martedì 21 agosto 2012

Gli esseri umani sono troppo insignificanti per condizionare il clima?

Da Cassandra's Legacy. Traduzione di Massimiliano Rupalti


Gli esseri umani sono davvero così piccoli ed insignificanti che le loro attività non hanno alcuna influenza sul clima? Alcune persone lo sostengono ma, se siete anche voi di questa opinione, dovreste cambiare idea una volta che avrete letto quanto le attività umane influenzino la crosta terrestre. Per esempio, la quantità di roccia e suolo che movimentiamo ogni anno potrebbe riempire il Gran Canyon in circa 50 anni.



Estratto da un libro in preparazione di Ugo Bardi - titolo provvisorio "risorse minerali e il futuro dell'uomo”

Le quantità di minerali estratte oggigiorno sono immense e diventano anche più grandi se consideriamo come “estrazione” anche l'uso del suolo fertile in agricoltura, suolo che viene consumato dal processo chiamato erosione. E' stato stimato che vengono erosi e scaricati negli oceani circa 4 miliardi di tonnellate di suolo agricolo ogni anno solo negli Stati Uniti (1). In tutto il mondo, la quantità totale è stata stimata in 75 miliardi di tonnellate all'anno da Pimentel et al. (2) e in 120 miliardi di tonnellate da Hooke (3). Queste quantità fanno sembrare insignificanti quelle create dall'erosione naturale, almeno di un ordine di grandezza più piccole.

A questa quantità collegata all'agricoltura dobbiamo aggiungere la quantità di roccia e sabbia spostata dall'industria dell'edilizia. Dai dati del USGS (United Staes Geological Survey), scopriamo che la produzione mondiale di sabbia e ghiaia potrebbe superare i 15 miliardi di tonnellate all'anno. La produzione mondiale complessiva di cemento nel 2008 è stata di 2,8 miliardi di tonnellate. La Cina, da sola, ne produce più di un miliardo di tonnellate all'anno, che sono circa 450 kg a persona di media. Secondo Bruce Wilkinson (4), possiamo visualizzare la quantità totale di roccia e suolo movimentati dagli esseri umani annualmente considerando che queste quantità sono “circa 18.000 volte quella dell'eruzione del Krakatoa, in Indonesia, nel 1883, circa 500 volte il volume del Bishop Tuff in California e circa due volte il volume del Monte Fuji in Giappone. A questi ritmi, questa quantità di materiali riempirebbe il Grand Canyon in Arizona in circa 50 anni”.


1) Azimut, 29 giugno 2011, John Baez http://johncarlosbaez.wordpress.com/2011/06/27/this-weeks-finds-week-315/ (Visitato il 12 agosto 2011)
2) David Pimentel; C. Harvey; P. Resosudarmo; K. Sinclair; D. Kurz; M. McNair; S. Crist;. L. Shpritz; L. Fitton; R. Saffouri; R. Blair. 1995, Science, New Series, Vol. 267, p. 1117-1123
3) Hooke, R.L.B., 2000, On the history of humans as geomorphic agents, Geology, v. 28 p 843-846
4) Wilkinson, Bruce, 2005, “Humans as geologic agents: a deep-time perspective”, Geology, 22 pp 161-164


domenica 19 agosto 2012

Una recensione di Giorgio Nebbia de "I limiti alla crescita rivisitati"

Ugo Bardi, “The Limits to Growth Revisited”, Springer, New York, 2011





Di Giorgio Nebbia

Due vite parallele a migliaia di chilometri di distanza. Un ingegnere nordamericano, Jay Forrester (nato nel 1918), specializzato nella progettazione dei calcolatori elettronici, docente nel prestigioso Massachusetts Institute of Technology, stava utilizzando, già negli annicinquanta, i calcolatori per risolvere dei problemi di previsione. Per esempio come cresce la produzione industriale in seguito alla crescita o alla diminuzione dei soldi disponibili; come la mobilità in una città è influenzata dalla crescita del numero degli abitanti, delle automobili o dei mezzi di trasporto pubblico. Forrester aveva chiamato “dinamica dei sistemi” lo studio dei rapporti fra fenomeni il cui cambiamento può essere previsto mediante equazioni matematiche differenziali. Per inciso, equazioni simili erano già state usate trent’anni prima, per descrivere come aumentano le popolazioni animali, dagli studiosi di ecologia, un esempio della unità dei fenomeni dell’economia e dell’ecologia. Forrester aveva pubblicato libri di grande successo come “Industrial dynamics” (1961) e “Urban dynamics” (1969).

Dall’altra parte del continente americano, in Argentina, un economista italiano, Aurelio Peccei (1908-1984), alto dirigente della Fiat e di imprese impegnate nella progettazione e costruzione di opere pubbliche nei paesi emergenti, aveva cominciato a chiedersi quale avrebbe potuto essere il futuro dell’umanità davanti ad una popolazione rapidamente crescente, ad una crescente richiesta di beni materiali e di risorse materiali; negli anni sessanta si cominciavano infatti a vedere i segni di quella che sarebbe stata chiamata la crisi ecologica.

L’incontro fra Peccei e Forrester, nel 1968, è stata l’occasione per progettare una ricerca sul futuro dell’umanità. Peccei aveva creato da poco il “Club di Roma”, un circolo internazionale di intellettuali attenti al futuro, che dette incarico a Forrester di analizzare il sistema planetario globale con le sue tecniche. Il risultato fu rivoluzionario. Nel 1971, quarant’anni fa, Forrester e i suoi collaboratori, i giovani coniugi Meadows, furono in grado di presentare al Club di Roma i risultati di uno studio che analizzava le conseguenze di una continua crescita della popolazione mondiale. Lo studio non faceva previsioni, ma indicava che la crescita della popolazione avrebbe richiesto una crescita della produzione industriale, della richiesta di prodotti agricoli alimentari e che di conseguenza si sarebbe verificata una crescita dell’inquinamento planetario e un impoverimento delle riserve di
risorse non rinnovabili come petrolio, carbone, minerali, eccetera.

Le anticipazioni dello studio cominciarono ad arrivare anche in Italia; furono inviate nel 1971 da Aurelio Peccei, presidente del Club di Roma, al Senato dove era in corso una indagine sui problemi dell’ecologia; furono oggetto di uno speciale fascicolo della rivista inglese “Ecologist”, subito tradotto in italiano da Laterza col titolo: ”La morte ecologica”, e alla fine divennero un agile libretto, pubblicato in molte lingue contemporaneamente, intitolato “I limiti alla crescita” (ma l’edizione italiana fu pubblicata con un titolo ingannevole, “I limiti dello sviluppo”). Nel libro erano contenuti alcuni grafici, ottenuti con i calcolatori elettronici, da cui appariva che se fosse continuata la crescita della popolazione mondiale ai ritmi che nel 1970 erano di
80 milioni di persone all’anno, un giorno non ci sarebbero state risorse e materie prime sufficienti e sarebbero scoppiati conflitti per la loro conquista, la scarsità di cibo avrebbe diffuso epidemie e morti per fame, l’inquinamento avrebbe diffuso malattie e le condizioni di vita della popolazione mondiale sarebbero peggiorate al punto da provocare un forzato declino del numero dei terrestri. Se ciò fosse avvenuto, la minore popolazione restante avrebbe potuto far fronte ai problemi di scarsità e di inquinamento. Altrimenti la crescita della popolazione e della produzione industriale e della pressione sull’ambiente sarebbero diventate un giorno insostenibili.

Il libro fu venduto nel mondo a milioni di copie, provocò innumerevoli dibattiti e critiche. Fu visto con interesse dal nascente movimento ambientalista (stiamo parlando del 1971-72); il mondo cattolico intravvide dietro le curve tracciate dai calcolatori lo spettro del detestato Thomas Malthus (1766-1843), l’economista inglese che per primo, nel 1799, aveva auspicato un controllo delle nascite; i comunisti sostennero che in una società socialista la pianificazione avrebbe risolto tutti i problemi. Ma soprattutto si arrabbiarono gli economisti che furono spietati nella critica di un testo che metteva in discussione il mito fondamentale della scienza economica, quello della crescita. Dopo pochi anni, peraltro, l’interesse per i “Limiti alla crescita” declinò; due aggiornamenti a venti e trenta anni dalla prima edizione passarono quasi inosservati. Finalmente, proprio in questo periodo di disordine economico mondiale, il prof. Ugo Bardi dell’Università di Firenze ha ripreso in mano lo studio del Club di Roma, analizzandolo alla luce di quanto è avvenuto negli ultimi decenni in un libro, pubblicato nel 2011 dall’editore internazionale Springer, col
titolo, tradotto in italiano: “I limiti alla crescita rivisitati”.

Il grande interesse del libro sta nella ricostruzione storica degli eventi che hanno portato alla pubblicazione, quarant’anni fa, del libro del Club di Roma, nella rassegna delle lodi e critiche che il libro ha suscitato nel mondo. Ma l’importanza del libro di Bardi sta soprattutto nell’esame di come sono cambiate, negli ultimi quarant’anni, le variabili allora considerate: il numero dei terrestri e le condizioni di benessere, la produzione di merci industriali e agricole, la disponibilità di risorse non rinnovabili e l’inquinamento ambientale. Purtroppo, al di là dei numeri assoluti, molte tendenze indicate nel libro si sono verificate: il prof. Bardi è il presidente della sezione italiana di una associazione internazionale per lo studio del “picco” del petrolio (ASPO) ch eanalizza come nel mondo, a mano a mano che “cresce” la domanda di una risorse non rinnovabile (sia petrolio o zolfo, litio o la stessa fertilità del suolo) l’entità delle riserve residue diminuisce e crescono le tensioni e le guerre per conquistare quanto resta: nello stesso tempo cresce l’inquinamento ambientale e crescono i danni alla salute e al benessere delle persone sia nei paesi ricchi sia in quelli poveri.

Il messaggio che emerge da una rilettura del libro sui “limiti alla crescita” non è di
disperazione; niente a che fare con possibili “limiti dello sviluppo” umano, che dipende dalla libertà, dalle condizioni igieniche e alimentari, dalle conoscenze, e che può benissimo crescere anche in un mondo con meno e differenti merci e consumi e minore sfruttamento della natura. Il libro anzi stimolava a fare, come diceva Croce, “delle difficoltà sgabello” a condizione di riconoscere che la “crescita”, quel nome magico, che canoro discende dalle bocche di economisti, uomini politici e imprenditori, dipende dalle cose materiali, e che la crescita della produzione delle merci (siano acciaio per le navi o cemento per gli edifici, o occhiali, o conserva di pomodoro, o divani, o telefoni cellulari) comporta una inevitabile diminuzione delle risorse disponibili per le generazioni future e una inevitabile crescita della quantità di gas e di sostanze che inquinano l’aria e i fiumi e il suolo. A questa realtà, alla necessità di scegliere, sotto questi vincoli naturali, che cosa produrre, la rilettura dei “Limiti alla crescita”, offerta dal libro di Bardi, richiama coloro che devono prendere delle decisioni per il futuro dei singoli paesi e dell’intera comunità umana. Non a caso i rapporti risorse-merci-ambiente (per citare il titolo di un dimenticato libro del 1966) sono l’oggetto degli studi universitari di Merceologia; non a caso il prof. Bardi è un chimico, docente delle disciplina che, per eccellenza, insegnano a fare i conti con i chili di materia e i chilowattora di energia.

sabato 18 agosto 2012

2052: Intervista con Jorgen Randers

Intervista con Jorgen Randers: ’2052′ – “E' la storia dell'umanità che non è all'altezza della situazione”




Da “Transition Culture”. Traduzione di Massimiliano Rupalti.

Jorgen Randers è professore di strategia climatica alla BI, Scuola Norvegese per il Commercio, e fra le molte cose è stato coautore de I Limiti dello Sviluppo nel 1972, Oltre i Limiti, nel 1992 e Limiti dello Sviluppo: l'aggiornamento dei 30 anni nel 2004 Potete leggere la sua biografia completa qui). Recentemente ha pubblicato ‘2052: una previsione globale per i prossimi quarant'anni‘. Potete vedere un suo video mentre parla del libro al suo lancio qui. Ho avuto il grande onore di intervistare di recente Jorgen, attraverso Skype dal suo studio a casa in Norvegia. Potete sentire l'audio dell'intervista qui. '2052' è disponibile qui se siete negli Stati uniti o qui se siete nel Regno Unito (ancora niente traduzione italiana, ndT.).


Rob Hopkins: La prima domanda che ti volevo fare è: qual'era il tuo obbiettivo quando ti sei seduto a scrivere '2052'?

Jorgen Randers: Ho 67 anni, ho passato 30 anni della mia vita a lavorare in vano per la sostenibilità (non è stato affatto invano ndT.) ed ho finalmente deciso che sarebbe stato interessante scoprire se avevo davvero bisogno di preoccuparmi continuamente del futuro come lo sono stato durante gli ultimi 40 anni, perché me ne rimangono solo 20-25 da vivere. Ho pensato che fosse interessante cercare di scoprire cosa accadrà realmente in quei 40 anni. Questo è, naturalmente, in contrasto con la mia disciplina accademica, che è analisi dei sistemi, dove  si sa, naturalmente, che non puoi fare previsioni, tutto ciò che puoi fare è fare analisi di uno scenario, per dire fondamentalmente che se l'uomo si comporta così, allora questo accadrà, oppure se fa in altro modo quest'altra cosa accadrà. Oppure puoi lavorare come un ideologo, puoi spingere una determinata soluzione. Puoi dire  che abbiamo bisogno di fare certe cose in un certo ordine per evitare la catastrofe climatica. Ma ho deciso che per amore di me stesso sarebbe stato interessante almeno sapere cosa succederà in dettaglio sufficiente per me per crederci, in modo che possa decidere se ho bisogno di continuare a preoccuparmi per il futuro e questa era l'ambizione molto chiara 18 mesi fa. Ora il libro esiste e mi da in molti modi una grande pace mentale, perché credo nella previsioneche ho fatto lì e in molti modi questo rende la mia vita più semplice, penso, per una persona che si è preoccupata della sostenibilità per così lungo tempo.

RH: Per la gente che non ha ancora letto il libro, puoi raccontarci del 2052? Come sarà?

JR: E' un libro che descrive quanto più in dettaglio mi era possibile cosa accadrà da adesso al 2052, quindi è una storia sugli sviluppi del mondo durante i prossimi 40 anni. Ho concluso dividendo il mondo in 5 regioni, ho osservato gli Stati Uniti, la Cina, al resto del mondo industrializzato, alle grandi economie emergenti e al resto del mondo, è la mia previsione per il mondo è la somma delle previsioni per ognuna di quelle 5 regioni. 

Ad un livello molto globale, ciò che dice la previsione è che l'umanità cercherà con tutti i mezzi la crescita economica, la crescita del reddito per i prossimi 40 anni. L'umanità continuerà di cercare di mettere in campo o di avere accesso all'energia sufficiente per alimentare quelle economie. Continueremo a lavorare nei campi dell'efficienza energetica. Parleremo molto dei gas climalteranti e in una certa misura riusciremo a ridurne la produzione per unità di energia usata, ma non faremo abbastanza di queste cose, cosicché nel 2052 avremo +2° centigradi in più rispetto ai tempi preindustriali, che è la soglia di pericolo generalmente accettata, cioè quando la temperatura è di 2 gradi maggiore di quella del 1750. La scienza dice fondamentalmente che siamo sulla sul punto di fare un reale danno al mondo e se faccio girare i miei modelli un po' più in avanti, nel 2080, le temperature saranno di +3° centigradi al di sopra dei tempi preindustriali e questo secondo me è sufficiente per innescare il cambiamento climatico autosostenuto, scioglimento della tundra che quindi emetterà una grande quantità di metano, che renderà tutto molto, molto più caldo. Quindi per molti aspetti è una storia triste, i prossimi 40 anni, perché è una storia di un'umanità non all'altezza della situazione. D'altra parte, molte delle critiche al libro dicono che è una storia positiva e lenitiva, perché non prevedo una crisi – nessuna crisi reale, nessuna crisi alimentare, crisi petrolifera o quant'altro entro i prossimi 40 anni ed i miei critici dicono che un libro come questo non dovrebbe essere scritto, perché dicendo che non ci sarà una vera crisi nei prossimi 40 anni io avrei ulteriormente demotivato quella piccola risposta che avrebbe potuto esserci.

RH: Nel trailer del film di prossima uscita, "The Last Call" (L'ultima Chiamata), dici “la democrazia non risolverà questi problemi, abbiamo bisogno di un cambio di paradigma nel governo”. Cosa intendi con questo, la democrazia è compatibile con la risoluzione di questa crisi? E se no, cosa proponi al suo posto?

JR: Se vai al dunque, la ragione per cui l'umanità non risolverà il problema del clima durante i prossi 40 anni non è che è tecnicamente impossibile. Al contrario, è tecnicamente molto semplice. Tutti noi speriamo di costruire abitazioni ben isolate, sappiamo come fare auto elettriche e sappiamo come fare pannelli solari e pale eoliche anziché impianti a carbone. Le tecnologie esistono e le ragioni per cui non faremo abbastanza per il 2052 non sono perché sia tremendamente costoso farlo, probabilmente costa l'1-2% del PIL, che sostanzialmente significa che avremo un certo livello di ricchezza nel luglio 2020 anziché nel gennaio 2020. Questo significa posticipare la gratificazione da sei mesi a un anno, ecco cosa sarebbe bastato per risolvere il problema del clima.

Così quando fai la domanda “perché non facciamo niente?”, le tecnologie ci sono ed i costi per applicarle sono abbastanza limitati, la risposta è che la società, la società moderna come la conosciamo, è estremamente a breve termine. E' finemente regolata alla massimizzazione dei benefici a breve termine, in alcuni casi al costo dei problemi futuri, e le due maggiori istituzioni di oggi sono, naturalmente, la democrazia da un lato e il capitalismo dall'altro. Gran parte della gente accetta che il capitalismo è a breve termine, gran parte della gente sa che il capitalismo stanzia i capitali per progetti che hanno il ritorno più alto e il tasso di sconto usato (il peso posto sul futuro delle cose) è molto alto, questo significa che i capitalisti non stanziano i soldi per progetti che hanno gran parte dei benefici dopo 20 anni e stanziano i capitali per cose in cui i benefici arrivano in 4 anni o meno. Quindi potresti dire che per essere in grado di regolare il capitalismo in modo tale che dal punto di vista dei capitalisti sia più redditizio fare la cosa giusta, ciò che è socialmente utile anziché ciò che è più redditizio, e sì, questo è vero, e naturalmente è quello quello che stiamo cercando di fare quando abbiamo provato ad introdurre una tassa sul carbonio, una tassa sui gas climalteranti, significa fondamentalmente rendere meno redditizio fare impianti a carbone e più redditizio fare pale eoliche e cose del genere.

Ma lì puoi vedere la natura a breve termine della democrazia emergere come il vero problema, perché quando provi a far passare la legge che rende il combustibile o la potenza più costose a breve termine, gran parte della gente non vota per quei politici. In una società democratica è molto difficile avere le condizioni quadro intorno alle decisioni del commercio in modo tale che i commerci comincino a fare ciò che è socialmente utile piuttosto che ciò che è redditizio a breve termine. Il problema di base è che né il meccanismo del capitalismo né la società democratica mettono abbastanza enfasi sui benefici per i nostri nipoti e di conseguenza stiamo facendo oggi cose fondamentalmente a nostro beneficio che costeranno molto ai nostri figli e in particolare ai nostri nipoti. Questo non è inevitabile, si potrebbe facilmente fare in altro modo, la tecnologia esiste, i costi sono bassi, ma a causa della natura a breve termine della democrazia e del capitalismo non sarà fatto. Questo è il mio messaggio principale.

RH: Hai una qualche idea di come potrebbe essere per la democrazia un interesse a lungo termine o per evitare il cambiamento climatico l'unico modo è di introdurre una specie di legge marziale o cose del genere? 

JR: Ho già dato la risposta, sai cosa serve per fare in modo che la società capitalista stanzi il capitale per ciò di cui ha bisogno la società al posto di ciò che è redditizio. E questo è sostanzialmente un cambiamento in alcuni dei prezzi che stanno intorno al commercio, il più importante, naturalmente, è la tassa sui gas climalteranti. Se si potesse raggiungere un prezzo 10 volte tanto quello che è attualmente nel mercato europeo, o se si potesse far passare una carbon tax sul petrolio e sul gas, questo, nel mio libro, risolverebbe il problema in tempo. Ma come fai passare nelle società democratiche nel mondo una tale legislazione? E' questo il grande problema e dovresti cominciare chiedendo che la società democratica deleghi l'autorità a qualcuno sopra o oltre di essi nel breve periodo in modo da realizzare il bene a lungo termine. E la risposta è sì, i dittatori di Roma furono nominati per un periodo di tempo limitato, per essere in grado di far passare decisioni tecnocratiche in modo rapido quando Roma affrontava delle sfide.

Un altro esempio moderno più interessante è la banca centrale, che è un'istituzione inventata dalla società democratica in cui il parlamento sostanzialmente delega a qualcun altro per superare la situazione, quanto denaro stampare, e molte società democratiche hanno scelto di fare così, di gestire cioè la politica monetaria a condizioni di mercato. Il mio sogno sarebbe di fare la stessa cosa con i diritti di emissione dei gas climalteranti, che ci fosse una banca centrale per le emissioni di gas climalteranti che di fatto stanzi per ogni nazione il numero di diritti di emissione sotto i quali dovranno operare e questo, a mio modo di vedere, risolverebbe il problema. Quindi i miei critici direbbero che questo è ciò che facciamo coi negoziati alle Nazioni Unite sotto condizioni quadro sul cambiamento climatico, ma io risponderò che sì, questo è vero, ed abbiamo visto il dibattito andare avanti per 20 anni e non siamo arrivati da nessuna parte per 20 anni. Anche se l'obbiettivo è quello giusto, ho paura che le nazioni che partecipano a questi negoziati non raggiungeranno un accordo finché non sarà troppo tardi.

RH: Una delle supposizioni che fai nel libro è che credi che il numero di posti di lavoro sarà sufficiente a tenere il passo della forza lavoro per gran parte del tempo e quasi dappertutto, proprio come in passato. Ma, dato la crisi dell'Euro che si sta dipanando e il 50% di disoccupazione dei giovani ora in Spagna, per esempio, ci credi ancora?

JR: Sì, ci credo, e la ragione è che sto parlando del lungo periodo, ancora, di decennio in decennio. Non parlo di mese per mese, di trimestre in trimestre, di semestre in semestre, di anno in anno e non di elezione in elezione. Sto parlando di orizzonti dai 10 ai 20 anni. Credo fondamentalmente che la disoccupazione resterà entro un livello ragionevole se parliamo del lungo periodo, un orizzonte dai 10 ai 20 anni, semplicemente perché se la disoccupazione aumenta troppo, avremo disordini sociali e rivoluzione.

Credo che si vedano già gli esempi più semplici di questo in evoluzione. E' interessante per gente anziana come me e per la mia classe socio economica medio-alta, negli ultimi 40 anni, sai, abbiamo dato per scontato che le nostre pensioni sarebbero state pagate. Ora sembra che quei paesi che hanno prestato soldi agli Stati Uniti, alla Grecia e ad altri, anch'essi si aspettano che i loro soldi vengano restituiti. Pongo la domanda nel libro – ha senso che una persona di 28 anni, che passa un brutto momento nel mercato del lavoro e nel trovare un posto dove vivere sia bello almeno la metà di quello dei suoi genitori, debba ripagare il debito cresciuto negli ultimi 15-20 anni durante la vita felice dei propri genitori?

Dal mio punto di vista, se lo guardi da un punto di vista esterno, non vedo alcuna ragione. Questo è l'inizio della redistribuzione che avrà luogo quando la disoccupazione e la distribuzione asimmetrica dei benefici nella società moderna diventano troppo estreme.

RH: Questa è una delle cose che emergono in maniera forte per me – la tensione intergenerazionale che tu dici ci sarà. Tu sostieni che i giovani si contrapporranno sempre di più alla miseria che gli è stata lasciata con le pensioni, il cambiamento climatico, l'austerità e così via. Come pensi che se ne possa uscire? 

JR: Prima di tutto penso sia una dimensione molto importante da avere intorno, sai tenere in mente, e in secondo luogo la domanda su come i giovani si ribelleranno contro il vecchio in questo momento nel tempo e, ancora più interessante, come si ribelleranno le future generazioni contro il nostro attuale stile di vita. Riguardo ai giovani, mi sembra che ciò che vediamo nel sud dell'Unione Europea a questo punto potrebbe essere quel tipo di cosa. Fondamentalmente, che decidono contro il pagamento del debito. Se la persona che possiede il debito non fa la guerra – e non penso che la faranno – questa sarà una redistribuzione della ricchezza da quelli che prima erano ricchi a quelli che che hanno la parte corta del bastone. Se questo accadrà negli Stati Uniti è una domanda interessante, naturalmente, il paese nel mondo dove l'iniquità è aumentata in modo più drammatico durante gli ultimi 20-30 anni – perlomeno, il paese industrializzato dove l'iniquità è aumentata in modo più drammatico. Tuttavia se parli ai giovani americani l'idea di provare a mettere in piedi una rivoluzione, per controbilanciare la proprietà in quel paese, non sembra che sia dietro l'angolo, sai, l'idea della ribellione o della rivoluzione è molto lontana dal pensiero americano, nemmeno fra le tute blu che non hanno avuto un aumento salariale negli ultimi 30 anni.

RH: Il movimento di Transizione è concentrato su una localizzazione intenzionale come punto chiave della risposta alle minacce che identifichi. Scrivi nel libro, “su scala anche più ridotta, regioni lungimiranti all'interno di qualche nazione si concentreranno sempre di più nel gestire la propria decrescita inevitabile. Cercheranno di costruire resilienza locale a fronte del disordine economico mondiale e alla diminuzione dell'accesso all'energia a buon mercato. Per fare questo, organizzeranno sistemi che si affidano al cibo locale, all'energia locale e a programmi che rafforzino le economie regionali o locali”. Perché pensi che questo sarà su scala ancora più ridotta? Cosa pensi possa frenare questo approccio dal prendere piede, specialmente nel contesto del quale hai appena parlato di un'intera generazione di giovani che cercano attivamente modelli diversi?

JR: Sì, ci saranno sacche dove queste cose accadono, ma la ragione per la quale non accadranno su vasta scala è la stessa ragione per la quale non è accaduto durante gli ultimi 40 anni che ho seguito così da vicino. Quando ho cominciato a lavorare sui problemi della sostenibilità nel 1972, veramente nel 1970, la prima cosa che è successa è stata che si è manifestato l'equivalente del movimento di Transizione, raggruppato in torno a “Mother Earth News” ed altre riviste americane di sinistra e rivoluzionarie. L'entusiasmo era grande ma il numero di seguaci è rimasto ben al di sotto del 1% della popolazione mondiale. In seguito, negli anni 90, ho passato un decennio della mia vita a lavorare per il WWF. E' stato interessante vedere fin dove puoi arrivare con una grande ONG. Si era stabilizzata a circa 5 milioni di membri e, ancora una volta, è l'1% della popolazione mondiale che paga volontariamente 25 sterline all'anno per sostenere la conservazione della biodiversità. Quindi la mia principale risposta – e mi scuso per questo – è che non penso che più del 1-5 e probabilmente del 10% della popolazione educata delle regioni del mondo deciderà entro i prossimi 40 anni di sacrificare qualcosa oggi in modo da portare un beneficio ai nostri nipoti. Le mie argomentazioni sono basate sull'osservazione della nostra storia. Non riesco a vedere cosa potrebbe essere diverso nei prossimi 40 anni rispetto ai 40 passati.

RH: Quando ho preso il libro per la prima volta, c'era una parte che ho letto che ho trovato molto provocatoria, la parte dove parli del perché una delle tue raccomandazioni per la gente è che non dovrebbe insegnare ai loro figli ad amare la natura selvaggia perché non ne rimarrà alcuna. L'ho scritto su Transition Culture come provocazione per vedere cosa pensava la gente e questo ha provocato molto dibattito. Molta gente pensa che sicuramente il modo migliore per insegnare ai giovani come prendersi cura della Terra sia di far mettere loro radici nella natura selvaggia. Ora c'è anche questa sindrome identificata come “Disordine da deficit di Natura” per cui i giovani ai quali viene negato l'accesso alla Natura ed al selvaggio si chiudono su molti livelli e non si sviluppano nemmeno. Di sicuro se vogliamo avere una generazione che si prenda sufficientemente cura di questo pianeta e fare le cose che abbiamo bisogno di fare e che hai indicato nel libro, negare loro l'accesso alla natura selvaggia non è controproducente?

JR: Mi fa piacere che hai preso questo aspetto del libro perché è uno fra gli elementi più vicini al mio cuore. Ho passato 30 anni pieni della mia vita 'dall'altra parte' di quello di cui sto parlando ora. Fondamentalmente, credere che se solo avessimo potuto educare i giovani 30 anni fa, quelli che sono arrivati al potere ora, avrebbero deciso in modo completamente diverso. Come elettori, sarebbero anche stati molto di più a favore dei partiti Verdi, partiti che pensano al sacrificio di oggi per dare un futuro migliore ai nostri nipoti. La cosa triste è che ho sviluppato l'educazione ambientale nelle scuole in occidente e abbiamo lavorato molto duramente nel WWF per raggiungere centinaia di migliaia di insegnanti orientati ecologicamente educati in Cina e in altri luoghi ed ora vivo nella schifosamente ricca Norvegia, che è ricca oltre ogni altro paese sulla superficie della Terra, che ha avuto scuola di libero accesso per 50 anni a tutti i livelli, dall'asilo al dottorato, e dove la democrazia funziona ed ha funzionato per 50 anni, e nonostante questo non c'è una singola tendenza che ci sia una maggioranza di votanti che sia in qualche modo interessata a sacrificare alcunché nel breve termine per aiutare i nostri figli a lungo termine. Questo è il mio punto di partenza davvero pessimistico.
 
Quindi si può dire che sia un obbligo per i gentiluomini anziani come me di non dire questo, perché dovremmo sperare ancora che qualcosa cambi e divenga differente nei prossimi 40 anni e spero tu abbia ragione, ma ho scritto il libro proprio per scoprire quanto è necessario che mi preoccupi e non per altri scopi. Quindi, per il consiglio concreto di non insegnare ai nostri figli di amare le foreste vergini. La ragione per cui ho aggiunto quel consiglio lì è leggermente ironico, leggermente in modo da far realmente pensare la gente su quale inferno sta presentando ai propri figli e nipoti. Ma è anche perché, ripensandoci, quando penso ai miei ultimi 40 anni, quello che mi ha infastidito di più in questa incessante distruzione della Natura che è andata avanti, è che noi siamo diventati consapevoli di questo con Rachel Carson negli anni 60, quindi ho cominciato a lavorare duramente su questi problemi negli anni 70, ho lavorato duramente durante gli anni 90 nel WWF e per tutto questo tempo la barriera corallina veniva distrutta dai turisti e le foreste venivano tagliate a velocità folle, sempre più velocemente, l'introduzione dei disboscamenti a tappeto, ogni cosa bella e naturale è stata attaccata dalla maggioranza. Non è la società capitalista che lo sta facendo. Fondamentalmente sono i proprietari delle foreste e nel nostro paese ci sono decine e decine e decine di migliaia di coloro che preferiscono di gran lunga altre cento sterline in banca che uno sguardo alla foresta centenaria che gli cresce oltre l'uscio. Quindi la tristezza che ho dovuto vivere negli ultimi 30 anni, perché ho visto la natura andare sempre più veloce, non che la meritino i miei nipoti. E di conseguenza è molto meglio che si innamorino dei giochi al computer e della realtà virtuale dei quali ci sarà abbondanza nei prossimi 40 anni, che non cercare di amare l'ambiente incontaminato e tranquillo, di cui ce ne sarà molto meno, tristemente.

RH: Infine, scrivi che le tue scoperte sono desolanti, ma non quanto temevi potessero essere. Mi chiedevo quali motivi di ottimismo, se ci sono, si potrebbero trarre dal libro. Se fossi un teenager spagnolo, ad esempio, leggendo questo libro sentendosi già privi di futuro, con la disoccupazione al 50% e l'economia che cade a pezzi, cosa potrebbero prendere da questo libro che possa motivarli ed ispirarli a pensare?

JR: Fondamentalmente penso che quello che dovrebbero fare e che possono fare è prendere il proprio futuro in mano cominciando a costruire una società sostenibile da zero. Non è più complicato di così, devono abbassare diversi livelli in quanto a beni di consumo per un po', ma fondamentalmente significa cominciare a costruire la propria casa e costruirla in modo che non richieda molta energia, quindi cercare di accelerare o di spostare la fornitura energetica lontano da petrolio, carbone e gas e verso eolico e pannelli solari che cominciano ad esistere. Smettere di guidare automobili, smettere di spendere tutti i propri soldi in aerei ecc, e cercare di creare una comunità locale gradevole, proprio come sta cercando di fare il tuo movimento.

Perché allora si può chiedere: sarà abbastanza? Il 10% dei disoccupati hanno scelto di farlo. La risposta probabilmente è no, perché il cambiamento climatico avviene lo stesso. Il problema non diventa cruciale ancora per una generazione o due. Nel frattempo, c'è molta speranza e molte opportunità nel cercare di formare comunità più piccole che realmente trovino nuovi modi ed è questa la mia raccomandazione, e parlando ora del mio libro non ancora uscito, ho imparato che finisco sempre dicendo quali sono le quattro cose che la gente dovrebbe fare. Ecco cosa dovrebbe fare: punto primo, dovrebbe fare meno figli, particolarmente il mondo ricco, dovrebbe vedere vedere la popolazione mondiale declinare anziché crescere. La seconda cosa che dovrebbe fare è smettere di usare carbone, petrolio e gas, qualsiasi cosa usi questi per il riscaldamento o per l'elettricità dovrebbe essere lasciato perdere. La terza cosa che dovrebbe fare è cercare di impegnarsi per la redistribuzione globale e questo dovrebbe essere fatto nel senso che il mondo ricco dovrebbe costruire e pagare per un sistema energetico a basso impatto di carbonio nel terzo mondo, quindi, fondamentalmente, dovremmo costruire pale eoliche, pannelli solari e centrali idroelettriche è la cattura del carbonio e lo stoccaggio del mondo più povero darlo a loro, in modo che non spendano un'altra generazione a costruire strutture a carbone, petrolio e gas che dovranno poi essere smantellate prima che possiamo arrivare al vero punto.

E, infine, la quarta cosa. Dovrebbe essere rumorosamente a favore delle istituzioni sovranazionali, istituzioni che possano moderare la natura a breve termine degli stati nazionali. Significa fondamentalmente uscire fuori ed essere fortemente a favore di una forte Unione Europea che possa varare una legislazione ambientale che sia molto più radicale di quella della maggioranza degli stati membri, o essere a favore di una dura risoluzione nell'Euro +20. Be', sappiamo che non ci siamo riusciti, ma in qualche modo hanno provato a ottenere degli accordi internazionali e farli entrare in vigore e che realmente mettessero restrizioni su quello che le nazioni possono fare  dal punto di vista climatico. Queste sono le 4 cose che la gente dovrebbe fare e contemporaneamente cercare di costruire una comunità locale sostenibile.

venerdì 17 agosto 2012

Groenlandia: il ghiaccio si squaglia



 In questi mesi, la Groenlandia ha visto un crollo inusitato del suo "albedo", ovvero della sua riflettività, a indicare lo scioglimento della superficie della calotta glaciale. Come si vede nella figura qui sopra, dopo il momento peggiore, a circa metà Luglio, adesso l'avanzare della stagione sta riportando il ghiaccio in superficie. E' stato un evento impressionante che mostra come il global warming stia avanzando a velocità inaspettate. Una volta, pensavamo che era qualcosa di cui si sarebbero dovuti occupare i nostri nipoti. Eh, no, il global warming è qui e adesso. E l'anno prossimo, cosa vedremo?

Qui di seguito, riportiamo dal sito della Nasa il rapporto originale della fusione superficiale dei ghiacci di Groenlandia. Traduzione di Massimiliano Rupalti.




24 luglio 2012. Per diversi giorni questo mese, la copertura di ghiaccio della Groenlandia si è sciolta su un'area più grande che mai in più di 30 anni di osservazioni satellitari. Quasi l'intera copertura di ghiaccio della Groenlandia, dai margini di basso spessore della costa al suo centro di due miglia, ha avuto un qualche grado di scioglimento alla superficie, secondo le misure di tre distinti satelliti analizzati dalla NASA e da scienziati universitari.

D'estate, in media, circa la metà della superficie calotta di ghiaccio della Groenlandia si scioglie naturalmente. Ad alta quota, gran parte di quell'acqua si ricongela sul posto. Vicino alla costa, un po' dell'acqua viene trattenuta dalla calotta di ghiaccio e il resto si perde nell'oceano. Ma quest'anno l'estensione dello scioglimento del ghiaccio in superficie o vicino ad essa ha avuto uno scarto drammatico. Secondo i dati satellitari, una stima del 97% della superficie della calotta glaciale si è scongelata ad un certo punto a metà luglio.



Estensione della superficie sciolta sulla calotta glaciale della Groenlandia l'8 luglio (a sinistra) e il 12 luglio (a destra). Le misurazioni di tre stelliti hanno mostrato che l'8 luglio circa il 40% della calotta glaciale ha subito lo scongelamento sulla superficie o nei pressi. In pochi giorni, lo scioglimento ha accelerato drammaticamente ed un parte della superficie della calotta glaciale stimata nel 97% si è scongelata entro il 12 luglio.



I ricercatori non hanno ancora determinato se quest'evento di scioglimento condizionerà il volume complessivo di ghiaccio perso quest'estate e contribuirà all'aumento del livello del mare.

“La calotta di ghiaccio della Groenlandia è una vasta area con una storia di cambiamenti multiforme. Questo evento, in combinazione con altri fenomeni naturali ma non comuni, come il grande evento di parto avvenuto la scorsa settimana sul ghiacciaio Petermann, sono parte di una storia complessa”, ha detto Tom Wagner, gestore del programma della criosfera della NASA a Washington. “Le osservazioni satellitari ci stanno aiutando a capire come eventi come questi possono essere fra loro in relazione così come i sistemi climatici più ampi”.


Son Nghiem del Jet Propulsion Laboratory della NASA a Pasadena, in California, stava analizzando dati radar dal satellite Oceansat-2 dall'Indian Space Research Organization la scorsa settimana, quando ha notato che gan parte della Groenlandia sembrava esser stata sottoposta a scioglimento di superficie il 12 luglio. Nghiem ha detto, “Ciò era così straordinario che all'inizio ho messo in dubbio i risultati: era vero o era dovuto ad un errore nei dati?”


Nghiem si è consultato con Dorothy Hall la Centro per il Volo Spaziale della NASA Goddard, a Greenbelt, nel Maryland. La Hall studia la temperatura di superficie della Groenlandia usando uno Spettroradiometro a Risoluzione di Immagine Moderata (MODIS) che si trova sui satelliti Terra and Aqua della NASA. Essa ha confermato che MODIS ha mostrato temperature inusualmente alte e che quello scioglimento era esteso oltre la superficie della calotta glaciale.

Thomas Mote, un climatologo all'Università della Georgia di Athens, e Marco Tedesco della City University di New York hanno a loro volta confermato lo scioglimento osservato da Oceansta-2 e MODIS con dati satellitari di microonde passive provenienti da un Sensore Speciale di Microonde Imager/Sounder che si trova su un satellite dell'Aeronautica Militare Statunitense.

Lo scioglimento si allarga rapidamente. Le mappe di scioglimento derivate da tre satelliti hanno mostrato che l8 luglio circa il 40% della superficie della calotta glaciale si era sciolta. Il 12 luglio se ne era sciolto il 97%.

Questo evento di scioglimento estremo ha coinciso con un forte apice di aria calda, o cappa di calore, sulla Groenlandia. Questo apice è stato uno di una serie che hanno dominato il tempo della Groenlandia dalla fine di maggio. “Ogni apice successivo è stato più forte del precedente”, Ha detto Mote. Quest'ultima cappa di calora ha cominciato a dirigersi sulla Groenlandia l'8 luglio e poi ha stazionato sulla calotta glaciale per circa i tre giorni successivi. Dal 16 luglio, ha cominciato a dissolversi.

Anche l'area intorno alla Stazione Summit, nella Groenlandia centrale, che essendo a 2 miglia sul livello del mare è prossima al punto di spessore più alto della calotta glaciale, ha mostrato segni di scioglimento. Uno scioglimento così pronunciato al Summit e attraverso la calotta glaciale non avveniva dal 1889, secondo le carote di ghiaccio analizzate da kaitlin Kegan al Dartmouth College di Hanover, nel New Hapshire. Una stazione meteo del NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) al Summit, ha confermato temperature dell'aria oscillavano al di sopra o entro un grado dal congelamento per diverse ore l'11 e 12 luglio.
“Le carote di ghiaccio provenienti dal Summit mostrano che gli eventi di scioglimento di questo tipo avvengono in media circa una volta ogni 150 anni. Con l'ultimo avvenuto nel 1889, questo evento è puntuale”, dice Lora Koenig, una glaciologa membra del gruppo di ricerca che analizza i dati del satellite. “Ma se continuiamo ad osservare eventi di scioglimento come questo nei prossimi anni, sarebbe preoccupante”.

mercoledì 15 agosto 2012

Rivoluzione petrolifera? Ma davvero? Strahan demolisce Maugeri

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di Massimiliano Rupalti



Immagine sopra dall'Università del Minnesota.
(Tutto quello che cerchi e quello che percepisci è sempre un modo per provare quello che credi).

 di Ugo Bardi

David Strahan è un giornalista britannico, conosciuto fra per il suo libro “L'ultimo shock petrolifero”. Non si fa troppi scrupoli nel suo attacco al recente e molto ottimistico rapporto di Leonardo Maugeri intitolato “Petrolio: la prossima rivoluzione”.

Dove molti commentatori criticano il rapporto per il suo approccio generale e per le conclusioni, Strahan è stato più aggressivo ed ha guardato ai dettagli, trovandoci un vero e proprio strafalcione matematico. Dapprima non volevo crederci, ma sono andato a controllare, e Strahan ha ragione. A pagina 20 del rapporto potete leggere: 

Dal 2000 in poi, per esempio, i tassi di esaurimento del petrolio greggio misurati da gran parte di coloro che fanno previsioni sono stati entro una forbice fra il 6 e il 10%: anche solo il più basso valore di questa forbice comporterebbe la perdita quasi completa della “vecchia” produzione in 10 anni (capacità produttiva di greggio nel 2000 = circa 70 mb/g). Al contrario la capacità produttiva di petrolio nel 2010 era di oltre 80 mb/g . Per compensare tale cifra, una nuova produzione di 80mb/g o qualcosa di simile avrebbe dovuto entrare in produzione durante quel decennio. Questo è chiaramente falso: nel 2010, il 70% della produzione del petrolio greggio è arrivata da giacimenti che hanno prodotto petrolio per decenni. 

Quasi incredibile: Maugeri cerca di dimostrare che la maggior parte di coloro che hanno fatto previsioni hanno sbagliato in passato, osservando che un esaurimento del 6% porterebbe alla perdita completa della produzione mondiale in 10 anni. Come può essere? Come dice giustamente Strahan, la perdita sarebbe del 46%, decisamente non “quasi completa” come dice Maugeri. Anche con un declino del 10% all'anno, dopo 10 anni avremmo ancora più del 30% della produzione originale. 

Strahan rigira il coltello nella piaga, riferendo che: 

Quando gliel'ho fatto notare, il Sig. Maugeri mi è sembrato davvero confuso ed ha brevemente tentato di persuadermi sul fatto che la perdita fosse molto più grande. “Se hai un declino del 6% ogni anno per un periodo di 10 anni , la perdita di produzione è vicina al 80%”, ha detto, ma poi ha lasciato perdere. Mi sembra come se avesse aggiunto il 6% nella direzione sbagliata e cioè per la crescita, non per il declino. “Forse su questo ha ragione”, mi ha concesso con un certo imbarazzo. 

Il post di Strahan evidenzia quanto sia vulnerabile gran parte della gente e come possa cadere vittima delle proprie consolidate convinzioni. Si chiama “pregiudizio di conferma”, è ciò che accade quando la gente raccoglie o ricorda le informazioni in modo selettivo, o quando le interpreta secondo la propria visione pregiudiziale. Qui, Maugeri è caduto vittima della vecchia leggenda che “coloro che ne passato hanno fatto previsioni hanno sempre sbagliato”, qualcosa che è profondamente consolidato all'interno della visione del futuro di molti abbondantisti. 

Naturalmente, non è un singolo errore che può demolire uno studio e, a parte l'errata interpretazione dei tassi di declino, il rapporto di Maugeri contiene dati validi ed approfondimenti preziosi. Tuttavia, è anche vero che esiste una cosa che io chiamo “Effetto Bailey”, che consiste nel distruggere un intero studio cercando un singolo errore  in esso, senza considerare quanto possa essere secondario o marginale quello stesso errore. E' a causa di questo effetto che lo studio de “I Limiti dello Sviluppo” del 1972 è stato demolito, come ho descritto qui.

Lo studio di Maugeri sopravviverà alla demolizione di Strahan? Probabilmente no, ma è quello che merita per diverse altre ragioni (guardate per esempio qui, qui e qui).

Ecco l'articolo completo di David Strahan:


L'inversione a U di Monbiot sul Picco del Petrolio è basata su una scienza fallace e su una matematica anche peggiore

Di David Strahan
Pubblicato il 30 luglio 2012. Traduzione di Massimiliano Rupalti


Nel suo editoriale del 2 luglio, George Monbiot ha ritrattato sul picco del petrolio, dichiarando che “i fatti sono cambiati, ora dobbiamo cambiare anche noi”. Gran parte dell'articolo lo ha passato a rigurgitare un recente rapporto di Leonardo Maugeri, un ex dirigente della compagnia petrolifera ENI, che, come Monbiot ha affannosamente riportato, “fornisce prove convincenti che è iniziato un nuovo boom petrolifero”. 

Un sacco di inchiostro è già stato versato dagli esperti dell'esaurimento del petrolio che hanno esposto alcuni degli assunti esageratamente ottimistici contenuti nel rapporto di Maugeri. La cosa più schiacciante è che il lavoro è attraversato da errori grossolani che rendono le sue previsioni senza valore. 

Quando l'ho intervistato, il Sig. Maugeri è stato costretto ad ammettere uno strafalcione matematico che disonorerebbe il retro di una busta ed mi è diventato chiaro che lui non ha capito il lavoro delle previsioni degli altri che attacca. Sembra anche che è come se avesse raddoppiato o persino triplicato una componente vitale della sua previsione di sovrabbondanza di petrolio. 

Maugeri prevede che la fornitura globale di petrolio volerà da circa 18 milioni di barili al giorno a circa 111 mb/g nel 2020, il più grande aumento nella produzione dal 1980, che, dichiara, potrebbe portare ad una sovrapproduzione prolungata e ad una “flessione significativa e stabile dei prezzi del petrolio”. 

Maugeri dichiara che questa incombente sovrabbondanza ha tre gambe: un boom di investimento a monte dell'industria del petrolio, l'aumento continuo della produzione non convenzionale come il petrolio da scisti e una tendenza di chi fa previsioni a sovrastimare grandemente il tasso al quale l'attuale produzione dei giacimenti di petrolio declina. Il primo punto non è controverso, il secondo è discutibile, ma il terzo è il più importante: senza questo, la sovrabbondanza di Maugeri evapora. 

Tutti i giacimenti petroliferi raggiungono il picco e declinano mentre la produzione è indebolita dalla pressione in diminuzione del giacimento e mentre l'acqua diluisce sempre di più il flusso di petrolio dal pozzo. Misurare l'impatto di questi declini nella produzione di petrolio congiunta è una questione complicata, ma vitale per prevedere le forniture di petrolio future. Ci sono stati due studi principali del tasso di declino negli anni recenti: uno della International Energy Agency  nel suo World Energy Outlook del 2008 e un altro della società di consulenza petrolifera IHS-CERA.
Maugeri ha selezionato accuratamente i numeri dallo studio della IEA e li ha travisati per dichiarare che “gran parte di coloro che fanno previsioni” lavorano su un tasso di declino dal 6 al 10%. Egli poi afferma che ciò è incompatibile con la crescita osservata dell'offerta di petrolio durante l'ultimo decennio – e quindi dev'essere sbagliato – ed usa questa conclusione per giustificare la sua previsione gonfiata sulla produzione di petrolio. Ma tutta la cosa è raffazzonata. Una e-mail che mi ha mandato ha rivelato che proprio non capisce i numeri della IEA. Il tasso di declino globale della IEA è in realtà del 4,1% e il CERA a grandi linee è d'accordo con un 4,5% (vedete qui per ulteriori dettagli). Anche se accettassimo la sua forbice del 6-10%, Maugeri ha fatto i suoi conti in modo orribilmente sbagliato. Nella sezione chiave del rapporto, egli dichiara che anche la parte più bassa della forbice “comporterebbe la perdita quasi completa della “vecchia” produzione mondiale in 10 anni”. Ma questo è ridicolo. Un declino annuale del 6% per dieci anni ci lascia con il 54% della produzione originale, perché ogni declino del 6% all'anno è più piccolo in volume di quello precedente. Quindi in un decennio il declino è del 46%, molto lontano da una “perdita quasi completa”. 

Quando gliel'ho fatto notare, il Sig. Maugeri mi è sembrato davvero confuso ed ha brevemente tentato di persuadermi sul fatto che la perdita fosse molto più grande. “Se hai un declino del 6% ogni anno per un periodo di 10 anni , la perdita di produzione è vicina al 80%”, ha detto, ma poi ha lasciato perdere. Mi sembra come se avesse aggiunto il 6% nella direzione sbagliata e cioè per la crescita, non per il declino. “Forse su questo ha ragione”, mi ha concesso con imbarazzo. Quindi, per sua stessa ammissione, il Sig. Maugeri ha sovrastimato le presunte stime eccessive di declino della produzione di quasi tre quarti (1). 

Da nessuna parte nel suo rapporto, Maugeri dichiara apertamente quelli che ritiene i giusti tassi di declino. Il momento in cui gli va più vicino è quando fa la dichiarazione infondata che “non ho trovato prove di un tasso di esaurimento della produzione del petrolio greggio più alto del 2-3% se correttamente adeguato alla crescita delle riserve”. E ancora le sue reali assunzioni sembrano essere molto più basse. Analizzando le previsioni di Maugeri, Steven Sorrell del Sussex Energy Group e Christophe McGlade, un ricercatore che fa dottorato al UCL Energy Institute, hanno mostrato il suo vero tasso di declino per il periodo 2011-2020 che è appena del 1,4%, appena un terzo delle stime stabilite. Rimpiazzare questo tasso implicito con i numeri della IEA elimina la sovrabbondanza di Maugeri completamente, tagliando la sua previsione sulla produzione per il 2020 a meno della sua stima dell'attuale capacità di produzione. Sorrel conclude: “Siccome gran parte degli analisti si aspettano che il tasso di declino medio aumenti in questo periodo, questa proiezione è da considerarsi ottimistica”. Quindi, buongiorno (in italiano nell'originale, ndT.) picco del petrolio. 

Quando ho sfidato Maugeri sulla discrepanza fra il il tasso di declino del 2-3% e quello del 1,4%, ha detto che la differenza era spiegata dalla crescita delle riserve – la tendenza a strizzare più petrolio di quanto ci si aspettasse dagli attuali giacimenti attraverso nuove tecnologie, lo sfruttamento di giacimenti secondari e così via. Ma in quel caso sembra che li abbia contati due volte, a giudicare dalla sua citazione nel paragrafo in alto. O probabilmente addirittura tre volte, visto che la nozione di crescita delle riserve è già tenuta in considerazione nelle stime esistenti. Sia i numeri della IEA sia quelli di IHS CERA sono tassi di declino complessivi osservati: riflettono la reale perdita di produzione che è avvenuta dopo – o nonostante – tutti gli investimenti dell'industria per aumentare la produzione contrassegnata nei giacimenti esistenti.

“Se Maugeri ha regolato i tassi di declino per la crescita futura delle riserve, li ha entrambi contati doppi, perché è già nelle previsioni esistenti, oppure presume una massiccia accelerazione nella crescita delle riserve in futuro”, spiega Richard Miller, un consulente petrolifero che ha lavorato per la BP ed è stato il primo a indicare la matematica ingannevole di Maugeri. “In entrambi i modi non è credibile”. Quando ho mandato una email al Dr. Maugeri per verificare se aveva capito la definizione del numero di declino del IHS-CERA che aveva citato, non ho avuto risposta.

Forse non è sorprendente. Maugeri è un cornucopiano di lungo corso ed ha una forma di pressapochismo interessato. In un precedente articolo per la rivista Science (2), ha cercato di smentire la modellizzazione del picco del petrolio usando un grafico della produzione di petrolio egiziana. Tristemente, il grafico che ha stampato non era della produzione di petrolio egiziana. Peggio ancora, se lo fosse stato avrebbe demolito il punto stesso che cercava di fare (3). 

Ciò che trovo sorprendente è che George Monbiot trovi il lavoro di Maugeri così “convincente”. Quante volte ho letto che insisteva sull'importanza della peer review? Strano quindi che debba entusiasmarsi del fatto che questo rapporto è stato “pubblicato dall'Università di Harvard” ma dimentica di menzionare il fatto che non sia apparso in nessuna rivista peer review e, peggio ancora, è stato finanziato dalla BP. Sospetto che entrambe le organizzazioni si rammaricheranno a vita per il loro coinvolgimento. Che dire di Monbiot? Se è davvero così rigoroso come gli piace evidenziare, dovrà fare non una sola inversione a U questo mese, ma due.   

1) (80-46)/46*100 = 74%
2) L. Maugeri, Oil: Never Cry Wolf-Why the Petroleum Age is Far from over, Science, Vol. 304 mo. 5674 pp. 1114-1115, 21 May 2004 http://www.sciencemag.org/content/304/5674/1114.summary
3) Q.Y. Meng and R.W. Bentley, Global oil peaking: Responding to the case for ‘abundant supplies of oil’, Energy, vol.33 pp 1179-1184, 2008








martedì 14 agosto 2012

Una Recensione de "La Terra Svuotata"

La Terra Svuotata, di Ugo Bardi, Editori Riuniti 2011


Di Marco Sclarandis


Ci sono due grandi scrittori che mi hanno aiutato nel seguire e comprendere la mia passione per i metalli:Isaac Asimov e Primo Levi.

Tutti e due sono stati anche scienziati e chimici. Una terza persona che questa mia passione mi ha fatto incontrare è un altro chimico-scrittore, autore di un recentissimo libro che racconta la relazione tra noi esseri umani e  in modo speciale quella parte degli elementi  chimici che sono appunto i metalli.

Sebbene i metalli rappresentino la maggioranza dei novantadue elementi chimici naturali, dall’idrogeno all’uranio, gli esseri viventi, noi compresi,non siamo costituiti da metalli se non in quantità modeste se non infime. Ospitiamo un chilo di calcio  un etto di sodio e di potassio e pochi grammi di magnesio e di ferro. Di un’altra dozzina di metalli tra cui litio, rame zinco, alluminio, cobalto, pochi milligrammi o tracce esigue.

Ma noi umani non saremmo quelli che siamo se non avessimo scoperto e utilizzato i rimanenti fratelli scintillanti tenaci e malleabili. Naturalmente, tutti gli elementi chimici hanno la loro importanza, che siano metalli, semimetalli o non metalli come il fosforo, per esempio. Oggi, chiunque adoperi un telefonino e ancor più uno smartphone dovrebbe tenere a mente la tavola periodica degli elementi. Anche solo per ricordarsi che sebbene la Terra li contenga tutti, con una particolare eccezione, non tutti sono abbondanti nella stessa entità.

Siamo una muffa cresciuta su una crosta inumidita di silicio e di calcio, che ricopre una  enorme boccia di ferro e nichel che nel profondo nucleo risplende come il Sole.Ma noi, micelio deambulante e pensante, da sempre abbiamo cercato di adoperare tutta la gamma di minerali che man mano scoprivamo. Siamo fatti così, è la nostra natura. In questo secolo appena trascorso però, abbiamo fatto una scoperta inqiuetante. Tutti quegli elementi chimici  e quei minerali che non sono abbondanti ma che sono fondamentali per la civiltà tecnologica, non pare proprio che si possano trovare scavando più profondamente nel sottosuolo.

Le miniere sono un miracolo geofisico. Ci sono voluti milioni e milioni di anni perché goccia dopo  goccia,strato dopo strato si formassero e concentrassero i loro preziosi tesori.

Ugo Bardi, nel suo “La terra svuotata” ci racconta questa intrigante storia che è intimamente intrecciata con il nostro presente e ancor più con il nostro vicinissimo futuro.

Il suo non è solo un libro, è una miniera dove dall’Idrogeno all’Uranio dall’Oro al
Piombo passando per il Mercurio l’Alluminio e il Neodimio e implicitamente tutti gli altri elementi risplendono nella loro enigmatica natura. La particolare eccezione?
Si trova a pagina 46.


Chissà se adesso non si sia stancato

Di lasciarsi conficcare nella carne


Esecutore di ferite e morte


E d’essere infine denigrato


Per la sua pesantissima natura


Potesse esso parlare


Non ci degnerebbe neanche d’uno sguardo


Parimenti i suoi fratelli uno ad uno


Se da servi delle nostre cupidigie


Diventassero testi in tribunale


Verremmo condannati


Ad un giorno di castigo almeno


Per ciascuna loro particella


Sciupata senza alcun ritegno


Né dai più stimati rari e venerati


Potremmo aspettarci un cenno di clemenza


Loro


Figli di stelle morte nel metterli alla vita


Rappresentanti della luce


Forti malleabili incorruttibili attraenti


Hanno atteso dei millenni per accompagnarci


Noi


Sedicenti eredi d’un divino


Li abbiamo traditi e soggiogati


Se qualcuno dei metalli


Ha già cominciato a vendicarsi


Non è di certo mancante d’un motivo.



 

 

lunedì 13 agosto 2012

Curare un malato di tumore con l'aspirina: Il BAU del Governo Monti

Di Toufic El Asmar


Aspirina annerita

A quanto pare i ministri Passera e Grilli hanno scovato le soluzioni per riportare la "crescita" in Italia. Vediamo in brevissimo quali sono questi piani:
Sul Piano energetico, secondo La Repubblica di stamattina: Passera è convinto che il suo piano rimetterebbe in moto l'intera economia Italiana.

- Alzare la produzione petrolifera nazionale fino a raggiungere il 20% della domanda, mediante la revisione dei limiti che tengono le trivelle oltre le 12 miglia marine dalle coste italiane. 

- Via libera agli investimenti sul gas, con la realizzazione di progetti di metanodotti dall'Algeria e forte sostegno al "corridoio Sud" nell'Adriatico,

- Portare avanti e completare i progetti di 4 rigassificatori approvati o in costruzione
Obiettivi da raggiungere:

- Abbassare i costi dell'energia,

- Ridurre le importazioni di idrocarburi e attivare miliardi d'investimenti in infrastrutture.
Risultati attesi:
 

- Aumentare la disponibilità delle materie prime energetiche e stabilizzazione del costo, 

- Vantaggi trasferiti alle imprese ed alle famiglie aumentando la concorrenza e quindi mantenendo una pressione sui prezzi

- la Borsa del gas sarà potenziata e nel settore elettrico i bonus fiscali si concentreranno sull'efficienza e la riduzione dei consumi.

Ovviamente, con la partenza del quinto conto energia sono previsti ulteriori tagli agli incentivi per il fotovoltaico. A quanto pare, l'Italia ha raggiunto abbondantemente il suo obiettivo del 20% imposto dalla direttiva europea 20-20-20. Secondo il Ministro insieme all'autorità per l'energia stimano che 9 miliardi all'anno per i prossimi 15 anni siano troppi in termini di spesa. 

Il ministro Grilli da parte sua punta sulle dismissioni immobiliari, sul taglio del personale (24 mila dipendenti pubblici dal prossimo autunno), oltre a qualche altra piccola manovretta di riorganizzazione dell'amministrazione pubblica e le privatizzazioni. L'obiettivo sperato è quello di abbattere il debito del 20% (ossia portarlo dal 120% al 100%) in circa 5 anni.

Il bello dei quotidiani è che sanno come presentarti le cose. Le prime 7 pagine sono piene di buoni propositi, programmi ambiziosi il tutto presentato in modo ineccepibile con tanto di grafici e numeri. Peccato che spesso si tratta di speculazioni al rialzo, per dire che dalla fine del 2013 le cose dovrebbero andare meglio e che la "crescita" ripartirà. Girando la pagina ossia superando la pagina 7, i segnali sono nettamente diversi. Gli squali della finanza stanno ritirando i loro soldi dalle banche italiane, ora che il loro compito di distruzione dei PIIGS è quasi completato sarebbe bene dirigersi altrove e ripartire da capo. Alla fine l'obiettivo è chiuderla con l'Euro. 

Il premier Finlandese non si fida, non crede nelle soluzioni proposte visto che dichiara "in tempo di crisi i ricavi delle privatizzazioni sarebbero molto bassi", è e rimane contro la concessione della licenza bancaria al fondo salva stati e ritiene che sia sbagliato procedere ora alle dismissioni. Insomma segnali poco incoraggianti.

Personalmente non ho niente contro Monti &  Co. ritengo che almeno per ora sia molto meglio di un Berlusconi & Co. oppure di un Bersani & Co. Sono sicuro che non sarebbero capaci di trovare soluzioni migliori, anzi ho paura che farebbero danni ancora peggiori di quelli che avevano combinato da 20 anni ad oggi.

Ritornando al progetto Passera, penso che purtroppo i nostri tecnici (Ministro tecnico e suoi segretari e consulenti tecnici) ancora non abbiano centrato i problemi. Per prima cosa si analizza la situazione in base a quello che teoricamente potrebbe comportare (maggiori investimenti = maggiore ricchezza = crescita), agli investimenti e al eventuale (non necessariamente probabile) profitto non si addizionano le esternalità che sono fortemente negative (inquinamento delle terre, delle acque e dell'aria per causa delle trivellazioni), le improbabilità (il fenomeno del Cigno Nero) che per il 99,99% non sono mai tenuti in considerazione, il basso impatto sul benessere della popolazione in generale (è risaputo che estrarre più petrolio non è una condizione necessaria e sufficiente per un incremento del reddito delle popolazioni locali). Non si calcolano gli incrementi nelle emissioni di CO2, sia per causa dell'aumento di consumo di petrolio (per trivellare, trasportare, raffinare, ri - trasportare e alla fine consumare) che del gas (costruzione dei rigassificatori, trasportare, attuare i processi di gassificazione e o liquefazione, trasportare e consumare).

Ancora non ho capito bene l'impatto delle scelte del governo sulle Energie Rinnovabili, ma se dovrei interpretare le dichiarazioni mi sembra di avere capito che visto che abbiamo raggiunto gli obbiettivi Europei anche prima del 2020, possiamo ritenerci soddisfatti e frenare questa pazzia che si chiama fotovoltaico, biomasse, eolico insomma l'energia solare. Ovviamente di errori nel passato erano stati fatti, ma è una scusa per fermare la sostenibilità energetica di un Paese? Non sarebbe meglio puntare su una strategia più virtuosa basata su una programmazione degli interventi che comporti alla fine (sparo a caso entro il 2020) al passaggio dalla dipendenza totale dai fossili a quella dal Solare? se i soldi esistono per renderci ancora più schiavi dei fossili (petrolio, GNL, ecc.) perché non renderli disponibili per una maggiore indipendenza puntando su un obiettivo (80 -90%??) fortemente raggiungibile in Italia entro il 2020?

In sintesi i nostri tecnici comparati ad oncologi starebbero curando il malato di cancro, come al solito, con iniezioni di aspirina.