sabato 27 ottobre 2018

Quanto capitale c’è nel capitalismo? – Agonia del capitalismo 2 –


di Jacopo Simonetta

Secondo articolo di una serie di dieci, per il primo si veda qui.
Questo articolo è già uscito su Apocalottimismo in data 6/10/2018.

Quanto capitale c’è dentro il capitalismo?

Piketty analizza il livello di capitalizzazione delle economie esprimendo il quantitativo di capitale in percentuale del PIL, anno per anno.  In tal modo, si evidenzia il tasso di accumulo del capitale in rapporto alle attività economiche, facendo astrazione dalle dimensioni complessive dell’economia.   In pratica, in questo modo si evidenzia la struttura di un’economia, invece di essere abbagliati dalle sue dimensioni.


Come si vede (fig. 1 Piketty) in tutti i principali paesi europei il livello di capitalizzazione dell’economia era relativamente stabile e molto alto fino al 1914 (fra 6 e 7 volte il PIL) .  Nei trenta anni successivi lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, la quasi totalità di questo immenso patrimonio andò distrutto, soprattutto per la perdita spesso totale di valore di azioni, obbligazioni e titoli di stato; solo secondariamente per i bombardamenti.  Dal 1950, il capitale ha ripreso a crescere rapidamente, tornando a valori compresi fra il 400 ed il 600% del PIL odierno.  La tendenza è tuttora al rialzo ed è quindi possibile che si torni a livelli analoghi a quelli di oltre 100 anni fa o più.
Tuttavia, anche se il capitalismo è sopravvissuto al bagno di distruzione e sangue dei 30 anni peggiori della storia europea (forse mondiale), ne è uscito profondamente cambiato.    Vediamo l’esempio della Francia, rappresentativo di una tendenza generale (fig. 2 Piketty).

Come si vede, fra il 1700 ed il 1914 l’ammontare complessivo del capitale è rimasto sostanzialmente costante in rapporto al PIL, ma non si deve credere che questo significhi stabilità né politica, né economica.
Al contrario, in quei due secoli la struttura del capitale è completamente cambiata, con una fortissima perdita di valore dei terreni agricoli nella madrepatria, compensata dall’acquisto di proprietà coloniali.  Il valore complessivo del settore immobiliare non è cambiato molto, mentre quello degli impianti industriali è cresciuto, ma non di molto (sempre in rapporto al PIL, si ricordi).
Fra l’agosto 1914 e il settembre 1945 questo patrimonio perse più di metà del suo valore, ma è interessante notare che la prima guerra mondiale ha avuto effetti molto più devastanti della seconda, malgrado abbia comportato distruzioni materiali infinitamente minori.   Ciò è dipeso dal fatto che il più delle perdite sono state dovute al crollo del valore dei terreni, già avviato due secoli prima, e dalla perdita delle proprietà coloniali (al netto delle proprietà detenute da stranieri in Francia).  Anche il capitale industriale ne uscì malconcio, ma più per la perdita di valore di azioni e obbligazioni che per le bombe.

Come abbiamo visto, dopo il 1945 è iniziata una rapida ripresa del capitale, tuttora in corso, ma legata soprattutto all’esplosione del valore del mercato immobiliare, mentre l’agricoltura finiva di sparire.   Interessante notare che il capitale estero, dal dopoguerra, è rimasto insignificante.  Ciò non significa che i capitalisti francesi e occidentali in generale non posseggano oggi grossi capitali all’estero (li possiedono), ma significa che capitalisti esteri possiedono un valore circa equivalente in Europa.   Una situazione interessante perché questa approssimativa equivalenza risulta evidente per l’élite, ma non per la gente comune che, più o meno in tutti i paesi, avverte con disagio il fatto che il proprio paese è largamente posseduto da stranieri.   Una sensazione esacerbata quando gli stranieri appartengono a nazioni impopolari come i paesi arabi o la Cina per gli europei, oppure gli stati europei per molte delle nostre ex-colonie.

Infine, vediamo come è evoluto nel tempo il rapporto fra capitale pubblico e privato, al netto del debito(fig. 3 Piketty).   Come si vede, il capitale pubblico non è mai stato molto, a periodi perfino negativo (cioè il debito pubblico valeva più della somma delle proprietà pubbliche).   L’unico periodo in cui lo stato è stato quasi altrettanto ricco della somma dei suoi cittadini è stato nell’immediato dopoguerra.  Un periodo molto particolare, su cui torneremo.


Conclusioni – 2

Il capitalismo si è sempre contraddistinto per essere intrinsecamente instabile e rivoluzionario; se ne era ben accorto Carlo Marx che contava su di esso per distruggere ogni traccia di struttura sociale tradizionale ed aprire cosi’ la via al comunismo.   La prima parte del lavoro è andato come aveva previsto, la seconda invece no (almeno per ora).  Dunque in una prima fase, quella studiata da Marx, il capitalismo ha effettivamente distrutto le proprietà e le società agrarie, per sostituirle con quelle immobiliari, industriali e coloniali.   Al 1914 Francia, Inghilterra e Germania, erano le tre maggiori potenze politiche ed economiche mondiali, gli imperi coloniali dei primi due coprivano buona parte del Pianeta, una posizione di assoluto privilegio costruita gradualmente a partire dalla fine del XVII secolo.  La Russia aveva occupato l’intera Asia centrale e settentrionale e gli Stati Uniti avevano sostituito la Spagna ed il Portogallo come potenza egemone sul Nuovo Continente, ma ciò nondimeno i tre maggiori stati europei erano in buona misura i padroni del mondo.  Appena 30 anni più tardi l’Europa era ridotta a miseria e macerie, la sua classe dirigente completamente spazzata via e sostituita; i vari stati ridotti a province chi dell’Impero Americano e chi dell’Impero Sovietico.
Nei 30 anni successivi la fine della seconda guerra mondiale l’Europa occidentale recuperò buona parte del suo potere economico, ma non quello politico; mentre i paesi rimasti nell'orbita sovietica recuperarono solo molto parzialmente i danni subiti.

Un aspetto molto interessante di questa carrellata storica è che la Rivoluzione Francese, con tutto ciò che ne è seguito, ha avuto effetti irrilevanti sulla ripartizione della ricchezza, come dimostrato dal fatto che nella vicina Inghilterra l’evoluzione è stata molto simile.   Viceversa, come già notato, la prima guerra mondiale ha avuto effetti devastanti sulla struttura socio-economica d’Europa, molto maggiori anche della seconda, malgrado i bombardamenti.  Tutto questo induce il sospetto che il 1914 abbia rappresentato un vero e proprio punto critico nell'evoluzione delle società capitaliste europee, con un collasso in perfetto stile “Picco di Seneca”, seguito però da una parziale rinascita.