lunedì 9 novembre 2020

Istinto di conservazione e Volontà di potenza

 


Uno dei pilastri della teoria cancrista consiste nel ritenere che l’opera distruttiva dell’uomo ai danni della biosfera sia la risultante di due elementi sviluppatisi nel patrimonio genetico della nostra specie nel corso dell’evoluzione.

Il primo elemento, comune a tutti gli esseri viventi, è l’istinto di conservazione (o di sopravvivenza, individuale e della specie).

Il secondo elemento, specifico dell’uomo, è quell’abnorme evoluzione del nostro cervello di cui ho già avuto modo tante volte di parlare (vedi ad esempio il mio primo articolo per Effetto Cassandra, “Il cancro del pianeta: una teoria inquietante per scuoterci dal fatalismo progressista che ci attanaglia”).

Ora ritorno sull’argomento per aggiungere un nuovo tassello a questa teoria che si prefigge di aprire gli occhi a quante più persone possibile, per evitare che corrano verso il baratro come i topolini del pifferaio magico.

Questo tassello prende il nome di “volontà di potenza” ed è la sublimazione del primo elemento (l’istinto di conservazione) attuata per il tramite del secondo elemento (l’intelletto ipersviluppato del genere umano).

Il termine, come noto, fa parte del repertorio nietzschiano, ma, senza voler togliere nulla al profeta del superuomo, io ne propongo una nuova lettura, meno poetica, ma più aderente alla realtà di questi giorni.

In pratica, a mio avviso, ogni istinto racchiude in sé una volontà di potenza, una spinta espansiva insita nel corredo genetico ereditario di ciascun essere, pianta o animale. L’albero si innalza verso il cielo, il fiore sboccia, l’animale mangia, si accoppia, si riproduce.

Alla base del fenomeno “vita” vi è questa spinta che possiamo chiamare istinto, volontà, forza vitale. In ciascun essere essa è commisurata con le dimensioni e le necessità essenziali al mantenimento in vita dei singoli individui e delle singole specie.

Dall’incontro – scontro tra le specie nasce quell’equilibrio dinamico che ha sin qui consentito al fenomeno “vita” di perpetuarsi. Spesso i singoli individui soccombono, ma le specie nel loro complesso sopravvivono. Quasi tutte rivestono il doppio ruolo di predatrici e di prede, secondo il ben noto schema della catena alimentare.

Ma nel genere umano questa spinta ha subìto l’imprevista e improvvisa accelerazione derivante dalla alterazione genica che ci ha trasformati in cellule cancerogene del pianeta. Su come e perché si sia prodotta tale alterazione si vedano gli articoli di Viola Rita (“Il cervello dell’uomo è così grande a causa di un “errore” genetico”) e di Edoardo Boncinelli (“Quel gene che ha fatto la differenza tra noi e le scimmie”), oltre alla documentazione di natura scientifica riportata nel mio blog ( sezione “Documenti scientifici”).

Quello che era un istinto necessario alla sopravvivenza si è trasformato nella volontà di potenza, un’arma micidiale che ci ha posto in condizione di sottomettere il resto della natura. E, una volta in grado di farlo, lo abbiamo fatto, eccome se lo abbiamo fatto!

Tutto è stato assoggettato alle nostre necessità, o meglio ai nostri voleri, anche i più voluttuari e superflui.

Salvo incappare in un invisibile virus che da un momento all’altro si è dimostrato capace di mettere in ginocchio tutte le società umane ovunque diffuse.

Questo ostacolo sul cammino trionfale dell’umanità verso oscuri traguardi, dovrebbe indurci a riflettere sulle nostre reali capacità di tenere sotto controllo le infinite variabili esistenti nel mondo della natura, ma non sarà così.

Sconfiggeremo anche questo virus e proseguiremo la nostra folle corsa. Il fatto che per trovare un rimedio a questa pandemia ci sia voluto più di un anno sarà presto dimenticato, mentre dovrebbe indurci a riflettere seriamente sulle nostre reali capacità di sostituire l’equilibrio naturale con quello artificiale tipico dell’Antropocene.

Sui limiti del nostro intelletto mi sono soffermato in un recente articolo (“Sapere di non sapere o Sapere di non poter sapere?”). Se consideriamo l’effettività di questi limiti associata alla sconfinata volontà di potenza che ci contraddistingue, appare come inevitabile la serie di dissesti che stiamo producendo ai danni della biosfera a un ritmo sempre più serrato.

Cosa contrapporre a questo stato di cose?

L’istinto è qualcosa di innato e non è quindi contrastabile. Oltretutto è il frutto di una infinita serie di passaggi intervenuti nel corso del processo evolutivo e, se ha consentito la nostra sopravvivenza per milioni di anni, significa che ha sinora svolto egregiamente la sua funzione.

L’abnorme evoluzione del nostro intelletto è conseguita a un’alterazione sopraggiunta casualmente ai danni del nostro patrimonio genetico. Pur se si è prodotta per vie naturali non ci è dato di far sì che ciò che è accaduto non sia mai accaduto. Il paragone con la carcinogenesi mi pare il più azzeccato: anch’essa è frutto di una alterazione tanto casuale quanto infausta del patrimonio genetico, ma una volta intervenuta non è modificabile.

Ma, dinanzi alla prospettiva di una nuova estinzione di massa provocata dalle nostre limitate capacità di controllo degli squilibri causati all’ecosistema, non è neppure ipotizzabile un atteggiamento di indifferenza. I più sensibili alle tematiche ambientali hanno già iniziato a reagire, i meno sensibili saranno costretti a farlo dai colpi che il clima alterato e l’inquinamento crescente ci assesteranno sotto forma di uragani, tempeste, allagamenti e quant’altro.

In questo quadro, veramente degno di Cassandra, la rilettura in chiave negativa proposta dal Cancrismo di tutta la storia della cosiddetta civiltà, vorrebbe fornire ai meno sensibili l’occasione per rivedere le proprie posizioni, spingendoli soprattutto a fare tutto il possibile per rallentare la marcia verso l’ecocatastrofe.