lunedì 10 giugno 2013

"Il Pianeta Saccheggiato" su "Giornalettismo"


“Il costo del petrolio è già insostenibile per la società”

di - 07/06/2013 - Secondo il Club di Roma l'esplosione dei prezzi degli idrocarburi costringerà ad un ripensamento della società industriale

Il petrolio ed altri fondamentali materie prime stannoraggiungendo la soglia di sostenibilità economica per la civiltà umana. Il loro prezzo è già così alto da rappresentare una minaccia per il benessere della società, e le nuove tecnologie non sembrano in grado di poter aiutare una discesa del loro costo.

ALLARME PETROLIO - Il Club di Roma, uno dei più prestigiosi centri studi specializzati in ricerche sulle politiche energetiche, ha pubblicato un nuovo rapporto che evidenzia la scarsa sostenibilità economica dei prezzi delle materie prime. Il petrolio, così come altri metalli pesanti fondamentali per la lavorazione dell’industria, occidentale e ormai stabilmente anche dei paesi emergenti, hanno raggiunto un costo tale da minacciare in modo esplicito il benessere complessivo della nostra società. La civiltà contemporanea, rimarca il Club di Roma, è ancora dipendente dal petrolio, ma la scarsità delle risorse fossili rendono sempre più difficile una diffusione di questo bene a prezzi sostenibili. L’autore del rapporto del Club di Roma, il chimico italiano Ugo Bardi, ha rimarcato come l’esaurimento del petrolio o delle altre materie prime sia un problema di secondo piano in questo momento, visto che il vero pericolo deriva dall’esplosione del suo costo.
COSTI ESPLOSIVI - Secondo il rapporto del Club di Roma presto si dovrà investire più energia nell’estrazione del petrolio così come del gas rispetto a quanto se ne potrà ottenere. “Già ora l’industria mineraria consuma il dieci per cento dell’utilizzo globale del diesel”. In questa fase storica esistono risorse fossili ampiamente sfruttabili che sono però collocate sempre più in profondità nella Terra, e bisogna impiegare tecnologie sempre più costose ed avanzate, come il fracking, per poterle poi utilizzare a fini industriali o commerciali. Il consumo del “fuoco fossile” come è definito liricamente nel rapporto del Club di Roma, la distruzione degli ecosistemi a causa dell’elevata concentrazione di anidride carbonica così come l’inquinamento degli oceani e le coste vittime di inondazioni trasformeranno il volto del nostro piante. Secondo Bardi questo scenario ci renderà “abitanti di un nuovo mondo, un pianeta con altre condizioni climatiche, e una minore disponibilità di risorse energetiche”.

SFIDA ENERGETICA - La graduale ma inevitabile scomparsa di petrolio e gas, che incrementerà la crescita del loro prezzo, potrebbe definitivamente cambiare il volto della nostra società, che secondo la previsione del Club di Roma potrebbe tornare al suo passato agricolo. Un mutamento radicale, che costringerà ad un ripensamento dell’attuale modello di sviluppo. I combustibili fossili, così come l’uranio, stanno di conseguenza diventando un problema sempre più rilevante. Presto sarà superata la quantità massima di petrolio estraibile in modo convenzionale, e anche per gli idrocarburi ci sarà lo stesso esito. Secondo il Club di Roma la conseguenza di questo processo, vista l’arretratezza delle fonti energetiche attuali, sarà un significativo aumento della fonte fossile più disponibile nel Pianeta, ovvero il carbone. La crescita del suo utilizzo però potrà durare solo per poco tempo, visti gli enormi danni ambientali che potrebbe provocare. L’uranio non potrà compensare questo mutamento, anche perchè la sua produzione è significativamente arretrata nel corso degli ultimi anni.

SISTEMA DA RIFONDARE - In un’intervista a Die Zeit, l’autore dello studio del Club di Roma, Ugo Bardi, sottolinea come le accuse di eccessivo pessimismo si basino su un’incomprensione del loro lavoro. “Le risorse energetiche non si esauriranno di colpo, ma stanno diventando così care da non potere essere più utilizzate da un’ampia fetta della nostra società, dai cittadini alle imprese”. Per l’accademico italiano il problema del nostro sistema industriale è rappresentato dalla sua scarsa adattabilità alle fonti rinnovabili, visto che è stato modellato sulle risorse fossili. “Ora il loro costo è ancora sostenibile, ma a breve non sarà più così. Dovremo accettare che l’energia costerà troppo per un consumo ai livelli attuali. Sarà un processo di adattamento che dovrà essere accettato. Già ora le persone comprano macchine meno care visto il caro benzina. Il problema sarà che in futuro si potrebbe essere costretti a muoversi in bicicletta od andare a piedi nelle città, se il prezzo del carburante proseguirà su questa traiettoria”. Secondo Baldi anche l’attuale crisi dell’euro dipende dall’esplosione dei costi energetici: “L’Italia importa la stessa quantità di risorse fossili della Germania, ma ha la metà della sua industria. Tutti i paesi in difficoltà dipendono dall’importazione delle materie prime”.

venerdì 7 giugno 2013

Il pianeta saccheggiato: il nuovo rapporto del Club di Roma



C'è stata ieri a Berlino la presentazione del nuovo libro del modesto sottoscritto, Ugo Bardi, "Il Pianeta Saccheggiato." E' anche il 33esimo rapporto al Club di Roma, con il primo il famoso "I limiti dello sviluppo" del 1972. Qui di seguito, riproduco l'annuncio del nuovo rapporto come è apparso sul "Fatto Quotidiano"


‘Il pianeta saccheggiato’: il nuovo rapporto del Club di Roma

Vi ricordate del Club di Roma? Quello che aveva commissionato il famoso rapporto del 1972 intitolato ‘I limiti dello sviluppo. Quel rapporto che oggi, a distanza di più di 40 anni, si sta rivelando incredibilmente profetico, con la crisi che ci stiamo trovando di fronte, alti prezzi di tutte le materie prime, cambiamento climatico galoppante e tanti altri problemi. Tutte cose che, bene o male, quel vecchio rapporto del 1972 aveva visto (o perlomeno intravisto) ma, come succede quasi sempre con queste cose, si era preferito infamare il messaggero piuttosto che cercare di capire il messaggio.

Ma, nonostante le grandi polemiche create da quel primo rapporto, in tutti questi anni il Club di Roma non è affatto sparito; anzi ha continuato a studiare il problema delle risorse naturali e a produrre rapporti su quello che ci possiamo aspettare per il futuro. Quest’anno, il Club pubblica il suo 33-esimo rapporto con il titolo di Il pianeta saccheggiato’, scritto dal modesto sottoscritto, Ugo Bardi, che ha avuto l’onore di continuare la tradizione.

Il libro riprende molti dei temi dei “Limiti dello Sviluppo;” in particolare il graduale esaurimento delle risorse minerali e le sue conseguenze. E’ una storia completa di come la civiltà umana sia cresciuta sulla base di una disponibilità crescente di risorse minerali che, però, stanno cominciando a diventare costose da estrarre nelle gigantesche quantità di cui la civiltà industriale ha bisogno.

Il tema centrale del libro è che l’“esaurimento delle risorse” non è qualcosa che avviene all’improvviso; non succederà mai che ci troveremo ad accorgerci tutto ad un tratto che abbiamo “finito il petrolio” o qualcosa del genere. No; l’esaurimento è un problema graduale che ha cominciato a porsi molto tempo fa, che si sta ponendo oggi in modo pressante e che diventerà sempre più pressante nel futuro. Non è una questione di quantità; è una questione di costo e il costo di estrarre una risorsa minerale dipende principalmente dal costo dell’energia necessaria per estrarla. Estrarre sta diventando sempre più costoso, sia perché abbiamo esaurito le risorse “facili” da estrarre, sia perché l’energia che usiamo per l’estrazione ci arriva principalmente da risorse minerali in progressivo esaurimento: i combustibili fossili.

Così, siamo di fronte a un grande problema: quello di adattarsi a un mondo che non sarà più in grado di avere l’abbondanza di risorse alla quale ci eravamo abituati. La transizione verso questo mondo non è una scelta: è un obbligo creato dal progressivo esaurimento. L’unica alternativa che abbiamo è se gestiremo noi la transizione o se sarà la transizione a gestire noi; trascinandoci con la forza. Ma se riusciremo a gestire la transizione sulla base dell’energia pulita e rinnovabile, non è detto che questo mondo verso il quale ci stiamo dirigendo sarà così brutto. Meno abbondante, si, ma anche più tranquillo, più sano e più pulito – e se smettiamo di usare combustibili fossili avremo anche meno problemi con il riscaldamento globale.

Il rapporto al Club di Roma scritto da Ugo Bardi è disponibile per il momento soltanto nella versione in tedesco “Der Geplünderte Planet” pubblicata da Oekom. Il nuovo libro riprende molti degli argomenti di un libro precedente in Italiano è stata pubblicata da Editori Riuniti nel 2011 con il titolo “La Terra Svuotata.” La presentazione ufficiale del nuovo rapporto sarà a Berlino, il 6 Giugno p.v. Per informazioni, vedi questo link


lunedì 3 giugno 2013

Michael Mann sul ruolo degli scienziati nel comunicare le implicazioni del cambiamento climatico






Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR




Il libro del climatologo Michael E. Mann porta il sottotitolo di “Dispacci dalla linea del fronte” perché racconta la storia di una vera guerra di comunicazione. Con la sua ricostruzione del clima del passato, nota con il nome “Mazza da hockey”, Mann è stato scelto come obbiettivo di una campagna di disinformazione diretta a screditare la scienza del clima e la scienza in generale. La campagna ha avuto successo solo in parte, anche perché Mann e molti altri hanno resistito e contrattaccato. Questo è compito di tutti, ora: contrattaccare per ristabilire la verità.



Ecco un estratto dal libro di Mann (p. 253)


Da “La mazza da hockey e le guerre del clima” di Michael Mann


Quando abbiamo pubblicato la nostra 'mazza da hockey' per la prima volta alla fine degli anni 90, credevo che il ruolo di uno scienziato fosse, detto semplicemente, di fare scienza. Sentivo che altri avrebbero dovuto valutare e pubblicizzare ogni implicazione della scienza. Prendere qualsiasi cosa anche lontanamente somigliante ad una posizione riguardo alla politica sul cambiamento climatico era, per me, un anatema. Facendo così, pensavo, avrei compromesso l'autorità della mia scienza. Sentivo che gli scienziati dovessero avere una visione completamente spassionata quando discuteva di cose scientifiche – che dovessimo fare del nostro meglio di affrancarci da tutte le nostre tipiche inclinazioni umane – emozione, empatia, preoccupazione. Nelle interviste che mi sono state fatte, sono stato attento a non addentrarmi nelle acque pericolose dell'espressione di un'opinione personale e di evitare totalmente il tema delle implicazioni politiche.

Tutto ciò che ho vissuto da allora mi ha gradualmente convinto che il mio vecchio punto di vista fosse sbagliato. Sono diventato una figura pubblica mio malgrado quando il nostro lavoro è stato messo sotto i riflettori alla fine degli anni 90. Sono rimasto una figura pubblica da allora, ma sono giunto ad abbracciare, piuttosto che rifuggire, quel ruolo. Nonostante le ferite subite in battaglia per aver servito sulla linea del fronte nelle guerre per il clima – e sono numerose – rimango convinto che non ci sia niente di più nobile di sforzarsi di comunicare, in termini che siano contemporaneamente precisi ed accessibili, le implicazioni sociali della nostra conoscenza scientifica. Infatti, molto del mio tempo e sforzo, durante l'ultimo decennio, è stato dedicato a fare questo.

Posso continuare a convivere con i cinici assalti contro la mia integrità e la mia persona da parte della macchina negazionista finanziata dalle multinazionali. Ciò con cui non posso convivere è sapere che sono rimasto immobile e silenzioso mentre i miei simili esseri umani, confusi e sviati dalla propaganda alimentata dall'industria, vengono involontariamente portati giù per un sentiero che ipotecherebbe le future generazioni.

venerdì 31 maggio 2013

Distopia I: prima meccanosi

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR



di Antonio Turiel


[Le persone e le situazioni che appaiono in questa storia sono del tutto fittizie. Qualsiasi riferimento a persone o a fatti reali è del tutto casuale]

E' iniziata come cominciano sempre le grandi tragedie: in modo banale, anodino, abitudinario...

Stava finendo il turno di guardia all'Ospedale Provinciale di Lleida. I medici che entravano parlavano con quelli che uscivano dei casi clinici dei pazienti giunti al Pronto Soccorso durante la notte. Jordi stava finendo il suo racconto della notte appena trascorsa:

- ... e il paziente della stanza 3 ha la polmonite, con fuoriuscita pleurica bilaterale. Gli abbiamo messo l'ossigeno e l'amoxicillina per via venosa, per vedere se reagisce rapidamente perché è un po' lento. Antecedenti di interesse: fumatore per più di 30 anni.

- Vedi, Jordi - gli disse Jose – ti dico subito che fumare non c'entra niente. Per la pelle, chiaro – e gli diede una pacca sulla spalla.

- E come credi che resisteremo al turno di 24 ore? Perché tu sei uno zio sportivo, che corre tutte le mezze maratone, quelle complete e quelle doppie che ti si pongono e ti si porranno di fronte. Ma la maggior parte di noi, ragazzo, deve tirare avanti a caffè e sigarette per tenere questo ritmo, ora ancora di più coi tagli.

- Dai, non te la prendere. Spostati, su, me ne occupo io e va subito a letto , che hai una faccia...

- No, mi pare di avere la febbre... ancora una volta qualcuno di questi mi avrà attaccato qualcosa.

Alle 8 di sera, Jordi entrava nel suo stesso ospedale con doppia fuoriuscita pleurica, come gli dissero. Respirava a fatica, gli facevano male i polmoni ad ogni inspirazione. Lo sorprese il fatto che non lo misero in nessuna stanza, ma in un padiglione a fianco dell'ospedale, pieno di militari e tutti con la mascherina. Gli misero l'ossigeno e l'amoxicillina in vena e gli antiinfiammatori, ma col passare delle ore non presentava nessun miglioramento. Al contrario, si sentiva sempre peggio. Il momento in cui si spaventò, fu quando vide entrare Jose, sdraiato su una barella come lui.

- Jose... - mormorò – che cazzo fai qui... - lo sforzo di sollevarsi quasi lo affoga, quindi torna a sdraiarsi.

- Polmonite - tossì Jose – il paziente della camera 3... è morto tre ore fa.

In quel momento a Jordi si fermò il cuore. E fu il panico.


***********

Durante quella lunga giornata che finì insieme alla vita del paziente della camera 3, di Jordi, di Jose e di altre 50 persone, la reazione delle autorità sanitarie fu, dal punto di vista tecnico, impeccabile; da manuale. Dopo una ventina di casi di polmoniti fulminanti come quella del paziente della camera 3, uno dei medici più esperti si rese conto che la cosa non era normale e diede l'allarme.

L'applicazione del protocollo per le epidemie pericolose fu messo a punto in meno di due ore, ma prima di allora erano già morte 50 persone di polmonite, in un ospedale completamente sopraffatto dalla enormità degli eventi. Nel tardo pomeriggio, l'ospedale era militarizzato e la città di Lleida in stato di emergenza. Alcuni dei soldati che si occuparono del contenimento di quelle prime difficili ore, si ammalarono a loro volta, come si poté verificare, per mancanza di precauzione nell'uso delle mascherine. Apparentemente, l'isolamento ed un uso corretto delle mascherine era sufficiente ad evitare la propagazione della malattia, ma i medici civili e militari specializzati in malattie altamente contagiose e pericolose indossavano una protezione totale, con un mono isolante ed un sistema di respirazione autonomo. Non se ne poteva fare a meno: il 95% dei pazienti morivano in un lasso di tempo di massimo 48 ore dai primi sintomi. Fosse quello che fosse, era la malattia più pericolosa e letale affrontata dall'Umanità dei tempi della Peste Nera.

***********

Il comandante Javier Pérez, medico militare con il grado massimo in carica, era in riunione nel centro di controllo che avevano improvvisato in una piccola tenda laterale. Era circondato da alcuni dei migliori specialisti del paese, civili e militari, in malattie contagiose e del sistema respiratorio, la maggioranza dei quali con un'ampia esperienza in medicina interna, cardiologia ed altre specializzazioni. Le prime analisi dei pazienti vivi e le autopsie non lasciavano spazio a molti dubbi sulla natura della minaccia che si aveva di fronte: si trattava di una nuova specie di pneumococco, una particolarmente contagiosa e letale. Ma c'era di peggio: il bacillo non rispondeva agli antibiotici comuni.

- E' un Microorganismo Multiresistente – concludeva così la sua presentazione un rinomato pneumologo di Madrid – con un ampio spettro di resistenze che copre in pratica la totalità degli antibiotici comuni e la maggior parte di quelli ospedalieri. Tuttavia, sta rispondendo bene al... - e qui lo specialista usò il nome commerciale al posto del principio attivo. Il comandante Pérez pensò che di sicuro il laboratorio che commercializzava quell'antibiotico di nuova generazione stesse pagando qualche congresso e, chi lo sa, le vacanze, all'autorità che ora lo rappresentava. Interruppe improvvisamente l'oratore in quel punto.

- Percentuale di recupero? - sbottò.

- Beh, il 10% dei pazienti trattati recuperano pienamente in due o tre giorni – la sua voce tramava leggermente.

- Dimensione del campione? - la voce del comandante era gelida.

- Eh... be', ci sono solo 200 persone ospedalizzate in questo momento ed il trattamento è stato applicato a 50 persone... - il grande specialista non sembrava più così sicuro di sé stesso.

- ... e se ne sono salvate 5, cioè, solo 2 o 3 in più di quanti non si sarebbero salvati senza il suo meraviglioso intruglio. Il campione è troppo piccolo, i suoi risultati non sono significativi – il comandante stava alzando la voce man mano che parlava – In definitiva, lei non ha un cazzo su cui lavorare. Signore, non siamo qua per perdere tempo – fece una pausa, per riprendere l'offensiva – né per meritarci una vacanza a Cancùn.

- Comandante, lei mi offende! - rispose lo specialista adirato.

- Sig. González Mejía - la voce del comandante era più gelida che mai – ho potere e potestà per metterla agli arresti militari se lo considero conveniente e non indugerò a farlo se non mi fa la cortesia di chiudere il suo Power Point del cazzo e tornare al suo posto – il suo dito indice, indicando la sedia dove prima sedeva il dottor González Mejía, sembrava una frusta per spronare i cavalli.

Il Dr. González Mejía aprì la bocca per dire qualcosa, probabilmente per protestare per il suo uso di “Signore” al posto di “Dottore” - una dimostrazione di poca considerazione imperdonabile da parte del comandante – ma si rese conto che il comandante lo aveva fatto intenzionalmente e che in realtà la sua pazienza era già finita. Esitò ancora di fronte alla sua sedia vuota, meditando se prendersi l'umiliazione e sedersi o manifestare il proprio rifiuto alla maniera del comandante e svignarsela. C'erano due agenti militari all'ingresso della tenda. Si sedette.

Il comandante Pérez era furioso. Furioso per il pavoneggiarsi della medicina nazionale, sì, ma furioso anche perché la situazione gli stava sfuggendo di mano. Erano passati 5 giorni: 1000 ingressi, 947 morti. E l'epidemia aveva cominciato a propagarsi fuori dalla città di Lleida. Presto si sarebbe dovuto decretare lo stato d'emergenza in tutta la provincia e a lo avrebbero sostituito con un ufficiale di grado maggiore anche se probabilmente con meno esperienza medica. Gli avrebbero almeno permesso di continuare a guidare la squadra medica – o almeno così sperava.

- Nessuno ha qualcosa di meglio? - tuonò la voce del comandante – Nessuno sa cosa fare per fermare tutto questo?

Il comandante si girò e guardò lo schermo di protezione, ora in bianco. Non avevano armi con le quali lottare ed erano l'ultima linea di difesa prima della sconfitta finale. Dell'Apocalisse...

- Comandante – tossicchiò una voce giovane – noi abbiamo avuto alcuni risultati incoraggianti in vitro.

Il comandante si girò verso la voce. Era di un trentenne, con barba ben curata che portava gli occhiali. Li chiamano Hipsters a questi, se non fosse per il camice bianco che portano. La sua faccia gli era familiare: era una giovane promessa di un ospedale universitario della Galizia, gli sembrò.

- Ti ascolto figliolo, ma ti avverto: non mi far perder tempo.

- Abbiamo usato una combinazione di antibiotici convenzionali insieme ad un inibitore dell'attività enzimatica. Con la soluzione otteniamo una quasi eliminazione del 100% in vitro. Abbiamo cominciato già le prove con organismi modello, ratti, e l'efficienza per somministrazione endovenosa è del 85%. Vorremmo chiedere il permesso per fare già una prova clinica con pazienti umani, data l'urgenza della situazione...

- Niente prove. Date quel preparato a quelli in condizioni più critiche.

- Ma, signore, non siamo sicuri delle possibili reazioni avverse, l'inibitore enzimatico...

- E' uguale. Trattamento compasssionevole. Non abbiamo tempo. E' un tentativo disperato, ma dobbiamo farlo.

Nessuno si azzardò a replicare. Il comandante sapeva che molti di loro (González Mejía, per primo) avrebbero riferito per filo e per segno alla stampa che la colpa era del comandante Javier Pérez se alla fine sarebbe andato tutto male. E più avrebbe fatto, più lo avrebbero riferito, indipendentemente dalle sue misure. L'importante era che là fuori la gente moriva come mosche. Era una guerra da vincere, e lui era un militare.

 ***********

Il comandante Pérez si alzò di buon umore quella mattina. Rasato in maniera impeccabile, una bella doccia (gli operai si facevano la doccia di notte, i quadri lo fanno la mattina, pensò, ricordando i suoi giorni all'accampamento) e un buon caffè per cominciare il giorno. La medicazione preparata dal dottor Solana (la giovane promessa galiziana) era risultata essere abbastanza efficace: la mortalità si era ridotta dal 95% al 35% e praticamente allo 0% se si prendeva la polmonite ai sui primi stadi. Certamente c'erano anche state reazioni avverse, in un paio di casi con risultati di morte, ma si trattava di pazienti con uno stato di salute molto cattivo di base, mentre nel resto dei casi i problemi non si manifestavano se non come disturbi passeggeri che finivano nel giro di un paio di giorni.

Ma la cosa migliore è che erano 3 giorni che non si registrava nessun nuovo caso. I commercianti e i politici facevano pressione perché si togliesse lo stato di emergenza, ma il comandante non lo avrebbe sollecitato al governo finché non fosse passata almeno una settimana senza nuovi casi, “o si vuol prendere lei la responsabilità di nuove morti?”, gridò al sindaco; questi si azzittì, così come fece  tutta la comitiva che era venuta il giorno precedente all'accampamento militare. Sciocchi, cantare vittoria dopo soli due giorni. Certamente l'incubazione della super polmonite (come la chiamavano nei quotidiani) era molto rapida, in meno di 12 ore dal contatto si sviluppavano i primi sintomi e senza trattamento la morte sopravveniva prima di 48 ore dal contatto iniziale. Davvero questo batterio era fra i più bastardi che avesse mai incontrato nella sua vita di medico militare e ed era stato anche in Africa centrale... “Alla fine”, pensò, “aspettiamo una settimanella e poi raccogliamo gli attrezzi e lasciamo il campo libero agli epidemiologi”.

Perché era lì il nocciolo della questione. Da dove era uscito il super-batterio? Non c'era alcun punto evidente. Il primo caso registrato (quello che uccise Jordi e José) precedette di poche ore una cinquantina di casi più dispersi in tutta la città. Non era come se la gente arrivata ad un centro di diffusione della polmonite, no. Non c'era un modello spaziale chiaro: le persone che si erano infettate durante le prime ore del bacillo vivevano in luoghi distanti dalla città, non avevano relazioni fra loro e non erano andate negli stessi luoghi nelle 24 ore precedenti. Questo fece pensare all'inizio, data la contagiosità della malattia, che la propagazione fosse stata fra i pazienti della prima ondata, ma poi si verificò che i pazienti non erano infetti durante il periodo finestra di 12 ore nel quale si sviluppava la malattia. Non aveva alcun senso. Era come se il caso 0 si fosse mosso a tutta velocità per tutta la città, tranne che le zone pedonali. E dopo una tale corsa, perché non era andato all'ospedale, sicuramente si sarà sentito davvero male? Sarebbe morto da qualche parte?

C'era una possibilità inquietante ed è che forse il caso 0 era portatore ma non sviluppava la malattia e avrebbe continuato ad infettare la gente on la quale avrebbe avuto a che fare. Lo stato di emergenza lo avrebbe tenuto confinato a casa sua, ma quando questo sarebbe cessato sarebbe uscito di nuovo, a seminare la morte per la città. E chi lo sa se stavolta il patogeno non sarebbe arrivato a Barcellona, a Madrid, a Parigi, a New York... Peggio ancora. E si trattava di un bioterrorista? E se quello di Lleide fosse stata una prova per qualcosa di peggiore?

Calma, Javier, calma. Le cose sono tranquille dopo 3 giorni e la situazione è sotto controllo; inoltre, abbiamo sviluppato un farmaco efficace, quindi siamo preparati per la prossima battaglia, se si trattasse di un attacco. In questo senso, il comandante poteva essere orgoglioso: si era guadagnato i galloni lottando contro un nemico implacabile ed invisibile. Ma gli mancava di compiere un ultimo dovere: trovare il suo rifugio, l'ultima trincea, e sterminarlo, se il suo portatore, il caso 0, non fosse ancora morto.

A Madrid e all'estero si prendeva la cosa piuttosto sul serio, anche se con discrezione. Per questo, al termine della prima settimana, il Centro Nazionale di Epidemiologia inviò una squadra dei sui migliori esperti, ai quali si aggiunsero progressivamente i migliori specialisti che l'OMS aveva riunito. Ora il fronte successivo era trovare l'origine dell'infezione.

Due giorni più tardi il comandante non era più così di buon umore. Il governo aveva appena tolto lo stato d'emergenza. Non erano ancora passate due settimane dallo scoppio dell'epidemia, ma erano 5 giorni che non arrivava nessun nuovo paziente. La squadra medica era inorridita, gli epidemiologi scandalizzati, ma non ci fu niente da fare. Gli affari dovevano andare avanti ed ogni giorno di chiusura erano milioni di euro in meno di introiti. Con la montante crisi economica era impossibile assumersi ulteriori perdite. Così il governo rimosse lo stato di emergenza una domenica pomeriggio ed le attività ripresero il lunedì mattina. La nuova ondata di casi di polmonite arrivo lunedì notte.
Ma stavolta era qualcosa di diverso. Nessun caso proveniva dalla città di Lleida.

***********

Artur e Luis erano due degli epidemiologi con più esperienza al Centro Nazionale di Epidemiologia. Erano più di 20 anni che si conoscevano e a loro piaceva lavorare insieme. Artur era minuzioso ed appassionato nel suo lavoro, mentre Luis era pratico e spedito. Formavano una buona squadra, anche se Artur a volte deplorava l'eccessivo arrivismo del suo amico. Ma la cosa certa è che avevano una buona sintonia fra loro e insieme avevano portato a termine studi molto buoni senza un aiuto esterno. Chiaro che in questo caso si trattava di una questione urgente, un affare di Stato; così la pose chiaramente il direttore del CNE prima di partire da Madrid. Urgente e affare di Stato: brutta combinazione.

Luis era di Albacete e pertanto non conosceva granché il terreno sul quale si muovevano, ma Artur era di Barcellona e la sua famiglia materna era di una frazione di Lleida, quindi conosceva abbastanza bene la città e le regioni attorno. Forse per questo egli vide subito uno schema, una regolarità nel leggere la lista degli infettati della seconda ondata. Mentre i più gurdavano alle professioni, ai luoghi di lavoro ed altre cose, egli si concentrò sulla lista di paesi di provenienza: Térmens, Balaguer, Camarassa, Tremp, La Pobla de Segur,... e disse senza indugio.

- E' la C-13.

- Che vuoi dire? - gli chiese Luis.

- Tutta questa gente vive intorno alla strada C-13. E' la strada più veloce per andare da Lleida a Tremp e la Pueble – disse Artur in modo spassionato.

- E pertanto la strada più veloce per scendere a Lleide ed infettarsi – il tono di Luis era un po' burlesco, anche se sapeva che il suo amico ci avrebbe pensato – La tua osservazione non è da disdegnare, comunque; forse tutta questa gente o i loro famigliari sono sono giunti direttamente in un unico punto di Lleida dove è localizzato il focolaio.

- Se guardi la lista di infettati – proseguì Artur con voce calma – vedrai che ci sono molti pensionati che è da anni che non si muovono dal loro paese. E di questi la maggior parte hanno sviluppato la malattia durante le 12 ore di finestra nelle quali nessuno delle loro famiglia li ha potuti infettare. No, non non sono venuti a prendersi l'infezione a Leida. L'infezione è venuta a cercarli nelle loro case. In quelle di tutti. La morte ha circolato per la C-13.

***********

La strana via di propagazione della malattia fu, giustamente, la chiave per risolvere il mistero. Quasi tutte le persone infettate avevano ricevuto la visita di un rappresentante di una nota marca di caldaie a gasolio (l'ultimo inverno era stato molto freddo e la gente pensava di passare dalla legna al gasolio). Comparando i dati con quelli della prima ondata, risultò che più della metà delle vittime della prima settimana avevano ricevuto la visita dello stesso rappresentante. Avevano incontrato il paziente 0.

Una squadra di contenimento delle malattie si dislocò al domicilio del rappresentante Pere Alierta. Era una casa unifamiliare in periferia. Il soggetto aveva poco contatto col suo vicinato e questo spiegherebbe il perché lo stato di emergenza era riuscito a contenere il bacillo. Se Pere Alierta era resistente al batterio, col suo sangue si poteva fare un vaccino e si potevano studiare meglio e più rapidamente i meccanismi della folgorante propagazione del microbo all'interno dell'organismo umano.

Bussarono alla porta ma non aprì nessuno. Non c'era tempo di cercare un mandato di perquisizione e il comandante Perez, sotto sua esclusiva responsabilità (non era ancora stato decretato il nuovo stato di emergenza; il governo era titubante data la nuova distribuzione spaziale delle persone colpite) autorizzò lo sfondamento della porta. La squadra di contenimento irruppe nell'appartamento e trovò il rappresentante, che li guardava con uno sguardo supplichevole, agonizzante. L'uomo viveva da solo e non aveva avuto nemmeno la forza di fare il 118 (112 in Spagna, ndt.).

Morì tre ore più tardi. L'autopsia confermò che era stato infettato all'inizio di lunedì e non prima. Niente nel suo organismo faceva pensare che fosse più resistente al batterio. Avevano seguito una falsa pista.

***********

- Una pista falsa. Vedi Artur. La tua idea era buona, ma era un pista falsa – ripeté, quasi per scherzo, Luis.

- Non può essere. Gli schemi coincidono, il profilo di probabilità è quasi perfetto. Se non è lui dev'essere qualcuno che viaggi con lui.

- Viaggiava da solo: i rappresentanti non viaggiano mai accompagnati. Inoltre l'azienda sta attraversando delle difficoltà economiche importanti: guarda catorcio di macchina che ha – indico una sgangherata utilitaria, di circa 20 anni, che era parcheggiata all'entrata- quest'uomo avrebbe dovuto moltiplicarsi e coprire un'area molto grande. E tutto una mera coincidenza.

Artur non rispondeva. Pensava.

- Di sicuro era in ritardo col pagamento dell'ipoteca – proseguì Luis. Guardando la casa: non era granché, non valeva nemmeno la pena; la banca si sarebbe arricchita con questa operazione.

Artur faceva finta di non sentirlo. Si muoveva frenetico per la casa, rovistando nei cassetti, aprendo il frigorifero – vuoto. Era lì da qualche parte, ma dove, dove, dove...

- Ammettilo – lo fermò Luis – quest'uomo si è infettato da un'altra parte, a Lleida. Non abbiamo ancora trovato il caso 0. Non c'è un compagno infettato. La sua unica compagnia è questo catorcio di macchina diesel.

Lo sguardo di Artur si fissò, per la prima volta, sulla macchina. E la vide.
- E' lei, Luis! E' lei! - gridò euforico.

- Lei chi, lei chi, lei chi – disse a voce sempre più alta Luis, ma Artur non lo sentiva. Usando un bastoncino e con molta attenzione, estrasse una specie di gelatina bianca che fuoriusciva da tubo di scappamento e la introdusse in un vasetto.

- Andiamocene al dannato laboratorio – disse Artur – se ho ragione abbiamo trovato il nostro caso 0..

- Che dici? Chi è questa persona?

- Non chi – Artur accelerava per le strade di Lleida. - Cosa.

***********

L'analisi di laboratorio confermò il sospetto di Artur. La gelatina era stata creata da una colonia di super-pneumococco. Quando rottamarono con molta attenzione la macchina, scoprirono che era completamente infestata di batteri. La macchina aveva bisogno di un buon riesame ma, siccome era un diesel vecchio – sicuramente di seconda mano – nonostante i grumi di gelatina organica che galleggiavano nel combustibile, il motore era in grado di bruciare e continuare ad camminare. Una parte per niente trascurabile del diesel usciva senza bruciare dal tubo di scappamento e il batterio, miracolosamente, era in grado di resistere alla camera di combustione. Un pneumococco vaporizzato nell'aria col fumo della combustione: brutta combinazione.

Il momento in cui più batteri erano vaporizzati nell'aria era quando si accendeva il motore; la macchina emetteva un fumo nero e letale che appestava le povere persone che, per educazione, avevano accompagnato il rappresentante alla porta. Per questo le persone che vivevano in appartamenti non erano stati infettati. Disgraziatamente, alcuni passanti erano stati esposti al gas di scarico della macchina, ampliando così il circolo di morte. Lo stesso Pere Alierta aveva avuto la fortuna di non infettarsi fino a quel fatidico lunedì, forse lasciò la macchina accesa, forse la mise in un garage, forse si accovacciò a guardare qualcosa nel tubo di scappamento...

Luis terminò la sua spiegazione di fronte al comandante e al ministro della sanità, dislocato a Lleida per l'occasione – e di fronte ai fotografi. Erano rimasti d'accordo che sarebbe stato Luis, come sempre, colui che avrebbe fatto la presentazione pubblica – Artur era un po' goffo in contesti del genere, “tanto ufficiali”, e tirava fuori d'improvviso questioni sconvenienti. La presentazione andava liscia come l'olio. Il ministro tutto impettito: un medico spagnolo aveva trovato il rimedio a tempo di record – per fortuna non era terminato il su contratto – due specialisti spagnoli avevano identificato il focolaio iniziale, che era prima di tutto del tutto inusuale... Il sistema di scienza e salute spagnolo era uno dei migliori del mondo.

- Come si è formato il super-pneumococco – è ancora un mistero, anche se relativo. Le stazioni di servizio si vedono obbligate ad utilizzare molti biocidi – antibiotici, in realtà – per evitare la proliferazione batterica nelle loro cisterne. Come ben sapete, di tanto in tanto devono alternare i diversi biocidi perché, dopo averli usati a lungo, i batteri delle cisterne diventano resistenti. Se non si miscelasse il biodiesel al carburante questo non accadrebbe, ma attualmente per legge il 7% della miscela in Europa ed il 15% negli Stati Uniti dev'essere biodiesel. Così che nella sua stazione di servizio si sviluppa continuamente una lotta per mantenere l'infezione del combustibile a bada. Infezione dovuta a microorganismi che colpiscono gli esseri umani a che ora colpiscono le macchine perché diamo loro un'alimentazione da esseri umani (il biodiesel deriva da grassi vegetali) – l'ultima frase l'aveva scritta Artur, come tutte le precedenti, e la lesse quasi senza rendersene conto, abbassando la voce nel finale. Il ministro si accigliò. “Accidenti Artur, mi hai giocato, ho dovuto dribblare un'impertinenza”. Artur abbozzò un mezzo sorriso ironico, indovinando il pensiero dell'amico.

- Ma – proseguì, prestando più attenzione alla parte successiva che stava per leggere nelle note della presentazione – siccome le macchine non hanno un sistema immunitario, bisogna continuare a medicarle alla cieca e non sono in grado di eliminare i residui organici al loro interno. E' solo questione di tempo e, a forza di combinare antibiotici, un ceppo diventerà sufficientemente resistente a tutti loro. Teoricamente, dopo diverse decine di generazioni (ciò è rappresentato da giorni o settimane, nel caso di un batterio) il batterio si è evoluto tanto da perdere la capacità di infettare gli esseri umani. Tuttavia, un qualche processo di ricombinazione fra batteri, già all'interno della cisterna della stazione di servizio o in una macchina, potrebbe dar luogo a un super batterio, Poco probabile,  infinitesimalmente probabile in realtà, ma stiamo ripetendo questo esperimento migliaia, forse milioni di volte, su scala mondiale. Se un tale legame evolutivo è possibile, è questione di tempo il fatto che alla fine si produca. E' ciò che è accaduto qui. Ciò che è successo, per tragico e terribile che sia stato, ha dimostrato che i sistemi di risposta ed allerta sanitaria spagnoli funzionano e sono efficaci. Dall'altro lato, questa tragedia rivoluziona il nostro concetto delle malattie infettive ed apre una nuova strada per la ricerca sulle malattie infettive e la biotecnologia, discipline nella quali la Spagna è un paese di riferimento...”. La presentazione di Luis continuava con le sue note ed il ministro sorrideva, orgoglioso. Era il momento che Artur uscisse fuori, a prendere aria.

***********

- Questa è come una zoonosi – decretò Luis – ma al posto di animali come vettori della trasmissione, abbiamo delle macchine.

- Una meccanosi - rifletté Artur, con riluttanza, ma inconsciamente continuando con lo scherzo nei confronti dell'amico.

- Esatto! Una meccanosi! - euforia di Luis – alla fine abbiamo trovato il termine per concludere la relazione.

La relazione, pensò Artur. La lieta relazione. Più di 10.000 persone morte in tre frenetiche settimane e l'unica cosa che interessava a Luis era la fottuta relazione. Perlomeno, ad Artur rimaneva la consolazione di aver fermato l'epidemia prima che si propagasse in modo esplosivo per tutto il paese e, forse, per tutto il continente o in tutto il mondo. Rabbrividì. Il caso aveva voluto che il il batterio fosse molto rapido a causare la morte. Cosa sarebbe successo se fosse stato ugualmente letale ma il suo tempo di incubazione e sviluppo dei sintomi fino alla morte fosse stato più lento, diciamo di una o due settimane? In quel periodo di tempo praticamente tutto il mondo avrebbe potuto infettarsi. Scosse la testa. Meglio non pensarci.

- Bisogna immediatamente sigillare tutte le stazioni di servizio per fare analisi e ispezioni – disse infine – e sicuramente quelli in altro dovranno pensare di proibire l'uso dei biocombustibili... - disse quest'ultima cosa con un mezzo sorriso, quasi un ghigno - … c'è troppo denaro in gioco, sicuramente cercheranno una scusa per non farlo...

- Meglio per noi! - disse Luis, sempre più euforico, di fronte allo sguardo attonito di Artur – ora avremo lavoro a bizzeffe! Ti rendi conto, Artur? Migliaia di pompe di benzina da controllare, centinaia di migliaia di analisi da fare. Dovranno darci dei progetti, borsisti, apparecchiature... soldi, Artur, soldi! Questa epidemia ci permetterà di tornare alla prima divisione di ricerca microbiologica.


Artur aveva le opzioni o di dare un pugno in faccia al suo amico e di andare in bagno a vomitare. Scelse la seconda.

mercoledì 29 maggio 2013

Strategie di comunicazione sul cambiamento climatico secondo Peter Sandman





Di Max Iacono

Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR


Nel considerare il da farsi e poi decidere collettivamente di farlo, le strategie di comunicazione identificate nell'articolo di Peter Sandman (che potete trovare qui) possono essere molto utili da tenere in conto.

Sandman fa un lavoro davvero buono nell'analizzare “l'essenza della negazione” - una cosa che egli correttamente indica come diverso da ciò che comunemente chiamiamo “negazionismo” del cambiamento climatico. Egli analizza anche come avere a che fare con la cosiddetta dissonanza psicologica che può finire per rinforzare l'essere nella negazione piuttosto che alleviarla, se vengono usate la comunicazione sbagliata e le strategie di confronto. Sandman è anche attento nel dire ciò che segue nelle sue note conclusive:


“Infine, un promemoria cruciale: non preoccupatevi tanto del negazionismo da dimenticare l'apatia. E, infatti, non immaginate che l'apatia e la negazione siano tutto ciò che c'è. Alcune persone sono ancora inconsapevoli che il riscaldamento globale sia un problema a cui dovrebbero pensare. Alcuni hanno acquisito della disinformazione che impedisce loro di coinvolgersi, altri sono già dalla nostra parte ed hanno bisogno di sostegno anche di più di quanto non facciano ora. La negazione è un aspetto del rischio della comunicazione sul cambiamento climatico. Credo che sia importante, in crescita e trascurata. Ma non è tutto il gioco”. 

Quindi, una buona strategia locale potrebbe alla fine cercare di funzionare “su tutta la linea” rispetto ai problemi precedenti. Cioè, essere nella negazione, cercare di ridurre la dissonanza interna, apatia, ignoranza, essere sotto l'influenza del negazionismo climatico, inerzia generale, sentirsi isolati o senza sostegno o più semplicemente vivere sotto la preoccupazione dominante di ogni tipo di cose della vita quotidiana e la necessità attuale di sopravvivenza personale e famigliare.

Ciò che io ho personalmente preso dalla lettura dell'articolo di Sandman è infatti molto semplice: Confrontati rispettosamente con gli altri, dì la verità, stai calmo ed evita i viaggi inappropriati del tuo ego di diverso genere. In altre parole, tratta semplicemente gli altri nel modo in cui generalmente si vuol essere trattati. Decenni di studi in psicologia cognitiva da Leon Festinger in poi, sembrerebbero aver concluso ciò che era probabilmente conosciuto già ragionevolmente bene.

Penso anche che molto può essere appreso da diversi attivisti del clima o “credenti del cambiamento climatico” su come comunicare meglio con gli altri, guardando da vicino al singolo caso che conosciamo meglio. Cioè noi stessi.

Un'onesta introspezione ed una auto valutazione di sé stessi come singolo caso di studio può rivelare con precisione – o perlomeno con ragionevole precisione – perché e come ognuno di noi che ora “crede nel cambiamento climatico” o è un attivista di un genere o di un altro è arrivato a pensare ed agire nel modo in cui agiamo ora. Qualcuno ci ha dato la forza? Ci siamo convertiti assistendo ad un singolo incontro? Come esattamente siamo giunti a pensare o agire come pensiamo ed agiamo? Quali caratteristiche della personalità  o altri aspetti, o attitudini, o valori, o idee, o predisposizioni sono state coinvolte o hanno giocato un ruolo? Quali contesti particolari, o situazioni, o eventi specifici, o “punti di svolta” del percorso della nostra vita personale ha fatto la differenza? Cosa ci motiva ora? Cose ci demotiva? Perché? A parte i benefici in termini di come immaginare di comunicare meglio con o di influenzare gli altri, un tale e onesta auto valutazione ha ogni sorta di altri benefici personali.

E ancora, ciò ha a che fare con cose conosciute da molto tempo, vale a dire “Conosci te stesso”, come scritto da Platone su Socrate. E' conoscendo onestamente e meglio sé stessi che possiamo anche giungere a capire meglio ciò che rende gli altri seccanti. Naturalmente, ogni sorta di meccanismo psicologico di difesa (negazione e aver a che fare con la dissonanza sono solo alcuni; repressione, razionalizzazione, dissociazione, separazione, proiezione ed altri descritti da Freud e/o da altri in seguito) entra spesso in gioco e tipicamente ci impedisce dal fare questo in modo appropriato o accurato. Un eccellente riferimento sull'interazione fra vari meccanismi di difesa psicologici e di come l'esperienza personale fra gli esseri umani sia spesso “negoziata” (o negata, ecc.) si può trovare in “La politica dell'esperienza”. Parlando in generale, non NON siamo particolarmente trasparenti con noi stessi, più che altro l'opposto, verrebbe da dire. Per esempi, possiamo negare ciò che progettiamo, reprimere ciò che neghiamo, razionalizzare ciò che vogliamo credere e diverse altre interazioni particolarmente insidiose del suddetto meccanismo di difesa che possono aver luogo regolarmente nella nostra mente.

Ma non penso che dobbiamo diventare tutti esperti di psicologia clinica o psichiatri per fare un lavoro di comunicazione sul cambiamento climatico, sulla consapevolezza e sull'azione. Tutto ciò che dobbiamo fare è essere rispettosi degli altri – allo stesso tempo di noi stessi – ed attenerci ai fatti ed alla verità (quella scientifica, sociale, mediatica, politica e forse anche quella psicologica) e saremo oltre la metà dell'opera. Ricordare anche che spesso quando si dice la verità al momento giusto non c'è necessità di gridarla o di sbatterla in faccia , visto che in genere sussurrarla è più che sufficiente.

lunedì 27 maggio 2013

Dio e l'entropia

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

Cari lettori,

nell'ultimo post abbiamo parlato un tema molto interessante, specialmente per me, considerando la mia formazione come fisico statistico: la relazione fra l'evoluzione e l'entropia. Dato che il tema si presta troppo all'introduzione di gergo tecnico che tende ad allontanare il lettore medio, ma al quale mi rifiuto di non dare qualche pennellata in più, proverò a fare un post breve esponendo in modo semplice alcune riflessioni integrative a quelle già espresse.

Come si è già detto, esiste un'apparente contraddizione fra i concetti di entropia e di evoluzione. Ma cerchiamo di essere più precisi, visto che questa frase così formulata non ha molto senso.

Da un lato abbiamo che il Secondo Principio della Termodinamica implica la crescita continua dell'entropia in tutti i sistemi isolati. La crescita dell'entropia significa che l'energia si va disperdendo, da forme più organizzate (su scala umana o più grande) a forme più disorganizzate (movimenti microscopici, che sulla nostra scala percepiamo solo come calore). Insomma, l'energia non si perde (l'energia cinetica delle molecole più la loro energia potenziale sarà la stessa), ma è meno utile perché è dispersa (per esempio, se tutte le molecole di una palla si muovono nella stessa direzione, quella palla si potrà usare per azionare un meccanismo e fare un lavoro utile, mentre se quelle molecole si muovono alla stessa velocità ma descrivendo cerchi microscopici senza che la palla nel suo insieme vada da nessuna parte, questo movimento non potrà essere sfruttato su scala umana). L'aumento dell'entropia ci dice che ogni volta che volessimo sfruttare un movimento ordinato generiamo una certa quantità di movimento disordinato (calore nelle zone di attrito, pezzi che si rompono, ecc) che non si può più recuperare. Semplicemente questo. La crescita inesorabile dell'entropia implica che alla fine tutto il movimento sarà caotico e non ci sarà più lavoro utile che si possa realizzare (energia).

Dall'altra parte, gli esseri viventi si trovano in una eterna lotta contro l'entropia. Il catabolismo degli organismi complessi permette loro di combattere gli errori e le imperfezioni che vanno emergendo: le cellule di un organismo vivono un certo tempo per rendere meno probabile che il loro programma di riproduzione degeneri ( e si trasformino in cancro) e in seguito vengono distrutte mentre altre nuove le sostituiscono, con un sistema immunitario specializzato che distrugge in continuazione tumori incipienti. Questa lotta degli individui contro il disordine che comprometterebbe la loro sostenibilità fisiologica, può andare avanti solo per un tempo limitato, quello che chiamiamo tempo di vita. Alla fine, gli individui stessi sono programmati per degenerare ed alla fine morire, il che evita che si trasmettano variazioni specialmente dannose (immaginate che una mutazione rendesse capace un uomo di fecondare molte femmine ma che la sua progenie fosse sterile). Dall'altra parte, le specie hanno anche i propri meccanismi per lottare contro l'entropia: essenzialmente, questo meccanismo è l'evoluzione.

Tuttavia, l'evoluzione in realtà non è un meccanismo, ma un risultato: le specie si evolvono come risultato di una continua lotta per le risorse in un ambiente ostile, in cui solo, o principalmente, sopravvivono gli individui più adatti e trasmettono i proprio tratti alla generazione successiva. In molti sensi, l'evoluzione funziona in modo simile a un dispositivo meccanico chiamato in inglese ratchet (cricco):


Un cricco è una ruota dentata che non può tornare indietro, può girare solo in una direzione (visto che il fermo che ha evita che possa retrocedere). Un cricco è un modello per spiegare quello che succede con le cosiddette nanomacchine, le quali sono in grado di sfruttare l'energia diffusa nell'ambiente per fare lavoro utile (anche se su scala microscopica, molto lontana da quella umana). Di fatto, molti dei meccanismi comuni degli esseri viventi a livello molecolare sono fondamentalmente delle nanomacchine (dal funzionamento dei ribosomi fino alla trascrizione del DNA). Su scala spaziale e temporale completamente diversa, l'evoluzione è il risultato della presenza di un meccanismo che inibisce il tornare indietro come fa un cricco. In questo caso, la sopravvivenza del più adatto. Il mio punto di vista è pertanto coincidente con quello di Gabriel in due aspetti: la similitudine su tutte le scale dei comportamenti effettivi che governano il comportamento dei sistemi viventi e il fatto che gli esseri viventi vivano in una perenne lotta contro l'entropia.

In realtà, come indicava Rubik, gli esseri viventi si possono considerare come fonti di neg-entropia, come organismi che vivono grazie alla capacità di ridurre la propria entropia incrementando quella introno a sé. Ed è che il Secondo Principio della termodinamica continua ad essere ineludibile, ma si può vivere addossando ad altri l'eccesso di entropia generata dalla nostra attività. Di fatto, vivere significa proprio questo. Se si guardano le cose in prospettiva, in realtà ciò che è importante non sono i flussi di energia (posto che l'energia in realtà è costante), ma i flussi di entropia. Inoltre: in realtà le fonti di energia sono riserve di bassa entropia pronte perché noi le usiamo. Dal questo punto di vista, la sintesi del petrolio è un processo che da luogo ad una sostanza di bassa entropia dalla quale risulta facile stabilire un flusso di entropia.

Gabriel termina la sua riflessione con una visione spirituale di ciò che significano evoluzione ed entropia. Non sono solito opinare le visione e le credenze di altri, ma in questo caso la mia opinione è sostanzialmente opposta a quella di Gabriel. Gli esseri umani, osservando la meraviglia della Natura, tendono a pensare che esiste una grande volontà sovrannaturale che ha disegnato ed eseguito tale prodigio di organizzazione. Essenzialmente, questa volontà divina equivale a presupporre che esista una capacità di interazione su scala globale: questo Dio onnipotente conosce tutto ed è capace di muovere dall'atomo più piccolo disperso nella polvere cosmica ad una gigante e, grazie a questa capacità prodigiosa, l'Universo si presenta tale e quale lo vediamo. Tuttavia, la nostra conoscenza del mondo fisico ci indica che in realtà le interazioni sono molto localizzate; le interazioni di lungo raggio, come la gravità o l'elettromagnetismo, perdono forza molto rapidamente con la distanza dal punto focale che le genera e il resto delle interazioni sono presenti solo a corto raggio. Ma ciò che ci dice a proposito la fisica statistica è che con le interazioni a corto raggio e con le regole locali si possono avere comportamenti emergenti, auto-organizzazione e l'evoluzione e le nanomacchina sarebbero esempi proprio di questo, di isole di poca entropia in un mare di entropia crescente. Il grande vantaggio dei principi locali (sopravvivenza del più forte in un ambiente dato, movimento del motore in una direzione concreta definita dall'ambiente) è che molto poco costosi energeticamente (o, per meglio dire, entropicamente), visto che non è esatto interagire con parti molto lontane, solo con quelle a portata di mano. E con questi principi può finire per emergere una realtà molto ricca e diversa. Tuttavia, data le brevità della portata di queste interazioni, i disegni risultanti peccano di scarsa lungimiranza, visto che non rispondono a fattori lontani nello spazio e nel tempo, e quindi questi organismi o strutture non sono in grado di adattarsi a variazioni che sono prevedibili da una visione globale e vivono sempre sull'orlo dell'estinzione, che disgraziatamente sopraggiunge con molta frequenza come si può vedere se si guardano le registrazioni dei fossili.

Avere una visione globale permetterebbe di fare progetti capaci, resistenti e resilienti. Se l'Uomo potesse avere questa visione a lungo raggio potrebbe prevedere quello che gli sta per succedere e prendere decisioni più intelligenti, ma il suo stesso cervello è programmato per il corto raggio, per il breve periodo. Dio potrebbe fare progetti perfetti ed efficaci ma, per nostra disgrazia, in tutta la meraviglia della Natura non si vede apparire la mano di Dio da nessuna parte: Entropia 1, Dio 0.

Saluti
AMT

domenica 26 maggio 2013

Il picco dell'uranio


Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR



Un post non recentissimo di Antonio Turiel, ma che rimane sempre molto valido, anche in luce del recente aggiornamento sulle risorse di uranio disponibili da parte dell'Energy Watch Group. I dati più recenti confermano la possibilità di un declino produttivo dell'uranio minerale nei prossimi anni. 


di Antonio Turiel

Cari lettori,

in seguito ad un breve scambio dialettico in un forum riguardo ad una notizia pubblicata su elpais.com nel fine settimana, ho voluto rivedere qual è lo stato della produzione di uranio e di energia elettrica di origine nucleare, per chiudere alcuni fianchi di quella discussione (ampliando così un post precedente). Con questo cerco anche di fare un post tematico associato ai limiti dell'uranio, all'interno del mio piano di completare un post su ognuna delle quattro risorse energetiche non rinnovabili (petrolio, carbone, gas e uranio); il post del gas spero arriverà presto. 

La prima cosa da chiarire è che qui non parlerò dei fast breeders (reattori capaci di consumare qualsiasi combustibile nucleare e rigenerarne di nuovo a partire da elementi come il torio), né di fonti alternative di uranio, come i fosfati o l'uranio marino. In quanto ai primi, come spiega Michael Dittmar nel suo rapporto del 2009, dopo 50 anni di sperimentazioni, ancora non siamo giunti al livello di fare un reattore commerciale praticabile. In quanto alle seconde, ancora non si è trovato un modo economico ed energeticamente praticabile di sfruttarle. Preferisco parlare di false soluzioni in un post a parte, per evitare di mescolare le realtà attuali dure e crude coi presunti miracoli tecnici coi quali non abbiamo ancora idea di come fare, ma che ci dovranno salvare in un futuro dalla data indefinita. 

A qualche lettore potrebbe non piacere questa dissociazione, ma io la ritengo necessaria per due motivi: uno, per non rendere farraginosi i post con spiegazioni multiple, a volte chiaramente ortogonali; e due, perché data la situazione attuale, con una crisi economica strutturale in corso probabilmente per tutto il tempo di vita che rimane alla società industriale, è più che dubitabile che si investa ancora più denaro su queste false soluzioni. Detto questo, voglio registrare che questi due temi (fast breeders e fonti alternative di uranio) non sono gli ultimi arrivati, ma vecchie conoscenze nelle quali si sono già investite ingenti quantità di denaro e le loro prospettive non sono nemmeno lontanamente positive come vorrebbero vendere coloro che le propongono. Se i lettori lo chiedono, in futuro ne parleremo. 

Analizziamo, quindi, qual è la situazione della produzione di uranio e di energia elettrica di origine nucleare. Come si può vedere nelle tabelle storiche di Michael Dittmar, l'estrazione (mineraria) di uranio è stata abbastanza stagnante dal 2005 con circa 45.000 tonnellate di uranio naturale, per poi riprendere l'anno scorso giungendo fino a 50.000 tonnellate (riferimento qui), grazie all'aumento considerevole della produzione del Kazakistan. Al contrario, la produzione di energia elettrica di origine nucleare, che sta diminuendo dal 2000, ha continuato in questa tendenza fino al 2009, secondo i dati dell'Associazione Nucleare Mondiale (World Nuclear Association). Non c'è da aspettarsi un cambiamento di tendenza prima del 2011 dati i tempi caratteristici di costruzione e messa in opera di nuove centrali e la mancanza di progetti in atto da qualche anno a questa parte. Ultimamente, tuttavia, si osserva una tendenza crescente a cominciare nuovi progetti di centrali, soprattutto in Cina e, in misura minore, in Giappone (Turiel scrive, ovviamente, prima dei fatti di Fukushima, l'articolo è esattamente del 14 luglio 2010, ndt). 

Quando tentiamo di collegare di uranio col suo consumo nelle centrali nucleari, i problemi cominciano ad affiorare e le prospettive di futuro diventano abbastanza inquietanti. La prima questione che richiama l'attenzione è che nel mondo si sono consumate, lo scorso anno, circa 66.000 tonnellate di uranio naturale, mentre l'estrazione né ha fornite solo 50.000 (il 76%). Le altre 16.000 tonnellate provengono, come abbiamo già detto, dalle riserve secondarie, cioè dall'uranio estratto precedentemente e che si trovava stoccato agli imbocchi delle miniere in magazzini speciali o sotto forma di armi atomiche, una volta arricchito. Michael Dittmar stimava, lo scorso anno, che le riserve civili di uranio erano inferiori alle 50.000 tonnellate, per cui al ritmo di consumo attuale delle riserve secondarie, si esaurirebbero in tre anni; alcuni indizi indicano al fatto che queste riserve siano già praticamente esaurite. Così le cose, restano solo 500.000 tonnellate di riserve secondarie militari, ripartite fra la vecchia Unione Sovietica (270.000 tonnellate) e gli Stati Uniti. Il numero di 500.000 tonnellate è una stima ancora più incerta di quella delle riserve civili (pensate né le une né le altre vengono dichiarate e che il Dr. Dittmar le calcola in funzione dei ritmi storici di estrazione dell'uranio e la sua differenza con il consumo registrato nelle centrali nucleari). Queste riserve permetteranno di sopperire una differenza fra produzione e consumo di uranio come quella attuale per 30 anni; tuttavia, non è sicuro che gli Stati Uniti e i paesi della vecchia Unione Sovietica mettano realmente tutto questo stock nel libero mercato. Ragionevolmente possiamo contare come massimo sulla metà, vale a dire la fornitura che manca per i prossimi 15 anni. 

E' il caso di dire che dal 1994 la Russia sta esportando uranio proveniente dallo smantellamento dei propri missili negli Stati Uniti perché venga consumato nelle centrali nucleari americane, fino al punto che al momento il 50% dell'energia elettrica di origine nucleare statunitense proviene da questa fonte. L'attuale contratto di fornitura scade nel 2013 e i russi hanno già annunciato che non hanno intenzione di rinnovarlo. Intanto, sembra che gli americani stiano mettendo una certa quantità di uranio proveniente dallo smantellamento dei propri missili sul mercato (conviene ricordare che l'estrazione di uranio negli Stati Uniti è oggigiorno del tutto marginale, di circa 1.200 tonnellate, 18 volte in meno del proprio valore massimo di 20.000 tonnellate nel 1980). 

E' importante notare qui che lo spettacolare aumento della produzione di uranio naturale del Kazakistan è abbastanza sorprendente, visto che se le sue miniere erano tanto produttive, sarebbero già state in produzione quando la repubblica faceva parte dell'URSS. Rientra fra le possibilità il fatto che il Kazakistan, un paese che non è proprio un modello di trasparenza, stia “producendo” uranio naturale che ha un'origine militare e questo comporterebbe che una parte della sua produzione andrebbe a discapito di certe armi nucleari smantellate e le sue riserve potrebbero esaurirsi prima del previsto. 


Nel grafico qui sopra è mostrato sotto forma di curva solida colorata l'evoluzione passata e prevista dell'estrazione di uranio, estratta (pagina 5) dal rapporto “Uranium resources and nuclear energy” (rapporto UR&NE in quella seguente), dell'Energy Watch Group, un gruppo di scienziati tedeschi che cercano di trovare soluzioni alla crisi energetica. Il rapporto è del 2006, ma per il momento le sue previsioni si stanno dimostrando abbastanza affidabili. Nel grafico si identifica un picco primario che ha avuto luogo nella parte storica del grafico (prima del 2006), verso il 1980, con una produzione di circa 70.000 tonnellate di uranio naturale. Andando all'evoluzione prevista dell'estrazione di uranio , il grafico mostra che, secondo l'affidabilità che uno attribuisce alle differenti categorie di riserve di uranio (con colori diversi; commenteremo più tardi queste categorie) il picco di produzione si può indicare tanto nel 2015 che nel 2025 che nel 2040. Nello stesso grafico viene anche rappresentata l'evoluzione passate e prevista del consumo di uranio, sotto forma di linea nera marcata che a partire dal 2006 si scompone in tre linee, a seconda dei tre scenari di riferimento della IEA: mantenimento di una capacità costante (linea orizzontale di tre tratti lunghi); scenario di riferimento, con una crescita della domanda moderata (linea continua con pendenza moderata) e scenario di politiche aggressive per combattere il cambiamento climatico (linea punteggiata con pendenza ripida).

La prima cosa che richiama l'attenzione di questo grafico è che fino al 1990 la domanda è molto al di sopra dell'estrazione. Questo fatto non è particolarmente sorprendente, visto che dall'introduzione del programma “Megatons to megawatts” si sta dirottando uranio militare russo per essere usato in centrali nucleari, diminuendo la possibilità di una proliferazione nucleare incontrollata a causa della caduta dell'URSS. Vediamo, ancora una volta, il forte impatto economico della decomposizione dell'URSS, visto che la sua disintegrazione ha fermato la folle corsa agli armamenti che aveva portato ad un'estrazione accelerata dell'uranio e, in ragione della necessità di controllare gli armamenti, ha affondato il prezzo dell'uranio e condannato alla chiusura molte miniere, persino quelle sostenibili economicamente, perdendo così infrastruttura estrattiva.

Negli ultimi anni si osserva una tendenza al recupero dell'estrazione di uranio, visto che la ricollocazione strategica della Russia ha diminuito il flusso del proprio uranio militare, come abbiamo già detto. Richiama l'attenzione, tuttavia, che nonostante l'aumento estrattivo previsto, il deficit di uranio estratto non potrà essere compensato fino a circa il 2020 nello scenario di stagnazione della domanda, fino al 2025 nel caso dello scenario di riferimento e mai nel caso delle politiche aggressive contro il cambiamento climatico. A seconda di quanto è aumentata la produzione di uranio e della quantità di uranio che gli Stati Uniti e l'ex URSS immettano nel mercato, si possono verificare problemi di scarsità di uranio in qualsiasi momento durante i prossimi 15 anni, prima del declino che, al più tardi, comincerà nel 2040, forzi questa scarsità. Il punto più preoccupante è che ci sono indizi fondati del fatto che alcune categorie di uranio raccolte nel grafico, che ora commenteremo, siano particolarmente o totalmente speculative.

Come dice il rapporto, l'abbondanza di uranio da un minerale sfruttabile deve avere una concentrazione minima perché ne compensi l'estrazione di fronte all'energia che costa estrarre l'uranio dalla roccia e l'energia che si consuma per gestire le scorie dopo averlo usato nelle centrali (calcolati, questi ultimi, secondo lo standard dell'industria di 60 anni, il che è uno scherzo se si tiene conto che sono pericolosi per centinaia di migliaia di anni, il che può portare a problemi aggravati già commentati qui). A seconda della durezza della roccia, la concentrazione minima energeticamente sostenibile si trova fra lo 0,01 e lo 0,02% di ossido di uranio in concentrazione (cioè, si devono triturare 10 tonnellate di roccia per recuperare da uno a due chili di ossido di uranio che in seguito dev'essere purificato ed arricchito). In realtà, la distribuzione dei giacimenti di uranio fa sì che la maggioranza delle riserve di uranio si trovino al margine delle concentrazioni più piccole (come mostra il grafico che segue, estratto dal UR&NE, pagina 10).


Le tre categorie di uranio di cui parlavamo prima e che conducevano a tre possibili picchi di estrazione di uranio rispondono a criteri probabilistici ed economici. Le prime due sono ciò che conosciamo come Risorse Ragionevolmente Sicure (Reasonably Assured Resources, RAR), che, come indica il nome, sono riserve delle quali si ha una certa sicurezza riguardo alla loro esistenza nel deposito geologico (normalmente perché l'estrazione delle stesse è già iniziata e si sa che c'è uranio e si ha una qualche idea di quanto ce ne sia). La differenza fra i due tipi di RAR è il costo o prezzo di estrazione: fino a 40$ per chilogrammo e fino a 130$ al chilogrammo (il secondo tipo comprende il primo, ovviamente). Il terzo tipo di riserva di uranio è quello che si conosce come Risorsa Dedotta (Inferred Resource, IR), la quale è di natura speculativa. Anche se la divisione in tipi è più dettagliata di questa versione semplificata, per gli effetti di questa esposizione, queste tre grandi categorie sono sufficienti. Essenzialmente, l'unica categoria che ha una certa affidabilità è il primo tipo di RAR, che corrisponde grosso modo al concetto di riserva provata nel caso del petrolio. Il secondo tipo di RAR include il primo e in più l'uranio il cui costo di estrazione supera i 40$. Anche se il criterio di separazione è economico e non energetico, è facile supporre che il maggior costo corrisponde alla minore concentrazione del minerale. Alla fine, una parte di questi minerali finiscono per essere non sfruttabili a causa dell'eccessivo costo energetico di estrazione. In quanto alle IR, diciamo semplicemente che ai problemi di scarsità di concentrazione si aggiunge la difficoltà di sapere se la risorsa ci sia realmente o no. 

La storia dimostra che i dati sulle riserve di uranio (RAR dei due tipi e IR) di solito sono molto sovrastimate, come vedremo negli esempi che discuteremo in seguito.

Il primo grafico rappresenta la produzione accumulata di uranio in Francia durante gli anni (curva piena di colore marrone). Com'è logico, questa curva cresce sempre fino a giungere al suo massimo, dove si ferma (quando non si estrae già più uranio). Le barre colorate sovrapposte rappresentano le stime che si stavano facendo su quanto uranio ci fosse (contando quello già estratto). Teoricamente, l'atezza di queste barre dovrebbe essere costante ed uguale all'altezza massima a cui può giungere la barra marrone, ma come vediamo non è così, vediamo che al principio erano altissime. Proprio nel momento in cui la produzione è giunta al proprio zenit (massima derivata dalla curva di produzione accumulata, cioè, la pendenza massima della curava marrone che vediamo), fino al 1990, viene fatta una revisione al ribasso di quanto si potrà estrarre, spinti da ciò che nella realtà producevano le miniere. Sicuramente è stata sovrastimata la quantità estraibile sottostimando i costi di estrazione. Significativamente, poco prima del 2000 viene fatta una nuova stima e la barra rossa ora coincide con ciò che alla fine si è estratto in Francia (la Francia non produce più uranio). 

Il secondo di questi grafici corrisponde alla produzione degli Stati Uniti ed il suo contenuto si interpreta allo stesso modo. Come la Francia, giungendo al proprio zenit di produzione (verso il 1980), le riserve vengono revisionate drasticamente al ribasso. Un'altra caratteristica preoccupante di queste curve è che dopo lo zenit la produzione cade rapidamente, il che si manifesta per il poco che sale la curva marrone dopo l'arrivo della pendenza massima (chi si perde in queste nozioni di calcolo differenziale può trovare le curve di produzione nel rapporto UR≠ non le metto qui per non sovraccaricare il post). 

La conclusione è, pertanto, che le riserve sono probabilmente più sopravvalutate che sottovalutate e che la curva di produzione può sensibilmente decadere più rapidamente di quanto ci si aspetti. Tutto ciò rende più verosimile lo scenario di un picco dell'uranio nel 2015 che nel 2040. Solo il tempo dirà quale sia la situazione reale. Ciò che pare chiaro è che un dispiego di energia nucleare su grande scala non è praticabile, visto che anche nello scenario migliore (picco nel 2040), la mancanza di riserve secondarie rende impraticabile una grande crescita del parco di centrali nucleari. Il massimo a cui possiamo aspirare è più o meno mantenere quello che c'è e sperare che il picco dell'uranio si nel 2040 e non nel 2015. 

Per concludere questo lungo post, voglio aggiungere un paio di commenti.

Nella discussione sul elpais.com, qualcuno ha citato le enormi risarve che ha la Spagna che si presume non vengano sfruttate per la cattiva coscienza politica. Nel rapporto UR&NE si danno le riserve attuali della Spagna (pagina 28): 7.400 tonnellate di RAR al di sopra dei 40$(Kg e 6.400 tonnellate delle peggiori IR. La Spagna ha prodotto 6.100 tonnellate nella sua storia ed ora non produce uranio. Probabilmente le sue riserve sono solo marginalmente sfruttabili. 

Un tema ricorrente, che è uscito anche nella discussione, è stata la questione del fatto che l'uranio si ripercuote molto poco sul prezzo finale dell'energia elettrica che con esso viene generata e anche se il prezzo dell'uranio salisse molto di più, sarebbe ancora redditizio. Questo argomento sembra presumere che estrarre più uranio sia una questione di denaro. Non lo è. Alla fine il grande limite è il rendimento termodinamico o EROEI. Di fatto, il rendimento economico finisce per essere sottoposto a quello energetico e non il contrario, come abbiamo già detto diverse volte. Dall'altro lato, la presunta redditività di un uranio molto più caro sembra discutibile: nel 2007 l'uranio ha raggiunto il proprio picco dei prezzi, sulla falsariga di quello che ha fatto il petrolio nel 2008. Naturalmente il picco è stato spiegato in termini di fattori congiunturali, ma non è meno significativa la sua prossimità temporale col picco dei prezzi del petrolio e il fatto che la produzione di energia elettrica di origine nucleare continui a diminuire (non bisogna dimenticare che per estrarre uranio, soprattutto in luoghi remoti, si consumano ingenti quantità di petrolio). 

E, bene, nella discussione emergono sempre i sostenitori dei fast breeders e della fusione nucleare, che risolveranno tutto. Prima che ciò avvenga, è il caso di ripetere che è da anni che si sperimenta con i fast breeders senza ottenere il prototipo commercialmente praticabile. E, rispetto alla fusione, sapete già che mancano sempre 50 anni perché giunga il primo reattore a fusione commerciale.

Saluti.
AMT

P. S. Quello con la maglietta rossa sono io. L'ho comprata da tempo, non ha nulla a che vedere con la nazionale di calcio.