sabato 17 novembre 2018

Disparità della ricchezza fra realtà e fantasia – Agonia del capitalismo 3 –

di Jacopo Simonetta

Terzo articolo di una serie di 10.  Per i precedenti si veda qui: primo; secondo.
Questo articolo è già apparso su Apocalottimismo in data 12/19/2018.

Il livello di disparità della ricchezza è uno degli argomenti oggi più sentiti e dibattuti, ma viene di solito trattato in modo molto approssimativo.  Rimandando al testo di Piketty per una trattazione approfondita dell’argomento, qui riassumeremo molto per sommi capi i punti fondamentali.

Reddito da capitale e reddito da lavoro.

Sembra una distinzione netta, ma non lo è.   Vi sono infatti casi evidenti: lo stipendio mensile è un reddito da lavoro, mentre l’affitto percepito da un inquilino è un reddito da capitale.  Ma in effetti la distinzione è chiara solo ai due estremi della classe sociale: i nullatenenti il cui reddito è quindi interamente da lavoro, ed i multimilionari, che generalmente pagano dei professionisti per gestire i loro patrimoni.   Nel mezzo le cose si complicano parecchio.

Per esempio, gli imprenditori che dirigono le proprie aziende hanno tipicamente un reddito misto: in parte derivante dal loro lavoro dirigenziale ed in parte dal fatto che posseggono impianti, brevetti, ecc.   Un caso che è in realtà molto diffuso, specialmente fra professionisti, artigiani e consulenti che sono pagati a fattura per delle prestazioni, ma che per svolgere il proprio lavoro investono cifre consistenti in apparecchiature ed attrezzi, programmi, studi, automezzi, immobili, ecc.   I contadini, a fronte di redditi netti spesso molto ridotti, investono capitali consistenti in terreni, bestiame, macchine ed altro.  Ma anche il tizio che ha semplicemente ereditato un piccolo appartamento dalla nonna e che lo affitta su B&B ha un reddito misto in cui è impossibile distinguere la parte ascrivibile al valore dell’immobile e quella ascrivibile al suo lavoro di gestione e manutenzione. 

Perfino l’operaio o l’impiegato che hanno comprato casa propria godono di una rendita indiretta dalla proprietà, a meno che non stiano ancora pagando il mutuo.

Dunque, tenendo ben presenti queste difficoltà, si può procedere ad una molto sommaria ripartizione fra reddito da capitale e reddito da lavoro.  Sempre prendendo ad esempio la Francia e tenendo conto che gli altri paesi europei hanno vissuto evoluzioni analoghe, relativamente poco influenzate dagli eventi politici che, invece, sono stati molto diversi da un paese all’altro.
agonia del capitale

Dunque, in Europa, il periodo di massimo potere economico del capitale fu sostanzialmente alla metà del XIX secolo (fig. Piketty), guarda caso quando l’internazionale socialista prima si formava e poi si sfasciava.   Durante i “30 terribili” (1914-1945) il reddito da capitale precipitò ai minimi storici, per poi recuperare molte delle posizioni perdute, ma assolutamente non tutte.  Oggi fornisce circa il 25% del reddito nazionale francese (in altri paesi la cifra è analoga), cioè poco più della metà di quello che rendeva nelle economie “belle epoque”.

Un punto questo su cui ritorneremo perché è molto importante:  Il rapporto al PIL, la quantità di capitale oggi è quasi altrettanto alta che alla fine del XIX secolo, ma la quota di reddito che fornisce è molto inferiore.  Forse qualcuno troverà la cosa sorprendente.

La ripartizione del capitale.

Ma come è ripartito fra le diverse classi sociali il capitale?  Confrontando la media dei paesi europei e gli Stati Uniti si notano alcuni dettagli interessanti.

In Europa la concentrazione del capitale era già molto alta nel 1810 (80% del capitale detenuto dal 10% della popolazione) ed è salito fino al 90% nel 1910, picco storico della concentrazione.  Il 50% era concentrato nelle mani di solo l’1% dei nostri concittadini.   Negli USA la situazione era meno esasperata, ma la tendenza esattamente la medesima.
In Europa, le due guerre mondiali e le altre crisi correlate provocarono non solo la massiccia distruzione di capitale che abbiamo già visto, ma anche una drastica riduzione dei livelli di ineguaglianza che, si badi bene, è proseguita fino a tutti gli anni ’60; cioè per tutto il periodo della ricostruzione e del seguente “miracolo economico”.   E’ interessante notare anche che “’a livella” colpì in proporzione più gli altissimi capitali: la quota di proprietà del 10% più ricco diminuì infatti del 30%, mentre la quota di proprietà dell’1% più ricco diminuì di circa il doppio.   A far data dagli anni ’80 la tendenza si è invertita, ma di poco in rapporto ai dati storici.

Negli USA la tendenza è stata molto simile, ma meno esacerbata, visto che le guerre si sono combattute in casa nostra.   Per questo a partire dagli anni ’60 il grado di concentrazione del capitale è stato maggiore oltre Atlantico, ma anche in questo caso permane a livelli nettamente inferiori di quelli di cento anni fa.

Per capire meglio, nella tabella si mostrano quattro situazioni tipiche: la ripartizione della proprietà in società diverse.  quattro sono situazione reali ed una è ipotetica.  Consiglio di studiarla e meditarla con calma.
L’utilità della tabella è che non illustra solo la situazione del 10% più ricco (la classe superiore), ma anche come la proprietà si articola all'interno di questa classe, con una tendenza alla concentrazione nei livelli più alti, anche fra i membri privilegiati della società.

Illustra anche cosa succede negli strati intermedi e inferiori della società.  Osserviamo così un fenomeno fondamentale del secondo dopoguerra: la formazione di una classe di mini e micro capitalisti molto diffusa.   Mentre nel 1910 la classe media europea deteneva qualcosa come il 5% del capitale, negli anni successivi al boom economico deteneva il 35-40% dei beni.    Nello stesso periodo, migliorò anche la situazione patrimoniale delle classi povere, anche se in misura molto minore.

Un cambiamento epocale poiché si passò da una società strutturata su due sole classi: ricchissimi e poveri o quasi; ad una strutturata su tre classi, con una classe media numericamente molto consistente (i leggendari “piccolo borghesi” di sessantottina memoria).

Una situazione che a noi sembra normale, ma che rappresenta invece una forte anomalia storica.  Del resto, per il poco che si sa della maggioranza dei paesi non occidentali, le società continuano ad essere sostanzialmente bi-stratificate, tranne che in alcuni paesi che hanno recentemente avuto una tumultuosa crescita economica.


 La ripartizione del reddito.

Andiamo ora a dare un’occhiata a come è invece ripartito il reddito da lavoro, fra le diverse classi sociali.

Anche in questo caso il prof. Piketty ci fornisce una tabella da cui si arguisce che il reddito da lavoro è assai meno concentrato della proprietà del capitale.   Per esempio, oggi in Europa il 10% più ricco detiene circa il 60% del capitale, ma percepisce solo il 25% del monte-stipendi complessivo.  Vice versa, il 50% più povero della popolazione possiede, complessivamente, solo il 5% del capitale, ma si ripartisce il 25% del monte-stipendi.
Se ora andiamo a vedere il reddito totale (lavoro più capitale) troviamo che la disparità della ricchezza è ovviamente superiore rispetto ai soli stipendi, ma inferiore rispetto al valore del capitale detenuto.   In pratica, la classe superiore detiene il 60% del capitale, ma questo aggiunge solo un 10% circa al reddito che percepisce.
Prima di chiudere su questo argomento, diamo ancora un’attenta occhiata ad un altro grafico che confronta la percentuale di reddito nazionale afferente al 10% più ricco (N. B. L’incremento europeo è perlopiù dovuto alla traiettoria del Regno Unito, assai più simile a quella americana che a quella dell’Europa continentale).   Per quanto possa sorprendere, nel “primo mondo”, l’esplosione delle disparità retributive rimane per ora un fenomeno principalmente anglo-americano.

Nel resto d’Europa il fenomeno è presente, ma per ora appare molto più mitigato, anche se bisogna tener conto che i dati di Piketty si fermano al 2013 e negli ultimi anni la situazione è peggiorata.

Per gli altri paesi bisogna accontentarsi dell’indice Gini, assai meno preciso, ma comunque interessante.

Ciò non significa che non vi siano nella UE persone che percepiscono stipendi inverecondi (esistono e sui giornali talvolta se ne parla).  Significa però che la struttura sociale, legale e fiscale europea per ora limita un fenomeno che, viceversa, in altri paesi ha un andamento decisamente impressionante.


Conclusioni 3

Nel 1914 la classe dirigente capitalista commise un vero e proprio suicidio politico-economico (spesso anche fisico).   Ben poche delle famiglie che erano ricche nel 1910 lo erano ancora nel 1950.   Molte, anzi, erano letteralmente estinte.

Nei decenni successivi il capitalismo risorse, ma era radicalmente cambiato.

In primo luogo, in USA e nei paesi suoi satelliti, si venne formando una consistente classe di mini e micro capitalisti, proprietari di un’ abitazione, di almeno un’automobile e di consistenti dotazioni di elettrodomestici; più tardi anche di computer e vari gadget tecnologici.   Oltre che di risparmi sotto forma di fondi pensione, BOT e cose simili.

In secondo luogo, il reddito fornito dal capitale è proporzionalmente molto più basso di un tempo e la classe dominante, il famigerato 1%, deve il suo alto ed altissimo reddito anche al possesso di cospicui patrimoni, ma soprattutto grazie al fatto di percepire degli stipendi altissimi, spesso pagati proprio dai detentori dei capitali che costoro amministrano.

Prima di pensare che tutto ciò sia molto democratico, riflettiamo però su di un fatto: le carriere che permettono di raggiungere stipendi molto alti sono accessibili quasi esclusivamente ai figli di coloro che possono investire cifre molto alte per far laureare i propri pargoli in una decina di università costosissime ed esclusive, oltre ad avere un giro di conoscenze ed amicizie negli ambienti che contano.   “L’uomo che si è fatto da solo” esiste, ma è sempre più raro, man mano che la crescita economica rallenta ed il divario fra i “vincenti” e tutti gli altri si allarga.

Per saperne di più: Picco per Capre