza cibo per sfamare la popolazione. Ciò a sua volta causa la perdita di materia organica da parte del suolo, limitando la crescita delle piante e riducendo la copertura di vegetazione. Il suolo nudo è più vulnerabile agli effetti dell'erosione. Quattro attività umane ne sono le cause più dirette:

venerdì 31 luglio 2015

Tutto ben, madama la marchesa!

di Jacopo Simonetta


Tutto va ben madama la Marchesa” è l’incipit di una celebre canzonetta degli anni ’30 di Nunzio Filogamo.

  Invece è di pochi giorni fa un articolo di Zack Beauchamp su Vox.com che inizia con un brano che merita di essere tradotto:

“Leggendo le notizie, talvolta sembra che il mondo stia andando in pezzi; che tutto stia andando all’inferno in un cestino e che siamo sull’orlo di un collasso totale.   In affetti, considerando i dati oggettivi, stiamo vivendo il periodo migliore della storia umana.   La gente non è mai vissuta più a lungo, meglio, più sicura o ricca di adesso.  E questi 11 grafici e mappe che raccolgono centinaia di dati, con il marchio di un rapporto delle Nazioni Unite focalizzato sugli ultimi 25 anni, lo provano”.

In effetti, l’articolo in questione è un estratto dal rapporto 2015 delle Nazioni Unite sui cosiddetti “Obbiettivi del Millennio”.   Un documento di 75 pagine denso di dati e di politica.  

Limitandoci all'assai più potabile articolo di Vox, scopriamo che la vita media degli umani è circa raddoppiata nel giro di un secolo, il PIL globale è letteralmente esploso, l’estrema povertà è in diminuzione così come le morti per AIDS e morbillo, il mondo non è mai stato tanto pacifico, la democrazia è diffusa come non mai, la percentuale di persone denutrite è diminuita, meno donne muoiono di parto, la mortalità infantile decresce, mentre la scolarizzazione aumenta.  

Dunque davvero non siamo mai stati tanto bene?   Ma il picco, il "postpicco" e tutte le altre “cassandrate” con cui certuni si trastullano?

Nei rapporti e nelle analisi occorre leggere sempre con attenzione non solo quello che c’è scritto, ma anche come viene scritto e, soprattutto, quello che NON viene scritto.

La prima osservazione da fare è banale, ma si trascura facilmente.   All'interno di un sistema complesso che evolve in una determinata direzione non accade mai che tutti gli elementi seguano tendenze omogenee.   Ci sono sempre sotto-sistemi che procedono più speditamente di altri e, generalmente, anche sotto-sistemi in controtendenza, almeno entro determinate finestre spazio-temporali.   Ad esempio, in Italia non tutti hanno perduto i loro soldi nella stessa misura e  ci sono migliaia di persone che oggi guadagnano meglio che nel 2007.   Ci sono anche un sacco di aziende che hanno aumentato sia il fatturato che i dipendenti, ma sfido chiunque a dire che l’economia italiana non versa in una crisi gravissima.

Scegliendo le inquadrature, in dieci scatti un buon fotografo può far apparire una qualunque città come bellissima od orripilante.   Ed in entrambi i casi le foto sono autentiche.  Un gioco che si può fare in entrambi i sensi, dipende dallo scopo che ci si propone.  O che si propone il committente.

Un secondo aspetto è costituito dai margini di incertezza.   Tutti o quasi i dati utilizzati in questo, come in altri rapporti, sono in realtà delle stime con ampi margini di incertezza.   Margini che di solito vengono discussi nei documenti tecnici preliminari, ma che spariscono nelle pubblicazioni finali dove si sceglie se adottare il valore maggiore, minore o medio a seconda della committenza.

Un terzo trucco ampiamente utilizzato per manipolare questo tipo di informazione è rappresentato dalla oculata scelta su quando utilizzare il dato in cifra assoluta e quando in percentuale.  L’effetto può essere importante.  Ad esempio, la percentuale di persone denutrite è effettivamente diminuita, ma poiché la popolazione è aumentata, il numero di persone denutrite è aumentato.

 Allora, va meglio o va peggio?

Anche la scelta della scala temporale è importante.   Mostrare l’evoluzione di una qualunque variabile negli ultimi mesi, anni, decenni o secoli può generare opinioni molto diverse.   Si pensi ad esempio al prezzo del petrolio che tanto ha anche fare con l’economia globale:  rispetto all’anno scorso è tracollato, mentre rispetto a dieci anni fa è altissimo.

Un altro grande assente è il contesto in cui si collocano i dati.   Una certa percentuale di mortalità o di scolarizzazione od altro,  può rappresentare un grande successo od un fiasco a seconda del contesto sociale, economico, ecologico, geografico, eccetera in cui ci si trova.

Molto più importante di tutto questo, è però il fatto che l’intero rapporto è costruito ignorando totalmente le retroazioni che strutturano il sistema Terra, che è un sistema unico ed inscindibile.   Concentrarsi su determinati aspetti è necessario per studiarli, ma se non si considerano i rapporti che intercorrono fra i diversi fattori considerati ed i molti altri ignorati si finisce con il perdere ogni contatto con la realtà.   Per esempio, è vero che la mortalità è molto diminuita e che il PIL è cresciuto a dismisura, due aspetti ben reali del nostro mondo.   Ma questo determina proprio quell'aumento della popolazione e dei consumi che sta minando le basi stesse della vita sulla Terra, un altro aspetto della stessa identica realtà.

Soprattutto, con questo tipo di approccio si rinuncia alla possibilità di capire l’evoluzione del sistema di cui ci stiamo occupando.   Di conseguenza, si rinuncia a cercare di capirne il futuro, eventualmente limitandosi a proiettare nel futuro le tendenze rilevate nel passato.   Qualcosa del genere “se Giovanni da 0 a 10 anni è cresciuto di 30 chili, a 20 anni ne peserà 60 ed a 100 tre quintali.

Qualcosa non funziona?   Forse un ventenne che pesa 60 kg è anoressico e non può diventare un centenario obeso perché morirà prima.    Si da il caso che la dinamica interna di un qualunque sistema complesso cambi a seconda della fase e del contesto in cui si trova.   Lo fanno i singoli organismi, ma anche le popolazioni e gli ecosistemi.   Lo fa anche la Biosfera,  solo che aumentando il livello di complessità diventa sempre più arduo, fino ad impossibile, fare previsioni precise ed affidabili.   Dovrebbe essere facile da capire, ma ciò non impedisce agli analisti delle NU di esibirsi periodicamente con uscite del genere “nel 2030 la popolazione sarà di 10 miliardi di abitanti” senza preoccuparsi minimamente di valutare se ce ne potrebbero essere i presupposti e quali ne sarebbero le conseguenze per capire se il loro dato sia plausibile o meno.

Nel complesso, direi che questo articolo di Vox rappresenta un brillante esempio di “pensiero positivo”.



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giovedì 30 luglio 2015

Problemi diabolici e soluzioni diaboliche: il caso della fornitura mondiale di cibo

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




Sono appena tornato da due giorni di full immersion ad un incontro su una cosa per me piuttosto nuova: la fornitura mondiale di cibo. Mi devo ancora riprendere. Ogni qualvolta si vada ad una certa profondità in qualsiasi cosa si vede quanto le cose siano immensamente più complesse in confronto all'ombra pallida del mondo che si percepisce dallo schermo scintillante della vostra TV. Tutto è complesso e tutto ciò che è complesso diventa diabolico una volta che si comincia a vederlo come un problema. E i problemi diabolici di solito generano soluzioni diaboliche (immagine da  Wikipedia)


Riuscite a pensare a qualcosa di peggio di un problema diabolico? Sì, è del tutto possibile: è una soluzione diabolica. Vale a dire, una soluzione che non solo non fa nulla per risolvere il problema ma, di fatto, lo peggiora. Sfortunatamente, se si lavora nella dinamica dei sistemi, spesso si apprende che gran parte dei sistemi complessi non sono solo terribili, ma soffre di soluzioni diaboliche (vedete, per esempio, qui).

Detto questo, passiamo ad uno dei problemi più diabolici a cui possa pensare: quello della fornitura mondiale di cibo. Qui cercherò di riportare almeno una parte di ciò che ho imparato alla recente conferenza su questo argomento, tenuta congiuntamente dalla FAO e sezione italiana della System Dynamics Society. Due giorni di discussioni tenutisi a Roma durante una mostruosa ondata di calore che ha messo a dura prova il sistema di aria condizionata della sala conferenze e reso la camminata da lì all'hotel un'impresa confrontabile alla camminata su un pianeta alieno: ciò ha portato la sensazione netta di aver bisogno di una tuta spaziale refrigerata. Ma è valsa la pena esserci.

Per prima cosa, è il caso di dire che la fornitura mondiale di cibo è un “problema”? Sì, se notate che circa la metà della popolazione umana mondiale è malnutrita, se non veramente affamata. E della metà rimanente, una grande percentuale non è nutrita nel modo giusto, perché l'obesità e il diabete di tipo II sono malattie in espansione – alla conferenza hanno detto che se la tendenza continua, nel futuro metà della popolazione mondiale soffrirà di diabete.

Quindi, se abbiamo un problema, è davvero “diabolico”? Sì, lo è, nel senso che trovare una buona soluzione è estremamente difficile e i risultati sono spesso l'opposto di quelli desiderati all'inizio. Il sistema alimentare mondiale è un sistema diabolicamente complesso e coinvolge una serie di sottosistemi collegati vicendevolmente che interagiscono fra loro. La produzione di cibo è una cosa, ma la fornitura di cibo è una storia del tutto diversa, che comporta trasporto, distribuzione, immagazzinamento, refrigerazione, fattori finanziari ed è condizionata da cambiamento climatico, conservazione del suolo, popolazione, fattori culturali... ed altro, compreso il fatto che le persone non mangiano semplicemente “calorie”, hanno bisogno di cibo, cioè una miscela bilanciata di nutrienti. In un sistema del genere, ogni cosa che si tocca si ripercuote su tutto il resto. E' un caso classico del concetto conosciuto in biologia come “non puoi fare una cosa sola”.

Una volta che ti fai una vaga idea della complessità del sistema di fornitura del cibo – come è possibile in due giorni di full immersion ad una conferenza – allora puoi anche capire quanto siano spesso scarsi e in malafede i tentativi di “risolvere il problema”. L'errore di fondo che quasi tutti fanno a questo punto (e non solo nel caso del sistema di fornitura del cibo) è cercare di linearizzare il sistema.

Linearizzare un sistema complesso significa che si agisce su un suo singolo elemento, sperando che tutto il resto non cambi di conseguenza. E' l'approccio “guarda, è semplice”, quello preferito dai politici (*). Recita così, “guarda, è semplice: facciamo semplicemente questo e il problema sarà risolto”. Quello che si intende per “questo” varia a seconda della situazione. Col sistema alimentare, spesso comporta qualche trucco tecnologico per aumentare i rendimenti agricoli. In altri ambienti comporta l'urlo a squarciagola “passiamo agli OGM!”.

Sfortunatamente, anche ipotizzando che i rendimenti agricoli possano essere aumentati in termini di calorie prodotte usando gli OGM (possibile, ma solo in sistemi agricoli industrializzati), allora il risultato è una cascata di effetti che si ripercuotono sull'intero sistema, di solito trasformando un sistema di produzione rurale resiliente in un sistema di produzione fragile e parzialmente industrializzato – per non dire niente del fatto che queste tecnologie spesso peggiorano le qualità nutrizionali del cibo. E ipotizzando che sia possibili aumentare i rendimenti, come si trovano le risorse finanziarie per costruire l'infrastruttura necessaria per gestire l'aumentato rendimento agricolo? Servono camion, frigoriferi, impianti di stoccaggio ed altro. Anche se si riuscisse a mettere insieme tutte queste cose, molto spesso il risultato è semplicemente quello di rendere il sistema più fragile e meno resiliente, vulnerabile agli shock esterni come l'aumento del costo di forniture come combustibili e fertilizzanti.

Ci sono altri esempi egregi di quanto sia profondamente errata la strategia “guarda, è semplice”. Uno è l'idea che possiamo risolvere il problema sbarazzandoci dello spreco di cibo. Ideona, ma come lo si può fare esattamente  e quanto costerebbe? (**) E chi pagherebbe per l'aggiornamento dell'intera infrastruttura di distribuzione? Un altro approccio “guarda, è semplice” è 'se diventassimo tutti vegetariani ci sarebbe moltissimo cibo per tutti'. In parte è vero, ma non è così semplice, a sua volta. Di nuovo, c'è una questione di distribuzione e trasporto e il fatto che i ricchi occidentali che comprano “cibo verde” nei loro supermercati ha un impatto minimo sulla situazione dei poveri nel resto del mondo. E quindi, alcuni tipi di cibo “verde” sono ingombranti e quindi difficili da trasportare, inoltre si rovinano facilmente e quindi serve refrigerazione e così via. Una cosa analoga vale per la strategia “cibo locale”. Come si affrontano le inevitabili fluttuazioni della produzione locale? Una volta, queste fluttuazioni erano causa di carestie periodiche che venivano accettate come un fatto della vita. Tornare a quello non è esattamente “risolvere il problema della fornitura di cibo”.

Un modo diverso di affrontare il problema è concentrato sulla riduzione della popolazione umana. Ma, anche qui, spesso facciamo l'errore “guarda, è semplice”. Cosa sappiamo esattamente sul meccanismo che genera la sovrappopolazione e come interveniamo su di esso? A volte, coloro che propongono questo approccio sembrano pensare che tutto ciò che dobbiamo fare è sganciare profilattici sui paesi poveri (se non altro, è meglio che sganciare bombe). Non è così facile, ma supponiamo che si possa ridurre la popolazione in modi non traumatici, poi si interviene in un sistema in cui “popolazione” significa un complesso misto di diverse nicchie sociali ed economiche: ci sono popolazioni urbane, periurbane e rurali. Una riduzione della popolazione potrebbe spostare le persone da un settore all'altro, potrebbe significare perdita di capacità produttive nelle aree rurali o, al contrario, una ridotta capacità di finanziare la produzione se si potesse diminuire la popolazione in aree urbane. Di nuovo, la riduzione della popolazione, di per sé, è un approccio lineare che non funzionerà come si pensa che faccia, anche se potesse essere implementata.

Di fronte alla complessità del sistema, ascoltando gli esperti che ne discutono, hai la raggelante sensazione che si tratti di un sistema davvero troppo difficile da afferrare per gli esseri umani. Si dovrebbe essere allo stesso tempo esperti in agricoltura, in logistica, in nutrizione, in finanza, in dinamiche della popolazione e molto altro. Una cosa che ho notato, come modesto esperto in energia e combustibili fossili, è quanto gli esperti di cibo di solito non si rendano conto che la disponibilità di combustibili fossili deve necessariamente diminuire nel prossimo futuro. Ciò avrà effetti spaventosi sull'agricoltura: pensate ai fertilizzanti, alla meccanizzazione, al trasporto, alla refrigerazione ed altro. Ma non ho visto questi effetti presi in considerazione  nella maggior parte dei modelli presentati. Diversi ricercatori hanno mostrato diagrammi che estrapolano le attuali tendenze per il futuro come se la produzione di petrolio dovesse continuare ad aumentare per il resto del secolo ed oltre.

La stessa cosa vale per il cambiamento climatico. Alla conferenza non ho sentito dire molto riguardo agli effetti estremi che un rapido cambiamento climatico potrebbe avere sull'agricoltura. E' comprensibile, abbiamo buoni modelli che ci dicono come aumenteranno le temperature e come condizioneranno alcuni sottosistemi del pianeta (per esempio i livelli del mare), ma nessun modello che possa dirci in che modo il sottosistema agricolo reagirà al variare dei modelli meteorologici, alle diverse temperature, alle siccità e alle alluvioni. Pensate solo a quanto i rendimenti agricoli in India siano profondamente collegati ai modelli annuali dei monsoni, e non si può che rabbrividire al pensiero di cosa potrebbe accadere se il cambiamento climatico li condizionasse.

Quindi l'impressione che ho avuto dalla conferenza è che nessuno sta realmente afferrando la complessità del problema; né a livello di singoli individui, né a livello di organizzazioni. Per esempio, non ho mai sentito un termine cruciale usato nelle dinamiche planetarie che è “overshoot” (superamento). Cioè, è vero che adesso siamo in grado di produrre più o meno cibo a sufficienza – misurato in calorie – per la popolazione attuale. Ma per quanto tempo saremo in grado di farlo? In diversi casi potrei descrivere gli approcci a cui ho assistito come il tentativo di aggiustare un orologio meccanico usando un martello. O di guidare un transatlantico usando uno stuzzicadenti incastrato nell'elica.

Ma ci sono anche elementi positivi che emergono dalla conferenza di Roma. Uno è che la FAO anche se è un'organizzazione grande ed a volte goffa comprende il fatto che la dinamica dei sistemi è uno strumento che potrebbe aiutare molto i politici a capire le conseguenze di quello che facciamo. E, probabilmente, ad aiutarli ad escogitare idee migliori per “risolvere il problema del cibo”. Ciò è più difficile di quanto sembri: la dinamica dei sistemi non è per tutti e insegnarla ai burocrati è come insegnare ai cani a risolvere equazioni: ci vuole tanto lavoro e non funziona tanto bene. Inoltre, i professionisti della dinamica dei sistemi spesso sono vittime della sindrome da “diagramma degli spaghetti”, che consiste nel disegnare modelli complessi pieni di scatoline e di freccette che vanno da una parte all'altra per poi guardare la confusione che hanno creato; annuendo in segno di grande soddisfazione interiore. Ma è anche vero che alla conferenza ho visto molta buona volontà fra i vari attori sul campo per trovare un linguaggio comune. E' una cosa buona, difficile, ma promettente.

Alla fine, qual è la soluzione al “problema della fornitura di cibo”? Se me lo chiedete, proverei a proporre un concetto: “in un sistema complesso, non ci sono né problemi né soluzioni. C'è solo cambiamento ed adattamento”. Come corollario, potrei dire che puoi risolvere un problema (o provarci) ma non puoi risolvere un cambiamento (nemmeno puoi provarci). Ti puoi solo adattare al cambiamento, preferibilmente in un modo non traumatico.

Visto in questo senso, il miglior modo di affrontare l'attuale situazione della fornitura di cibo è quello di non cercare soluzioni impossibili (terribili) (per esempio gli OGM), ma di aumentare la resilienza del sistema. Ciò comporta lavorare a livello locale ed interagire con tutti gli attori che lavorano nel sistema di fornitura di cibo. E' un approccio ragionevole. La FAO lo sta già seguendo e può assicurare una fornitura ragionevole anche in presenza di inevitabili shock che stanno per arrivare in conseguenza dei problemi di cambiamento climatico e di fornitura di energia. La dinamica dei sistemi può essere di aiuto? Probabilmente sì. Naturalmente, c'è molto lavoro da fare, ma la conferenza di Roma è stata un buon inizio.


H/t: Stefano Armenia, Vanessa Armendariz, Olivio Argenti e tutti gli organizzatori della conferenza congiunta Sydic/FAO  a Roma.

Note

* Una volta che si affronta il problema del cibo, non si può ignorare la situazione del “terzo mondo”. Di conseguenza, la conferenza non è stata solo fra occidentali ed il dibattito ha preso un aspetto più ampio che ha anche coinvolto diversi modi di vedere il mondo. Una discussione particolarmente interessante che ho avuto è stata con una ricercatrice messicana. Secondo lei, “linearizzare” i problemi complessi è una caratteristica tipica (e piuttosto diabolica) del modo di pensare occidentale. Lei ha contrastato questa visione lineare con l'approccio “circolare” che, secondo lei, è tipico delle antiche culture mesoamericane, come i Maya ed altri. Quell'approccio, ha detto, potrebbe aiutare molto il mondo ad affrontare problemi diabolici senza peggiorarli. Riporto semplicemente la sua opinione, personalmente non ho conoscenza sufficiente per giudicarla. Tuttavia, mi sembra vero che ci sia qualcosa di diabolico nel modo in cui il pensiero occidentale tenda a plasmare tutto a sua immagine. 

** Nel sistema alimentare, l'idea che “guarda, è semplice: liberiamoci semplicemente degli sprechi” è esattamente parallela all'approccio “rifiuti zero” per i rifiuti urbani ed industriali. Ho una certa esperienza in questo settore e posso dirvi che, nel modo in cui spesso viene proposta, l'idea di “rifiuti zero” semplicemente non può funzionare. Comporta costi alti e rende semplicemente il sistema sempre più fragile e vulnerabile agli shock. Ciò non significa che i rifiuti siano inevitabili, niente affatto. Se si non può costruire un sistema industriale a “rifiuti zero” si possono costruire sottosistemi che possono gestire quei rifiuti. Questi sottosistemi, tuttavia, non possono funzionare usando la stessa logica del sistema industriale standard, devono essere adattati per funzionare su risorse a basso rendimento. In pratica, è l'approccio della “gestione partecipata” (vedete, per esempio, il lavoro del professor Gutberlet). Si può fare coi rifiuti urbani, ma anche con lo spreco di cibo ed è un altro modo per aumentare la resilienza del sistema.





mercoledì 29 luglio 2015

Termodinamica del disboscamento.

di Jacopo Simonetta



In un recente articolo  pubblicato dalla testata  “Proceedings of the National Academy of Sciences” James Hataway sintetizza i risultati si uno studio condotto da un gruppo di tre fisici dell’Università della Georgia (USA).   Lo studio rientra nel fertile filone del’applicazione delle leggi della termodinamica allo studio della crisi sistemica in corso a livello globale. Qui  e qui due versioni dell’articolo.

In estrema sintesi, i ricercatori sostengono che, sotto il profilo meramente termodinamico, la Terra si è comportata per circa 2.5 miliardi di anni come una batteria che ha accumulato energia in forma chimica, tramite l’attività fotosintetica.   Sia la biomassa attuale, sia i combustibili fossili sono infatti costituiti da energia solare immagazzinata in legami chimici ad opera di piante, batteri e cianobatteri.   Questo assicura al nostro Pianeta una distanza teoricamente misurabile dallo stato di degli altri, che è molto più vicino all'equilibrio termodinamico e perciò incompatibile con la vita.   Un modo corretto e complicato di dire che è la presenza di vita che assicura il fatto che sulla Terra ci siano condizioni compatibili con la vita, umana e non.

Nel corso degli ultimi 2 secoli ed in modo progressivamente accelerato,  prosegue l’articolo, questa riserva di energia è stata consumata senza che fosse possibile ripristinarla perché i tempi di dissipazione sono di diversi ordini di grandezza maggiori di quelli necessari par la sua cattura ed accumulo.   D'altronde, è stata esattamente questa spettacolare dissipazione di energia che ha permesso il dominio assoluto della nostra specie sul pianeta, la presenza di oltre 7 miliardi di noi e la costruzione della complessa infrastruttura industriale, agricola ed urbana in cui viviamo.

Ma riducendosi il gradiente termodinamico fra la Terra e lo spazio esterno, le condizioni per la vita vengono gradualmente meno.   Considerando che circa metà della materia organica vivente e fossile è stata distrutta, è il caso di cominciare a preoccuparsi molto seriamente.    Esiste la possibilità di fermare questo processo?    Secondo gli scienziati si ed è incrementare la biomassa vegetale, dunque il tasso di attività foto sintetica a livello planetario.   Un obbiettivo molto difficile, ma l’unica alterativa è l’estinzione della civiltà e, forse, anche della specie umana; finanche la scomparsa della Biosfera stessa.

Anni di autonomia alimentare garantita dalla fotosintesi dall'anno 0 ai giorni nostri.

























La materia non è nuova e riprende, aggiornandolo e circostanziandolo meglio, il punto fondamentale sostenuto da James Lovelock nel suo celebre libro “Ipotesi Gaia” del 1979:  l’indizio sicuro di presenza di vita su di un pianeta sarebbe un’entropia anormalmente bassa.

Come ecologo, non posso che approvare l’enfasi posta sull'importanza della biomassa vegetale come fattore chiave nel mantenere la Terra in un salubre disequilibrio termodinamico.   In altre parole, nell'impedire che il nostro pianeta diventi un deserto di rocce come tutti gli altri del nostro sistema solare.    Nessuno di essi è, beninteso, in perfetto equilibrio con lo spazio circostante, ma il livello di disequilibrio del nostro Pianeta è molto superiore ed è esattamente questo che ci permette di esistere.

Vorrei però aggiungere qualcosa a proposito di uno degli aspetti più importanti e negletti della crisi in corso: la rapida erosione di biodiversità.   Un ecosistema non è infatti composto solo da materia che circola ed energia che fluisce, ma anche da informazione.   La trasformazione di energia luminosa in legami chimici  comporta certo un accumulo di energia, ma anche di informazione sul nostro pianeta.   Quantità e qualità di questa informazione sono, credo, altrettanto e forse ancor più importanti della biomassa.
Per capirsi, già a livello di idrocarburi fossili, quello che rende il brent tanto più prezioso dello Shale oil sono profonde differenze nella forma e nelle dimensioni delle molecole che li compongono.    Dunque la diversa informazione che tali molecole contengono.   Tant'è vero che buona parte dei problemi che cominciamo avere con il petrolio non dipende tanto dalla sua quantità, bensì dal fatto che stiamo esaurendo quello di buona qualità (cioè contenente un certo tipo di informazione).   Altri materiali possono contenere altrettanta energia, ma non la stessa informazione e questo ha conseguenze immense sui processi industriali.

Se passiamo alla biomassa vivente, quella cioè che si riproduce e che quindi ricarica la nostra batteria qui ed ora, troviamo che l’informazione è contenuta non solo nei legami molecolari, ma soprattutto nel genoma e  nella struttura degli ecosistemi di cui gli organismi fotosintetici fanno parte.   La vita si mantiene infatti solo grazie ad un continuo processo di reciproco adattamento fra tutti gli elementi che costituiscono gli ecosistemi.

Fanno eccezione solamente le forzanti esterne, ma se si considera l’ecosistema globale, queste si riducono a pochi fattori astronomici e geologici.   Fra i primi, abbiamo fenomeni come la posizione della Luna, l’attività solare, l’inclinazione dell’asse terrestre, l’eventuale caduta di grandi meteoriti e poco altro.   Fra i secondi, principalmente la deriva dei continenti e l’attività vulcanica.   

In altre parole, quella che si riscontra è una co-evoluzione che crea biodiversità e che si alimenta della medesima.    Non sono infatti le specie e neppure le popolazioni che evolvono, bensì gli ecosistemi di cui le popolazioni sono parte.  

Ma sono i genomi delle popolazioni che costituiscono le “carte” con cui si gioca la partita della vita.   Una partita in cui le regole fisse sono molto poche e tutto cambia in continuazione.   Ogni estinzione è quindi una “carta” perduta e ciò ha due ordini di conseguenze.  

Nell'immediato, riduce l’efficienza e la resilienza del sistema.   Superato un imprevedibile punto di rottura, l’ecosistema si trasforma molto rapidamente e spesso irreversibilmente in qualcosa di completamente diverso e molto più povero.    Esempi classici di questo tipo di fenomeni sono l’eutrofizzazione delle acque e la desertificazione dei suoli.   

In prospettiva, ogni estinzione riduce sia le possibilità di adattamento del sistema complessivo, sia la possibilità di recupero dopo la crisi.   In altre parole, riduce la probabilità che in futuro via sia vita sulla Terra ed il fatto che sia già accaduto varie volte non dovrebbe indurci a sonni tranquilli.   E’ vero che ad ogni estinzione massiva fin qui avvenuta è seguita una fase di recupero, ma le condizioni astrofisiche del Pianeta e del sistema solare non erano le stesse di oggi.   E, comunque, nessuna delle specie dominanti della fase precedente l’estinzione è sopravvissuta.

Insomma, il fatto che stiamo vivendo le fasi iniziali di un’estinzione di massa non pone solo dei problemi di ordine etico (peraltro fondamentali), ma anche di mera sopravvivenza.    Un concetto un po’ difficile da far capire ai nostri amministratori, imprenditori e concittadini, abituati a rispondere che “Non si può fermare il progresso (o l’economia e quel che gli pare al momento) per salvare un uccellino”.

D'altronde, è anche vero che è consumando le riserve di energia e di informazione contenute nel nostro Pianeta che la nostra specie ha potuto costruire l’immensa infrastruttura e la complessa cultura odierna, oltre che i circa cinquecento milioni di tonnellate di carne umana attualmente in circolazione.   In altre parole, una parte consistente dell’energia e dell’informazione contenute anticamente dal Pianeta sono state trasformate nei “hardwhwre” e “softwhere” della civiltà attuale.   Una parte maggiore è stata distrutta nel processo.   Non possiamo sapere quanta, ma sicuramente più di quanta ne rimane, visto che ad ogni trasformazione corrisponde necessariamente un aumento dell’entropia.

Dunque l’impero universale della nostra specie si fonda necessariamente sulla distruzione delle basi termodinamiche della vita di cui noi stessi facciamo parte.   Per usare una parola cara ai filosofi, si potrebbe dire che l’autodistruzione rappresenta l’Entelechia (compimento ultimo e perfetto di una tendenza) dell’evoluzione umana.   Ma non è detto che ci riusciamo!

Anche gli altri animali hanno potenzialmente la stessa tendenza, ma non la possono realizzare perché la loro crescita si scontra con dei limiti invalicabili.   Proprio quelli che, viceversa, noi siamo riusciti finora tanto brillantemente a superare.    Motivo non piccolo di comprensibile orgoglio, ma anche prodromo di suicidio collettivo.   Già, perché il fattori limitanti sono esattamente quella “cosa” che, impedendo lo sviluppo delle popolazioni oltre un certo limite, ne favorisce la sopravvivenza a lungo termine.   Un concetto un po’ acido da ingurgitare, ma è così che funziona il mondo.

Possiamo quindi pensare a molti modi per fermare la distruzione della Vita, ma sarebbero efficaci solamente se ottenessero lo scopo di dirigere il flusso di entropia “verso di noi” anziché “lontano da noi”.   In altre parole, è necessaria una rapida diminuzione della quantità di materia, energia ed informazione contenuta nell’antroposfera.   

In parole povere, la Terra può sopportare a tempo indeterminato solo poca gente che utilizza tecnologie semplici e si accontenta di molto poco.  

Naturalmente, molti non sono d’accordo con questa conclusione ed è possibilissimo che abbiano ragione.   Queste che ho appena tratteggiato non sono infatti certezze, men che meno “verità”, ma solo considerazioni fondate sull'esperienza personale.   Negli anni a venire vedremo quale fra i tanti “mondi” teoricamente possibili diventerà reale.