giovedì 9 aprile 2015

Estinzioni: addio ai rinoceronti

da "Desdemona Despair" - traduzione di Massimiliano Rupalti



Gli ultimi 3 rinoceronti più rari al mondo sono incapaci di riprodursi – 'L'avidità e l'ego umani hanno massacrato questa specie fino alla catastrofe irreversibile'


Sudan, l'ultimo maschio di rinoceronte bianco del nord sul pianeta. Foto: Ed Barthrop / Ol Pejeta Conservancy

Di Tisha Wardlow

Il Piano A era di rendere le condizione di procreazione il più perfette possibile per gli ultimi rinoceronti bianchi settentrionali rimasti. Ol Pejeta ha fatto tutto ciò che poteva per renderlo possibile.

Il Piano B era di incrociare i rinoceronti bianchi settentrionali con quelli del sud per perpetuare almeno questo prezioso pool genetico. In qualche modo, avrebbero continuato a vivere come parte dei geni delle popolazioni di rinoceronti a venire.

Ma per l'ultimo esemplare maschio, Sudan, e per le due femmine rimaste, Najin e la figlia Fatu, non ci sarà questa possibilità. Tutti e tre sono avanti con l'età. Najin (25 anni) ha le ginocchia deboli e non può sostenere i tentativi di fecondazione. In un crudele scherzo del destino, Fatu (14 anni) è sterile e Sudan (38 anni) ha lo sperma debole.

E adesso? Non c'è superuomo, né miracolo dell'undicesima ora, non ci rimane nessuna opzione conosciuta. Questa è l'estinzione. Guardateli, apprezzateli ed ammirateli finché respirano.

L'avidità  e l'ego umani hanno massacrato questa specie fino alla catastrofe irreversibile. Stiamo vedendo gli ultimi rinoceronti bianchi settentrionali. E' inevitabile.

Ma la grande domanda è: impareremo da questo? Permetteremo che accada ancora? I rinoceronti di Sumatra, quelli di Java, anche loro sono pericolosamente vicini allo stesso destino. I rinoceronti bianche e neri con un solo corno non sono troppo lontani.

Non dobbiamo permettere che i rinoceronti bianchi settentrionali muoiano invano. E' nostra responsabilità imparare da loro e impedire la futura decimazione dei rinoceronti e di altre specie sul nostro pianeta. Il futuro dei rinoceronti non è condannato, è in bilico, in attesa che noi ne determiniamo il risultato. Vigilanza, impegno e determinazione possono preservare il destino dei rinoceronti e, alla fine, anche il nostro.



mercoledì 8 aprile 2015

La guerra dei mondi: sta arrivando per davvero!


di Jacopo Simonetta

Gli appassionati di fantascienza conoscono molto molto bene questo autentico “cult” dell’ormai lontano 1897.   Da allora, infinite sono state le fantasie circa un’invasione extraterrestre, eppure per assistere ad una guerra fra popoli alieni non c’è bisogno di aspettare l’improbabile arrivo di navi spaziali.   E’ già in corso sotto i nostri occhi ed è probabile che il grosso debba ancora arrivare.
Ovvio che dietro ogni guerra vi siano punti di vista tanto diversi e tanto forti da indurre la gente a pensare che valga la pena di morire per essi.   Ma non necessariamente si tratta di guerre fra genti aliene.

Per spiegarmi, farò due esempi: la guerra russo-ucraina e la Jihad dell’ISIL, ma prima è necessaria una premessa antropologica.

Sicuramente la più peculiare delle prerogative umane, quella che più ci distingue dagli altri animali, è la necessità che abbiamo di dare un significato ed uno scopo alla nostra vita.   Tutti gli altri esseri vivono, godono e soffrono; poi muoiono e basta.   Noi no.   Se non siamo in grado di assegnare un significato ed uno scopo alla nostra esistenza semplicemente non riusciamo a vivere. Depressione, droga, autolesionismo, violenza gratuita e molti altri sono i sintomi di questo tipo di patologia.   Ma cosa c’entra questo con la guerra e le invasioni aliene?   Ci arriveremo.

L’uomo industriale non solo ha elaborato stili di vita e tecnologie uniche nella storia.   Assai più importante è il fatto che si è dato uno scopo: soggiogare la Natura ed un significato: essere Dio.   Due affermazioni che necessitano di una giustificazione.

Per quanto riguarda lo scopo, si può facilmente obbiettare che la stessa identica idea l’avevano anche i nostri antenati e gli altri popoli della Terra; la differenza è che noi ci siamo riusciti o quasi.   Un’opinione estremamente diffusa, ma non corroborata da alcun documento disponibile non solo circa i popoli “primitivi”, ma anche dei nostri stessi antenati.   Beninteso, vivere comodi ed a lungo è sempre stata cosa gradita e perseguita, ma di solito non se ne faceva uno scopo di vita.   Per noi, sono viceversa valori fondanti che danno un senso alla nostra esistenza.   Anzi, la sicumera con cui attribuiamo ad altri questi stessi ideali la dice lunga su come questi siano profondamente radicati nella nostra mente individuale e collettiva.

Per quanto riguarda il secondo punto, essere Dio, ovviamente non intendo dire che ognuno di noi pensi di essere un dio in terra.   Intendo dire che, collettivamente, riteniamo che l’umanità nel suo insieme sia qualcosa di intrinsecamente ed infinitamente superiore a qualunque altra cosa esistente.
L’idea di essere superiori agli Dei non è nuova.   Perlomeno fra i classici greci e latini si trova un’ampia casistica, mirabilmente riassunta da Ovidio nelle “Metamorfosi”.   Ma si chiamava Hybris e, nel loro modo di ragionare, era un viatico sicuro per la dannazione eterna.   Ovidio stesso pagò con l’esilio il suo punto di vista quanto mai “contemporaneo”  in proposito e, per un romano, l’esilio era qualcosa di molto vicino alla dannazione.

Ma se la reverenza verso il divino ha trovato spiriti critici ed oppositori in ogni epoca e luogo, noi abbiamo fatto di più.   Abbiamo acquisito la capacità di plasmare a nostro piacimento la Natura.   Dal genoma alla geografia di intere regioni, dalla composizione chimica dell’atmosfera a quella degli oceani.    Siamo in grado di raggiungere altri corpi celesti e di realizzare macchine che simulano molte delle funzioni della vita.   Tutto questo  ci ha inconsapevolmente portati a pensare che non ognuno di noi singolarmente,  bensì l’Uomo (rappresentazione astratta dell’umanità intera) sia oramai l’unico arbitro del proprio destino.   Come dire che l’umanità è la forza suprema dell’universo; o perlomeno del mondo.   Per dirla all’antica, sentiamo che l’Uomo sia ormai capace di modificare il Fato, ciò che neppure i più venerati Dei dell’antichità hanno mai potuto fare.   E questo ci rende superiori a qualsiasi altra cosa.   In una parola, ci rendedivini”.   Né il disdegnare tale etichetta intacca minimamente il nostro smisurato ego collettivo.

Ovviamente, non si tratta di un’idea razionalmente espressa, bensì di un sentimento profondo e più o meno inconscio,  che da fondamento al nostro mondo, attribuisce un significato alla nostra vita, plasma le nostre scelte personali e collettive.

Georges Dumézil , uno dei massimi studiosi di mitologia, definì la religione con queste parole:  “La religione è una spiegazione generale e coerente dell’universo, che sostiene ed anima la vita delle società e degli individui.”   Se accettiamo questa definizione molto ampia, non c’è dubbio che “il Progresso” sia a tutti gli effetti di una vera e propria religione.   Senza dare la benché minima accezione negativa a questo termine.

A volte un’immagine è più significativa di tante parole.  

Dal blog Energia e Motori.
Torniamo dunque ai mondi in guerra. Quanto sopra è importante perché nell’uomo esiste quella che viene chiamata “costruzione sociale della realtà”.   Con ciò, generalmente, si intende che il condizionamento sociale del bambino ne plasma gli archetipi mentali ed i valori di riferimento.   In altre parole, plasma il modo in cui la realtà viene percepita e, dunque, le decisioni.   Ma soprattutto definisce lo scopo ed il significato della sua vita.

Dunque, individui nati e cresciuti in comunità che concepiscono il mondo e la vita in modo completamente diverso, anche se condividono la stessa realtà fisica, vivono psicologicamente e spiritualmente in mondi fra loro alieni.   Non meno di quanto fossero Marte e la Terra nell’idea di Orwell.   Così sono apparsi i conquistadores agli aztechi e viceversa.   Per fare un esempio assai meno cruento, fra “picchisti” e “crescisti“  si può dialogare allo sfinimento ed entrambi possono imparare cose interessanti, ma nessuno dei due convincerà mai  l’altro semplicemente perché stanno parlando di mondi diversi.

Fino al XX secolo, un gran numero di “mondi” conviveva sullo stesso pianeta, ma con l’affermazione globale della civiltà industriale questa diversità si è ridotta a fenomeni residuali o di nicchia.   Un unico mondo, governato dall’ineluttabile destino di un progresso infinito, ha dominato la Terra e, soprattutto, la mente dei terrestri.

Contrariamente alle altre grandi religioni che la hanno preceduta, la fede nel progresso è devota all’Uomo e non ad un Dio.   Un dettaglio che le ha permesso di stratificarsi sulle precedenti fedi con relativa facilità, assorbendole senza che la maggior parte dei fedeli se ne rendesse neppure conto.   Per essere chiari, si può essere contemporaneamente progressista e cattolico, oppure mussulmano, protestante, ecc.    Ma, a differenza di tante altre religioni, il Progresso non ha promesso il paradiso in una prossima ed ipotetica vita, bensì in questa.  O perlomeno, ha promesso di potercisi avvicinare.   Una differenza fondamentale che ha conquistato i cuori e le menti di quasi tutta l’umanità nei decenni in cui sembrava che questo stesse davvero avvenendo.

Ma il Fato, sotto forma di leggi fisiche e biologiche, non poteva essere violato e, dove prima e dove dopo, il paradiso a cominciato a sfumare.   Pian piano, un numero crescente di persone si sono guardate intorno e si sono rese conto che la loro vita stava peggiorando.   Che le prospettive erano sempre più fosche e che tutto ciò per cui avevano lavorato o combattuto si stava sciogliendo, come i ghiacciai.   Insomma, si sono visti in un mondo molto diverso da quello in cui pensavano di vivere.

Così, come già era accaduto per le religioni precedentemente decadute o scomparse, la gente ha cominciato a cercare una diversa spiegazione generale e coerente dell’universo.   Cioè una nuova fede capace di attribuire alla vita di ognuno significati, valori e scopi per cui valga la pena di vivere, lavorare, combattere ed eventualmente morire.

Alcuni non ne hanno trovati e si sono ammalati.   Altri li hanno trovati in nuovi sistemi di archetipi.   Come dire: in altri mondi.   Talvolta si tratta di costruzioni ex novo, ma assai più spesso si tratta di reinvenzioni post-moderne di tradizioni più o meno antiche, spesso assai vagamente ricordate.   E da sempre si sa che gli apostati sono i più feroci avversari della fede che hanno rinnegato.   Di qui la guerra.   Una guerra che non è solo fra eserciti e popoli, ma fra mondi alieni che si odiano e non possono trovare alcun compromesso perché non condividono la stessa realtà.

Giungiamo così al nostro esempio.

La guerra fra Ucraina e Russia è una guerra fra due stati, ognuno dei quali pensa di poter lenire i suoi drammatici problemi interni combattendo con l’altro.
Ma appartengono allo stesso mondo.   Non è detto che trovino un accordo, ma è possibile perché vi sono limiti che ognuno dei due, per ora, pensa che non gli convenga valicare.   Ma soprattutto perché quando i generali ed i ministri parlano fra loro si capiscono: parlano della stessa realtà.

Viceversa, credo che la guerra condotta dalle varie milizie jihadiste abbia motivazioni diverse.    Naturalmente, anche a loro interessano il petrolio, il potere ed il denaro, ma non è questo che da significato alla loro vita ed alla loro morte.   Si tratta di una sensazione del tutto personale, ma ho l’impressione che la molla principale che spinge tanti giovani, anche europei ed americani, ad arruolarsi tra le loro fila sia dare uno scopo alla propria esistenza.

John Kerry ha dichiarato che l’ISIL deve essere sconfitto non solo sul piano militare, ma anche su quello economico ed ideologico.  Sui primi due punti vedo buone possibilità, ma nessuna sul terzo perché cosa si potrebbe offrire in cambio del sogno di ripristinare il califfato e la presunta vera fede?   Un sogno che somiglia molto ad un’allucinazione o ad un incubo, ma non è che il “sogno americano” abbia molto da offrire, oggi come oggi.

Del resto, lo zelo fanatico di soggetti come i fratelli Koch o Sarah Palin non è meno ottuso di quello degli imam del califfato.   Certo non sono mandanti od esecutori di brutali delitti, ma il perseguimento dei loro scopi non è certo privo di sangue.    Se ci pare normale è solo perché, malgrado possiamo detestarli, appartengono al nostro stesso mondo.   Altri potrebbero pensarla diversamente.
Con ciò, tengo a precisare, non voglio fornire la benché minima giustificazione all'operato delle milizie e dell'ISIL, i cui nemici principali non siamo noi, bensì i governi arabi e le minoranze religiose locali.   Voglio solo far osservare che gli occidentali semplicemente non capiscono come ragiona questa gente.  

Viceversa, sembra che loro conoscano noi piuttosto bene, ma questo potrebbe essere argomento per un altro articolo.

Temo comunque che negli anni a venire la nebulosa in cui si sta dissolvendo l’ordinato mondo industriale sarà esplorata da un numero crescente di popoli alieni.   Tutti profughi di un unico mondo in agonia, ma in cerca di spiagge molto diverse su cui approdare.    E spesso mortali nemici fra loro.



martedì 7 aprile 2015

Estinzioni: addio alle api, e non solo

Da “Desdemona Despair” 1, 2. Traduzione di MR (h/t Maurizio Tron)

Quasi una specie su dieci di api si sta estinguendo in Europa mentre la situazione di più della metà delle specie rimane sconosciuta – un rapporto di IUCN


19 marzo 2015 (International Union for Conservation of Nature - IUCN) – La prima valutazione mai fatta di tutte le specie di api selvatiche mostra che il 9,2% sono minacciate di estinzione, mentre il 5,2% è probabile che siano minacciate nel prossimo futuro. Un totale del 56.7% delle specie sono classificate come “Dati insufficienti”, in quanto la mancanza di esperti, dati e finanziamento hanno reso impossibile valutare il loro rischio di estinzione.

Solo di meno funzionerà

DaPost Carbon Institute”. Traduzione di MR

Di Richard Heinberg



Quando non scrivo libri o saggi su temi ambientali, o quando non dormo o mangio, è probabile che mi troviate a suonare il violino. Questa è stata un'attività ossessiva per me da quando ero ragazzo e sembra che mi dia sempre più soddisfazione man mano che passa il tempo. Fare e suonare una piccola scatola di legno, un violino, è essenzialmente un'attività preindustriale: quasi tutte le sue parti provengono da fonti rinnovabili (legno, coda di cavallo, budella di pecora) e suonarlo non richiede né elettricità o benzina. Suonare il violino pertanto costituisce un hobby ecologicamente benigno, no?

Probabilmente lo era, un paio di secoli fa. Ora non tanto. Vedete, gran parte degli archi di violino sono fatti col pernambuco, un legno duro brasiliano che è a rischio perché con esso sono stati già fatti troppi archi. Anche l'ebano viene raccolto in modo eccessivo, viene usato per fare i tasti, i piroli per l'accordatura e parti degli archi. Alcuni elaborati archi di violino più vecchi sono persino decorati con gusci di tartaruga, avorio e ossi di balena. E mentre acero e pino (i legni principali con cui sono fatti i violini) non sono a rischio di estinzione, intere foreste vengono tagliate in Cina per soddisfare la fiorente domanda mondiale di strumenti per studenti. Le corde moderne (gran parte delle quali vengono fatte usando i derivati del petrolio) spesso vengono avvolte con argento o alluminio non rinnovabili e quasi nessuno cerca di riciclarle.

Capite, il problema reale dei violini è un problema di scala. Se ci fossero solo poche migliaia di violinisti nel mondo, fare e suonare violini avrebbe un impatto ambientale trascurabile. Ma moltiplicate queste attività per decine di milioni e i risultati sono la deforestazione e l'estinzione di specie. Sì, vengono fatti sforzi per fare suonare i violini in modo più sostenibile. Il Brasile protegge le sue foreste di pernambuco rimaste e molti costruttori di archi ricercano legno “raccolto in modo sostenibile”, I costruttori di archi stanno anche sostituendo l'avorio di elefante con ossa di manzo o materiali sintetici e le aste di molti archi ora sono fatti di fibra di carbonio. I gusci di tartaruga e ossa di balena sono off limits per i nuovi archi e i sono disponibili sostituti sintetici di questi materiali. Una società si offre di riciclare l'argento delle vecchie corde di violino. Tutto questo aiuta. Ma se il numero di violinisti continua ad aumentare, questi vantaggi verranno presto o tardi superati dalla pura e semplice dimensione della domanda di tutto, dalla colla alla colofonia. Suonare il violino è un'attività piuttosto specializzata e inusuale. Ma il problema fondamentale che ho sottolineato è endemico per praticamente qualsiasi attività umana, dal fare colazione la mattina al guardare la televisione prima di andare a letto.

Nella ricerca per rendere la società umana sostenibile, il problema della scala sorge assolutamente ovunque. Possiamo rendere una determinata attività più efficiente energeticamente e benigna (per esempio, possiamo aumentare il risparmio di carburante delle nostre auto), ma i miglioramenti tendono ad essere superati dai cambiamenti di scala (espansione economica e crescita della popolazione portano ad un aumento del numero delle auto sulle strade e delle dimensioni del veicolo medio, quindi ad un maggiore consumo totale di carburante). A quasi nessuno piace sentir parlare della scala nella nostra crisi ambientale globale. E' per questo che se la crescita è il nostro problema, la sola vera soluzione è quella di contrarre l'economia e ridurre la popolazione. Negli anni 70, molti ambientalisti raccomandavano esattamente quel rimedio, ma poi è arrivato il contraccolpo di Reagan – fenomeno politico che prometteva espansione economica infinita se solo avessimo permesso ai mercati di lavorare liberamente. Molti ambientalisti hanno ricalibrato il loro messaggio e così è nato il movimento “verde brillante”, che dichiarava che i miglioramenti di efficienza avrebbero permesso agli esseri umani di mangiare la loro torta (far crescere l'economia) e anche di conservarla (proteggere il pianeta in nome delle future generazioni). Eppure eccoci qua, decenni dopo l'eclissi dell'ambientalismo vecchio stile centrato sulla conservazione, e nonostante ogni sorta di programma di riciclaggio, regole ambientali e miglioramenti di efficienza energetica, l'ecosistema globale si sta avvicinando al collasso a velocità ancora maggiore.


La popolazione è cresciuta dai 4,4 miliardi del 1980 ai 7,1 miliardi nel 2013. Il consumo pro capite di energia è cresciuto da meno di 70 gigajoule a quasi 80 GJ all'anno. L'uso totale di energia è aumentata da 300 exajoule  a 550 EJ all'anno. Abbiamo usato tutta questa energia per estrarre materie prime (legno, pesce, minerali), per espandere la produzione di cibo (trasformando foreste in terreno coltivabile o pascolo, usando immense quantità di acqua dolce per l'irrigazione, mettendo fertilizzanti e pesticidi). E vediamo i risultati: gli oceani mondiali stanno morendo; le specie si stanno estinguendo mille volte di più del tasso naturale e il clima globale sta sbandando verso il caos man mano che processi di retroazione autorinforzanti (compresa la fusione polare e il rilascio di metano). Il movimento ambientalista ha risposto all'ultimo sviluppo adottando una concentrazione estrema sulla riduzione delle emissioni di carbonio. Cosa sicuramente comprensibile, visto che il riscaldamento globale costituisce la minaccia ecologica più pervasiva e potenzialmente mortale di tutta la storia umana. Ma i sostenitori della “crescita verde”, che tendono a dominare le discussioni sull'ambiente (a volte esplicitamente ma più spesso implicitamente), ci dicono che la soluzione è semplicemente cambiare fonte energetica e scambiarsi crediti di carbonio. Se facciamo queste cose facili possiamo continuare ad espandere la popolazione e il consumo pro capite senza preoccupazioni.

Nella realtà, cambiare completamente le nostre fonti di energia non sarà facile, come ho spiegato in un lungo saggio recente. E mentre il cambiamento climatico è la mega crisi dei nostri tempi, il carbonio non è la nostra sola nemesi. Se il riscaldamento globale minaccia di minare la civiltà, la stessa cosa fa il suolo, l'acqua potabile e l'esaurimento dei minerali. Questi potrebbero solo impiegare un po' più di tempo. La matematica della crescita composta porta ad assurdità (un essere umano ogni metro quadrato di superficie terrestre per il 2750 al nostro attuale tasso di aumento della popolazione) e alla tragedia. Se messi a confronto con questa semplice matematica, i verdi brillanti diranno: “Be' sì, alla fine ci sono limiti alla popolazione e alla crescita del consumo. Ma dobbiamo crescere ancora un po' adesso, per affrontare il problema della disuguaglianza economica e per assicurarci di non calpestare i diritti alla riproduzione delle persone. Dopo, una volta che tutti nel mondo hanno abbastanza, parleremo di stabilizzazione. Per ora, sostituzione ed efficienza si occuperanno dei nostri problemi ambientali”. Forse i verdi brillanti (o dovrei dire pseudo verdi?) hanno ragione nel dire che “meno” è un messaggio che non si vende. Ma offrire non soluzioni confortanti al nostro dilemma collettivo non ottiene nulla. Forse la prescrizione della decrescita è destinata a fallire nell'alterare la traiettoria complessiva della civiltà ed è troppo tardi per evitare una collisione grave coi limiti del pianeta. Perché, allora, continuare a parlare di quei limiti e sostenere l'autolimitazione umana? Riesco a pensare a due buone ragioni. La prima è che i limiti sono reali. Quando evitiamo di parlare di parlare di ciò che è reale semplicemente perché è scomodo farlo, segniamo il nostro destino. Io, per esempio, mi rifiuto di bere quella particolare partita di Kool-Aid. La seconda e più importante ragione è: se non possiamo evitare del tutto la collisione, facciamo almeno in modo di imparare da essa – e facciamolo più rapidamente possibile.

Tutte le società indigene tradizionali alla fine hanno imparato l'autolimitazione, se restavano abbastanza a lungo nello stesso luogo. Hanno scoperto, attraverso prove ed errori, che superare la capacità di carico della propria terra portava a conseguenze terribili. E' per questo che i popoli tradizionali appaiono a noi moderni come degli ecologisti intuitivi: essendo stati ripetutamente colpiti dall'esaurimento delle risorse, dalla distruzione dell'habitat, dalla sovrappopolazione e dalle conseguenti carestie, alla fine si sono resi conto che il solo modo di evitare di venire colpiti ancora era di rispettare i limiti della natura limitando la riproduzione e proteggendo le altre forme di vita. Noi abbiamo dimenticato quella lezione, perché la nostra civiltà è stata costruita da persone che hanno con successo conquistato, colonizzato e poi si sono spostate altrove per fare la stessa cosa di nuovo. E perché ci stiamo godendo il dono una tantum dei combustibili fossili che ci rendono potenti per fare cose che nessuna società precedenti si erano nemmeno sognate. Siamo giunti a credere nella nostra onnipotenza, eccezionalità ed invincibilità. Ma ora abbiamo finito i luoghi da conquistare e il meglio dei combustibili fossili è esaurito. Mentre ci scontriamo coi limiti della Terra, la prima risposta di riflesso di molte persone sarà quella di cercare di trovare qualcuno a cui dare la colpa. Il risultato potrebbero essere guerre e caccia alle streghe. Ma il conflitto sociale ed internazionale peggiorerà soltanto la nostra miseria. Una cosa che potrebbe aiutare sarebbe una conoscenza ampiamente diffusa del fatto che il nostro dilemma è in gran parte il risultato dell'aumento dei membri umani e dell'aumento degli appetiti rispetto alle risorse che stanno scomparendo e che solo l'autolimitazione cooperativa eviterà una lotta ad oltranza. Possiamo imparare, la storia lo mostra. Ma in questo caso dobbiamo imparare alla svelta. Quindi a portare faticosamente lo stesso vecchio messaggio in quanti più modi diversi mi è possibile, aggiornandolo man mano che gli eventi si dipanano. Ed io suono il mio violino – con un arco di fibra di carbonio.

lunedì 6 aprile 2015

La ricerca del capro espiatorio

Dalla pagina FB di Bodhi Paul Chefurka. Traduzione di MR

L'antropologo Ernest Becker (1924-1974) fornisce un punto di vista molto interessante sulle questioni di moralità e comportamento umano nel suo libro postumo “Fuga dal Male”. Becker ha usato un contesto psicoanalitico basato sul lavoro di Otto Rank e Norman O. Brown ed ha concluso che gli uomini fanno del male a causa delle, non nonostante le, buone intenzioni. La breve presentazione è una cosa del genere:

"Gli esseri umani sono i soli animali consapevoli della propria morte. Ciò è terrificante per noi e, per ridurre l'ansia, facciamo tutto ciò che possiamo per garantire la nostra sopravvivenza, come individui o come gruppi sociali in cui proiettiamo la nostra individualità collettiva. Questo impulso a trascendere la nostra morte, di cui abbiamo preso consapevolezza, ci porta a compiere atti eroici costruttivi nel tentativo di raggiungere un qualche tipo di immortalità. Ci porta anche a proiettare qualsiasi rischio percepito per la nostra sopravvivenza verso l'esterno, su altri gruppi o individui. Questi comportamenti di ricerca di un capro espiatorio e di sacrificio hanno l'intento inconscio di purificare l'ambiente fisico e psicologico in cui viviamo.  

Gli esempi di atti eroici costruttivi abbondano – la civiltà stessa ricade in questa categoria. Esempi recenti di ricerca del capro espiatorio comprendono i neri, gli ebrei, i musulmani e gli atei, la CIA, i socialisti, i capitalistivirtualmente ogni gruppo identificabile ha funto da capro espiatorio per qualche altro gruppo. Gli esempi indigeni di sacrificio includono il sacrificio umano rituale, i festeggiamenti ritualizzati, l'etica del “niente prigionieri” in combattimento e il Potlatch (sacrificio di cibo e beni)". 

Becker traccia questo effetto psicologico attraverso la storia e vede il suo zampino nella cultura militarista e del consumismo usa e getta così come nelle culture indigene. Mi attengo ancora al mio punto di vista per cui le origini della moralità, specialmente nelle sue specificità, si possono trovare nelle storie regionali e negli ambienti biofisici locali. Le scelte morali che la collettività allargata ritiene permissibili sembrano essere limitate da coloro che promuovono i sistemi di credenze eroiche che sconfiggono la morte come descritto da Becker. Questo dominio limitato del moralmente permissibile è intrecciato con la serie limitata di scelte orientate alla crescita che sono permissibili nei domini economico e sociale. I due sembrano sostenersi a vicenda. Tali scelte eroiche, morali ed economiche sembrano richiedere l'esistenza di un surplus di risorse nell'ambiente naturale come punto di partenza. La ricerca pubblicata nel 2003 da Dwight Read e Steven LeBlanc osserva che sia conflitto che crescita nelle società ad alta crescita sono bassi quando ci sono poche risorse disponibili, come affermato nella seguente citazione:

“I gruppi di cacciatori_raccoglitori che vivono in aree a bassa densità di risorse è più probabile che mostrino una stabilità demografica a lungo termine e più alta è la densità di risorse, più è probabile il verificarsi di conflitti fra gruppi o di limiti alla crescita malthusiani come malattie e fame”. 

Suggerirei anche che gli ambienti a basse risorse sono un fattore primario nello sviluppo di vari codici morali che riducono la crescita ed onorano la Terra. Ciò spiega la progressiva perdita di questo aspetto della nostra moralità man mano che il nostro accesso alle risorse della Terra è aumentato. Sfortunatamente, le conclusioni di Becker mi lasciano ancora più convinto che l'inizio dei limiti delle risorse globali si dimostrerà psicologicamente dannoso su una scala molto ampia, in quanto diventa impossibile negare la morte imminente del nostro gruppo di appartenenza primario, l'Homo Sapiens. Questa consapevolezza porterà probabilmente ad un'orgia di capri espiatori e le prime avvisaglie di quest'onda sono già visibili. Vedremo probabilmente un'orgia parallela di consumo sacrificale, identico nell'origine psicologica ma molto più ampio, su scala fisica, delle iconiche teste di pietra dell'Isola di Pasqua.

https://www.academia.edu/819616/Population_growth_carrying_capacity_and_conflict

sabato 4 aprile 2015

Marzo 2015: più guerre per il petrolio

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR


Cari lettori,

l'evento che ha segnato di più lo scorso mese, per quanto concerne i temi che vengono trattati su questo blog, è stata l'internazionalizzazione del conflitto in Yemen. Dalla fine del 2014 la situazione di guerra civile in quel paese era già chiara, ma è stato solo quando il presidente di ciò che rimaneva della struttura statale ha abbandonato la capitale e il paese, assediato da una fazione sciita, che i paesi circostanti, specialmente l'Arabia Saudita, non si sono decisi ad agire. In tempo record, una coalizione di 15 paesi arabi, condotta dall'Arabia Saudita, ha dato inizio ad un'ondata di attacchi aerei senza decidersi ancora ad invadere il paese, nonostante alcune scaramucce alla frontiera.

venerdì 3 aprile 2015

Come va il mercato immobiliare italiano? Non tanto bene.....

(origine del grafico)

Comunque la si voglia mettere, non va bene. Gli ultimi dati ISTAT parlano di una perdita del 4.2% per il 2014, rispetto al 2013. Al crollo dei prezzi che dura ormai dal 2009, si aggiunge il crollo del numero delle compravendite, più che dimezzate rispetto ai tempi d'oro.

C'è chi vede il bicchiere mezzo pieno. In effetti, se il mercato è ciclico, come lo è stato negli ultimi 50 anni, circa, sarebbe tempo di iniziare un nuovo ciclo positivo e qualche dato sembra indicarlo. D'altra parte, l'ultimo ciclo ha ha mala pena compensato il penultimo; non è affatto detto che il prossimo faccia meglio di così. E non è detto che ci sarà un ciclo del genere.

Insomma, chi ha comprato al picco dell'ultimo ciclo, difficilmente riprenderà mai quello che ha investito e se dovesse vendere adesso (posto che ci riesca) avrebbe perso un buon 25% dell'investimento. Ma forse eviterebbe guai peggiori.