lunedì 15 dicembre 2014

La circolazione polare è così malridotta che i venti di superficie ora ruotano intorno alla Groenlandia

Darobertscribbler”. Traduzione di MR

In un mondo normale, durante un tardo autunno e un inverno normali, l'aria fredda si concentrerebbe sopra uno spesso pack di ghiaccio settentrionale vicino al Polo Nord. Il ghiaccio marino sarebbe abbastanza denso, sufficientemente compatto da chiudere un oceano più caldo sotto di sé. Il nocciolo dell'aria fredda sarebbe circondato da venti forti – sia ai livelli alti, sia in superficie. Una zona atmosferica fredda che tenderebbe ad essere piuttosto stabile, portando le forti anomalie meteorologiche a guidarla da una solida base di aria fredda. Nel mondo di oggi, l'Oceano Artico si sta riscaldando. Collegato ad un oceano mondiale anch'esso in riscaldamento, le acque forniscono una piattaforma di lancio per il calore aggiunto prodotto dagli esseri umani. Il ghiaccio marino di superficie è quindi di gran lunga più sottile – e contiene meno del 50% del volume che vantava nei tardi anni 70. E, durante questo periodo dell'anno, uno straordinario sovraccarico di gas serra (principalmente CO2 e metano) intrappolano continuamente ulteriore radiazione di calore a onde lunghe nella scura notte invernale.

Tutto quel calore supplementare che si raccoglie sopra l'Oceano Artico rende il nocciolo di aria fredda molto meno stabile. Sempre più di frequente viene spinto via dal suo rifugio precedente vicino al Polo Nord. Un rifugiato del cambiamento climatico in cerca di un vortice di aria fredda come asilo temporaneo dall'inesorabile calore che si accumula. Verso sud, le calotte glaciali ancora solide ma sempre più minacciate della Groenlandia forniscono, forse, il rifugio più probabile. Così, mentre l'Artico si riscalda, l'aria fredda si ricentra sulla Groenlandia. E il risultato è una configurazione piuttosto strana in cui le correnti atmosferiche cominciano a spostarsi verso sud, circondando la Groenlandia piuttosto che le regioni polari. Un'interruzione che risulta in un fremito di cambiamenti in tutto l'Emisfero Settentrionale . Comprese delle gravi alterazioni del percorso delle tempeste ed una molto maggiore probabilità che il meteo estremo produca modelli di onda planetari.

Sostegno delle osservazioni alle teorie d'avanguardia

Lo scenario descritto sopra è derivato da diverse teorie scientifiche d'avanguardia. La prima è la teoria delle “Tempeste dei miei nipoti” di Hansen – in cui una combinazione di amplificazione polare e una fusione rafforzata della Groenlandia alimenta gravi cambiamenti al percorso delle tempeste nell'Emisfero Settentrionale, portando ad un meteo da incubo. Il secondo è la teoria dell'onda planetaria rafforzata, sostenuta dalla dottoressa Jennifer Francis, in cui il riscaldamento dell'Artico alimenta gravi cambiamenti e distensioni nel Jet Stream dell'Emisfero Settentrionale. Le due teorie sono collegate per il fatto che il riscaldamento dell'Artico, in entrambi i casi, è un motore primario di cambiamenti climatici e meteorologici straordinari.

Finora, abbiamo visto sempre più prove a sostegno di queste teorie, specialmente per qulla della dottoressa Francis, in quanto sin dalla metà del 2000 abbiamo osservato un aumento delle prevalenza di Jet Stream deboli, onde planetarie forti e potenti flussi meridionali che portano l'aria calda nella zona polare, ma che portano anche via l'aria fredda. La teoria delle Tempeste dei miei nipoti di Hansen ha avuto un impulso lo scorso anno quando una circolazione di aria fredda che si sposta verso sud ha acceso una potente pista di tempeste nel Nord Atlantico che ha compensato l'inverno più duro mai registrato in Inghilterra e nel regno Unito. Quest'anno, vediamo un fenomeno meteorologico simile collegato a queste teorie. L'inondazione di Buffalo, con le precipitazioni nevose corrispondenti di un anno in soli due giorni, è stata alimentata da un potente modello di onda planetaria direttamente associato al riscaldamento polare. Una simile onda planetaria sta minacciando oggi di scaricare più di un piede di neve sulle regioni statunitensi del medio Atlantico attraverso il New England. Una tempesta tipica invernale di gennaio nel Giorno del Ringraziamento che è stata preceduta da temperature di 70°F.

Non proprio una cosa alla quale i nostri modelli meteorologici sono abituati – Il nocciolo di aria fredda centrato sulla Groenlandia

Oggi, abbiamo già un ulteriore modello emergente che è stato previsto da queste teorie – la circolazione dell'aria polare che si centra intorno alla Groenlandia:


Circolazioni di flussi di aria di superficie della Groenlandia simili alle condizioni osservate sopra erano altamente anomale durante il 20° secolo, tale modello di rafforzamento delle tempeste è probabile che divenga molto più prevalente come conseguenza del riscaldamento polare causato dagli esseri umani. Nell'immagine sopra, notate il piccolo vortice al largo della Spagna diretto verso il Marocco da una depressione persistente ed anomala nel Jet Stream derivata da questo modello anormale. Probabilmente ci sono più alluvioni in arrivo per quella regione già colpita duramente. Fonte dell'immagine: Earth Nullschool.

Nell'immagine sopra, fornita da Earth Nullschool e che raccoglie dati da osservazioni climatiche e modelli localizzati negli Stati Uniti, troviamo l'aria calda dall'Atlantico subtropicale spinta verso nord prima da un sistema di alta pressione a metà oceano e poi da una corrente potente che infuria in superficie dalla punta meridionale della Groenlandia. Il flusso di aria calda sale verso nord poi si unisce con un flusso continentale che risale dall'Europa per attraversare l'Atlantico Settentrionale e il Mare di Barents. Viaggiando affiancata ad un freddo fronte frontale spazzato via dalla Groenlandia, la corrente di aria calda sale sulle Svalbard verso il Polo Nord. Questo flusso di aria calda porta temperature in una regione entro un paio di centinaia di miglia dal Polo Nord a 30,5°F – più caldo delle attuali temperature nella Pennsylvania centrale e ben oltre 36°F oltre la media di questo periodo dell'anno nel profondo nord:


Le Svalbard e le regioni prossime al Polo Nord si scaldano mentre un cuneo di aria straordinariamente calda si muove molto, molto a nord.  Fonte dell'immagine: Earth Nullschool.

Quest'aria straordinariamente calda poi viene trascinata in un'altra depressione a nord della Groenlandia prima di seguire un flusso di aria polare che si dirige giù verso l'Arcipelago Canadese e la Baia di Hudson. Un potente flusso da nord a sud si delinea sopra la Baia di Baffin nell'estremo meridionale della Groenlandia chiude il cerchio. Così, troviamo la Groenlandia circondata da venti, i loro nocciolo d'aria fredda molto lontano dal polo, visto che la regione sopra l'Oceano Artico si riscalda. Come possiamo vedere nella mappa dei venti di superficie (mappa in alto), il nocciolo del flusso di aria di superficie che alimenta la circolazione atmosferica NH alla superficie ora è centrata sulla Groenlandia e sulla Baia di Baffin. E' spostata di centinaia di miglia a sud del Polo Nord. E il Polo Nord stesso è diventato sovraccarico di un flusso di aria calda alla periferia del centro di circolazione dell'aria fredda. I modelli del vento del livello superiore sono analogamente stravolti, con un minimo di aria fredda superiore turbina via sulla Baia di Baffin e un secondo nocciolo di circolazione fredda sulla Siberia centrale. In entrambi i casi, nei livelli superiori vicino al Jet Stream e alla superficie, la regione dell'Oceano Artico è dissociata dai centri di aria fredda e dalla circolazione atmosferica collegata. Una serie di condizioni che è giunta ad assomigliare molto a quelle previste dalla dottoressa Francis, o, peggio, sembrano più come dei precursori dello scenario Tempeste dei miei nipoti di Hansen. In questo caso, per oggi, le osservazioni meteorologiche combaciano con i modelli indotti dal riscaldamento proprio come previsto.

La copertura meteorologica mainstream ingannata dai climi che cambiano (Sto indicando te, Weather Channel)

I meteorologi mainstream, compresi quelli del Weather Channel (Canale Meteo), continuano riferire del meteo attuale come se stesse avvenendo nelle condizioni tradizionali fornendo solo riferimenti marginali alla scienza d'avanguardia collegata al riscaldamento atmosferico osservato. Un nuovo sottoinsieme della scienza che fornisce una comprensione molto maggiore di cosa potrebbe stare realmente accadendo ed è uno strumento molto utile per le previsioni meteorologiche, nello stato attualmente alterato del clima che cambia rapidamente. A meno che tali meteorologi non cominciano a fare attenzione ai cambiamenti anomali che sono chiaramente visibili nei dati osservati (cambiamenti che non ho problemi a trovare ed a identificare dopo aver letto la scienza fornita da Hansen e Francis) saranno lasciati indietro dagli eventi che sono sempre più dissonanti rispetto alla loro attuale comprensione istituzionale. Un ammonimento che i meteorologi europei, sconcertati dai fallimenti dei modelli climatici nel prevedere le alluvioni da record dalla formazione di sistemi di bassa pressione nel Marocco da una depressione persistente ed anomala del Jet Stream di questa settimana, possono portarne testimonianza. Come i geologi che non hanno tenuto conto della teoria della tettonica a placche a metà del 20° secolo, i meteorologi che aderiscono alla vecchie previsioni meteo rischiano di diventare antiquati e meno rilevanti rispetto alle realtà climatiche attuali in rapida evoluzione. La nuova scienza del riscaldamento globale è corroborata sia nei dati osservati sia nella sua utilità per prevedere eventi – così, nel nome della precisione, deve essere inclusa.

Collegamenti e credits:

The University of Maine
Something Our Weather Models Aren’t Used To 
Earth Nullschool
NOAA’s Climate Prediction Center 
Dottoressa Jennifer Francis
Dottor James Hansen
(h/t) Mark dal New England
I geeks del Canale Meteo (che si devono svegliare ed annusare l'amplificazione polare)




Gli Sweet Spots di Bakken stanno svanendo

Da “Peal Oil Barrel”. Traduzione di MR


Bakken, così come le altre zone di petrolio di scisto, non è un'area omogenea in cui se ne possono trovare le stesse quantità. David Hughes in Drilling Deeper, lo spiega così; anche se qui lui sta parlando di pozzi di gas, la stessa cosa vale per i pozzi di petrolio:

Tutti i giacimenti di gas hanno invariabilmente delle aree “centrali” o “sweet spots”, nelle quali la produzione dei singoli pozzi è maggiore e quindi i conti migliori. I sweet spots vengono individuati e trivellati per primi, all'interno del ciclo di vita di un giacimento, lasciando la roccia di minore qualità da perforare quando il giacimento invecchia (richiedendo prezzi del gas più alti perché sia economicamente sostenibile); così, il numero di pozzi necessari per compensare il declino del giacimento aumenta inevitabilmente col tempo. 

Tuttavia Bakken, perlomeno fino al rapporto di produzione di settembre della Commissione Industriale del Nord Dakota (CIND), non ha dato alcuna indicazione reale di essere vicino al picco. Ma uno sguardo ravvicinato ai dati mi fa credere che stia per cambiare tutto. Il CIND pubblica un Rapporto delle Attività Quotidiane in cui elenca i permessi rilasciati, nonché i pozzi completati e quelli rilasciati dall'elenco riservato delle perforazioni di scisto. Questi rapporti di solito, ma non sempre, forniscono anche il numero di barili al giorno e di acqua al giorno per le prime 24 ore di produzione. Ho ispezionato tutti i giorni fino al primo novembre 2013 ed ho raccolto i dati di ogni pozzo elencato che fornisce i numeri di produzione ed ho copiato i dati su Excel. In quell'anno e tre settimane ho raccolto i dati da ognuno dei 2.171 pozzi che forniscono i numeri di produzione. Suddividendo questi pozzi per numero di pozzi, che è l'originale numero di permessi, si ottengono alcuni risultati sorprendenti.



Per smussare il grafico, ho creato una media per pozzo di 200 barili al giorno. Il primo punto sul grafico è quindi la media del duecentesimo pozzo, #23890, e l'ultimo punto la media al 2.171nesimo pozzo, #28971. Come potete vedere, c'è stato un declino continuo, anche se irregolare, nelle prime 24 ore di produzione mentre il numero di pozzi aumenta.



Scomponendo questo dato secondo il numero di pozzi, vediamo che la produzione ha raggiunto il picco a 24000s e da lì ha un declino costante. Ogni gruppo di numero di pozzi non contiene lo stesso numero di pozzi. 

Numeri di pozzi - Barili Petrolio/g  - Numero di pozzi campione

18s – 22s               1,235                        81
23000s                   1,362                        134
24000s                   1,497                        285
25000s                   1,320                        676
26000s                   1,198                        591
27000s                   1,016                       361
28000s                   841                           40


Il grafico sopra rappresenta le prime 24 ore di produzione per pozzo mensile e la percentuale di acqua per pozzo delle prime 24 ore per tutti i pozzi per i quali il CIND ha elencato i numeri. I numeri del novembre 2014 arrivano solo fino al 21. Nota: Le prime 24 ore di produzione sono ben lontane dall'essere la media dei primi anni di produzione. E anche se tutti i pozzi sono diversi, sono relativamente certo che ci sia un tasso di conversione medio, ma non ho idea di quale sia. Azzarderei che si trovi fra un quarto e un terzo delle prime 24 ore di produzione. Ma se qualcuno ha una qualche idea di quale sia il fattore medio di conversione, se ce n'è uno, mandatemi per favore una e-mail a DarwinianOne at Gmail.com o postatelo nella sezione dei commenti del post. Il Nord Dakota emette i permessi di trivellazione in ordine sequenziale. Ma quei permessi non vengono trivellati in sequenza. I trivellatori soprassederanno spesso su un permesso per due o tre anni, rinnovandolo poi come richiede la legge. Un elenco di tutti gli impianti di trivellazione attivi, il numero di pozzi sui quali si sta lavorando e la data di avvio, si può trovare presso l'Elenco degli Impianti di Trivellazione Attivi del NDIC, Sono elencati a seconda del loro numero API, ma l'elenco può essere copiato ed incollato in Excel e ordinato come volete.


Dei 191 impianti in funzione, 39 o il 20% operano su numeri di pozzo al di sotto di 28.000. 76 o il 40%, operano su numeri di pozzo nell'ordine dei 29.000. Il permesso #28000 è stato rilasciato il 26 marzo 2014. Quindi l'80% di tutti gli impianti operano su permessi rilasciati di recente. Il 21 novembre, il più alto numero di pozzo completato è stato #28971. Il numero di pozzo maggiore attualmente trivellato è #29908. Il numero di permesso più alto rilasciato è #30076. Il recupero di petrolio continuerà nel futuro di Bakken? Una semplice risposta di una sola parola è “no”, come spiega questo articolo. 


Le società energetiche lasciano attualmente circa il 95% del greggio nel sottosuolo nei pozzi di petrolio non convenzionali odierni, ma affrontano grandi sfide tecnologiche nell'aumentare i tassi di recupero, ha detto martedì uno scienziato di Schlumberger…“Tutto il nostro spettro di metodi di recupero secondario non funziona”, ha detto Kleinberg in un discorso che fa pensare al summit della EIA nella capitale. L'iniezione di acqua – dove l'acqua può essere dispersa da un'iniezione separata e da pozzi produttivi – non è un'opzione, perché le formazioni di tight oil sono troppo dense per permettere quei flussi d'acqua. E mentre il biossido di carbonio può essere usato per mettere in pressione un pozzo di petrolio convenzionale, attualmente c'è un limite nella quantità di quel gas disponibile da pompare sottoterra. “L'industria petrolifera vorrebbe avere piì CO2, che un modo perfetto per ottenere più petrolio dal sottosuolo, ma ci sono limiti alle forniture accessibili di CO2”, ha detto Kleinberg, arguendo: “L'industria petrolifera vive in un mondo di CO2 limitata; è solo l'industria petrolifera che pensa che non ci sia biossido di carbonio sufficiente”.
In conclusione, la produzione delle prime 24 ore per pozzo, se misurata dal numero di pozzi, è diminuita del 40% dal picco a 24000. Questo, secondo me, indica chiaramente che i sweet spots stanno svanendo e le compagnie ora stanno trivellando in terreni meno produttivi. Ora credo che la produzione del Nord Dakota giungerà al picco non più tardi del 2015, con un'alta probabilità che il 2014 si rivelerà l'anno del picco. 

domenica 14 dicembre 2014

Ecco come il cambiamento climatico ha alterato la Vita sulla Terra negli ultimi 20 anni

Da “Business Insider”. Traduzione di MR

Di Seth Borenstein

WASHINGTON (Associated Press) — Negli oltre due decenni da quando i leader mondiali si sono riuniti per cercare di risolvere il riscaldamento globale, la vita sulla Terra è cambiata, non solo il clima. Si è fatto più caldo, più inquinato di gas serra, più affollato ed è decisamente proprio peggiorato. I numeri sono crudi. Emissioni di biossido di carbonio: più 60%. Temperatura globale: più 6/10 di grado (°C), Popolazione: più 1,7 miliardi di persone. Livello del mare: più 7,6 cm. Meteo estremo negli Stati Uniti: più 30%. Calotte glaciali in Groenlandia ed in Antartide: meno 4,9 trilioni di tonnellate di ghiaccio.

"Per farla semplice, stiamo rapidamente trasformando il pianeta e cominciando a soffrirne le conseguenze”, dice Michael Oppenheimer, professore di geo-scienze e affari internazionali all'Università di Princeton. I diplomatici di oltre 190 nazioni hanno aperto le relazioni alla conferenza della Nazioni Unite sul riscaldamento globale a Lima, in Perù, per spinare la strada ad un trattato internazionale che sperano di stringere il prossimo anno. Per vedere quanto sia cambiato il mondo dalla prima di queste conferenze – il Summit sulla Terra di Rio de Janeiro del 1992 – la Associated Press (AP) ha esaminato i database di tutto il mondo. L'analisi, che ha riguardato dati dal 1983, si è concentrata su intervalli che terminano nel 1992 e nel 2013. Questo perché gli scienziati dicono che i singoli anni possono essere fuorvianti e le tendenze più a longo termine sono più rappresentative. Il nostro mondo che cambia in numeri:


REUTERS/Lucas Jackson – Un uomo cammina su una strada allagata ad Islip, New York, il 13 agosto 2014.

Meteo impazzito

Dal 1992, ci sono stati più di 6.600 grandi disastri climatici, meteorologici e legati all'acqua in tutto il mondo, che hanno causato più di 1,6 trilioni di dollari di danni e la morte di più di 600.000 persone, secondo il Centro per la Ricerca sull'Epidemiologia dei Disastri in Belgio, che registra le catastrofi mondiali. Pur essendoci un collegamento col clima, non tutto può essere attribuito al riscaldamento antropogenico o al cambiamento climatico. Tuttavia, il meteo estremo è notevolmente aumentato negli anni, dice Debby Sapir, che dirige il centro ed il suo database. Dal 1983 al 1992 il mondo ha avuto in media 147 disastri all'anno collegati al clima, al meteo e all'acqua. Negli ultimi 10 anni, il numero è saltato ad una media di 306 all'anno. Negli Stati Uniti, un indice degli estremi climatici – caldo, freddo, umido e secco – tenuto dalla Amministrazione Oceanica ed Atmosferica Nazionale (NOAA) ha fatto un salto del 30% dal 1992 al 2013, senza contare gli uragani, sulla base di medie di 10 anni.

Il NOAA traccia anche i disastri meteo degli Stati uniti che costano più di un miliardo di dollari, al netto dell'inflazione. Dal 1992, ci sono stati 136 di tali eventi dal costo miliardi di dollari. In tutto il mondo, la media di 10 anni delle perdite legate a fenomeni meteorologici al netto dell'inflazione è stata di 30 miliardi all'anno dal 1983 al 1992, secondo il gigante assicurativo SwissRe. Dal 2004 al 2013, il costo è stato più di tre volte tanto in media, cioè 131 miliardi all'anno. Sapir ed altri dicono che sarebbe sbagliato attribuire tutti, o la maggior parte, di questi aumenti al solo cambiamento climatico. Popolazione e povertà sono fattori a loro volta importanti. Ma osservano una tendenza di aumento dei disastri e di disastri più estremi e ciò corrisponde a quello che gli scienziati stanno dicendo da molto tempo sul riscaldamento globale. E' questo aumento che è “di gran lunga più spaventoso” del semplice aumento della temperatura, dice lo scienziato del clima Donald Wuebbles dell'Università dell'Illinois.


Tifosi di tennis al torneo ATP di Melbourne raccolti intorno ad un nebulizzatore di acqua fredda per raffreddarsi durante gli Australian Open in Australia.

Temperatura

E' quasi certo che il 2014 sarà ricordato come l'anno più caldo in 135 anni di registrazioni, dicono i meteorologi del Centro Nazionale per i Dati sul Clima del NOAA. Se così fosse, questa sarebbe la sesta volta dal 1992 che il mondo stabilisce un nuovo record annuale per l'anno più caldo o lo pareggia. Il globo ha infranto sei record mensili nel 2014 e 47 dal 1992. L'ultimo record di freddo su base mensile è stato stabilito nel 1916. Quindi la temperatura media annuale del 2014 è sulla strada per essere di circa 58,2°F (14,6°C), in confronto ai 57,4°F (14,1°C) del 1992. Gli ultimi 10 anni hanno avuto una media di poco inferiore ai 58,1°F (14,5°C) – 6/10 di grado più alta della media fra il 1983 e il 1992.


Flickr / Ricardo Mangual

Gli Oceani

Gli oceani del mondo sono saliti di circa 7,6 cm dal 1992 e sono diventati un po' più acidi – di circa lo 0,5% - grazie alla reazione chimica causata dall'assorbimento di biossido di carbonio, dicono gli scienziati del NOAA e dell'Università del Colorado. Ogni anno a settembre, la copertura di ghiaccio marino dell'Artico si riduce ad una misura annuale minima – una misurazione che è considerata un indicatore chiave del cambiamento climatico. Dal 1983 al 1992, il massimo che è scesa in media è stato 2,62 milioni di miglia quadrate. Ora la media su dieci anni è scesa a 1,83 milioni di miglia quadrate, secondo il Centro Nazionale per i Dati su Neve e Ghiaccio. Questa perdita – una media di 790.000 miglia quadrate dal 1992 – eclissa il leggero guadagno in ghiaccio marino dell'Antartide, che ha visto un aumento medio di 110.000 miglia quadrate di ghiaccio marino negli ultimi 22 anni.


AP Photo/Nick Ut

La Terraferma

La popolazione mondiale nel 1992 era di 5,46 miliardi di persone. Oggi è quasi di un terzo maggiore, 7,18 miliardi di persone. Ciò significa più inquinamento da carbonio e più persone che possono essere vulnerabili al riscaldamento globale. Gli effetti del cambiamento climatico si possono vedere da più severe stagioni degli incendi. Gli incendi nell'Ovest degli Stati Uniti hanno bruciato una media di 2,7 milioni di acri ogni anno dal 1983 al 1992; ora questa media è salita a 7,3 milioni di acri dal 1994 al 2013, secondo il Centro Nazionale Interagenzie per gli Incendi. Es alcuni degli effetti maggiori del cambiamento climatico sulla terraferma sono localizzati vicino ai poli, dove le persone non li possono vedere spesso. Dal 1992 al 2011, la calotta glaciale della Groenlandia ha perso 3,35 trilioni di tonnellate di ghiaccio, secondo i calcoli fatti dagli scienziati usando misurazioni del satellite GRACE della NASA. L'Antartide ha perso 1,56 trilioni di tonnellate di ghiaccio durante lo stesso periodo.


REUTERS - Smog in Cina.

L'Aria

Gli scienziati indicano semplicemente le emissioni di gas serra, in gran parte biossido di carbonio, che formano una coperta che intrappola il calore nella nostra aria. Non è necessario fare la media annuale della quantità di inquinamento da biossido di carbonio: è aumentata costantemente, del 60%, dal 1992 al 2013. Nel 1992, il mondo ha emesso 24,9 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio; ora sono 39,8 miliardi, secondo il Global Carbon Project, un consosrzio internazionale. La Cina ha triplicato le sue emissioni da 3 miliardi di tonnellate ad 11 tonnellate all'anno. Le emissioni degli Stati Uniti sono aumentate più lentamente, di circa il 6%, da 5,4 miliardi di tonnellate a 5,8. Anche l'India ha triplicato le sue emissioni, da 860 milioni di tonnellate a 2,6 miliardi. Solo i paesi europei hanno visto le proprie emissioni scendere, da 4,5 miliardi a 3,8 miliardi di tonnellate.
Cosa dicono gli scienziati

“In generale, ciò che mi colpisce davvero è l'opportunità mancata”, ha detto in una e-mail Andrew Dessler, uno scienziato del clima all'Università A&M del Texas. “Sapevamo dai primi anni 90 che il riscaldamento globale stava arrivando, eppure non abbiamo fatto sostanzialmente niente per scongiurare il rischio. Penso che le future generazioni potrebbero essere giustificabilmente arrabbiate per questo”. “I numeri non mentono”, ha detto Michael Mann, uno scienziato del clima alla Penn State. “I gas serra stanno aumentando costantemente e la causa è la combustione di combustibili fossili ed altre attività umane. Il globo si sta scaldando, il ghiaccio fonde e il nostro clima sta cambiando di conseguenza”
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Potete seguire Seth Borenstein su Twitter at http://twitter.com/borenbears

sabato 13 dicembre 2014

Sembrerei pazza...

DaDecline of the empire”. Traduzione di MR

di Dave Cohen

Finiamo questa settimana brutale con una nota divertente, si può?

Citerò da una recente intervista ad Elizabeth Kolbert, il cui libro “La Sesta Estinzione: una Storia Innaturale” è uscito all'inizio di quest'anno. Mi piace questa robaccia.

D: C'è una qualche possibilità che l'evoluzione salvi il salvabile? Che il mondo si adatterà ed adeguerà a noi?

R: Penso che ci siano due quadri temporali per rispondere a questo. Il primo è che se ci sono tassi molto elevati di estinzione, l'evoluzione non è sufficientemente rapida. Non bisogna presumere che siccome le cose muoiono più velocemente del normale la speciazione avvenga più velocemente del normale. 

Non abbiamo nessuna prova di questo. L'evoluzione ha la propria scala temporale, che dipende dai tassi di riproduzione. Se si è animali che si riproducono ogni 20-30 anni, c'è un limite a quanto rapidamente ci si possa evolvere. Sul breve termine o sul medio, non penso che ci siano molte possibilità che l'evoluzione tenga il passo. 

Su un termine molto lungo, quando si osservano le estinzioni di massa del passato, sì, alla fine. Quelle nicchie ecologiche vuote vengono riempite e la diversità si diffonde di nuovo. Nei reperti fossili, ciò tende ad impiegare milioni di anni. Stiamo parlando di un tempo molto lungo. Un'estinzione di massa non è una cosa in cui possiamo semplicemente sperare per il meglio. Non funziona in quel modo

Giusto, non funziona in quel modo. Ecco il divertimento.

D: Cosa possiamo fare?

R: Il mio libro espone i problemi su una scala molto, molto ampia. Quali sono i motori di un'estinzione oggi? In effetti avrei potuto sceglierne diversi, ma ho scelto quelli che sono i fattori principali dell'estinzione, che sono delle forze molto grandi all'opera. 

Cambiamento climatico, perdita di habitat, spostamento di specie nel mondo... se proponessi un modo per fermare uno qualsiasi di questi fattori, sembrerei pazza. Non succederà. Non lo faccio

Non potrei essere più d'accordo – solo un pazzo proporrebbe che gli esseri umani cambino il proprio comportamento per fermare le catastrofi create dagli esseri umani come la sesta Estinzione.

Dico solo che questo è ciò che sta accadendo, questo è ciò che alimenta questi tassi di estinzione e lascio che la gente tragga le sue conclusioni su cosa possiamo o dobbiamo fare. 

Tutte queste cose sono molto legate al modo in cui viviamo oggi, con la globalizzazione, la modernità e l'industrializzazione. L'idea che smetteremo improvvisamente di fare quelle cose, sfortunatamente, non credo sia probabile. Come questo si porrà in atto è davvero la domanda del nostro tempo.

Giusto, non è probabile. Leggete qui:.

D: Quindi cosa dice alle persone che lo negano?

R: E’ una cosa interessante. Ci sono dei negazionisti del riscaldamento globale, ma non ci sono in realtà negazionisti della frammentazione dell'habitat, o delle specie invasive. Non ci sono in realtà dei negazionisti dell'estinzione. Si può obbiettare che è perché alla gente in realtà non interessano le altre specie. Non si alterano nemmeno per questo. Non si hanno tante reazioni contrarie quando si dice che i tassi di estinzione sono davvero molto alti oggi. Non credo che questo sia argomento di dibattito. 

Sì, è esattamente l'argomentazione che ho usato in “Avventure in Pianura – parte II”. E il finale...

D: C'è una qualche nota positiva per concludere?

R: La gente mi chiede perché ho scritto questo libro se non espongo una prescrizione riguardo a cosa dobbiamo fare. Io sostengo che è molto importante che ci rendiamo conto di cosa facciamo, di cosa sta succedendo. Questo è il solo modo per cominciare a pensare a come possiamo migliorare questa situazione. Voglio dire che ci sono un sacco di cose che potremmo fare. E' solo che niente di ciò che possiamo fare sarebbe semplice. Quindi, ci sono tonnellate di cose da fare. La prima cosa che potremmo fare è di ridurre in modo molto drammatico le nostre emissioni di carbonio; cosa che possiamo fare, ma lo dobbiamo scegliere. 

La Signora Kolbert è stata davvero brava a non rispondere eludendo la domanda sul “finire su una nota allegra”.

Se la Gigafactory di Tesla può funzionare al 100% con energia rinnovabile, perché non possono anche altri?

Da “computerworld”. Traduzione di MR (h/t Claudio Della Volpe)



La triplice scommessa sulle fonti di energia rinnovabile di Tesla è probabile che superi il proprio fabbisogno di elettricità

La Gigafactory di Tesla, la più grande fabbrica al mondo di batterie agli ioni di litio, si prevede che generi tanta energia rinnovabile quanta gliene serve per funzionare – e dell'altra in più. La scorsa settimana, Tesla ha annunciato che vorrebbe costruire la sua fabbrica fuori Reno, in Nevada. Usando stime prudenti, la triplice scommessa sulle fonti di energia rinnovabile potrebbe generare più di 2.900 MWh di elettricità rinnovabile quotidianamente, che costituisce il 20% in più di quanta ne necessiti, secondo Tom Lombardo, un professore di ingegneria e tecnologia al College di Rock Valley a Rockford, Illinois. “Queste sono stime prudenti della produzione e stime di consumi massimi ed è chiaro che c'è sufficiente energia rinnovabile da far funzionare l'impianto e un po' in eccesso”, ha scritto Lombardo in un post recente.

La fabbrica, la cui preparazione è già iniziata presso il Centro Industriale Tahoe di Reno, sarà a forma di diamante. La forma di diamante, secondo l'AD di tesla Elon Musk, si adatta meglio al profilo dell'ambiente circostante, cosicché per costruirla dev'essere movimentata meno terra. La fabbrica è anche orientata a nord, di modo che i pannelli solari sul suo tetto siano esposti alla massima quantità di luce solare possibile, ha detto Musk. “Questa fabbrica produrrà anche la propria energia. Attraverso una combinazione di geotermico, eolico e solare, essa produrrà tutta l'energia di cui ha bisogno”, ha detto Musk. “Quindi sarà una specie di fabbrica autosufficiente”.

Ritorno dall'investimento delle rinnovabili

Più della metà società di Fortune 100 negli anni scorsi hanno risparmiato collettivamente più di 1,1 miliardi di dollari all'anno riducendo le emissioni di carbonio e implementando progetti di energia rinnovabile, secondo un recente rapporto intitolato “Power Forward 2.0". Collettivamente, il 43% delle società di Fortune 500, o 215 in tutto, hanno anche stabilito obbiettivi in una delle tre categorie: riduzione dell'emissione di gas serra, efficienza energetica ed energia rinnovabile. Se ristrette alle sole Fortune 100, il 60% delle società hanno stabilito gli stessi obbiettivi di energia pulita. Per quanto ammirevole sia per la fabbrica di batterie Tesla di funzionare al 100% con energia rinnovabile, attualmente questa non è un'opzione praticabile per gran parte delle società, principalmente a causa della variabilità dell'energia rinnovabile. La fabbrica di 10 milioni di piedi quadrati di Tesla sarà coperta di pannelli solari e collegata ad un parco eolico vicino e ad una centrale elettrica geotermica, secondo l'AD di tesla Elon Musk. Una fabbrica di batterie di quelle dimensioni si stima che consumi 100 megawatt (MW) di corrente alla capacità di picco o 2.400 MWh al giorno, secondo Navigant Research. Come riferimento, è l'equivalente del consumo di elettricità di circa 80.000 case.

“E' una quantità di energia enorme per un singolo impianto”, ha detto Sam Jaffe, un ricercatore analista titolare di Navigant. Gran parte dell'energia richiesta dalla Gigafactory, ha detto Jaffe, verrà usata per alimentare i forni, che vengono usati per fondere le polveri chimiche in lamine di metallo per la produzione di catodi ed anodi – i poli positivo e negativo di una batteria. La scelta di Tesla dei siti per la sua Gigafactory è stata ottimale per diverse ragioni di cui non necessariamente beneficerebbero altri tipi di fabbriche. Per prima cosa, Reno è anche una delle poche aree del mondo in cui la crosta terrestre è abbastanza sottile da offrire l'accesso all'energia geotermica, cioè calore dal mantello terrestre. Quel calore geotermico è invariabile, costante, e può essere usato nei forni della Gigafactory o per creare vapore per alimentare turbine. Mentre Reno è una regione arida, cosa che preclude le produzioni che richiedono molta acqua, ha però in media 5 ore di picco di sole al giorno in confronto ad altre aree del paese, come il Nordest, che di ore ne ha circa 2. “E' la prevedibilità che risulta molto migliore in quella geografia”, ha detto Jaffe. L'altro uso primario nella Gigafactory sarà quello di caricare completamente le batterie e poi scaricarle in modo da renderle utilizzabili. Tuttavia, in una fabbrica di batterie efficiente, scaricare le batterie può essere fatto caricando altri – alimentare le necessità dovrebbe essere il minimo, ha detto Jaffe. Infine, la Gigafactory produce batterie, che Tesla potrebbe poi usare per immagazzinare a basso costo l'elettricità durante i momenti di bassa produzione di energia rinnovabile.

Non proprio "off grid"

Lombardo non crede tuttavia che la fabbrica sarà energeticamente indipendente sulla base dei suoi impianti di energia rinnovabile. Piuttosto, userà il “net metering”, un metodo con cui Tesla genererà la propia elettricità e venderà l'eccesso ai gestori elettrici. Poi, durante i momenti in cui la produzione di energia rinnovabile di Tesla scende al di sotto della domanda, la rete elettrica gli dirotterà intelligentemente elettricità sulla base di crediti energetici. “E' più affidabile, più conveniente e indipendente dalla posizione”, ha detto Lombardo in una email di risposta a Computerworld. “Nemmeno Tesla andrà necessariamente off-grid. Musk ha detto 'energia netta zero', che significa semplicemente che genereranno tanta energia quanta ne usano”. In media, Reno gode di cinque ore di picco di luce solare al giorno. Considerando un'efficienza media del 20% dei pannelli fotovoltaici a tetto (FV), i 10 milioni di piedi qudrati della Gigafactory produrrebbero 859 MWh di energia solare quotidianamente, ha detto Lombardo. Inoltre, usando l'interpretazione artistica della Gigafactory di Tesla, Lombardo stima che la Gigafactory avrebbe 85 pale eoliche in grado di generare circa 1.836 MWh di corrente al giorno. “Reno non è estranea all'energia geotermica – ha diversi impianti già in funzione. Il più nuovo ha una capacità di 20 MW”, ha scritto Lombardo nel suo blog. “Diciamo che Tesla si mantiene piccola e ne costruisce uno con solo la metà della capacità. Quell'impianto da 10 MW produrrebbe 240 MWh di elettricità da geotermico al giorno. Attraverso l'economia di scala, si prevede che la Gigafactory di Tesla abbassi il costo per kilowatt delle batterie agli ioni di litio della società di più del 30% nel 2017, il primo anno di produzione.

Per il 2020, Tesla crede che la sua Gigafactory produrrà più batterie agli ioni di litio in un anno di quelle prodotte nel mondo nel 2013. Durante una conferenza stampa di fronte al palazzo di stato della capitale del Nevada la scorsa settimana, il governatore Brian Sandoval  ha detto che la Gigafactory avrà un impatto economico di circa 100 miliardi di dollari per il Nevada nei prossimi 20 anni. “Non sarà soltanto la fabbrica di batterie agli ioni di litio più grande del mondo, ma sarà in realtà più grande della somma di tutte le fabbriche di batterie agli ioni di litio del mondo”. Ha detto Musk. “E' prprio una grande fabbrica”.

giovedì 11 dicembre 2014

Combustibili fossili: ci troviamo sull'orlo del Dirupo di Seneca?

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR


Di Ugo Bardi

"Sarebbe una consolazione per la nostra debolezza e per i nostri beni se tutto andasse in rovina con la stessa lentezza con cui si produce e, invece, l'incremento è graduale, la rovina precipitosa.”
Lucio Anneo Seneca, Lettera a Lucilius, n. 91 

Questa osservazione di Seneca sembra essere valida in molti altri casi, compresa la produzione di una risorsa non rinnovabile come il petrolio greggio. Ci troviamo sull'orlo del “dirupo di Seneca”?

E' un principio ben conosciuto dalle persone che lavorano con la dinamica dei sistemi che ci sono un sacco di casi di soluzioni che peggiorano il problema. Spesso, le persone sembrano essere perfettamente in grado di capire quale sia il problema ma, altrettanto spesso, tendono ad agire sullo stesso nel modo sbagliato. E' un concetto espresso anche come “tirare la leva dalla parte sbagliata”. Coi combustibili fossili, capiamo tutti che abbiamo un problema di esaurimento, ma la soluzione, finora, è stata quella di trivellare ulteriormente e di continuare a trivellare. Spremere un po' di combustibile da tutte le fonti possibili, a prescindere da quanto difficile e costoso sia, ha potuto compensare il declino dei giacimenti convenzionali e mantenere la produzione in crescita negli ultimi anni. Ma è una vera soluzione? Cioè, non pagheremo la crescita presente con un declino più rapido in futuro?

Questa domanda può essere trascritta in termini di “Dirupo di Seneca”, un concetto che ho proposto qualche anno fa per descrivere come la produzione di una risorsa non rinnovabile possa mostrare un rapido declino dopo aver superato il suo picco di produzione.


Non si tratta solo di un modello teorico: ci sono diversi casi storici in cui la produzione di una risorsa ha collassato dopo aver raggiunto un picco. Per esempio, ecco i dati dello storione del Mar Caspio, un caso che ho chiamato “picco del caviale”.


Rischiamo di vedere qualcosa di simile nel caso della produzione mondiale di petrolio e gas? Secondo me sì. Ci sono alcune analogie. Sia i combustibili fossili sia il caviale sono risorse non sostituibili ed in entrambi i casi i prezzi sono saliti rapidamente durante e dopo il picco. Così, se lo storione del Caspio ha mostrato un tale chiaro dirupo di Seneca, il petrolio e il gas potrebbero fare la stessa cosa. Ma lasciate che entri nei dettagli. Nella prima versione del mio modello di Seneca, il rapido declino della produzione è stato interpretato in termini di aumento dell'inquinamento, che pone un peso supplementare sul sistema produttivo e riduce la quantità di risorse disponibili per lo sviluppo di nuove risorse. Tuttavia, ho scoperto che il comportamento di Seneca è piuttosto robusto in questi sistemi ed appare ogni volta che le persone cercano di “stiracchiare” un sistema per forzarlo a produrre più velocemente di quanto questo non possa fare naturalmente.

Nel caso dello storione del Caspio, mostrato più sopra, è poco probabile che l'inquinamento sia la causa del rapido collasso della produzione (anche se potrebbe certamente aver contribuito). Piuttosto, ciò che è successo è che i prezzi alti di una risorsa rara e non sostituibile (il caviale) ha stimolato gli investitori a investire sempre di più risorse per tirarne fuori dal mare quanto più possibile. Ha funzionato, per un po', ma alla fine non si può pescare storione che non c'è. E' finito in un disastro: un caso classico di dirupo di Seneca.

Questo fenomeno può essere modellato? Sì. Sotto, descrivo il modello per questo caso in dettaglio. L'essenza dell'idea è che i produttori debbano reinvestire una percentuale dei loro profitti per sviluppare nuove risorse per mantenere la produzione. Tuttavia, il rendimento dei nuovi investimenti declina col passare del tempo, perché le risorse più redditizie (per esempio i giacimenti petroliferi) vengono estratte per prime. Di conseguenza, sempre meno capitale è disponibile per nuovi investimenti. Alla fine la produzione raggiunge un massimo, poi declina. Se ipotizziamo che le società reinvestano una percentuale costante dei loro profitti in nuove risorse, il modello porta alla curva a campana simmetrica conosciuta come “Curva di Hubbert”. Tuttavia, come descrivo sotto in dettaglio, il declino può essere posticipato se gli alti prezzi forniscono capitale extra per nuovi sviluppi produttivi. Sfortunatamente, la crescita è ottenuta a scapito di bruciare rapidamente le risorse di capitale. Il risultato finale non è più la curva simmetrica di Hubbert, ma una curva di Seneca classica: il declino è più rapido della crescita.


E' questo ciò che abbiamo di fronte coi combustibili fossili? Naturalmente, stiamo solo parlando di modelli qualitativi ma, dall'altra parte, i modelli qualitativi sono spesso robusti e ci danno di cosa aspettarci, anche se non possono dirci molto in termini di previsione di eventi su una scala temporale precisa. Il collasso in corso dei prezzi del petrolio potrebbe essere un sintomo che stiamo finendo le risorse di capitale necessarie per continuare a sviluppare nuovi giacimenti. Così, ciò che possiamo dire è che ci sono alcune buone possibilità di tempi duri davanti a noi – in realtà molto duri. Il dirupo di Seneca potrebbe essere anche parte del nostro futuro a breve termine.
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La curva di Seneca come risultato dell'aumento della percentuale di profitti allocata per la produzione di una risorsa non rinnovabile

Di Ugo Bardi - 7 dicembre 2014

Nota: questo non è un saggio scientifico formale, si tratta più di un calcolo approssimativo del tipo “scritto sul retro di una busta” pensato per mostrare come percentuali in aumento di CAPEX possano condizionare il tasso di produzione di una risorsa non rinnovabile. Se qualcuno potesse darmi una mano per fare uno studio più raffinato e pubblicabile, sarei felice di collaborare!

I fondamentali del modello di dinamica dei sistemi che descrive lo sfruttamento di una risorsa non rinnovabile in un mercato libero sono descritte in dettaglio in un saggio del 2009 di Bardi e Lavacchi. Questo saggio fornisce una descrizione teorica del modello di Hubbert e della curva di produzione “a campana”. Nel modello, si ipotizza che la risorsa non rinnovabile (R) esista in forma di riserva iniziale di misura fissa. La riserva di risorsa viene gradualmente trasformata in riserva di capitale (C) che a sua volta declina gradualmente. Il comportamento delle due riserve come funzione del tempo è descritto da due coppie di equazioni differenziali.

R' = - k1*C*R
C' = k2*C*R - k3*C,

dove R' e C' indicano il flusso delle riserve come funzione del tempo (R' è ciò che chiamiamo “produzione”), mentre “ks” è costante. Questo è un modello “nudo e crudo” che, ciononostante, può produrre la curva di Hubbert e adattarsi ad alcuni modelli storici. Aggiungendo una terza riserva (inquinamento) al sistema genera la “Curva di Seneca”, cioè una curva di produzione inclinata in avanti, col declino più rapido della crescita. Il sistema a due riserve può produrre anche la Curva di Seneca se le equazioni sopra vengono leggermente modificate. In particolare, possiamo scrivere:

R' = - k1*k3*C*R
C' = ko*k2*C*R - (k3+k4)*C.

Qui, “k3” indica esplicitamente la percentuale di capitale reinvestito in produzione, mentre “k4” che è proporzionale alla deprezzamento del capitale (o qualsiasi altro uso non produttivo). Poi, ipotizziamo che la produzione sia proporzionale alla quantità di capitale investito, cioè a C*k3. Notate anche che “ko” è un fattore che definisce l'efficienza della trasformazione di risorse in capitale; può essere visto come collegato all'efficienza tecnologica, ma questo punto non verrà esaminato qui. Ecco il modello come è stato implementato con il software Vensim (TM) per la dinamica dei sistemi. Alle “ks” sono stati dati nomi specifici. Uso anche la convenzione di “modelli a portata di mente” con riserve di energia libera maggiori che appaiono sopra le riserve di energia libera minore.


Se le k vengono mantenute costanti durante il ciclo di produzione, la forma delle curve generate da questo modello è esattamente la stessa del modello semplificato, cioè una curva di produzione simmetrica a forma di campana. Ecco i risultati di un run tipico:


Le cose cambiano se permettiamo a “k3” di cambiare durante il ciclo della simulazione. La caratteristica che rende “k3” (percentuale di investimento produttivo) un po' diverso dagli altri parametri del modello è che è interamente dipendente dalla scelta umana. Cioè, mentre gli altri ks sono limitati da fattori fisici e tecnologici, la percentuale del capitale disponibile reinvestito nella produzione può essere scelto quasi a piacere (naturalmente, rimangono i limiti della quantità totale di capitale disponibile!).

Prezzi più alti porteranno a profitti più alti per i produttori e alla tendenza ad aumentare la percentuale reinvestita in nuovo sviluppi. Si sa anche che nella regione vicina al picco di produzione i prezzi tendono ad essere più alti – come nei casi storici del caviale e dell'olio di balena. Nel caso del caviale, l'aumento del prezzo è stato quasi esponenziale, nel caso dell'olio di balena, più come una curva logistica. Ipotizzando che la percentuale di capitale reinvestito vari in proporzione ai prezzi, alcune modellazioni potrebbero essere tentate. Qui lasciate che vi mostri solo i risultati ottenuti con l'aumento esponenziale.



Ho anche provato altre funzioni per la tendenza all'aumento di k3. I risultati di un aumento lineare sono qualitativamente gli stessi di uno logistico: Seneca domina. Lasciatemi sottolineare ancora una volta che questi non sono intesi come risultati completi. Si tratta solo di prove fatte con qualche ipotesi arbitraria per le costanti. Ciononostante, questi calcoli mostrano che il comportamento Seneca si verifica quando ipotizziamo che i produttori sollecitano il loro sistema allocando percentuali in aumento di capitale per la produzione.



mercoledì 10 dicembre 2014

Il collasso dei prezzi del petrolio: una lezione dalla storia

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi



L'attuale collasso dei prezzi del petrolio trova qualche parallelo con un caso molto più vecchio: quello dell'olio di balena e delle “ossa di balena” nel 19° secolo, essendo entrambi beni che hanno sofferto dell'esaurimento e di un picco di produzione. Notate le oscillazioni molto forti che si verificano vicino al picco e che sembrano aumentare col tempo. Notate anche come i livelli del prezzo medio si sono stabilizzati ad un certo punto: c'è un limite a ciò che le persone sono disposte a pagare per ogni bene. Era vero per l'olio di balena, è vero per il petrolio greggio. Quindi, è probabile che i prezzi del petrolio continueranno ad aumentare per un po', ma poi si stabilizzeranno, perlomeno in media. Immagine da un post del 2008 di Ugo Bardi su "The Oil Drum"


Nel 2008 ho pubblicato un post  su “The Oil Drum” (riprodotto sotto) dove ho cercato di prevedere il comportamento dei prezzi del petrolio greggio sulla base di un confronto col caso storico dell'olio di balena. Nella prima metà del 19° secolo, l'olio di balena era un bene importante, usato principalmente come combustibile per le lampade ad olio. Era, teoricamente, una risorsa rinnovabile, ma le balene sono state uccise così rapidamente che non avevano abbastanza tempo per riprodursi e ricostituire il proprio numero. Così, l'olio di balena si è comportato come se fosse una risorsa non rinnovabile: si è esaurito. Come ho riportato nel post, la sua produzione ha mostrato una curva simmetrica a forma di campana ed un chiaro “picco di Hubbert”. Nel 2008, ci trovavamo quasi alla fine di una fase di rapida crescita dei prezzi del petrolio, una tendenza che – in quel momento – sembrava essere inarrestabile. Ma ho fatto notare che i prezzi non avrebbero potuto continuare a salire per sempre. Ho affermato che: 

“...i dati storici della caccia alle balene ci dicono che un aumento esponenziale dei prezzi non è la sola caratteristica del mercato post picco. La caratteristica principale è, piuttosto, la presenza di oscillazioni del prezzo molto forti. Possiamo attribuire queste oscillazioni ad una caratteristica generale dei sistemi dominati da retroazioni e ritardi temporali. I prezzi devono mediare fra offerta e domanda, ma tendono a correggere troppo da una parte o dall'altra. Il risultato è una successione di distruzione della domanda (prezzi alti) e di distruzione dell'offerta (prezzi bassi)”. 

Sembra che questo sia esattamente ciò che stiamo vedendo per il petrolio greggio: oscillazioni del prezzo molto forti. Pochi mesi dopo la pubblicazione del mio post, i prezzi del petrolio sono infatti collassati. Oggi, stiamo vedendo qualcosa di simile e tendiamo ad interpretare l'attuale ciclo al ribasso come il risultato di scelte strategiche o di cospirazioni, ma è in gran parte un'illusione (l'illusione del controllo). Piuttosto, sembra che il mercato non possa regolare la produzione come funzione del progressivo esaurimento senza questi cicli di distruzione della domanda e di distruzione dell'offerta che alla fine portano ad un declino della produzione. Confrontandolo col comportamento dei prezzi dell'olio di balena, vediamo che in futuro potremmo attenderci un'ulteriore oscillazione ed una tendenza complessiva alla crescita negli anni dopo il picco di produzione. Tuttavia, i prezzi alla fine si dovrebbero stabilizzare, perlomeno in media. 

In questo confronto, dobbiamo tenere conto che c'è una differenza fondamentale da tenere presente quando si compara il caso dell'olio di balena col petrolio greggio. Mentre l'olio di balena è stato gradualmente sostituito con una risorsa più economica e più abbondante (il kerosene), non c'è nessuna possibilità del genere in vista per il petrolio greggio. Alla fine, tuttavia, ciò che cambia è solo quanto le persone sono disposte a pagare una determinata cosa. Le persone compravano ancora l'olio di balena quando il cherosene era dominante sul mercato; erano disposte a pagare un prezzo moderatamente più alto per un prodotto che era percepito come di qualità superiore. Nel caso del petrolio greggio, le persone potrebbero essere disposte a pagare un sacco di soldi per ottenere un prodotto di cui hanno disperato bisogno. Eppure, c'è un limite anche alla disperazione: i prezzi non possono salire all'infinito. Dopo un certo punto, le persone devono semplicemente consumare di meno. Questo sembra essere ciò che sta accadendo proprio ora in molte regioni del mondo, per esempio, in Italia, il consumo di petrolio è diminuito del 35% negli ultimi 10 anni. Così, in futuro, i prezzi del petrolio potrebbero non aumentare quanto si potrebbe temere, ma potrebbero aumentare abbastanza da rendere il petrolio inaccessibile per molti di noi. 
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Ecco l'articolo che ho postato su “The Oil Drum” nel 2008 (ho corretto qualche refuso presente nella versione originale)

Petrolio greggio: quanto può salire? (La caccia alle balene del 19° secolo come modello per l'esaurimento del petrolio e la volatilità del prezzo)


La caccia alle balene del 19° secolo è oggi uno dei migliori esempi che abbiamo di un ciclo completo di sfruttamento di una risorsa naturale.


Le curve di produzione dell'olio di balena e delle ossa di balena negli Stati Uniti nel 19° secolo (dati da “Storia della pesca americana alla balena” di  A. Starbuck, 1878). Entrambe mostrano una curva a campana di Hubbert.


Qualche anno fa, sono apparso in TV per la prima volta nella mia vita. Il petrolio aveva appena superato i 38 dollari al barile ed ero stato invitato a parlare in un canale finanziario nazionale come presidente della neonata sezione italiana di ASPO. Quando ho detto che mi aspettavo che il petrolio sarebbe presto aumentato ben al di sopra dei 40 dollari, tutti nello studio televisivo mi hanno guardato come se avessi appena detto qualcosa di molto divertente. Tutti gli altri esperti presenti si sono affrettati a contraddirmi dicendo che 38 dollari al barile erano solo un picco, speculazione, e che i prezzi sarebbero ridiscesi presto alla “normalità”. Visto retrospettivamente, era una previsione facile che i prezzi del petrolio dovessero aumentare. Dovevi solo sapere qualcosa sulla teoria di Hubbert. Mentre scrivo queste osservazioni, i prezzi del petrolio stanno intorno ai 120 dollari al barile e potrebbero continuare a salire. Ma per quanto tempo? Il problema del modello di Hubbert è che è buono per prevedere la produzione, ma non ci dice niente sui prezzi. 

C'è tutta una serie di modelli economici che cercano di prevedere i prezzi, ma il loro successo è molto limitato. Così, forse la risposta può essere trovata negli esempi storici. Se possiamo trovare una risorsa la cui produzione ha raggiunto il picco e declinato fino, a zero o quasi zero, in passato, allora i suoi prezzi storici potrebbero fornirci qualche idea di cosa attendersi oggi per il petrolio. Ci sono molte risorse che hanno raggiunto il picco e declinato a livello regionale; il petrolio greggio negli Stati Uniti ne è un buon esempio. Ma i prezzi del petrolio statunitense non dipendono solo dalla produzione interna, è condizionato dalle importazioni da altre regioni del mondo. Quindi ciò non è utile a comprendere le tendenze del prezzo a livello globale. Ciò che stiamo cercando è una risorsa globale che abbia raggiunto il picco in tutto il mondo o, perlomeno, in una regione economicamente isolata. Dopo aver molto cercato, il miglior esempio che ho potuto trovare non è quello di una risorsa minerale, ma di una biologica: la caccia alle balene del 19° secolo. Le balene sono, naturalmente, una risorsa rinnovabile, ma se vengono cacciate molto più rapidamente di quanto si possano riprodurre, si comportano come una risorsa non rinnovabile, proprio come il petrolio. Abbiamo dei buoni dati sulla caccia alle balene raccolti in libri come “Storia della pesca americana alla balena” di  Alexander Starbuck (1878). Ai tempi di Starbuck non c'era niente di simile ad un “mercato globale” per i prodotti delle balene. Ma la portata delle navi baleniere era mondiale e gli effetti dell'esaurimento delle balene erano percepiti allo stesso modo da tutti i mercati del mondo. Possiamo quindi prendere i prezzi riportati da Starbuck come direttamente condizionati dal comportamento della curva di produzione. Ecco quindi i risultati dei due prodotti della caccia alle balene, l'olio di balena e le “ossa di balena”. L'olio di balena veniva usato come combustibile per lampade, le ossa fungevano da sostegni per gli abiti femminili, alla moda nel 19° secolo. 


Produzione di olio di balena e prezzi (al netto dell'inflazione), secondo i dati di Starbuck.


Produzione di ossa di balena e prezzi relativi (al netto dell'inflazione) secondo i dati di Starbuck.

I risultati sono chiari: la caccia alle balena ha seguito una “curva a campana” in stile Hubbert, approssimata nel grafico con una gaussiana semplice. Le balene si sono comportate come una risorsa non rinnovabile e alcuni studi dicono che alla fine del ciclo di caccia del 19° secolo, negli oceani erano rimaste soltanto circa 50 femmine della principale specie cacciata: le balene franche. Ora, guardando i prezzi storici, vediamo un aumento nella vicinanza del picco di olio di balena e ossa di balena. Per l'olio vediamo un acuto dopo il picco, per le ossa la tendenza è più attenuata. In entrambi i casi, la crescita dolce è quasi esponenziale. Possiamo vedere questa tendenza esponenziale nei dati lisciati. 


Prezzi limati di olio ed ossa di balena (al netto dell'inflazione).

Sembra che ciò che stiamo vedendo ora per il petrolio greggio ripercorra i dati storici dell'olio e delle ossa di balena. Ci sono anche differenze: per esempio, i prezzi dell'olio di balena non sono aumentati tanto quanto quelli del petrolio greggio stanno facendo oggi. Per le ossa di balena, vediamo un aumento molto maggiore, più di un fattore di 10 dall'inizio alla fine del ciclo di caccia. Questo aumento è paragonabile a ciò che stiamo vedendo oggi per il petrolio greggio. C'è una spiegazione ragionevole per queste differenze. Per prima cosa, né l'olio né le ossa di balena erano così cruciali per la vita nel 19° secolo come lo è per noi il petrolio greggio oggi. Esistevano combustibili alternativi per le lampade: grasso animale o olio vegetale, un po' più costosi e considerati prodotti inferiori, ma utilizzabili. Poi, a partire dal 1870, il petrolio greggio ha cominciato ad essere comunemente disponibile come combustibile per lampade. Probabilmente ha avuto un effetto nel mantenere basso il prezzo dell'olio di balena. Per quanto riguarda le ossa di balena, invece, non esisteva veramente un sostituto eccetto l'acciaio, che probabilmente era molto più costoso durante il periodo che stiamo considerando. Ma i sostegni per gli abiti delle signore difficilmente erano una cosa senza la quale le persone non potevano vivere. In confronto, il petrolio greggio è un bene così fondamentale nel nostro mondo che non sorprende che i prezzi siano aumentati così vertiginosamente. Le linee aere, per esempio, non hanno scelta fra il collasso e l'acquisto di petrolio a qualsiasi prezzo. Per altre attività, le condizioni di scelta potrebbero non essere così nette, tuttavia non possiamo sopravvivere senza petrolio. Se l'aumento esponenziale dei prezzi del petrolio dovessero continuare inesorabilmente per qualche anno, potremmo di fatto assistere a un qualche tipo di distruzione della domanda. 

Ma i dati storici della caccia alle balene ci dicono che un aumento esponenziale dei prezzi non è la sola caratteristica del mercato post picco. La caratteristica principale è, piuttosto, la presenza di oscillazioni del prezzo molto forti. Possiamo attribuire queste oscillazioni ad una caratteristica generale dei sistemi dominati da retroazioni e ritardi temporali. I prezzi devono mediare fra offerta e domanda, ma tendono a correggere troppo da una parte o dall'altra. Il risultato è una successione di distruzione della domanda (prezzi alti) e di distruzione dell'offerta (prezzi bassi)”. Ciò che vediamo attualmente col petrolio greggio è che, molto probabilmente, uno di questi acuti del prezzo. Possiamo immaginare come, nella fase di collasso, tutti cominceranno ad gridare che la “crisi petrolifera” del primo decennio del 21° secolo fosse solo una truffa, proprio come si è detto della crisi degli anni 70. Poi, inizierà un nuovo acuto verso l'alto. 

Anche qui, la storia della caccia alle balene ci può insegnare qualcosa riguardo alla difficoltà che le persone hanno a capire l'esaurimento. Nel libro di Starbuck, non troviamo mai un accenno al fatto che le balene cominciavano a scarseggiare. Al contrario, il declino della caccia veniva attribuito a fattori come la “timidezza” delle balene e al declino del “carattere degli uomini coinvolti”. Starbuck sembra pensare che la crisi dell'industria delle balene dei suoi tempi potesse essere risolta con sussidi governativi. Alcune cose non cambiano mai. Alla fine, la storia della caccia alle balene ci dice che quello che sta succedendo ora col petrolio greggio non avrebbe dovuto prenderci di sorpresa. Il futuro non può mai essere esattamente previsto ma, perlomeno, può essere capito dalle lezioni del passato. Una di queste lezioni, tuttavia, sembra essere che non sembriamo mai in grado di imparare dal passato. 
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Ho riportato i risultati di questo studio sulla caccia alle balene per la prima volta alla conferenza di ASPO a Lisbona nel 2005. In seguito, ho pubblicato un saggio completo su “Prezzi dell'energia ed esaurimento delle risorse: lezione dal caso della caccia alle balene nel diciannovesimo secolo” di Ugo Bardi, Energy Sources parte b. Volume 2, Numero 3 luglio 2007, pagine 297 - 304. Lo potete trovare online qui.

Se volete giocare coi dati di Starbuck, qui trovate la serie completa.