sabato 7 gennaio 2012

Regolare i conti con la Natura

Guest post di Antonio Turiel (in spagnolo Saldando Cuentas con la Naturaleza).
Traduzione di Massimiliano Rupalti




Immagine dal The Daily Mail: dailymail.co.uk


*A proposito della diffusa leggenda che dice che "il ghiaccio antartico sta aumentando" vedi la nota in fondo a questo articolo.


"Regolando i Conti con la Natura" Di Antonio Turiel



Cari lettori,


un mio collega di laboratorio di tanto in tanto realizza campagne oceanografiche in Antartide. Un paio di anni fa, ebbe l'occasione di trovarsi coi sui vecchi amici in un ambiente che aveva visitato più di venti anni prima. Al ritorno mi ha raccontato molte storie sul suo viaggio, del fatto che avesse rivisto il suo vecchio vascello di ricerca oceanografica, i colleghi che ancora sono imbarcati lì...Poi è diventato pensieroso e mi ha detto: “Sai, la cosa peggiore non è che ogni volta ci sia più mare libero. Vent'anni fa gli iceberg erano bianchi, ora sono azzurri”. Risposi: “Già”, e siamo entrambi rimasti in silenzio. 


Il colore del ghiaccio indica la quantità di aria che si trova intrappolata al suo interno; nella misura in cui il ghiaccio resta intrappolato a maggior profondità ed è sottoposto a maggior pressione, l'aria tende a fuoriuscire ed il ghiaccio diventa sempre più azzurro. Quegli iceberg che aveva visto il mio collega erano di ghiaccio vecchio, probabilmente molto vecchio, ghiaccio che non aveva visto la luce del Sole da molto tempo, probabilmente da secoli. Lavorando in ciò in cui lavoro trovo molto scioccante sentire le urla ostinate del negazionismo climatico, poiché giorno dopo giorno i miei colleghi mi raccontano delle loro campagne di lavoro, o quelle dei loro colleghi, con una copertura pressoché globale. 


Raccontano che i clatrati dei fondali marini in alcune zone stanno evaporando, che le specie di pesci ed insetti tropicali si stanno spostando a latitudini più alte, che nelle specie di pesci presso le quali il sesso viene determinato dalla temperatura si osserva una sproporzione di femmine, che le temperature del Polo Nord e della Groenlandia superano di 8° la media del xx secolo in modo costante, che la maggior parte dei ghiacciai della Groenlandia stanno accelerando la perdita di ghiaccio e il fronte degli stessi retrocede, che la calotta di ghiaccio dell'Artico è sempre più sottile, che si cominciano a vedere terre libere da ghiaccio in Antartide durante l'estate australe... E questo senza tener conto di effetti più sottili come l'aumento dell'evaporazione e del suo possibile collegamento con l'aumento di eventi estremi (precipitazioni più intense in certi luoghi e, paradossalmente, siccità più pronunciate in altri, a seconda dei capricci della circolazione atmosferica generale). Se c'è qualcosa di evidente, questo è che si sta verificando un cambiamento del clima veloce e su larga scala, di una ampiezza maggiore di quello che ci mostrano i registri dell'ultimo milione di anni (escludendo le glaciazioni che sono di segno contrario) e, per quanto insensatamente possano insistere i negazionisti, scollegato dai cicli dell'attività solare.

mercoledì 4 gennaio 2012

Stiamo perdendo la guerra contro il pianeta


Sapevamo che ci eravamo messi in una guerra che non potevamo vincere quando abbiamo affrontato un intero pianeta, ma forse non ci saremmo aspettati che il pianeta avrebbe reagito così violentemente ed in modo tanto efficace. Il 2011 è stato un anno di disastri ambientali in numero ed intensità mai viste prima. E non abbiamo ancora visto niente!

Date uno sguardo alle foto della disfatta del genere umano su thinkprogress ed anche su Desdemona Despair.

(per il link di Desdemona – ringraziamenti a Cristiano Bottone. Traduzione dall'originale in inglese di Alessandro Corradini)

domenica 1 gennaio 2012

Chimica di un Impero: l'ultima Imperatrice Romana

Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti dal post su “Cassandra's Legacy” del 22 Dicembre 2011



Galla Placidia  (388-450) è stata l'ultima (e la sola) imperatrice romana d'Occidente. Contemporanea di figure come Sant'Agostino, San Patrizio, Attila l'Unno e, forse, Re Artù, ha avuto la rara opportunità di poter fare qualcosa che i precedenti imperatori romani non hanno mai saputo fare: portarel'Impero alla sua fase finale, che doveva essere, inevitabilmente, la sua scomparsa. Questo medaglione è l'unica immagine ragionevolmente realistica che ci è rimasta di lei. L'iscrizione dice: Domina Nostra, Galla Placidia, Pia, Felix, Augusta.


Mentre stavo preparando questo saggio sull'Imperatrice Galla Placidia, mi sono ritrovato a fare una lezione improvvisata sul tema ai miei studenti di chimica durante l'ultima lezione prima di Natale. In seguito, ho pensato che avrei potuto scrivere il mio saggio nella forma di quella lezione. Quindi, eccolo qua. Questo testo è più esteso in confronto a quello che ho fatto ai miei studenti in quella occasione, ma mantiene ancora la sua essenza. Ho aggiunto solo dei sottotitoli e qualche figura.



Introduzione: chimica di un impero

Non penso che ci sarà una lezione di chimica, oggi. Siamo vicini a Natale, siete troppo pochi e quindi credo sia meglio saltare una lunga e noiosa lezione, la faremo dopo la pausa delle vacanze. Così, potremmo uscire a prendere un caffè ma, forse, potremmo anche usare questo tempo che abbiamo in un altro modo. Sapete, c'è un tema sul quale sto lavorando quando ho del tempo libero: la storia romana. Così, pensavo che, al posto di farvi una lezione di chimica, avrei potuto parlarvi di questo argomento. Vi piacerebbe sentire la storia di una principessa Romana che sposò un re barbaro e divenne l'Imperatrice di Roma?

Ora, vedo dalle vostre facce che – sì, vi piacerebbe proprio sentire questa storia. Ma notate che, probabilmente, questo è un tema che non è tanto lontano dalla chimica come potreste pensare. Sapete, le civiltà possono essere viste come enormi reazioni chimiche e voi sapete che le reazioni chimiche tendono a divampare e poi a scomparire; è ciò che chiamiamo “cinetica chimica”, l'avete già studiata. La stessa cosa avviene per gli imperi; tendono a divampare per poi sparire. Questo è ciò che è accaduto all'Impero Romano, come sapete bene. Quindi, le civiltà e le reazioni chimiche possono essere studiate con metodi simili; è un campo della scienza che va sotto il nome di “dinamica dei sistemi”. In un certo senso, ci sono forze che spingono la gente a fare le cose proprio come ci sono forze che spingono le molecole a reagire. In chimica chiamiamo queste forze “potenziali chimici”, per le persone potremmo usare il termine “destino,” oppure "karma," o qualcosa di simile. Ma probabilmente la differenza non è così grande.

Ma non vi preoccupate delle equazioni. Ho detto che oggi vi avrei raccontato una storia ed è quello che sto per fare. E' la storia di Galla Placidia, nata principessa romana, poi regina dei Goti e infine  imperatrice. E' una grande storia d'amore, sesso e guerra. Quindi, cominciamo!

La caduta di Roma.

Ora, vi chiedo di chiudere gli occhi e di dimenticare per un momento dove vi trovate. Dimenticate che siete in un'aula, dimenticate che siete studenti di chimica, dimenticate di vivere nel ventunesimo secolo. Provate ad immaginare qualcosa che è esistito nel lontano passato: l'antica Roma nei primi anni del quinto secolo della nostra era, 1500 anni fa.


venerdì 23 dicembre 2011

La saga dei minatori


 La morte di John Henry, mitico “steel driving man” che sfidò e vinse la macchina a vapore, ma ne fu sconfitto a sua volta. Un quadro di Palmer Hayden (1890-1973)



Dal mio libro "La Terra Svuotata" (Editori Riuniti, 2011), vi passo alcune considerazioni sul futuro dell'uomo; non troppo ottimistiche ma nemmeno tanto pessimistiche.
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John Henry was a little baby boy
Sitting on his mama's knees
When he took up a hammer
And a little piece of steel
He said, “this hammer is gonna be the death of me, Lord, Lord!”


John Henry era un ragazzino
Seduto sulle ginocchia della mamma
Quando prese in mano un martello
E un pezzettino di acciaio
Disse, “questo martello sarà la mia morte, Signore, Signore!”


Canzone popolare americana del secolo XIX


Nella letteratura che ci descrive millenni di storia umana leggiamo di guerrieri, condottieri, esploratori, poeti e tante altre figure gloriose. Poco o nulla ci viene detto di quelli che hanno fornito ferro per le spade e gli scudi dei guerrieri, oro per condottieri e gioielli per le dame che i poeti hanno cantato. Della storia di questa schiera di minatori, poco è rimasto di scritto, fra quel poco, un frammento è la canzone di John Henry, il cui lavoro era di piantare sbarre d'acciaio a martellate nella roccia; perforandola quel tanto che bastava per poi infilarci dentro un candelotto di dinamite. Come tante storie drammatiche, anche questa non è a lieto fine. John Henry sfidò lo “steam drill”, il martello pneumatico a vapore, riuscendo a sconfiggerlo ma solo per poi accasciarsi morto per il tremendo sforzo. In poche righe, leggiamo tutta la saga dei minatori umani: tanto lavoro, e alla fine, per che cosa? Per sparpagliare e disperdere quello che il pianeta aveva impiegato miliardi di anni per accumulare.

In qualche migliaio di anni, abbiamo visto la saga del popolo dei minatori cominciare un po' in sordina con prime miniere di ocra in Inghilterra, per poi crescere gradualmente; espandersi fino a diventare l'impresa immane che vediamo oggi. In pochi secoli, abbiamo visto un'immensa reazione chimica svilupparsi sulla superficie del pianeta che ha dato fuoco alle riserve di carbonio accumulate in milioni di anni di attività geologica. Nel processo, la reazione ha sparpagliato ceneri per tutto il pianeta, polveri finissime che contengono metalli pesanti che, anche quelli, erano stati concentrati in vene e depositi da miliardi di anni di processi idrogeologici. Di tutto quello che il pianeta aveva accumulato, gran parte è già sparita; quello che rimane viene rapidamente bruciato, incenerito e disperso. Siamo oggi forse al culmine di questa immensa reazione chimica e già vediamo la discesa che ci aspetta: il grande fuoco dei combustibili fossili non può durare in eterno. Come tutti i fuochi, divora il combustibile che lo produce e, alla fine, si spegnerà lasciando solo cenere. Senza più vene, senza più pozzi, senza più giacimenti, non ci saranno più nemmeno minatori. E' la fine di un ciclo brevissimo dal punto di vista geologico ma che, per noi umani, era sembrato nella natura delle cose. Non lo era.

Certo, abbiamo ancora miniere da sfruttare e pozzi di petrolio da trivellare. Ma è inesorabile che un giorno vedremo la sparizione dell'attività mineraria così come l'abbiamo conosciuta nei secoli passati: sparisce la figura del minatore con il suo piccone e il suo elmetto con la lampada incorporata. Qualunque cosa succeda nei prossimi anni, le miniere di una volta non esisteranno più e non si riformeranno per centinaia di migliaia di anni, o forse milioni. Alcuni minerali, probabilmente, non si riformeranno mai più su questo pianeta. Il carbone, per esempio, si è formato come il risultato di condizioni ambientali particolari del periodo Paleozoico e che è possibile che non vedremo mai più nei prossimi milioni, o anche miliardi, di anni. Senza carbone, è molto costoso raffinare i metalli; senza metalli a basso costo è difficile pensare a una società industriale. E' difficile costruire oscuri mulini satanici, come William Blake definiva le industrie, solo col carbone di legna; le foreste tendono ad esaurirsi troppo velocemente. Può darsi che la rivoluzione industriale degli ultimi secoli sia stata l'unica di tutta la storia del pianeta.

Quello che lasciamo ai nostri discendenti è un pianeta diverso, un pianeta svuotato, una Terra che ha caratteristiche climatiche e ambientali che non sono più quelle di una volta. I cambiamenti sono tanti; il principale è forse la grande immissione di biossido di carbonio nell'atmosfera che ha portato la sua concentrazione a livelli che non si riscontravano da decine di milioni di anni. Questo grande picco del biossido di carbonio è stato creato dalla combustione di sostanze che non facevano parte della biosfera ormai da milioni di anni: i combustibili fossili: petrolio, gas e carbone. Trattandosi di sostanze aliene ai cicli biologici esistenti, la biosfera non potrà che assorbirne una parte, adattandosi per quanto possibile. Il resto, una frazione significativa, rimarrà nell'atmosfera per centinaia di migliaia di annii. Tale è la portata delle modifiche che abbiamo fatto al nostro pianeta in sole poche centinaia di anni di attività frenetica. Non possiamo escludere che la forzante climatica del CO2 non trasporti l'intero pianeta a uno stato climatico che potrebbe somigliare a quello che era il clima qualche decina di milioni di anni fa: un pianeta caldissimo e privo di calotte glaciali dove non sappiamo se gli umani potrebbero adattarsi a vivere.

Quale sarà, allora, il destino della civiltà umana? Può darsi che saremo costretti a ritornare a una società prevalentemente agricola, con un livello tecnologico molto più basso di quello attuale, ma non è affatto detto. Utilizzando l'energia solare e tecnologie che non richiedono elementi rari ed esauribili, siamo perfettamente in grado di costruire una società in grado di gestire l'ecosistema planetario in modo tale da rimediare ai danni che noi stessi abbiamo causato e a restituire il pianeta alle condizioni in cui era quando l'abbiamo ereditato. Un pianeta ricco di vita e di diversità è una condizione che possiamo mantenere per millenni o anche periodi molto più lunghi. Da questo pianeta possiamo partire per continuare la grande impresa in cui ci siamo impegnati: capire e esplorare l'universo.



mercoledì 21 dicembre 2011

Il Picco dell' E-Cat

Numero di ricerche del termine "E-Cat", secondo Google Trends



L'interesse per l’ "E-Cat", il presunto "reattore a fusione fredda" inventato da Andrea Rossi e Sergio Focardi, sta diminuendo. Si può percepirlo chiaramente dall'attività dei vari siti che lo riguardano; ma "Google Trends" conferma che la tendenza è effettivamente bassa. Dopo una fiammata di curiosità che ha raggiunto il picco nel novembre 2011, la gente ha scoperto che non c'era nulla da vedere sul E-Cat, ad eccezione di alcune presunte "dimostrazioni" che in realtà non dimostrano nulla. Quindi, hanno perso interesse.

Ciò che resta dell'E-Cat è un piccolo nucleo di sostenitori irriducibili - soprattutto in Italia - che probabilmente terranno vivo il mito per molto tempo. E' tipico e ben noto: le teorie sulla "free energy" non muoiono mai. Oggi, la gente sta ancora discutendo i supposti dispositivi di free energy attribuiti a Nikola Tesla e che risalgono a quasi un secolo fa – il povero Tesla probabilmente si sta ancora girando nella bara. E, nel frattempo, molte altre teorie strambe sono state proposte. In questo campo, l'E-Cat rimane notevole per l’ammontare di frastuono che ha generato in confronto alle poche prove (in realtà, nessuna) presentate.

In merito al E-Cat, potreste essere interessati a due articoli ben concepiti ed approfonditi che demoliscono le affermazioni di Rossi alla base.

No miracles in science: the story of the E-Cat. By Antonio Turiel

The Physics of why the e-Cat's Cold Fusion Claims Collapse, by Ethan Siegel



Post originale pubblicato su "Cassandra's Legacy". Traduzione di "Pandemicamente

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Nota aggiunta alla versione italiana. Ecco i dati sulle ricerche per "E-Cat" nella sola Italia



Qui il picco di interesse è meno chiaro che nella versione globale, ma la tendenza al declino e ugualmente evidente. Può darsi che la "coda" di interesse nel fenomeno durerà più a lungo in Italia che in altri paesi

martedì 20 dicembre 2011

L'irresponsabilità di essere (tecno)ottimisti

Guest post di Antonio Turiel apparso il 19 Aprile 2010 su The Oil Crash. Traduzione di Massimiliano Rupalti.




Cari lettori,



sulla base dell'ultimo commento di Agustìn (un lettore del blog, ndT) fatto al precedente post, ho creduto che il tema toccato fosse talmente ampio che meritasse un post a sé.

Circa la descrizione che facevo dei problemi di fornitura di frutta e verdura nel Regno Unito provocata dal blocco del traffico aereo (è il periodo dell'eruzione del vulcano islandese Eyiafjallajokull, ndT), Agustìn diceva quanto segue:

Sono chiare due cose: Primo: che in questo pianeta siamo di passaggio e quasi per caso, quindi qualsiasi crisi ci può spazzar via dalla faccia della Terra. Secondo:che la tecnologia (in questo caso l'aeronautica) può ben poco di fronte a questo. Ma non importa, ci sarà sempre gente che protesta perché non sono state previste le conseguenze dell'eruzione e perché non si è cercata una soluzione al “loro" problema.

Agustìn ha ragione, perché sono questi due i problemi ricorrenti e che spiegano in gran parte la nostra incapacità di approcciarci in modo razionale al problema del Picco del petrolio. Grosso modo (scritto così nel testo originale, ndT), questi due problemi sono la nostra incapacità di accettare i nostri limiti e il tecno-ottimismo.

L'essere umano è, intrinsecamente e necessariamente, limitato. Questo lo capiamo presto da bambini: non possiamo correre tanto quanto vorremmo, non possiamo sollevare cose molto pesanti, non possiamo volare... E nemmeno possiamo fare ciò che crediamo, nel contesto dei nostri limiti fisici, per via di altri limiti intangibili ma ugualmente inflessibili: la famiglia, la società, la scuola... Tuttavia, questa evidenza si va disperdendo con l'età, nella misura in cui si insedia un'altra idea, non tanto naturale ed evidentemente fallace, che dice che è possibile ottenere qualsiasi cosa, con i giusti mezzi. La nostra società dei consumi ci sta permeando con l'idea che con sufficiente denaro si può ottenere tutto e dove la nostra capacità fisica non può arrivare,sarà capace di arrivare l'onnipotente tecnologia. Questa nuova realtà prefabbricata risulta essere molto comoda e conveniente; elimina l'incertezza del mondo reale, rende più rarefatta la più terribile di tutte le certezze, quella della propria morte, e spinge le persone a
consumare senza riflettere.

Tuttavia, occasionalmente, la disgrazia arriva comunque, la gente muore in incidenti, terremoti, malattie.... L'economia ha problemi, la disoccupazione aumenta, l'insicurezza cresce... Per lottare contro questa realtà spigolosa, che intacca la nostra cortina di illusioni, abbiamo il tecno-ottimismo, vale a dire la rigida credenza nel fatto che la tecnologia possa risolvere qualsiasi problema, se solo siamo disposti ad investire a sufficienza nel suo sviluppo. Questo sta alla base di molte politiche che sono in corso di attuazione oggigiorno, man mano che si comincia a percepire il fatto che abbiamo un problema intrinseco col modello attuale: che, eventualmente, dobbiamo cercare energie alternative; che, eventualmente, l'auto elettrica ci potrà aiutare a superare la nostra dipendenza dal petrolio, ecc. L'infantilismo nel quale ci ha gettati il consumismo ci porta a credere che tutti i problemi si possono risolvere e che Papà-Stato-Autorità-Tecnologia-Scienza-Chiperloro, in ogni caso l'autorità superiore e responsabile, non solo può, ma addirittura ha l'obbligo di risolvere i problemi. Trovo frustrante che, in tutti gli incontri che vado proponendo sull'Oil Crash, quando arriva il momento delle domande ci sia sempre qualcuno che ci chiede, quasi esige da noi – noi che siamo scienziati e che pertanto siamo parte di questo establishment onnipotente – che risolviamo un problema tanto complesso come quello di adattare una società autistica ed egoista ad uno scenario di diminuzione dell'energia; fuori le soluzioni, forza!

Il problema veramente grave è che le diverse amministrazioni accettano questo ruolo di fornitori di soluzioni che, in realtà, non possono ricoprire. Non si vendono più automobili? “Non vi preoccupate, metteremo sovvenzioni per fare in modo che si continuino a vendere”, anche se entro tre anni non si sa da dove estrarremo il petrolio, non tanto a buon mercato, ma a qualsiasi prezzo. La gente si preoccupa perché il prezzo del petrolio sale? “Non vi preoccupate che con l'auto elettrica il problema del petrolio scompare”, ignorando il fatto che il petrolio non si usa solo per le auto, ma per quasi tutto e che in ogni caso non abbiamo idea da dove verrà l'energia per ricaricare queste auto e per la costruzione delle quali non abbiamo, in ogni caso, sufficienti materiali (per esempio le terre rare, ndT). La domanda di petrolio per gli altri usi energetici, oltre alle auto, continua? “Non vi preoccupate, che possiamo moltiplicare per due o per tre la produzione di energia rinnovabile attuale”, ma ignorando che questo è molto lontano dal moltiplicare il suo potenziale per 20, che è quello di cui avremmo bisogno per eguagliare il consumo attuale. Fra l'altro perché è impossibile, perché l'energia rinnovabile non ha un tale potenziale e questo senza parlare della mancanza di materiali per le installazioni e della loro scarsità associata all'aumento del prezzo del petrolio (perché serve petrolio, ed in quantità ingenti, per estrarre, raffinare e processare tutti i materiali). La gente ha paura della disoccupazione? “Non vi preoccupate e consumate, consumate, maledetti, che dobbiamo far crescere il PIL fino al magico 2,6% che farà in modo che la disoccupazione torni a scendere”, anche se questo non è possibile, visto che il nostro consumo di petrolio scende ad un ritmo medio del 3% ogni anno.

Essere tecno-ottimisti, credere che la tecnologia risolverà tutto, è un modo socialmente accettabile di essere suicidi. Io, se permettete, scelgo la vita. Sono uno scienziato, ma non un idiota e non voglio credere ai benefici della tecnologia come se fosse un atto di fede; proprio perché sono uno scienziato so che ci sono dei limiti nella natura (le leggi della termodinamica, per esempio) e che non possiamo fare miracoli, anche se possiamo e dobbiamo migliorare le condizioni di vita degli umani. Ma cerchiamo di essere razionali.

Saluti,

AMT

venerdì 16 dicembre 2011

Costruire il futuro guardando le cose dall'alto



Guest post di Antonio Turiel da "The Oil Crash" dell'8 Novembre 2011
Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti





Cari lettori,

nel programma di Radio Libertad di giovedì scorso Juan Carlos Barba ha annunciato che questa settimana avremmo parlato delle misure che si dovrebbero prendere per adattarsi al futuro della Grande Scarsità. Siccome c'è stato un cambio di invitati (io stesso non potrò partecipare questa settimana), è possibile che ci sia anche un cambio di dibattito, anche se il tema in questione finirà un giorno per essere discusso. Inoltre, è una domanda assai logica che già è solita emergere nei discorsi sull'Oil Crash e che, semplificando e abbreviando, si potrebbe formulare in questo modo: che raccomandazioni farebbe al Governo (o ai Governi) per gestire l'Oil Crash, se l'ascoltassero?

Mi preoccupa abbastanza mettermi in questo pasticcio, quello cioè di dare consigli o linee d'azione, perché più che in altri ambiti, mi rendo conto dei miei limiti o carenze. Non so praticamente nulla di economia e nemmeno delle difficoltà di gestione della cosa pubblica, per non parlare di come legiferare correttamente. Un errore fatale in qualsiasi di questi o altri indirizzi e le nostre migliori intenzioni lastricheranno il cammino per l'inferno. Ma, d'altro canto, non sarebbe onesto da parte mia eludere completamente la responsabilità di fare osservazioni dure che avranno bisogno di elaborazione, e non poca, prima che si possano interpretare in chiave di azione politica. D'altra parte, credo che in questa missione, quella di definire adeguate linee guida di attuazione, i diversi commentatori che sono soliti leggere questo blog apporteranno i loro diversi punti di vista e, sicuramente, dal dibattito che un post come questo susciterà, si potranno tirar fuori idee interessanti di fronte a quello che potrebbe essere un piano di Governo di Transizione. Perciò, credo che possa essere utile ed istruttivo, in particolare per me stesso, aprire finalmente questo dibattito e vedere cosa possiamo mettere in chiaro.

Naturalmente altri prima, e con maggior merito e conoscenza, hanno affrontato questo compito: ecco, per esempio il Real New Deal del Post Carbon Insitute. A livello più locale, c'è il piano di Transizione elaborato dall'associazione galiziana Véspera de Nada (guardate sulla colonna di destra della sua pagina web, Misure per far fronte al picco del petrolio), che mi ha fatto l'onore di chiedere la mia opinione. Io, senza arrivare ai particolari di quest'ultima, vorrei raccogliere alcune idee che credo debbano far parte di questo piano di transizione governato dall'alto. Ecco alcune di queste idee chiave:


Lasciare il BAU (Business as usual, continuare come al solito)

Questo è il più difficile dei compiti da intraprendere e quello che ha più implicazioni. Dobbiamo far comprendere ai nostri governanti che il BAU, il modo di fare degli ultimi decenni, non ha senso in un mondo dove le risorse sono limitate, in diminuzione e non sostituibili. Lo abbiamo discusso molte volte: l'accesso sempre più limitato al petrolio, in particolare, e all'energia in generale implicano il fatto che questa crisi economica non finirà mai, perché all'interno del nostro sistema economico dobbiamo sempre crescere a un certo ritmo; questo è il motivo per cui la nostra società è chiamata “la società dei consumi” ed il motivo di tanto spreco. I nostri leader reagiscono sulla base di ricette economiche apprese durante gli ultimi cento anni, secondo le quali la crescita è la miglior garanzia per avere un alto tasso di impiego ed evitare rivolte sociali, oltre che per accontentare e soddisfare i poteri economici e industriali. Tutta la politica attuale di tagli della spesa pubblica e la diminuzione dello stato sociale è diretta a risparmiare sulla parte non produttiva della società per concentrare il flusso economico sulle parti produttive, con la speranza che queste si riprendano, generino un nuovo ciclo di crescita economica e nuovo impiego, così si potrà far marcia indietro nella politica dei tagli che mette tanto a disagio il cittadino medio. Il problema è che la premessa è falsa: destinare maggiori risorse per concentrarsi nel riscatto del settore finanziario e nell'alleviare la pressione delle imposte nel settore industriale e dei servizi non ci porterà ad una nuova crescita dell'economia, perché andando avanti l'energia ed i materiali consumati saranno più cari e più scarsi. E non per mancanza di investimenti nella loro estrazione e produzione, ma per ragioni fisiche e geologiche di cui tante volte abbiamo discusso in questo blog. Tuttavia, c'è tanta teoria economica sviluppata ignorando il fatto che non si può crescere per sempre, e contrastare questa idea falsa ed autoconvincersi della necessità di un cambio di paradigma, di schema mentale, ci prenderà molto, molto tempo.

Un nuovo ordine sociale

Una volta compreso che il BAU non può continuare, si devono ristabilire le priorità, perché la priorità fino ad ora è stata sempre la crescita, poiché da essa derivavano le soluzioni alla gran parte delle necessità, come corollario. Se non c'è una crescita, bisogna tornare a fare una politica della verità e decidere cosa si deve fare a come. A mio parere, la prima priorità è quella di garantire il lavoro in modo generalizzato come mezzo fondamentale per preservare la pace sociale – per intenderci: dare impiego alla gente di modo che si possa guadagnare da vivere degnamente. Alcune persone obiettano che la pace sociale non sia importante, che la sola cosa che interessa al poteri economici (che usano i leader politici per attuare il loro programma) è guadagnare sempre più denaro, anche se per far questo devono sottomettere con la forza tutta la popolazione. Evitando di metterci a discutere se questa sia o no l'intenzione di questi poteri economici, un tale metodo non è sostenibile a lungo termine: oggi come oggi il potere economico si basa sul vendere molti prodotti a molta gente, ma se la gente perde la capacità economica perché è disoccupata o sottoccupata è evidente che i benefici precipiteranno e molte grandi imprese sprofonderanno, come di fatto sta già accadendo ora (quale credete che sia il futuro a breve termine della BMW o, a più lungo termine, della Apple?). Altro è che alcune persone ben posizionate intendano garantirsi una posizione di privilegio in un nuovo ordine feudale che potrebbe sopraggiungere, anche se, a mio parere, analogamente a quanto accadde nel Medioevo, se sopraggiungesse il caos anticipato dai sostenitori di questo futuro, avrebbe più possibilità di diventare un neo-barone un capo di un gruppo di comando elitario che non un banchiere grasso che agita mazzette di dollari senza più valore o brandendo carissimi ed inutili pezzi di oro e argento. Ma, infine, supponiamo che i nostri leader abbiano compreso l'impossibilità del BAU e cerchino ciò che è socialmente più conveniente. Come dicevo, la prima cosa è stabilire un sistema che dia impiego a tutti e questo in un contesto di un'economia che non cresce. Cosa che non appare facile, anche se non impossibile.
 

Economia stazionaria


Se gli introiti non possono crescere, come sembra, la smaterializzazione assoluta dell'economia non è un obbiettivo possibile (e, soprattutto, efficacie) a breve termine, è chiaro che ad un determinato momento l'economia debba smettere di crescere e tornare stazionaria, vale a dire di dimensione costante, e questo probabilmente dopo un periodo di decrescita. Un'economia stazionaria ha approcci completamente diversi da una di crescita. La forza lavoro non può modificarsi sostanzialmente durante il tempo, né il numero di fabbriche, né i mezzi di produzione in generale. Peggio ancora, si deve stabilire un qualche tipo di pianificazione su grande scala (non sulle attività specifiche, ma sul consumo generale di risorse sì) per evitare che si producano grandi scompensi. La competitività nel tempo in cui si impongono restrizioni è un compito che trovo piuttosto complicato. In ogni caso, le variabili da controllare sono fisiche (energia consumata, tonnellate di materiale) e non monetarie. Se possibile, la miglior unità di misura di questa economia è l'energia di lavorazione o, meglio ancora, l'exergia.

Funzione del lavoro

Si deve ripensare il lavoro, la sua funzione sociale e il grado di soddisfazione che si potrà dare alle necessità umane, quelle reali e quelle percepite. E' fondamentale garantire cibo, acqua, vestiario e alloggio alla popolazione. E' conveniente e rilevante fornire anche educazione e sanità. A partire da lì, è naturale lasciare che la gente sviluppi la propria iniziativa personale, per ragioni buone e convincenti; il come lo stabiliranno le persone con più capacità e conoscenza. Ciò che non è facile né banale è garantire la produzione con mezzi sostenibili di questi beni fondamentali. E' pertanto importante identificare le risorse locali, le capacità locali di produzione e verificare come mantenere reti sufficienti per il commercio di quei prodotti di cui ciascun territorio sia deficitario o abbia un'eccedenza. Avendo accesso a quantità di petrolio e gas in diminuzione a medio termine ed a nessuna quantità a lungo termine, è importante decidere come si può mantenere la meccanizzazione dell'agricoltura e dei trasporti. Si deve stimare qual è la quantità di biocombustibile che sia ragionevole produrre senza compromettere l'alimentazione umana ed animale e dove risulta più conveniente. Si deve anche decidere quanti animali si possono ragionevolmente allevare, come distribuire la popolazione sul territorio, come evitare l'erosione del suolo, come assicurare l'acceso all'acqua per l'irrigazione ed il consumo umano e animale, come potabilizzarla e ripulirla avendo accesso a minori quantità di prodotti chimici specialistici e via ancora un lunghissimo eccetera di questioni tecniche che richiederanno lunghi studi specialistici e che devono essere adeguatamente coordinati.

Pianificazione e limitazione nell'accesso alle risorse

Il fatto che le risorse siano finite (nel senso di limitate, ndT) e, ancora più importante, la disponibilità limitata delle stesse a causa dell'impossibilità di incrementarne la produzione (e distribuirle da parte dei produttori), implica che tanto per cominciare si devono lasciar perdere certi usi superflui delle risorse non rinnovabili (quelli che le bruciano o le disperdono fino a renderle irrecuperabili), incluse quelle risorse rinnovabili per le quali non si sono ancora trovati usi di interesse generale – in previsione che in futuro possano essere importanti. Si dovrà assicurare sia il risparmio sia il riciclaggio dei materiali, il che implica un cambiamento della progettazione (quindi l'abbandono dell'obsolescenza programmata, ndT) per facilitare la riparazione ed il recupero dei materiali, anche se ciò implicasse la produzione di beni meno efficienti di quelli attuali. E questo richiede uno sforzo ingegneristico su grande scala in tutta la società, sforzo che porti a ripensare completamente i cicli di vita dei prodotti.

Un punto complicato è la necessaria pianificazione, più o meno centralistica, dell'accesso ai materiali, sia quelli rinnovabili, sia quelli non rinnovabili, perché anche i secondi hanno dei limiti e mal gestiti possono deteriorarsi e diminuire (di questo abbiamo molti esempi oggigiorno, dall'erosione del suolo coltivabile all'esaurimento dei bacini di pesca). L'ideale sarebbe lasciare al libero mercato la regolamentazione di questo accesso, ma l'esperienza ci dimostra che, forse per l'imperfetta psiche umana, il libero mercato è solito portare a squilibri ed abusi di potere da parte di coloro che hanno di più, e ciò snatura il mercato da libero a ostaggio dei loro interessi. Ma anche un sistema di pianificazione è tendente all'abuso, soprattutto se chi lo gestisce approfitta della propria posizione per ricevere prebende o favorire i propri interessi. Non sembra esserci una soluzione semplice in questo caso.

Libertà e informazione: democrazia piena

Uno dei grandi problemi che ha la nostra società occidentale è la tendenza all'opacità nei temi chiave della gestione politica; peggio ancora, si è arrivati al punto che una parte importante della popolazione creda che alcuni temi siano troppo complicati perché l'opinione di un cittadino comune possa contare. In realtà, la cosa logica sarebbe informare quel cittadino perché possa avere un'opinione informata, anziché prescindere da essa. In più, non è vero che le grandi linee concettuali siano tanto complicate da capire come spesso si vuol far credere: molte volte si ingrandiscono i dettagli più astrusi perché sembrino sostanziali anziché secondari. Manca una gestione onesta che rappresenti i grandi indirizzi politici riassumendo i dettagli e le difficoltà senza complicare e pasticciare le discussioni (che è ciò che oggi fanno i nostri politici e che fa sì che sopra lo stesso tema tirino fuori statistiche apparentemente contraddittorie, anche se in realtà dicono la stessa cosa, al fine di aumentare la confusione del pubblico). 


E' importante che in un futuro complesso e che in alcuni momenti richiederà importanti sacrifici, la gente abbia consapevolezza chiara di quali siano i veri problemi e che possa verificare, senza sensazionalismo né cortine di fumo, che le misure che si sono prese stiano andando a buon fine e quelle che si rivelino sbagliate possano essere corrette rapidamente senza confusione né denunce incrociate. Insomma, è importante coinvolgere di più i cittadini, cioè quel popolo da cui emana l'unica sovranità, nella gestione e nella decisione, il che si può ottenere soltanto attraverso un'informazione chiara e vera e che non venga confusa con migliaia di sciocchezze senza senso.


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Il lettore si renderà conto che questo programma di attuazione è molto vago e generico e non si focalizza sui dettagli. Ma anche così implica cambiamenti strutturali profondi da fare nella nostra società, cambiamenti che saranno molto difficili da realizzare partendo da dove ci troviamo ora. Soltanto con molta costanza e con l'informazione si può provare a girare pagina ed avanzare in direzione del cambiamento necessario, un cambiamento di cui non dovranno essere protagonisti né i politici professionisti di oggi, né i tecnici come me, che siamo solo di aiuto, ma dalla popolazione stessa.



Saluti,

AMT