martedì 24 gennaio 2012

A che punto siamo con la crisi

Guest post di Antonio Turiel da "The Oil Crash". 
Traduzione di Massimiliano Rupalti






Immagine da scitizen.com




20 Dicembre 2011
di Antonio Turiel


Cari lettori,

Ancora una volta facciamo l'inventario dei fatti rilevanti associati alla crisi energetica, ed al processo di degenerazione economica e sociale ad esso associato, accaduti durante l'anno che sta per finire. Mettendo insieme tutti i fatti si ottiene una prospettiva più chiara di come stanno rapidamente accelerando i problemi e meno rapidamente la presa di coscienza rispetto alle cause ultime dei problemi stessi. Dato che la lista è lunga, passo a riassumerla senza ulteriori indugi:

  • La primavera araba. Le tensioni nel prezzo degli alimenti, già sufficientemente evidenti durante la seconda metà del 2010, si sono acutizzate enormemente all'inizio dell'anno. Una politica malintesa di liberalizzazione dei prezzi ha portato al fatto che in molti paesi del nord Africa e del Medio Oriente il prezzo di molti alimenti di base (olio, farina, zucchero) crescesse di prezzo anche fino al 50%, praticamente dalla sera alla mattina. Ciò, in paesi in cui l'alimentazione rappresenta il 70% del reddito, era semplicemente insostenibile. Il primo paese dove si è verificata un'esplosione sociale è stata la Tunisia, seguita dall'Egitto, dalla Libia, Yemen, Barhein, Siria... In ogni paese la rivolta ha assunto caratteristiche diverse: così, in Tunisia la rivolta è stata principalmente popolare, mentre in Egitto l'esercito ha avuto un ruolo importante nel processo di transizione. In Libia si è scatenata la guerra civile e in Yemen la repressione è durata mesi, ma alla fine il presidente è caduto. Il Barhein è stato occupato dell'Arabia Saudita (e continua ad esserlo, anche se nessuno ne parla) e in Siria la repressione, sempre più violenta, non accenna a fermarsi. La sincronia delle rivolte e la caduta dei regimi autoritari che perduravano da vari decenni, tutti allo stesso tempo, indicano che le cause probabilmente comuni sono più esterne che interne, cosa che rafforza l'idea che il costo della vita insostenibile ha portato molti alla disperazione e alla rivoluzione: sono le rivolte della fame, delle quali abbiamo già parlato. Alcuni paesi hanno riconosciuto il potenziale pericolo ed hanno messo in atto programmi per l'assistenza alla propria popolazione più svantaggiata, come nel caso del Marocco e dell'Arabia Saudita. Nel caso di quest'ultimo paese, i piani di assistenza sociale posti in atto per neutralizzare il malcontento comportano costi finanziari tali che l'Arabia Saudita, principale esportatore mondiale, non può più permettersi che il prezzo di un barile di petrolio scenda al di sotto dei 95$. Questo secondo un' analisi di Paul Horsnell, capo ricercatore sulle materie prime della Barclays Capital. Ma, per contro, sappiamo che il prezzo di un barile di petrolio non dovrebbe superare gli85-90$ per evitare di cadere in una nuova recessione. Quindi non avremo una situazione agevole da ora in avanti e giustamente, ora che l'Europa si ritira dall'Iraq, suonano tamburi di guerra intorno all'Iran. Intanto, i prezzi dei generi alimentari rimangono alti ed i problemi di fornitura non sono stati affatto risolti.

  • La diminuzione di 1Mb/d (milione di barili/g)delle riserve.
    Come mette in evidenza l'ultimo Oil Market Report della Agenzia Internazionale dell'Energia (IEA) da più di un anno e mezzo il mondo sta consumando approssimativamente un milione di barili giornalieri (1 Mb/d) di petrolio in più di quelli che produce (vedere a pag. 55). Ciò è possibile perché si stanno riducendo le riserve industriali (quelle che le imprese conservano per garantirsi le normali operazioni) e quest'estate si è utilizzata anche una piccola parte delle riserve strategiche (quelle che sono conservate dalle nazioni per far fronte a possibili interruzioni nelle forniture). Il problema è precedente alle rivolte in Nord Africa e nel Medio Oriente ed è stato aggravato dalle stesse, specialmente la guerra civile in Libia, che ha comportato la perdita temporanea di 1,5 Mb/d che la Libia esportava (e dei quali per il momento se ne sono recuperati solo 0,6 Mb/d). A parte le violente interruzioni conseguenza delle rivolte, è ovvio che c'è un problema strutturale con la produzione e la fornitura di petrolio, nonostante la presunta capacità di riserva dell'OPEC (i barili che potrebbe produrre in un breve lasso di tempo ma che tengono di riserva per controllare i prezzi): esattamente quando è cominciata la guerra in Libia, era evidente l'incapacità dell'OPEC, in particolare dell'Arabia Saudita, di compensare questo deficit. L'Arabia Saudita ha tentato di camuffare la sua impotenza con dichiarazioni pompose, ma la cosa certa è che i movimenti in quel paese (ne abbiamo discusso nel post "La minaccia saudita") mostrano che stiamo già entrando nel cambio di era.

  • Il disastro di Fukushima.
    Come sapete già, l'11 di Marzo del 2011 un forte terremoto e un successivo tsunami hanno distrutto una buona parte della costa orientale del Giappone. Le vittime dirette di entrambi i disastri sono quasi 16.000, e la distruzione di numerose fabbriche sicuramente sta causando una certa scarsità di elementi di alta tecnologia su scala mondiale. Tuttavia, la maggior parte della gente ricorda principalmente il disastro della centrale nucleare di Fukushima-2 che, come conseguenza del terremoto, lo tsunami e la perdita di raffreddamento hanno portato alla fusione dei nuclei dei tre reattori che erano attivi al momento del sisma. Questo incidente nucleare giunge mentre si cominciavano a spegnere gli echi dell'ultimo incidente di gravità analoga, quello di Cernobyl in Ucrania di 25 anni prima, ed ha riaperto il dibattito sull'opportunità di continuare con l'energia nucleare. La Germania ha deciso di decommissionare immediatamente una parte delle proprie centrali nucleari più vecchie, mentre in altri paesi si annunciano moratorie. Tutto questo porta la IEA a dire, nel suo World Energy Outlook del 2011(di cui abbiamo dato un'eco qui), che non ci sono grandi piani di espansione per l'energia nucleare nel mondo, più che altro c'è una certa tendenza alla contrazione in Europa Occidentale (senza tener conto del picco di produzione dell'uranio, del quale la IEA sembra essere ancora meno consapevole che di quello del petrolio). Tutto questo aumenterà la pressione sulle altre materie prime energetiche, specialmente in Giappone.

  • Rapporto HSBC.
    Il 22 Marzo del 2011 la banca di investimenti HSBC (la decima al mondo per dimensione) fece uscire il suo rapporto "Energía nel 2050: le restrizioni di accesso al combustibile pregiudicheranno le notre proiezioni di crescita?" (in inglese). Il rapporto è abbastanza Business As Usual (BAU), ma conclude che c'è una tendenza reale all'aumento dei prezzi del petrolio e che ciò presuppone un rischio per la stabilità economica mondiale.
 




 


  • Joan Puigcercós. 
    Poco prima di lasciare la presidenza della Sinistra Repubblicana di Catalogna, Joan Piugcercòs è stato intervistato, nel marzo di quest'anno, in un programma di grande audience (in Catalogna) della rete catalana TV3. In questo programma (quí il link al vídeo) parla col presentatore di Peak Oil e delle sue gravi conseguenze per l'economia (fino al minuto 33). Un piccolo passo in più verso il riconoscimento del problema per la Spagna.

  • François Fillon. 
    Il primo ministro francese ha riconosciuto, il 5 aprile scorso davanti all'Assemblea Nazionale francese, che “la produzione di petrolio può solo diminuire”, come riferisce Crisis Energética (blog di Aspo-Spain). Niente pare essere dato per scontato a queste latitudini, nonostante nel paese d'oltralpe ci sia un certo dibattito (peraltro abbastanza ben smorzato).
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  • Jeremy Grantham.
    Il cofondatore di GMO, uno dei fondi d'investimento più grandi del mondo, ed autentico “squalo” di Wall Street, si è fatto un bel bagno di realtà quest'anno. Nella sua lettera trimestrale agli investitori del mese di Aprile li ha introdotti al concetto di “Peak Everything” o la Grande Scarsità, come ha commentato Juan Carlos Barba da questo stesso blog. Nella lettera di Luglio ha abbondato ancora di più riguardo ai concetti di limiti della crescita e sulla necessità di cambiare filosofia di investimento (anche questo è stato commentato, più brevemente, su questo blog). La lettera trimestrale che avrebbe dovuto uscire ad Ottobre è stata posticipata ed è appena uscita: la newsletter più breve mai scritta (da lui, è sottinteso). Nota: il link sarà in funzione fino alla pubblicazione seguente, dopo di che dovrete registrarvi al sito del GMO (è gratuito) per poter continuare ad accedervi.

  • Congresso di Barbastro.
    Nel Maggio di quest'anno si è celebrato il Primo Congresso Internazionale "Picco del petrolio: realtà o finzione?" a Barbastro. Non è la prima conferenza tematica di livello internazionale sul tema in Spagna (c'è stato anche il convegno ASPO del 2008 a Barcellona), ma era un buon momento per tastare il polso della consapevolezza nazionale sul problema...che è poca. Il congresso ha tenuto un livello molto buono, con presentazioni molto interessanti. Potete trovare una descrizione dettagliata dello stesso nel post "Barbastro nello specchietto retrovisore" ed anche in un artícolo di Crisis Energética.

  • Los indignados (gli indignati). 

    Con sorpresa di tutti, una manifestazione di protesta convocata da un incombente movimento cittadino, il 15M (che prende il nome dalla data di convocazione della prima manifestazione il 15 Maggio 2011) riesce ad aggregare qualcosa di diffuso ed esteso, la sensazione di rabbia nella società contro il progressivo processo di esclusione sociale al quale ci vediamo sottomessi (primi segni della temuta Grande Esclusione, probabilmente). La convocazione è un successo e nelle principali capitali spagnole scendono varie migliaia di persone che protestano contro i tagli e la regressione nel benessere sociale, contro l'usura delle ipoteche e le magre prospettive di lavoro. Alla Porta del Sole di Madrid, alcuni dei manifestanti, probabilmente ubriachi dell'emozione di verificare la buona risposta della città alla convocazione e con la voglia di andare oltre, di fare qualcosa di più, decidono di non muoversi dal posto e campeggiare lì, nel luogo più emblematico della Spagna, il punto da cui partono tutte le strade spagnole, il Chilometro Zero. Le autorità li tollerano un paio di giorni, ma il lunedì notte la polizia municipale di Madrid sgombera in malo modo le poche decine di persone accampate. Tempismo sbagliato: la stessa notte una moltitudine di 10.000 persone si ammassa nella piazza ed in altre città si verificano reazioni simili. Il movimento diventa conosciuto come quello degli indignati (prendendo probabilmente spunto dal piccolo libro di Stéphane Hessel). L'occupazione delle piazze ha avuto una recrudescenza quando a Barcellona la polizía tentò di sgomberare la Piazza di Catalogna con grande forza, e, a partire da quel momento, il movimento ha languito per poi isolarsi nelle assemblee di quartiere (nelle quali temo partecipi meno gente, quella più impegnata). Ma sono ancora lì come una catasta di legna in attesa di una nuova scintilla. E' quello che temono i politici tradizionali e che potrebbe essere la nostra ultima speranza.
 


  • Rivolte a Londra. 
    All'inizio di Agosto alcune proteste inizialmente pacifiche per la morte, a causa di colpi d'arma da fuoco (provenienti dalla polizia), di un piccolo criminale sono degenerati, dopo alcuni scontri iniziali con la polizia, nelle agitazioni più importanti, a Londra e nelle altre grandi città inglesi, degli ultimi decenni. Le agitazioni hanno potuto essere soffocate solo grazie ad un gran dispiego di forze di polizia per le strade, dopo una grande distruzione di proprietà e saccheggi generalizzati e si sono concluse con più di 3.000 arresti. Sulle cause di tale esplosione su scala tanto grande, gli esperti indicano la disillusione per le scarse prospettive di futuro in un paese dove le grandi regalie del petrolio stanno cessando ma hanno permesso di dare sussidi a tre generazioni di disoccupati sotto lo stesso tetto. Il maggior timore è che di fronte ad una nuova onda recessiva queste rivolte si ripropongano, aggravate.
  

  • Peter Voser. 
     L'amministratore delegato della Shell, Peter Voser, in un'intervista al Financial Times il 21 di settembre, ha ammesso che i pozzi di petrolio attualmente in produzione declinano ad un ritmo medio del 5% annuo e che nei prossimi dieci anni servirebbe mettere in produzione (non semplicemente trovare le riserve) l'equivalente di 4 Arabie Saudite, circa 36 Mb/d, semplicemente per mantenerci al livello di produzione attuale (che, come sappiamo, ci porta ad una crisi senza fine). Un'impresa tale è semplicemente impossibile. Ovviamente si metteranno in produzione nuovi pozzi ma non potranno compensare completamente questo declino, quindi è chiaro che, se è vero quello che dice il Sig. Voser, durante i prossimi anni vedremo cambiamenti radicali nelle nostre vite.

  • Occupy Wall Street. 
    Da certi movimenti iniziali di malcontento in Febbraio a Madison contro le politiche radicali del governatore del Wisconsin, il movimento di protesta di strada negli Stati Uniti è andato via via prendendo impulso e in settembre il movimento assume una dimensione completamente diversa con il marchio “Occupa Wall Street”. La classe media si sente sempre più indifesa, spossessata ed in pericolo e comincia a mostrare una certa reazione. Come in Spagna, il movimento è minoritario ma si percepisce che l'appoggio popolare è abbastanza ampio. Con maggiore o minore eco, le proteste si riproducono in tutto il mondo occidentale, dal Giappone alla Russia, recentemente Francia, Italia, Grecia ovviamente, ecc, e forse di minore entità, al momento, in Germania.

  • Colpi di Stato in Grecia ed Italia. 
    Durante tutto l'anno i problemi finanziari dei paesi periferici dell'Europa non hanno fatto che aggravarsi: l'anno scorso è stato necessario “salvare” la Grecia e l'Irlanda; quest'anno Portogallo e Italia e la Spagna è sull'orlo di esserlo (quello del “salvataggio”, lo abbiamo già spiegato, è mero sarcasmo). Con una grande contestazione di piazza, manifestazioni e disordini continui quasi ogni giorno per protestare contro le misure di austerità e tagli che sono aumentati, il primo ministro greco Yorgos Papandreu, il 30 ottobre, ha annunciato che avrebbe convocato un referendum per dare al popolo greco l'opportunità di esprimere se è d'accordo con il pacchetto di misure di austerità che il loro Governo vorrebbe applicare. I mercati reagiscono molto male a tale annuncio e in meno di una settimana Papandreu ha lasciato la guida del Governo greco e dall'Europa – è tutto dire – veniva imposto un governo di coalizione fra i due grandi partiti (di segno opposto) e condotto da Lucas Papademos, ex-Goldman Sachs e col profilo del tecnocrate. Non passa nemmeno una settimana che il gran prestigiatore, il maestro dell'elusione, il primo ministro italiano Silvio Berlusconi viene spinto a dimettersi, dal momento che l'Italia ha avuto bisogno dell'aiuto deciso dell'Unione Europea. Il nuovo primo ministro, Mario Monti, dal profilo accademico e tecnocratico, è un altro ex-Goldman Sachs. Il messaggio non può essere più chiaro: la democrazia è alla portata solo (almeno nominalmente) di coloro che se la possono pagare. Come se ci fosse qualche dubbio.

  • WEO (World Energy Outlook) 2011. 
    Abbiamo già commentato qui il difficile puzzle rappresentato dall'ultimo rapporto annuale della IEA. In mezzo ad avvertimenti minacciosi sul fatto che non ci basti il tempo per far fronte al pericolo dei cambiamenti climatici, il WEO del 2011 ci mostra uno scenario di stagnazione della produzione di petrolio convenzionale con tendenza al ribasso e combinato con cinque casi di studio, cinque “sottoscenari nello scenario”, quattro dei quali con possibilità inquietanti per il futuro. E soprattutto gli investimenti necessari da effettuare nei prossimi anni nel settore energetico sono, a dire della stessa IEA, grandiosi: 38 miliardi di dollari in 25 anni.
  • Scarsità mondiale di diesel. 
    Mentre sto scrivendo, il mondo si trova sotto l'effetto di una intensa crisi di scarsità, già reale, di diesel. C'è probabilmente scarsità di prodotti da raffinazione dovuta al fatto che una parte dei petroli non convenzionali, coi quali si supplisce alla caduta della produzione del petrolio convenzionale, non sono adatti per produrre il diesel in modo competitivo. E' solo questione di tempo e questa crisi, che condiziona tutti i paesi fuorché l'Europa ed il Nord America, finirà per arrivare anche lì. Dato che una parte considerevole del parco dei veicoli privati e tutto il trasporto ed i macchinari sono diesel, la sua mancanza potrebbe provocare problemi a cascata di una certa importanza.

  • Rapida degenerazione della condizione finanziaria europea.
    Tutti questi eventi avvengono sotto il segno di un degrado accelerato delle condizioni di finanziamento del debito pubblico nell'Unione Europea, di fronte alle quali i leader politici sono incapaci di trovare una soluzione e prendono solo misure destinate a ridurre il debito. La domanda che aleggia ora è quando cadrà la Spagna ed avrà bisogno di essere salvata.


Saluti,
AMT

mercoledì 18 gennaio 2012

Scienza e resilienza







Tutte le mattine do un'occhiata sul web a quello che c'è di nuovo, e quasi tutte le mattine mi arriva addosso una nuova rivoluzione scientifica da capire e da valutare. Troppo per una testa sola, ma anche affascinante. Tutto quello che leggevo di fantascienza negli anni '60 e '70 si sta avverando, e anche cose che la fantascienza non si immaginava nemmeno.

L'ultima fiammata di innovazione che mi ha steso stamattina, la trovate qui:

http://www.sciencedaily.com/releases/2012/01/120108143559.htm

Leggetelo se avete cinque minuti. Questi sono capaci di usare una "macchina del tempo molecolare" per ricostruire i meccanismi molecolari delle proteine ancestrali e valutare come funzionano. E' veramente una cosa da fantascienza che è rilevante non solo per la biologia molecolare, ma per tantissime altre cose. Conclude il "senior author" Joe Thornton con un'osservazione che mi sembra fondamentale per quelli di noi che si dilettano a studiare i sistemi complessi:

"Non è quello che uno si aspetterebbe, ma è semplice: la complessità è aumentata perché si sono perse - e non guadagnate - delle funzionalità delle proteine. Proprio come nella società la complessità aumenta quando i singoli individui e le istituzioni si dimenticano di come essere dei generalisti e finiscono per dipendere da degli specialisti che hanno delle competenze sempre più ristrette"

Bene, questo non vi fa ricordare una cosa che ha detto Luca Mercalli a "Che tempo che fa"? "Resilienza!" Questa è la cosa che stiamo perdendo con l'aumento della complessità della nostra società. Resilienza è la cosa più importante che dobbiamo ritrovare.




(ringrazio Jules Burn di "The Oil Drum" per la segnalazione)

venerdì 13 gennaio 2012

Il ritorno de "I limiti dello sviluppo"

Di Ugo Bardi


I principali risultati dello scenario "caso base" dello studio "I limiti dello sviluppo", da un recente articolo del New Scientist di Debora McKenzie (disponibile dopo la registrazione)

Il ritorno di interesse per "I limiti dello sviluppo" continua. Dopo decenni di scherno ed insulti, il valore dello studio del 1972 e delle sue rivisitazioni successive viene sempre più riconosciuto. L'ultimo pezzo nella sequenza è l'articolo pubblicato da Debora McKenzie sul New Scientist del 10 gennaio 2012 ed intitolato "Boom and Doom, revisiting prophecies of collapse", ovvero "su e giù: rivendendo le profezie di collasso" (si può leggere sul sito New Scientist dopo la registrazione).

Nel complesso, l'articolo di McKenzie è molto ben fatto e riassume tutti i punti principali della storia: come i Limiti non abbia mai compiuto gli errori di cui è stato accusato di aver commesso, in che modo lo studio sia stato demonizzato, e come i suoi scenari siano ancora pertinenti alla nostra situazione attuale. L'articolo è assai ben documentato e cita il parere della maggior parte dei ricercatori che hanno lavorato alla rivalutazione dello studio e dei suoi metodi, tra cui il mio libro, "The Limits to Growth Revisited".

Un punto che è meno soddisfacente nell’articolo del New Scientist riguarda il rapporto degli scenari dei Limiti con le attuali scoperte della scienza del clima. Si dice che Limiti "sia stato troppo ottimista circa il futuro impatto dell'inquinamento", ma penso che non sia così. Lo studio infatti conteneva almeno uno scenario in cui il collasso economico avveniva a causa del rapido aumento dell'inquinamento. Ma il punto principale è che i Limiti  sia stato forse il primo studio in grado di identificare l’interazione tra l’inquinamento ed il sistema industriale che lo produce. Ciò che, nel 1972, gli autori dei Limiti hanno chiamato "inquinamento persistente" potrebbe oggi essere identificato con l'effetto forzante dei gas serra. Non è possibile, oggi, dire se l'economia crollerà a causa dell’esaurimento delle risorse o a causa del riscaldamento globale, ma che i termini del dilemma siano già stati chiariti nel 1972 va considerata un’intuizione notevole!

L'altro punto che connette "I limiti dello sviluppo" alla climatologia è il trattamento di demonizzazione che lo studio ha ricevuto dopo la sua pubblicazione. Questo punto è ben trattato nell'articolo di McKenzie. La campagna diffamatoria eretta contro Limiti ed i suoi autori è sorprendentemente simile a quella scatenata attualmente contro la scienza del clima e contro gli scienziati del clima. L'unica differenza è che i metodi usati contro la scienza al giorno d'oggi sono molto più aggressivi. Gli autori de "I limiti dello sviluppo” sono stati spesso messi in ridicolo ed insultati; a volte hanno anche ricevuto minacce di morte, ma il livello di abusi che gli scienziati del clima hanno ricevuto negli ultimi tempi è assai più elevato. Ciò avviene, forse, perché le conseguenze del riscaldamento globale sulla nostra società potrebbero essere molto più radicali e temibili di qualsiasi altra cosa che Limiti avesse previsto decenni fa.

Detto questo, è chiaro che possiamo imparare molto dalla storia de I Limiti dello Sviluppo e dalla sua demonizzazione. Purtroppo, una delle cose che impariamo dalla storia è che non impariamo quasi mai dalla storia.


Traduzione dall'originale in inglese di Pandemi-camente.

sabato 7 gennaio 2012

Regolare i conti con la Natura

Guest post di Antonio Turiel (in spagnolo Saldando Cuentas con la Naturaleza).
Traduzione di Massimiliano Rupalti




Immagine dal The Daily Mail: dailymail.co.uk


*A proposito della diffusa leggenda che dice che "il ghiaccio antartico sta aumentando" vedi la nota in fondo a questo articolo.


"Regolando i Conti con la Natura" Di Antonio Turiel



Cari lettori,


un mio collega di laboratorio di tanto in tanto realizza campagne oceanografiche in Antartide. Un paio di anni fa, ebbe l'occasione di trovarsi coi sui vecchi amici in un ambiente che aveva visitato più di venti anni prima. Al ritorno mi ha raccontato molte storie sul suo viaggio, del fatto che avesse rivisto il suo vecchio vascello di ricerca oceanografica, i colleghi che ancora sono imbarcati lì...Poi è diventato pensieroso e mi ha detto: “Sai, la cosa peggiore non è che ogni volta ci sia più mare libero. Vent'anni fa gli iceberg erano bianchi, ora sono azzurri”. Risposi: “Già”, e siamo entrambi rimasti in silenzio. 


Il colore del ghiaccio indica la quantità di aria che si trova intrappolata al suo interno; nella misura in cui il ghiaccio resta intrappolato a maggior profondità ed è sottoposto a maggior pressione, l'aria tende a fuoriuscire ed il ghiaccio diventa sempre più azzurro. Quegli iceberg che aveva visto il mio collega erano di ghiaccio vecchio, probabilmente molto vecchio, ghiaccio che non aveva visto la luce del Sole da molto tempo, probabilmente da secoli. Lavorando in ciò in cui lavoro trovo molto scioccante sentire le urla ostinate del negazionismo climatico, poiché giorno dopo giorno i miei colleghi mi raccontano delle loro campagne di lavoro, o quelle dei loro colleghi, con una copertura pressoché globale. 


Raccontano che i clatrati dei fondali marini in alcune zone stanno evaporando, che le specie di pesci ed insetti tropicali si stanno spostando a latitudini più alte, che nelle specie di pesci presso le quali il sesso viene determinato dalla temperatura si osserva una sproporzione di femmine, che le temperature del Polo Nord e della Groenlandia superano di 8° la media del xx secolo in modo costante, che la maggior parte dei ghiacciai della Groenlandia stanno accelerando la perdita di ghiaccio e il fronte degli stessi retrocede, che la calotta di ghiaccio dell'Artico è sempre più sottile, che si cominciano a vedere terre libere da ghiaccio in Antartide durante l'estate australe... E questo senza tener conto di effetti più sottili come l'aumento dell'evaporazione e del suo possibile collegamento con l'aumento di eventi estremi (precipitazioni più intense in certi luoghi e, paradossalmente, siccità più pronunciate in altri, a seconda dei capricci della circolazione atmosferica generale). Se c'è qualcosa di evidente, questo è che si sta verificando un cambiamento del clima veloce e su larga scala, di una ampiezza maggiore di quello che ci mostrano i registri dell'ultimo milione di anni (escludendo le glaciazioni che sono di segno contrario) e, per quanto insensatamente possano insistere i negazionisti, scollegato dai cicli dell'attività solare.

mercoledì 4 gennaio 2012

Stiamo perdendo la guerra contro il pianeta


Sapevamo che ci eravamo messi in una guerra che non potevamo vincere quando abbiamo affrontato un intero pianeta, ma forse non ci saremmo aspettati che il pianeta avrebbe reagito così violentemente ed in modo tanto efficace. Il 2011 è stato un anno di disastri ambientali in numero ed intensità mai viste prima. E non abbiamo ancora visto niente!

Date uno sguardo alle foto della disfatta del genere umano su thinkprogress ed anche su Desdemona Despair.

(per il link di Desdemona – ringraziamenti a Cristiano Bottone. Traduzione dall'originale in inglese di Alessandro Corradini)