domenica 13 novembre 2011

ASPO-Italia 5: oltre il picco del petrolio




Toufic El Asmar, ricercatore presso la FAO e vicepresidente di Aspo Italia, parla al quinto convegno dell'associazione a Firenze. Cambiamento climatico ed agricoltura sono stati i principali argomenti del suo intervento.



Il Picco del petrolio è ormai alle nostre spalle. Questo è ciò che sembra essere chiaro da quanto è stato detto al quinto convegno della sezione italiana dell'associazione per lo studio del picco del petrolio (ASPO), tenutosi a Firenze il 28 Ottobre. Già nel primo intervento dell'incontro, quello tenuto da Ian Johnson, segretario del Club di Roma, l'enfasi non è stata sul petrolio, ma sui problemi finanziari che il mondo sta affrontando. Questo punto è stato trattato anche da Nicole Foss del blog "The Automatic Earth" che ha parlato del totale ed imminente collasso del sistema finanziario mondiale.

Un altro punto discusso in modo esteso al convegno è come il picco stia portando l'industria del petrolio ad estrarre e trasformare risorse inefficienti ed inquinanti e come ciò sia causa di un peggioramento del problema dei cambiamenti climatici. Questa era la ragione che ha portato ASPO-Italia ad organizzare questo convegno unitamente a "Climalteranti", un gruppo di scienziati del clima Italiani. Almeno la metà degli interventi al convegno erano specificamente dedicati al cambiamento climatico e la questione climatica era praticamente presente in ogni presentazione. Dati recenti indicano un notevole salto in avanti nella concentrazione di CO2 nell'atmosfera a conferma che questa tendenza è in corso.

Il picco del petrolio sta condizionando anche l'agricoltura, come riferito dal vicepresidente dell'associazione, il Dott.Toufic El Asmar, che è anche ricercatore presso la Food and Agricolture Organization (FAO) a Roma. Il problema non è ancora percepito dalla maggioranza delle persone che hanno a che fare con la sostenibilità, ma è chiaro che è enorme. L'agricoltura, per com'è strutturata oggi, non può sopravvivere senza combustibili fossili ed il danno causato dai cambiamenti climatici potrebbe essere devastante.

Un altro punto discusso ampiamente ad ASPO-Italia 5 è stato il problema della comunicazione. Come trasformare i nostri modelli in azioni concrete? Questo si rivela essere un problema estremamente complesso e difficile. Non che non ci abbiamo lavorato. Pietro Cambi, membro di Aspo-Italia, ha stimato nel suo intervento che una persona su tre in Italia è stata esposta almeno una volta ai messaggi sul picco del petrolio durante gli ultimi 5 anni, come risultato del lavoro di ASPO e di associazioni e persone ad essa vicine. E' un notevole risultato, considerando che ASPO-Italia è un'associazione di volontari che opera con risorse finanziarie minime. Tuttavia, l'impatto del nostro messaggio non si manifesta; non ancora, almeno.

Per esempio, i politici del Consiglio Regionale della Toscana hanno fatto di tutto per stare alla larga dal convegno di ASPO-Italia, nonostante il fatto che si tenesse vicino al palazzo principale della Regione Toscana e che fosse un convegno di alto livello internazionale che vedeva la presenza di diversi scienziati di alto livello. La sola eccezione è stata Mauro Romanelli, consigliere regionale per il partito dei Verdi, evidentemente più illuminato degli altri. In Italia, come ovunque, sembra che la parola magica che risolve tutti i problemi sia “crescita”. Essere visti in compagnia di Cassandre e catastrofisti dev'essere ancora considerato un buon modo per rovinarsi la carriera.

Alla fine dei conti, sembra che il picco del petrolio abbia generato una dura reazione da parte dei sistemi industriale, finanziario e politico. Ha causato un movimento contro l'esaurimento che investe più risorse nell'estrazione, nonostante i costi in aumento ed il risultante danno ambientale. Ian Johnson ha esposto molto chiaramente questo punto nel suo intervento. Anni fa, quando era vicepresidente della Banca Mondiale, era stata fatta una stima di quale fosse il prezzo del petrolio che, una volta raggiunto, avrebbe reso l'energia rinnovabile competitiva sul mercato. Ma, quando questo prezzo è stato raggiunto, quello che è accaduto è che le compagnie petrolifere hanno abbandonato i loro programmi per le energie rinnovabili per concentrarsi sulle nuove fonti petrolifere. Non importa quanto sporche e costose possano essere queste risorse, è ancora possibile ricavarne un profitto, a patto che l'industria non debba pagare per i costi dell'inquinamento. Come di fatto è il caso, sfortunatamente.

Quello che stiamo vedendo è uno sforzo tremendo per mantenere livelli di estrazione perlomeno costanti, anche a costo di demolire l'economia mondiale ed anche degli ecosistemi planetari. Sembra essere un classico esempio di ciò che chiamo “effetto Seneca”, che significa scambiare qualche anno ancora di relativa stabilità con un più rapido declino in seguito. Così, stiamo reagendo al picco del petrolio nel peggiore dei modi.

Il convegno è stato organizzato in gran parte da Luca Pardi, che è anche il nuovo presidente di ASPO-Italia. Ha preso il posto di Ugo Bardi che è stato presidente per otto anni. Il convegno è stato organizzato congiuntamente con il gruppo di Climalteranti e sponsorizzato dal Sig. Mauro Romanelli, consigliere regionale per il partito dei Verdi, che ha fornito la prestigiosa "Sala delle feste" di "Palazzo Bastogi" a Firenze, dove il convegno ha avuto luogo.

Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti

venerdì 11 novembre 2011

Il rapporto OPEC del 2011



Comincia bene questa nuova pubblicazione dell'OPEC, il "World Oil Outlook 2011," con il segretario generale Abdalla Salem El-Badri che mette subito le mani avanti dicendo:

"Questa pubblicazione non è a proposito di fare previsioni. Nessuno ha la sfera di cristallo e l'evoluzione degli scenari energetici del passato decennio hanno sottolineato la necessità di una maggiore cautela nell'esaminare il futuro"

El Badri ammette così che le previsioni di OPEC, come quelle di tutte le agenzie internazionali che si occupano di queste cose, per esempio la international energy agency (IEA), sono state tutte sbagliate negli ultimi tempi. Nessuno di questi enti era riuscito a prevedere in anticipo il salto in avanti dei prezzi petroliferi del 2008 e neppure quello del 2010. Nessuno aveva nemmeno immaginato la grande crisi finanziaria del 2008.

Peccato che, nonostante le sagge parole del segretario El-Badri, le 304 pagine del rapporto OPEC sono tutte di previsioni, tipicamente fino al 2035. Vista la scarsa affidabilità delle passate previsioni, quale valore possiamo attribuire a questo nuovo rapporto? Beh, molto modesto: al meglio ci possiamo fare un'idea di come potrebbe essere il mondo nel 2035 in certe condizioni molto particolari: ovvero se non esistessero crisi finanziarie,  se l'industria petrolifera non avesse nessun problema a trovare i fondi per investire su risorse costose e inquinanti, se non ci fosse il rischio di una crisi climatica, se l'uso dei biocombustibili non andasse a impattare sulla produzione alimentare, se non ci fossero guerre e moltre altre cosette.  Che tutte queste condizioni si verifichino appare francamente poco probabile, per cui, nella pratica, navighiamo a vista su un orizzonte di qualche anno al massimo - altro che il 2035! Per il momento, l'industria ce la fa a mantenere mediamente costante la produzione di liquidi; quanto a lungo ci possa riuscire è impossibile dire.








Ringrazio Giulio Meneghello per la segnalazione

giovedì 10 novembre 2011

La barriera di Hubbert: ripensare al paradosso di Fermi


Traduzione da Cassandra's Legacy a cura di Massimiliano Rupalti

L'astronave "Orion" è spinta in avanti dalla detonazione di bombe nucleari. E' un concetto proposto negli anni '50 come un modo per raggiungere i pianeti del sistema solare in pochi giorni ed altre stelle in pochi anni. Astonavi del genere sono teoricamente possibili ma, con la quantità di energia di cui disponiamo oggi, è dura pensare che possiamo assemblare abbastanza risorse per costruire una flotta di astronavi interstellari. Al contrario, potremmo star scivolando giù dall'altra parte della curva di Hubbert e potremmo dover abbandonare ogni sogno di esplorazione spaziale. Potrebbero civiltà extraterrestri far meglio di noi? Forse no. E' possibile che ogni civiltà industriale basata su risorse non rinnovabili affronterebbe lo stesso problema che stiamo affrontando noi: il collasso generato dall'esaurimento. Possiamo chiamarlo “la barriera di Hubbert”.

Quando ho cominciato a leggere libri di astronomia, negli anni 60, nessuno sapeva se esistessero pianeti intorno ad altre stelle e la visione comune era che fossero molto rari. Naturalmente, questo contrastava con il tema principale della fantascienza del tempo, di cui ero pure un avido lettore. L'idea che i sistemi planetari fossero comuni nella galassia era molto più affascinante di quella “ufficiale” ma , a quel tempo, sembrava essere pura fantasia. Ma ora viene fuori che la fantascienza aveva assolutamente ragione, almeno su un punto. Stiamo scoprendo centinaia di pianeti in orbita intorno a stelle e le ultime notizie sono che una stella di classe analoga al sole su tre potrebbe avere un pianeta simile alla Terra in orbita abitabile. Fantastico!

Le misurazioni che ci riportano di pianeti extra-solari non possono dirci nulla di civiltà aliene, un altro tema tipico della fantascienza. Ma se i pianeti simili alla Terra sono comuni nella galassia, di conseguenza forma di vita a base carbonio, organiche, potrebbe essere altrettanto comuni. E se la vita è comune, la vita intelligente non può essere tanto rara. E se la vita intelligente non è rara, allora devono esserci civiltà aliene là fuori. Con 100 miliardi di stelle nella nostra galassia, potremmo pensare che anche su questo punto la fantascienza potrebbe aver avuto ragione. Potrebbe la galassia essere popolata da civiltà aliene?

Qui, tuttavia, abbiamo un problema ben noto chiamato “il Paradosso di Fermi”. Se tutte quelle civiltà esistono, potrebbero aver sviluppato il viaggio interstellare? E, in questo caso, se ce ne sono così tante, perché non sono qui? Naturalmente, per tutto ciò che sappiamo la velocità della luce rimane un barriera insormontabile. Ma, anche a velocità inferiori a quella della luce, niente di fisico impedisce ad una nave spaziale di attraversare da parte a parte la galassia in un milione di anni o anche meno. Siccome la nostra galassia ha più di 10 miliardi di anni, alieni intelligenti avrebbero avuto un sacco di tempo per esplorare e colonizzare ogni stella della galassia, saltando da una all'altra. Ma non vediamo alieni qua intorno e questo è il paradosso. La conseguenza sembra essere che siamo gli unici esseri senzienti della galassia, forse nell'intero Universo. Così, sembriamo tornare a certi vecchi modelli del sistema solare che ci dicono che siamo eccezionali. Una volta, ci dicevano che siamo eccezionali perché i pianeti sono rari, ora potrebbero dircelo perché le civiltà sono rare. Ma perché?

Su questo punto dovremmo rivedere alcuni presupposti stanno dietro al paradosso di Fermi. Quello di base è che esistono civiltà intelligenti, naturalmente, ma ce n'è un altro che dice che le civiltà si muovono su un sentiero di espansione progressiva che porta verso il controllo di livelli di energia sempre più alti. Se ci pensate, questo è un tipico risultato del modo di pensare degli anni 50, quando “l'era atomica” era appena iniziata e la gente vedeva come ovvio che saremmo saltati da una fonte energetica all'altra. Avremmo lasciato presto i combustibili fossili per la fissione nucleare. Da lì ci saremmo spostati alla fusione nucleare e poi chissà verso quale altra fonte. Questa progressione è cruciale perché il paradosso di Fermi abbia senso: naturalmente serve un'enorme quantità di energia per imbarcarsi in una gigantesca impresa come quella di esplorare lo spazio e le civiltà interstellari.

Una stima della quantità minima di potenza è di circa 1000 Terawatts (TW) come ordine di grandezza. E' solo una supposizione, ma ha una qualche logica. La potenza complessiva installata oggi sul nostro pianeta è sull'ordine dei 15 TW ed il massimo che potremmo fare sarebbe esplorare i pianeti del nostro sistema solare ed anche quello piuttosto sporadicamente.  Così, il paradosso di Fermi richiede che le civiltà aliene seguano più o meno la stessa strada tracciata per noi negli anni 50. Sarebbero partite dai combustibili fossili, poi sarebbero passati a varie forme di energia nucleare.

Fino a un certo punto, non è male come modello. E' probabile che pianeti “simili alla Terra” o “superterre” avessero una tettonica a placche attiva e, se si fosse sviluppata la vita, questo avrebbe portato alla formazione di combustibili fossili come risultato della sedimentazione ed il seppellimento di materia organica. Quindi, potremmo presumere che gli alieni intelligenti operino secondo principi economici simili a quelli che governano il nostro comportamento, vale a dire che tenderebbero ad usare le risorse col più alto rendimento energetico e quindi userebbero combustibili fossili come inizio della loro civiltà industriale.

I combustibili fossili, tuttavia, sono una fonte energetica debole e troppo inquinante per essere usata per il viaggio interstellare. Un pianeta extrasolare potrebbe ben esserne maggiormente dotato dei nostri, ma ciò non aiuterebbe. I limiti per i nostri alieni sarebbero gli stessi che abbiamo noi: che sia l'esaurimento o la saturazione dell'atmosfera di gas serra (forse entrambi). Ma il limite dei combustibili fossili è più sottile di questo ed è in relazione al modello di Hubbert che dice che il modello della produzione di energia di una risorsa non rinnovabile è assolutamente non lineare e segue una curva “a campana”.



Il modello è basato sul concetto che lacrescita della produzione di energia dipende dal rendimento energetico della risorsa (EROEI, energy returned on energy invested). Più l'EROEI è alto, più rapidamente la risorsa è sfruttata. Siccome le migliori risorse (con l'EROEI più alto) sono sfruttate per prime, l'EROEI declinano ed alla fine condizionano la capacità di estrarre ulteriori risorse. La produzione raggiunge un picco e poi declina. Il risultato è la tipica curva a campana di Hubbert. Se, in aggiunta, la risorsa sfruttata produce un inquinamento significativo, il declino sarà solitamente più rapido della crescita, ovvero la curva sarà asimmetrica ed inclinata in avanti (ciò che ho chiamato “effetto Seneca”). La curva è valida per tutte le risorse non rinnovabili, anche se è più spesso applicata ai combustibili fossili.

Tim O'Reilly potrebbe essere stato il primo a notare, nel 2008, che la curva di Hubbert potrebbe essere rilevante per il paradosso di Fermi. A causa della non linearità della curva, non importa quali risorse vengano usate, una civiltà letteralmente “divampa” e poi scompare, essendo capace di mantenere il massimo livello di produzione di energia per un periodo molto breve. Questo fenomeno, che possiamo chiamare “la Barriera di Hubbert”, potrebbe essere generalizzato e far sì che le civiltà industriali nella galassia abbiano vita molto breve. Il declino associato con l'esaurimento e con l'inquinamento, potrebbero rapidamente riportare una civiltà all'età della pietra, da cui non sarebbe più in grado di sviluppare ancora una tecnologia sofisticata. Questo è una barriera particolarmente ostica se si attiva l'effetto Seneca (forse potemmo chiamarla “la barriera di Seneca”). In ogni caso, questo effetto limita fortemente la durata di una civiltà.

Notate come questo modello sia differente dalla visione degli anni 50. Negli anni 50, credevamo in una espansione continua della produzione di energia; “saltellare” da una fonte all'altra era visto come un processo graduale. Ma il modello di Hubbert dice che saltare ad una nuova fonte energetica è invece un drammatico ostacolo ed il successo non è in alcun modo garantito. Potremmo aver fallito nel nostro tentativo di saltare al “livello successivo”, visto come fissione nucleare. Con il declino dei combustibili fossili, potrebbe essere troppo tardi per raccogliere sufficienti risorse da investire nell'energia nucleare. Alieni intelligenti potrebbero far meglio di noi nel raccogliere le risorse, ma la barriera di Hubbert rimane un grosso problema. Un problema con l'energia nucleare è che questa produce una forma particolarmente disastrosa di inquinamento: la guerra nucleare. La possibilità che civiltà aliene si autodistruggano regolarmente quando approdino all'era atomica è qualcosa che Asimov stesso propose nel suo breve racconto “Gli avvoltoi gentili”. Ma, supponiamo che non accada. Può la fissione nucleare fornire sufficiente energia per il viaggio interstellare? Molto probabilmente no.

L'uranio ed il torio, elementi fissili, sono estremamente rari nell'Universo. Da quello che sappiamo, si sono accumulati a livelli tali da fornire un buon EROEI solo nei pianeti simili alla Terra che hanno un'attività tettonica a placche. In corpi celesti come la Luna e gli asteroidi, l'uranio esiste in quantità estremamente piccole, dell'ordine di parti per miliardo e questo rende l'estrazione un'impresa impossibile. E' improbabile che un pianeta roccioso alieno possa avere molto più uranio del nostro. Così, facciamo un rapido calcolo. Oggi, la fissione nucleare genera una potenza di circa 0,3 TW sul nostro pianeta. Abbiamo detto che per espanderci nella galassia abbiamo bisogno di qualcosa nell'ordine dei 1000 TW. Questo è un obbiettivo lontano per noi, considerando che con le limitate risorse di uranio disponibili non siamo nemmeno sicuri che saremo in grado di mantenere attiva l'attuale flotta di reattori nucleari nei prossimi anni. Ma, assumendo miglioramenti tecnologici, una stima ottimistica ci dice che, con reattori autofertilizzanti, le risorse di uranio minerale potrebbero durare "30,000 anni" al tasso di consumo attuale. Forse, ma se dovessimo raggiungere i 1000 TW, finiremmo l'uranio in 10 anni. Questo numero ci dà una stima grezza del lasso di tempo che una civiltà può sostenere con una potenza abbastanza grande da premettere il viaggio nello spazio interstellare: decine o forse centinaia di anni ma non di più. Civiltà del genere, all'inizio, generano un grande picco di produzione di energia ma poi ci dovrebbe essere un rapido declino fino allo zero per mancanza di risorse combustibili. E' ancora la barriera di Hubbert in azione.

Eccoci quindi alla fusione nucleare, la bandiera dell'Era Atomica. La fusione può usare isotopi di idrogeno e l'idrogeno è l'elemento più abbondante dell'Universo. L'idea comune negli anni 50, era che con la fusione avremmo avuto energia “troppo a buon mercato da essere misurata”, così abbondante da poter passare fine settimana sulla Luna con l'intera famiglia. Be', le cose sono risultate essere molto più difficili di quanto sembrassero. In più di mezzo secolo di tentativi, non siamo stati capaci di ottenere più energia dalla fusione di quanta non ne avessimo impiegata per attivarla. Anche le “bombe a fusione” sono in realtà bombe a fissione migliorate da una fusione. Forse c'è qualche trucco che ora non riusciamo a vedere per far funzionare la fusione; forse siamo solo più stupidi della media delle civiltà della galassia. Potremmo anche affermare, tuttavia, che non si può ottenere dalla fusione un guadagno energetico, fatta eccezione per le stelle. Naturalmente, non possiamo esserne certi, ma il paradosso di Fermi potrebbe in realtà dirci, “guardate, la fusione nucleare controllata NON è possibile”:

Naturalmente, ci sono altre possibilità per una civiltà di sviluppare potenti fonti energetiche. Pensate ai buchi neri, per esempio. Se potete controllare un piccolo buco nero, gettarci dentro qualsiasi cosa genererà molta energia che potrebbe essere usata per il viaggio interstellare. I buchi neri sono molto difficili da controllare ed una civiltà che usi questa tecnologia potrebbe trovarsi di fronte al problema di inquinamento definitivo: la creazione di un buco nero grande abbastanza da risucchiare qualsiasi cosa intorno a lui, compresa la civiltà che l'ha creato. In ogni caso, anche i buchi neri sono soggetti alla Barriera di Hubbert, se continui a buttarci dentro materia, pian piano la esaurirai. Una civiltà basata sui buchi neri potrebbe divampare molto rapidamente per poi scomparire, lasciando solo un po' di buchi neri orbitanti.

Chiaramente, stiamo entrando in un reame di speculazioni, ma il punto che volevo rilevare con questo post è che il meccanismo di Hubbert genera un tempo di vita breve per le civiltà basate su risorse non rinnovabili. Genera anche problemi drammatici nel passaggio da una risorsa all'altra. Se questo è un comportamento generale per le civiltà, potrebbe spiegare il paradosso di Fermi. Gli esseri senzienti potrebbero essere comuni nella nostra galassia, ma la loro esistenza come civiltà industriale potrebbe essere estremamente breve. Così, non dovremmo essere sorpresi di non vedere astronavi aliene che girano intorno a noi. Forse avremo la fortuna di captare un segnale radio da una di queste civiltà, ma sarà come avvistare un'altra nave attraversando l'oceano. Ci sono tantissime navi che attraversano l'oceano, ma prendete un momento preciso ed un luogo specifico ed è molto improbabile che una sia visibile da lì.

Alla fine dei conti, la fonte energetica disponibile per una civiltà planetaria è limitata da ciò che può essere ottenuto dal sole del pianeta. Potrebbe essere molto: sulla Terra la quantità totale che vi arriva è di circa 100.000 TW che potrebbe essere aumentata con installazioni spaziali. Con questa risorsa, sarebbe perfettamente possibile arrivare a quei 1000 TW che abbiamo detto essere necessari per il viaggio interstellare. Ma siamo arrivati ad un concetto completamente diverso da quello che sta alla base del paradosso di Fermi: l'idea, tipica degli anni 50, che una civiltà continui ad espandersi sempre. Una civiltà basata su una fonte fissa di energia, una stella, potrebbe ragionare e comportarsi in termini completamente diversi. Si potrebbe concentrare sullo sfruttamento della stella (questo è il concetto della sfera di Dyson) piuttosto che sul viaggio interstellare.

Appena ci allontaniamo dalle cose che ci sono familiari, ci ritroviamo in un territorio sconosciuto. Come si manifesterebbe una civiltà con un simile potere? Qual è l'Universo che possiamo definire “naturale” in opposizione ad uno “artificiale”. L'unica cosa che possiamo dire è che le stelle sono dei motori meravigliosi: stabili, potenti, affidabili e di lunga durata. Se non fossero naturali, qualcuno avrebbe dovuto inventarle.... ma, naturalmente, sono naturali....sì...credo che lo siano..... .


Nota aggiunta dopo la pubblicazione: ho scoperto che John Greer ha esaminato questo argomento in termini analoghi nel 2007, (h/t Leanan)

martedì 8 novembre 2011

Que viva Australia!!

AUSTRALIA: PASSA LA LEGGE SULLA CARBON TAX!

Notizia freschissima da "Deltoid." L'Australia è uno dei maggiori produttori mondiali di carbone e il passaggio della nuova legge è una storica vittoria per il governo di Julia Gillard, come potete leggere in questo articolo del Sidney Herald. 

Secondo il Sidney Herald, il ministro delle finanze australiano, il senatore Penny Wong del partito laburista ha dichiarato "Siamo convinti della scienza e della necessità di agire [contro il cambiamento climatico] ... accettiamo il consiglio che un prezzo sul carbonio è il modo migliore di ridurre le emissioni."

Yergin: fabbricare il dubbio

Guest post di Antonio Turiel pubblicato su The oil crash il 4 Ottobre 2011.
Traduzione dallo spagnolo a cura di Massimiliano Rupalti





Cari lettori,

Le ultime due settimane hanno visto un'inusuale attività nella blogosfera e nei domini dedicati al Picco del Petrolio su tutta la rete. La ragione è la recente pubblicazione di un articolo di Daniel Yergin sul Wall Street Journal contro le tesi principali del picco del petrolio: "There Will Be Oil" (Ci sarà petrolio); così, a mo' di comandamento della Legge di Dio. Alcuni quotidiani economici spagnoli hanno fatto eco all'articolo. Persino un'autorità riconosciuta (il presidente del IHS CERA, sì, quel IHS CERA che linko nella colonna di destra sotto la voce “La visione opposta”) ha messo in dubbio il crescente pessimismo sul futuro delle risorse petrolifere. Eccone qui un esempio tradotto dal titolo originale: "Habrá petróleo". Così di forza e di grazia; gli manca solo che si aggiunga: “se non è per le ragioni è per i coglioni”, scusate il francese.

A seguito dell'articolo sono spuntate come funghi decine, se non centinaia, di repliche. Ce ne sono di specialisti come quella del geologo Jean Laherrère (che si prende la briga di smontare una ad una tutte le affermazioni della supposta abbondanza petrolifera), quella del fisico Kjel Aleklett, presidente di Aspo International (che esamina gli errori di logica dell'articolo di Yergin) o quella dell'analista Gail Tverberg (che mette in evidenza alcune contraddizioni del discorso del patron di IHS CERA , come la sua evocazione dell'efficienza contro l'evidenza storica ). A seconda degli interessi e le competenze dei commentatori, la discussione viene centrata su come Yergin faccia un uso interessato della storia per qualificare i "peakoilers" come allarmisti, agli aspetti tecnici dell'interpretazione economica del fenomeno del Picco del Petrolio, l'influenza dei tempi di scoperta di nuovo petrolio o l'errore ricorrente di spiegare quanto grandi siano le riserve mentre ciò che è in discussione è la produzione. In pochi, rendendosi conto dell'assurdità di dare tanto risalto ad un mero articolo che, in realtà, non è altro che pubblicità al suo ultimo libro, fanno questa riflessione: Chi ha paura di Daniel Yergin? Per come la vedo, chi ha colto nel segno è Kurt Cobb, che col titolo del suo post dice tutto: "Ignorare Daniel Yergin". Peccato che scrivendolo fallisce automaticamente l'obbiettivo del titolo.

Vedere tutto questo polverone mi ha fatto ricordare l'incidente di qualche mese fa, nel Novembre scorso, quando alcuni hackers rubarono centinaia di migliaia di e-mail dai servers dell'Università della East Anglia e poi filtrarono a propria convenienza alcuni messaggi nei quali, prendendo fischi per fiaschi, si potrebbe arrivare ad intuire un malcostume scientifico e da questo si pretendeva far vedere come tutta la scienza del clima, sviluppata in tutti i centri di ricerca di tutto il mondo, in realtà era malfatta o, peggio ancora, rispondeva agli interessi particolari di un malvagio gruppo di scienziati con l'ansia di imporre un programma di repressione e disperazione. Sapete già del famoso Climategate, così come lo ha battezzato la stampa (cosa sarebbe stato dei redattori di giornali senza Nixon...). Il fatto è che centinaia di scienziati erano pronti a respingere le accuse, ragionando scientificamente sul perché i propri calcoli erano fatti bene. Però, data la complessità dei propri argomenti, anziché dissipare i dubbi li hanno aumentati nel pubblico dei non addetti ai lavori, che di base li vedeva sulla difensiva. Questa strategia è sostanzialmente sbagliata; come ha spiegato bene un commentatore, la reazione degli scienziati è stata l'equivalente di chi reagisce di fronte a qualcuno che ti dà del bastardo mostrandogli che non lo sei. E' evidente che faccia la figura del babbeo; peggio ancora, come risultato della tua attitudine pedante, l'opinione pubblica può aumentare le proprie simpatie per chi offende. E' che la battaglia non era scientifica, ma di pubbliche relazioni dirette a manipolare l'opinione pubblica, qualcosa che i fabbricanti di dubbi conoscono a menadito e dove gli specialisti perdono sempre. E questo è anche il caso dell'articolo (e del libro) di Yergin.

Vediamo il caso. Quali sono i fatti nuovi? Nessuno. Yergin sbobina i suoi soliti argomenti, gli stessi di sempre. Come sempre, fa un discorso molto ben serrato in cui ogni parola è misurata al millimetro, tentando di dire le cose senza mentire. Comincia parlando della produzione di petrolio, accettando malvolentieri che Hubbert ebbe la fortuna di azzeccare la data del Picco del Petrolio degli Stati Uniti che però comunque ha commesso, secondo l'opinione di Yergin, un grandissimo errore, visto che quest'anno la produzione di petrolio è del 350% maggiore a quella che nel 1972 veniva stimata per il periodo attuale. Come se la cosa importante fosse accertare esattamente ed in ogni momento la cifra di una produzione sempre minore; come se il modello elaborato da Hubbert fosse l'ultima parola nella descrizione della produzione e le conseguenze qualitative (declino irreversibile della produzione) fossero annullate dall'errore quantitativo (quanto si sta producendo esattamente) e, naturalmente, saltando come un torero il fatto che Hubbert parlava di petrolio greggio, mentre nell'attuale produzione degli Stati Uniti c'è una gran quantità di biocombustibili e paccottiglia varia.

Da questo arriva a dire che Hubbert ha sottostimato la quantità di petrolio che si potrebbe recuperare (è vero; ha sottostimato anche l'aumento del consumo e i due effetti praticamente si compensano), che la quantità di risorse recuperabile è una variabile economica, dipende dal prezzo (il che è vero, anche se il sig. Yergin trascura il fatto che l'economia non può permettersi qualsiasi prezzo e che il prezzo massimo è in realtà più basso di quello che la gente pensa, perché altrimenti l'economia si ammala), che il miglioramento dell'estrazione e la tecnologia ci possono permettere di raschiare ulteriormente i giacimenti (senza tenere conto questa tecnologia si usa già estensivamente e contribuisce solo marginalmente ad aumentare la produzione), ecc, ecc. In mezzo, fa un glossario della figura storica di Hubbert, associandolo al movimento di tendenza totalitaria conosciuto come Tecnocrazia, il che è un modo sottile per sconfessare Hubbert come se egli avesse un programma occulto per sostenere quello che sostiene; peggio ancora non parlando di altri che di Hubbert (poco gli importa dei vari Kenneh Deffeyes, Colin Campbell, Jean Laherrère, Kjell Aleklett e tutti coloro che sono seguiti) diffonde implicitamente l'accusa di avere un programma occulto a qualsiasi sostenitore del Picco del Petrolio, declassato quindi alla categoria di teoria, per non dire setta. Poco importa se dei più di 30 paesi produttori di petrolio che ci sono al mondo, solo due non hanno ancora raggiunto (che si sappia) il proprio Picco interno (Arabia Saudita e Kuwait): secondo Yergin, il Picco del petrolio è una teoria, se il prezzo è abbastanza alto estrarremo il petrolio da qualsiasi luogo, e il gioco è fatto.

Il titolo in sé è già un alibi. Ci sarà petrolio, dice. Sicuramente ci sarà: altra cosa sarà recuperarlo ed al ritmo che serve. Quando si notasse che la produzione diminuisce, si potrà sempre dire: “Chiaro, è perché non si é investito abbastanza” oppure: “E' che la società è diventata più efficiente e non ha più bisogno di tanto”, come se la crisi economica fosse un fatto scollegato. E il bello è che il titolo non è neppure originale (cosa che nessuno pare aver notato).

Come dicevo, non c'è niente di nuovo negli argomenti: notate questo articolo del 2005 del Washington Post. Le idee centrali sono le stesse: semplicemente c'è più elaborazione man mano che passa il tempo. Cos'è cambiato, allora, che giustifichi l'uscita di questo articolo? A mio modo di vedere, sostanzialmente l'acutizzarsi della crisi, che fa sì che si dia più risalto al Picco del Petrolio. La gente comincia a vedere che c'è qualcosa che non funziona, si sente presa in giro dal potere tradizionale e comincia a considerare il Picco del Petrolio come una possibilità concreta. Pertanto c'è la necessità di contrattaccare. Perché conviene non dimenticare chi è Daniel Yergin. Daniel Yergin è semplicemente un uomo delle pubbliche relazioni dell'industria petrolifera, un fabbricatore di dubbio con la missione di minare la credibilità di coloro che possono mettere a rischio gli affari dei loro padroni. Ricordatevi questo acronimo: FUD. Significa “Fear, Uncertanty, Doubt”, ossia “Paura, Incertezza, Dubbio”. Perché non siamo di fronte ad un dibattito scientifico, basato su un confronto aperto e onesto di fatti contrastanti in cui entrambe le parti cercano solo di capire meglio, senza imporre il proprio punto di vista. No. Il Sig. Yergin, e questo conviene metterlo in risalto, non è uno scienziato: la sua formazione è giuridica e giornalistica. Presiede l'IHS Cambrige Energy Research Associates (CERA), che è un think-tank finanziato dall'industria petrolifera, la cui funzione è quella di diffondere le tesi e le previsioni più confacenti ai loro capi. E niente altro.

Le informazioni del IHS CERA sono famose per la mancanza di rigore scientifico, la mancanza dei modelli di previsione usati, opacità rispetto alle fonti dei dati, ecc. Nonostante il fatto di non avere meriti accademici sufficienti per essere presi come riferimento, a causa dei loro legami con l'industria, IHS CERA e per estensione Daniel Yergin, se ne sono spesso usciti per diffondere le loro teorie in quotidiani generalisti di prestigio; e quando lo hai già fatto abbastanza non hai più bisogno di giustificarti poiché vieni chiamato perché sei una eminente personalità, semplicemente perché sei già conosciuto e il fatto di essere stato pubblicato da un eminente giornale, fa di te un'eminenza, a prescindere dai tuoi meriti accademici. E così a questo signore, che sa scrivere bene pianificando i suoi scritti come una delicata opera di ingegneria per non dire bugie inducendo però all'errore, si pone non come pari, ma sopra i veri esperti: geologi, fisici, economisti...Tutto molto tipico dei tempi corrotti in cui viviamo. E funziona bene: la settimana scorsa, in una discussione su facebook, un noto broker del settore energetico blandiva le tesi di Yergin, descritte come “quelle del maggior esperto a livello mondiale” ed un recente lettore di questo blog, vedendo gli argomenti, riconobbe letteralmente che aveva cominciato a credere che il Picco del Petrolio fosse una questione seria, ma dopo quegli argomenti non sapeva più cosa pensare. La D di FUD; seminare il dubbio. Inoltre, Hubbert abbracciò per un periodo una corrente filosofica che proponeva una tecnocrazia. La F di FUD: paura. Per di più le riserve crescono sempre, è questione di prezzo, e la tecnologia ci permetterà di colmare il divario prima che arrivino - quando necessario, entro un paio di secoli – le tecnologie che la rimpiazzeranno. La U di FUD: incertezza. Tutto ciò è combinato in modo letale per spingere all'inazione. “Tranquilli, piccoli, il problema è complesso, ma la gente che ne sa se ne sta occupando, tornate ai vostri lavori e soprattutto consumate, consumate, maledetti”.

Il Sig. Yergin è un creatore di FUD; questo è il suo incarico e la sua missione. L'industria petrolifera si è impaurita vedendo come dopo la crisi degli anni 70 i governi occidentali (soprattutto in Europa) puntarono sulla razionalizzazione e la maggior efficienza, e doveva contrattaccare. L'obbiettivo del IHS CERA è pertanto combattere i nemici dei propri padroni, i quali erano generalmente associati agli ambientalisti ed agli ecologisti, i quali vengono squalificati sin dagli anni 70 identificandoli come nemici del progresso ottenendo così che la società li ignori. Tuttavia, quello che non era previsto è che geologi della stessa industria, fisici, chimici, matematici ed anche alcuni economisti, cominciarono a mettere in dubbio, ognuno dal proprio ambito scientifico, la validità di questi approcci. Pertanto è diventato necessario creare un'entità diversa, di carattere pseudo scientifico, ma che ovviamente non può discutere alla pari, poiché non ha argomenti. Non importa: FUD. Non si tratta di vincere la battaglia, solo di non perderla, di provocare dubbio per generare inazione perché le cose restino come sono.

Cosa possiamo fare con Yergin (e con quelli che sono come lui su scala minore, ce ne sono alcuni simili)? Evidentemente non cadere nella trappola di andare a dibattiti con tempi definiti dove ciò che si ricerca è lo spettacolo e dove un ragionamento complesso non è compreso dal pubblico, e dove un semplice dato opprimente può essere controbilanciato da un altro di segno contrario, anche se falso. Se necessario, è possibile evidenziare che IHS CERA non è un riferimento affidabile in nulla, che le sue previsioni sono un disastro e non a 40 anni come quelle di Hubbert, ma di anno in anno. C'è la rete che ci fornisce un buon glossario degli scivoloni di Yergin (fino al 2008): "Il triste registro di Daniel Yergin e della Cambridge Energy Research Associates", dal quale ho estratto il molto significativo grafico seguente:




Io credo, tuttavia, che la cosa migliore sia non farci caso. Perché in realtà Daniel Yergin è un morto vivente. In questa epoca le industrie petrolifere stanno cominciando a riconoscere che c'è un problema col petrolio e che ci possa essere una crollo delle forniture; l'ultima, Shell, che per voce del suo Amministratore delegato ha riconosciuto che servirebbe mettere in produzione l'equivalente di 4 Arabie Saudite – circa 40 milioni di barili al giorno, poco meno della metà della produzione mondiale attuale – da qui al 2020 solamente per compensare il crollo di produzione dei giacimenti attualmente in produzione (il che, sicuramente, non potrà essere coperto completamente, vale a dire che la Shell sta riconoscendo implicitamente che ci sarà una caduta significativa della fornitura di petrolio nei prossimi anni). Pertanto non ha più senso avere delinquenti come Yergin a seminare dubbi e confusione, cercando di convincere l'opinione pubblica che avrà sempre il petrolio che desidera e che gli allarmisti rompono le scatole dal 1880 in Pennsylvania, ma si sbagliano sempre. Giustamente, ciò che interessa ora alle compagnie petrolifere è non essere percepite come ulteriori truffatrici, come si vedono oggigiorno nelle banche o nelle agenzie di rating; per questo stanno cominciando ad ammettere la verità, per far sì che un domani che mancasse il petrolio non le si possa accusare di accaparrarselo per aumentare i propri benefici. E anche se l'inerzia è grande ed i cambiamenti non avvengono dalla sera alla mattina, è evidente che ad un certo momento i patron dell'industria petrolifera capiranno che Yergin più che aiutarli li danneggia. Così, che senso ha combattere Yergin? E' in piedi ma è già morto. Personalmente non credo che tornerò a parlare di lui; i lettori hanno insistito molto sulla sua traduzione su Espansiòn, e per quello e per questa unica occasione, ho voluto chiarire la mia posizione. Complessivamente gli argomenti di Yergin non cambieranno, perché non ci sono fatti nuovi, solo la semina continua di dubbio e di zizzania. Una ulteriore distrazione che ci allontana dal cammino da percorrere verso la necessaria Transizione.

sabato 5 novembre 2011

La Rivoluzione Rinnovabile III; il Paradosso di Jevons



Post pubblicato il 5 ottobre 2011 su Cassandra's Legacy. Traduzione di Massimiliano Rupalti.

Ho ricevuto un interessante commento a un mio post sulla rivoluzione rinnovabile. Il commento cita il paradosso di Jevons come un impedimento allo sviluppo delle rinnovabili. Rispondendo, ho pensato che lo scambio valesse la pena di essere pubblicato come post in sé stesso, quindi eccolo qua.






Karl North dice... 



Ugo, avrai senza dubbio familiarità con il Paradosso di Jevons, che dice che i vantaggi dell'efficienza energetica, in un tipico paese ad economia capitalistica con poche restrizioni politiche, sono usati in modi che portano ad un consumo energetico più alto al macro livello. Dal mio punto di vista, qualcosa di simile avverrebbe se le alternative energetiche “pulite” che stai sostenendo rimpiazzassero i combustibili fossili in modo significativo. L'uso delle alternative (ancora nella nostra forma dominante di economia politica) sarebbero usate per divorare le stesse risorse che divorano i combustibili fossili. Molte di queste risorse non sono rinnovabili, molte di loro sono distruttrici di portata globale in fase di produzione e di utilizzo. Tanto per fare un esempio, i combustibili fossili hanno permesso una forma industrializzata di agricoltura che è un lento disastro ecologico ma che ha temporaneamente raddoppiato la popolazione mondiale, che a sua volta è causa dei suoi stessi problemi. Come analista sistemico, sono sicuro che puoi apprezzare i feedback positivi implicati. Così in generale, la produzione significativa di combustibili alternativi porterebbe alla continuazione del disastroso processo che sta producendo il “picco di qualsiasi cosa”, sia in termini di esaurimento delle risorse, sia in termini di devastazione del nostro nido (pianeta). Pochi scrittori, occupandosi del tema del flusso di energia nel nostro sistema solare, considerano l'argomento: qualsiasi sia il livello di uso di energia (di qualsiasi tipo), questo è eccessivo, perché esaurisce il sistema. Paragono il problema al guidare una macchina sempre al massimo dei giri del tachimetro. Ancora, come analista sistemico, penserei che potresti essere interessato ad un argomentazione simile. October 4, 2011 6:50 PM  

La mia risposta:

Karl, sono contento che il mio post abbia generato questioni interessanti come questa; quello che tu dici merita un post a se stante. Ora, il “paradosso” di Jevons non è affatto un paradosso, come sai. Non è codificato esplicitamente nei modelli. E' un assunto molto semplice, è curioso che funzioni; ma è così. Di base, la gente vuole sempre di più, massimizza la sua “funzione di utilità” soddisfacendo le proprie voglie a breve termine. Nate Hagens spiega questo in termini di produzione di dopamina all'interno del cervello. Così stanno le cose, almeno per la nostra civiltà. Non sono sicuro che sia così in generale nella storia, ci potrebbero essere regole sociali che la controllano. Sono sicuro che in diverse società questi freni sociali siano stati molto efficaci, ma nel nostro caso è dopamina, dopamina, dopamina; e più è meglio è. Ora, l'idea di Jevons, feedback positivo se preferisci, è la cosa che porta al sovra-sfruttamento, o superamento, come viene spesso chiamato. E' la fonte principale dei nostri problemi.Mentre la produzione cresce, il consumo cresce di conseguenza e se non ci fossero i feedback negativi, entrambe crescerebbero all'infinito. Questi feedback negativi, inquinamento ed esaurimento, esistono, ma si manifestano con un tempo di ritardo; troppo tardi. Il risultato è che avrai pesantemente consumato le tue risorse e devi tornare non solo ad un livello di sostenibilità, ma ad un livello molto più basso in modo da permettere alle risorse di rigenerarsi. Questo è ciò che chiamiamo collasso. Alla fine, è causato da una molecola chiamata dopamina, probabilmente la più pericolosa molecola sulla Terra, forse anche di più della CO2!

Queste sono considerazioni molto generiche che si adattano alle risorse non rinnovabili o lentamente rinnovabili. C'è un caso diverso, tuttavia, quello delle rinnovabili. Il trucco con le rinnovabili basate sul solare e sull'eolico è che non puoi sovra-sfruttare il Sole. Ciò è vero, almeno, per le rinnovabili come il vento ed il fotovoltaico. L'agricoltura, invece, ha un grande problema di erosione del suolo che la rende spesso una risorsa non rinnovabile. Non deve esserlo necessariamente; puoi creare un'agricoltura che non sfrutti eccessivamente il suolo, ma ora rimaniamo sulle tecnologie che non danneggiano il suolo, come il fotovoltaico. Quindi, se fai un modello della crescita delle rinnovabili avrai alcuni degli stessi meccanismi che governano la crescita delle risorse non rinnovabili. Ciò è generato da un feedback positivo che cresce rapidamente. Ma il punto è che i feedback negativi non generano conseguenza così disastrose come invece fanno con le risorse non rinnovabili. Ovvero, potresti scoprire di aver installato troppi pannelli solari e che questo abbia avuto un impatto negativo sull'agricoltura. Be', a quel punto potresti tornare al livello di sostenibilità semplicemente rimuovendo i pannelli in eccesso. Il suolo sotto i pannelli è ancora buono come prima (e forse di più). Non hai influenzato il flusso solare, quindi non devi fare altro che rimuovere i pannelli che eccedono il livello di sostenibilità. Nel modello, puoi presumere che il flusso dalla riserva di risorse rimane immutato. Giocando coi modelli, quello che accade normalmente è che il sistema si stabilizza naturalmente al livello di sostenibilità. Non so se questo accadrebbe nel mondo reale, ma ho notato che la gente si sta già fortemente lamentando del fotovoltaico che usa “troppo terreno” e protesta per fermare le installazioni, anche se la superficie utilizzata fino ad oggi è minuscola.

Così, penso che ci siano dei meccanismi intrinseci che fermerebbero l'installazione del fotovoltaico molto prima di pavimentare l'intero pianeta con celle di silicio. Questo non è applicabile solo alle aree agricole ma anche all'uso delle risorse minerali per costruire i pannelli stessi. Se accuratamente riciclati, il che può essere fatto, queste risorse possono durare per lunghissimo tempo. Così, credo che le rinnovabili non siano soggette al sovra-sfruttamento in sé stesse, o almeno quella tendenza al sovra-sfruttamento/superamento può essere tenuta sotto controllo. E' un diverso meccanismo di crescita. Ora, per tornare al tuo commento, quello che dici, in realtà è più complesso. Se le rinnovabili da sole non danneggiano così tanto l'ambiente, hai ragione nel dire che il mix di fossili e rinnovabili è un'altra cosa. Potrebbe ben essere malsano nel senso che potrebbe generare un consumo maggiore di fossili ed altre risorse minerali. Ed ho paura che tu abbia completamente ragione. Se dovessimo raggiungere la forma di energia perfetta, diciamo con un EROEI=100 e che duri per sempre, avremmo potenza elettrica gratis, ma la gente vorrebbe ancora un SUV ed investirebbe nell'estrazione di qualsiasi cosa possa essere bruciata: sabbie bituminose, scisti bituminosi, bitume, qualsiasi cosa.... Entro certi limiti, questo è un problema irrisolvibile. Ha a che fare con la natura umana; possiamo combattere la dopamina? Non lo so, forse no. L'unica cosa che posso dire è che se avessimo energia rinnovabile avremmo perlomeno una chance di convincere la gente che distruggere la Terra bruciando combustibili fossili non è una buona idea. Possiamo dire questo perché possiamo sostenere di non averne bisogno. Se non abbiamo un'alternativa, non abbiamo chance, non funziona. Se dici semplicemente alla gente di smettere di bruciare petrolio e carbone ed essere felici con meno, beh, guarda cosa accade nel dibattito su riscaldamento globale. Guarda al dibattito sul gas di scisti. Sono dibattiti guidati dalla dopamina. Quello che dice la gente è “dobbiamo bruciare X (X=carbone, petrolio, gas di scisti, ecc.) perché non abbiamo alternative”. Se non possiamo proporre alternative,la gente brucerà qualsiasi cosa possa essere bruciata e così torneremo al Medioevo (se siamo fortunati, perché l'alternativa è la Gola di Olduvai e nemmeno quella; potrebbe essere un luogo in cui saremmo noi stessi i fossili antichi).

Sono personalmente convinto che esista una strada per la sostenibilità basata sulle rinnovabili; una strada ad un mondo che mantiene alcune delle cose buone che abbiamo realizzato, come quella modesta prosperità e la libertà dai bisogni elementari, dalla fame, che siamo stati capaci di realizzare almeno in una parte di mondo ed anche lì in una frazione della società. Ma è già qualcosa in confronto all'alternativa che è, per citare Jevons, quella “laboriosa povertà” d'altri tempi. Sono anche convinto che alla fine ci arriveremo. Ma la strada è stretta e tortuosa, e ci sono buone chance di commettere degli errori e finire come Willy il Coyote , schiacciato in fondo ad un canyon. Penso, tuttavia, che dovremmo provare a riconoscere questa strada e fare del nostro meglio per seguirla.

mercoledì 2 novembre 2011

La rivoluzione delle rinnovabili

Crescita mondiale della potenza fotovoltaica ed eolica installata, di Emilio Martines. Dati tratti da IEA Photovoltaic Power Systems Programme, European Wind Energy Association ed Earth Policy Institute.

Tanto per cambiare, ecco un post non-Cassandrico. Guardate i dati nella figura sopra, gentilmente fornita da Emilio Martines, membro del ASPO-Italia. La crescita dell'energia fotovoltaica ed eolica è stata incredibilmente veloce durante gli ultimi 2-3 decenni. La scala logaritmica evidenzia la crescita esponenziale di entrambe le tecnologie. Non ci sono segni di rallentamento, fino ad ora, nonostante la recessione ed il cattivo stato dell'economia. Secondo il grafico, l'energia eolica cresce di un fattore 10 in meno di 10 anni, l’energia FV ci mette poco più di 5 anni. A questi tassi, sia eolico sia FV potrebbero raggiungere l'obiettivo di un terawatt installato (TW) ciascuno intorno al 2020.

Naturalmente, il capacity factor (fattore di utilizzazione) di eolico e fotovoltaico è più piccolo di quello delle fonti convenzionali, cosicché un TW di energia rinnovabile è in grado di produrre molta meno energia di un TW di - poniamo - un impianto a carbone. Poi, c'è il problema dello stoccaggio ed altre questioni. Ciò nonostante, i dati sono impressionanti, considerando che la potenza elettrica totale installata nel mondo oggi è circa 2 TW. E' esattamente il valore di potenza di picco delle rinnovabili che potremmo raggiungere entro la fine del decennio in corso. Stiamo vedendo uno scorcio di luce alla fine del tunnel?

Ovviamente, nulla può crescere esponenzialmente per sempre. Ma abbiamo comunque generato una rivoluzione energetica: l’energia rinnovabile ha un mercato e cresce. E' una rivoluzione che non si può più fermare. Ci dà la possibilità di sostituire i combustibili fossili, prima che sia troppo tardi. Si tratta di una possibilità, ma ce l'abbiamo.


Traduzione dell'articolo in inglese apparso su "Cassandra's Legacy" il 30/09/2011 a cura di Pandemica-mente (Andrea Schenone).