lunedì 24 settembre 2018

La Prima Guerra Mondiale fu una Guerra Giusta?


Questo è il mio ultimo libro, sarà presentato a Firenze questo fine settimana. E' la ricerca della storia di un eroe dimenticato della prima guerra mondiale. Una storia di eroismo, dovere, sofferenza e della sconfitta finale di un uomo onesto che ha fatto il suo dovere fino alla fine: Armando Vacca il suo nome, di cui sono onorato di essere stato un umile biografo. 

A commento di questa storia, un testo di Elena Corna sul concetto di "Guerra Giusta". Secondo Elena, il concetto sviluppato da Agostino è stato oggi stravolto a tal punto da giustificare lo sterminio di massa, un argomento discusso anche nel mio libro.




La Guerra Giusta
di Elena Corna


Dice il re di Sparta Archidamo (Tuc., I,80): Nessuno può desiderare la guerra, né ritenerla utile e priva di incognite.” I Greci non hanno fatto molte guerre, in pratica sono tre, Troia, le guerre contro i persiani e la guerra del Peloponneso, ma molto hanno riflettuto. E hanno sempre pensato che la guerra è una disgrazia assoluta, che consegue come ananke da un atto di ubris. E crea conseguenze a non finire. E’ stato così per la guerra di Troia e anche per le guerre persiane. La tracotanza dei Greci nel portare guerra a Troia ha causato infiniti lutti, e la ubris di Serse nell’invadere la Grecia anche.

Eschilo, i Persiani: “creatura mortale non deve concepire pensieri oltre misura, chè tracotanza fruttifica in spiga di rovina e miete messe di pianto (v. 816 sgg.) E’ il fantasma di Dario che parla. Idem Agamennone 438: anche i vincitori piangono i lutti, la guerra non è bene per nessuno. Euripide Trioane e Elena (avete combattuto per un fantasma). Aristofane, Lisistrata. La condanna della guerra è netta.

Ed è da notare che nella produzione letteraria c’è spesso il presentare il punto di vista dei vinti, come nei Persiani di Eschilo e nelle Troiane di Euripide. E’ solo questione di fortuna essere dalla parte dei vincitori o dei vinti. “Guai a chi infierisce sui prigionieri di guerra, ricordate che potremmo esserci noi al posto loro.” (Eschilo, Agamennone).


I Romani adottano il concetto greco della filantropia e anche il loro pensiero relativamente alla guerra. Cicerone At. IX 19, tutte le guerre, anche se giustificabili, sono moleste, non dovrebbero esserci. Ugualmente Virgilio e Tibullo: Quis fuit horrendos primus qui protulit enses? Seneca ep. 95, condanna tutte le guerre. La violenza non ha giustificazione morale:

Seneca ep. 95:Cum possim breviter hanc illi formulam humani offici tradere: omne hoc quod vides, quo divina atque humana conclusa sunt, unum est; membra sumus corporis magni. Natura nos cognatos edidit, cum ex isdem et in eadem gigneret; haec nobis amorem indidit mutuum et sociabiles fecit. Illa aequum iustumque composuit; ex illius constitutione miserius est nocere quam laedi; ex illius imperio paratae sint iuvandis manus. Ille versus et in pectore et in ore sit: "Homo sum, humani nihil a me alienum puto". Habeamus in commune: in commune nati sumus.

E’ vero che i Romani hanno portato la guerra fin dove potevano, ma mai l’hanno considerato una cosa giusta. Infatti si sentivano in dovere di giustificarsi (Virgilio) e anche loro sanno mettersi dal punto di vista dei vinti. Forse ricordate il discorso di Calcago in Tacito: i Romani fanno il deserto e lo chiamano pace. Inoltre dimostrano stima per i nemici, si vede in Cesare, in Tacito, in Livio. Non c’è disprezzo. Verso i greci, poi, avevano un vero complesso di inferiorità. Un ultimo elemento: alcuni episodi come quelli degli Scipioni che, dopo aver distrutto Cartagine e Corinto, piangono sulle rovine, dimostrano che si sentivano in colpa.

Conclude Marta Sordi: ( Guerra e diritto nel mondo greco e romano, p. 18) Il concetto di bellum iustum non toglie la consapevolezza che la guerra è comunque violenza e spargimento di sangue e sarebbe meglio che non ci fosse. E il sangue versato esige comunque una espiazione, anche se sangue di nemici versato in guerra.

Sordi cita qui il bellum iustum e bisogna chiarire di cosa si tratta. Ne parla Livio (I.32) Innanzitutto c’era da dichiararla in modo esatto, invocare gli Dei perché fossero testimoni in caso di violazioni, perché la guerra è potenzialmente sacrilega; ci doveva essere una ragione e poi si faceva l’evocatio. Il bellum iustum per i Romani era semplicemente questione di correttezza giuridica e formale.


La Guerra Giusta Secondo la Dottrina Cristiana

Ma il concetto di guerra giusta è cristiano. E questo è fuori di dubbio. Dice Wikipedia, se cercate guerra giusta: La dottrina della guerra giusta è un campo di riflessione della teologia morale cristiana che stabilisce a quali condizioni dichiarare una guerra, e combattere per vincerla, sia lecito per un cristiano. Secondo questa dottrin, « bellum non est per se inhonestum. » « la guerra non è in sé stessa intrinsecamente illecita. » Belligerare malis felicitas, bonis necessitas.Il comandamento che proibisce l’uccisione non è stato violato da coloro che hanno condotto guerre per l’autorità di Dio o da coloro che hanno imposto la pena di morte ai criminali (Agostino, De civitate Dei, IV, 6, 15). La pena di morte è ancora contemplata nel catechismo:

2267 L'insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell'identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani. Secondo l'enunciazione tradizionale di questa dottrina, perché una guerra non sia inhonesta - cioè "intrinsecamente illecita" - si devono verificare tre condizioni (le prime due riassunte sotto l'espressione jus ad bellum, il "diritto di fare la guerra", e la terza nella categoria dello jus in bello, il "diritto [da rispettare] durante la guerra"):


che la guerra sia dichiarata dalla "legittima autorità" (legitima auctoritas),

che sia intrapresa per una "giusta causa" (iusta causa),

che sia condotta nei "modi legittimi", commisurati al fine della guerra (debitus modus).

La dottrina della guerra giusta era concettualmente molto diversa da quella della legittima difesa, se non altro perché la prima poteva considerare "giusta" anche una guerra offensiva, e non solo quella difensiva. La dottrina della legittima difesa, inoltre, giustifica una reazione anche violenta soltanto di fronte ad un'aggressione ingiusta "in atto", o perlomeno incombente, mentre la dottrina della giusta poneva solo la clausola di un "giustificato motivo", che non necessariamente era riconducibile solo ad una aggressione già in atto. Fin qui Wikipedia.

mentre i razionalissimi romani, aiutati da un cospicuo retaggio di speculazione greca, riflettevano sui limiti giuridici delle azioni, il cristianesimo squalificò del tutto l’intelligenza umana chiamando in causa una volontà divina che si manifestava solo al papa ignorando tutto il resto della popolazione.”(da Impero romano blogspot)

L’elaborazione della dottrina della guerra giusta si nutriva anche dell’avallo del Vecchio Testamento che, come si sa, pullula di stragi ordinate da dio. Scrive Simone Weil:

Gli ebrei vedevano invece nella sventura il segno del peccato; dunque un motivo legittimo di disprezzo. Guardavano i nemici vinti come se Dio stesso li avesse in orrore e li condannasse a espiare delitti, ciò che rendeva lecita e addirittura indispensabile la guerra e la crudeltà» S. Weil, La Grecia e le intuizioni precristiane, Milano,Rusconi,1974,p. 43.

La “guerra giusta”, definita anche “guerra santa”, fu definitamente legittimata all‟interno della chiesa dal monaco cistercense, Bernardo di Chiaravalle (1130)

In verità – scrisse – i cavalieri di Cristo combattono le battaglie del loro Signore senza correre rischi, senza in alcun modo sentire di aver peccato nell’uccidere il nemico, non temendo il pericolo della loro stessa morte visto che sia dare la morte, sia il morire quando sono fatti in nome di Cristo non sono per nulla atti criminosi, ma addirittura meritano una gloriosa ricompensa…il soldato di Cristo uccide sentendosi sicuro: muore sentendosi ancora più sicuro. Non per nulla egli porta la spada! Egli è lo strumento di Dio per la punizione dei malfattori e per la difesa dei giusti. Invero, quando egli uccide un malfattore non commette omicidio, ma malificio, e può essere considerato il carnefice autorizzato da Cristo contro i malvagi. (Lode della nuova milizia)

La guerra viene così ad essere concepita più semplicemente come uno scontro tra il bene e il male che, proprio per questo, non richiede altre legittimazioni: in poche parole si fa guerra perché si deve combattere il male e restaurare l’ordine voluto da Dio. Non a torto Danilo Zolo ha scritto che « il monoteismo cattolico… ha in parte accolto e in larga parte rielaborato in chiave moralistica l’idea vetero-israelitica della guerra santa, mostrando così come il bellum justum dei cristiani trovi genealogicamente il proprio luogo di provenienza nelle pagine del Deuteronomio, dove la guerra santa obbligatoria appare come guerra di annientamento dei nemici del popolo di Dio.» ( D. Zolo, Una guerra globale monoteistica, in “Iride”, 39, 2003, pag. 223).

Scrive F. Cardini, (Cristiani perseguitati a persecutori, Roma, Salerno editrice, 2011);”La croce divenne così «simbolo di potere e di controllo esercitati anche con la forza delle armi: il ricorso alla violenza, supportato da numerosi passi delle Scritture, divenne metodo di conversione e di affermazione della nuova religione che indirizzò la sua azione sia al suo esterno sia al suo interno, ossia verso coloro che venivano considerati eretici». Ma fu in realtà il 27 novembre del 1095, verso la fine dei lavori del Concilio di Clermont, che papa Urbano II attribuì anche il crisma di “ santa” alla guerra condotta per difendere la fede e la dottrina della chiesa. La logica era semplice. Chi lottava contro la cristianità veniva considerato alla stessa stregua di un criminale o di un bandito: ucciderlo o torturarlo, anche senza rispetto delle regole etico-giuridiche, diveniva lecito e giusto (tesi di Manuela Girgenti, la rinascita della guerra giusta, 2016/17 )

In pratica, come dice Salinari su Il Manifesto (Breve storia della guerra giusta): con la teoria della guerra giusta, concetto religioso medievale, si ha il passaggio dal «nemico formalmente giusto», al nemico «criminale», diabolico, disumanizzato, percepito come qualcosa di non-umano.

Dice Andrea Baravelli ( Guerra e rappresentazione del nemico, "Storicamente", 1 (2005):

Nell’Iliade l’inimicizia fra Achei e Troiani non porta alla disumanizzazione di Ettore. Nel medioevo cristiano il nemico divenne nemico diabolico. Il successo dell'impiego della balestra in Terra Santa ne favorì la diffusione in tutto il mondo occidentale, ma essa, tuttavia, a causa dell'uso sempre più frequente di frecce avvelenate, che la rendevano ancora più micidiale, nel 1139 subì l'anatema di Papa Innocenzo II, durante il Secondo Concilio Lateranense: "Illam mortiferam artem et Deo odibilem Ballistariorum et Sagittariorum adversus Christianos et Catholicos exerceri de cetero sub anathemate prohibemus" (Poiché l’arte della morte è odiosa a Dio, sotto pena d’anatema, dobbiamo proibire l’impiego di archi e balestre contro i Cristiani ed i Cattolici). Contro gli altri però sì. Da http://www.ilgiudiziocattolico.com/1/70/guerra-giusta-e-pacifismo-la-dottrina-della-chiesa.html:


La Chiesa, pur condannando le guerre ingiuste, non ha mai mancato di mostrare la sua sollecitudine per chi porta le armi al servizio dell’autorità legittima e qualunque opinione che volesse considerare la vocazione alla vita militare come non coerente con il Vangelo è del tutto infondata. Un altro fondamentale compendio della dottrina cattolica sul nostro argomento afferma: «La guerra giusta (a). – Il precetto divino della pace ci obbliga non solamente a rispettare, ma a proteggere e difendere i beni essenziali che ci permettono di conseguire il nostro fine, naturale e soprannaturale. Di fronte ad un aggressore del quale la slealtà è certa, si può essere costretti ad iniziare per primi le ostilità, ad “attaccare”, senza per questo essere “aggressore”. – Tra i beni da rispettare e difendere, come i più essenziali, bisogna includere i beni spirituali, ed il più importante di tutti, la fede, che ci permette di raggiungere il nostro fine soprannaturale: Dio. È perciò cosa legittima, ed alle volte è un obbligo, difendere questo bene, in caso di attacco o grave minaccia, se è necessario, anche con le armi» (Insegnamenti pontifici, a cura dei Monaci di Solesmes).

Qui si innesta la seconda considerazione. Se la «pace è dono di Dio», se «Egli è il solo fondamento stabile dell’ordine, il solo autentico garante della pace» e quindi «è impossibile stabilirla al di fuori dei principi del Vangelo» non vi potrà essere vera pace, anzi aumenteranno i conflitti nella misura in cui la Regalità Sociale di Cristo verrà sempre più ripudiata. Da un punto di vista soprannaturale, «se la pace è un dono del cielo, una grazia» (Insegnamenti pontifici), non si vede quale valore possano allora avere le preghiere per la pace che accomunano rappresentanti di diverse “religioni”, o, come si sarebbe detto un tempo, cattolici, scismatici, eretici, infedeli e financo pagani. L’utilità di tali incontri può essere al massimo solo politica o diplomatica.

Per concludere con la parola di un Papa, Pio XII, che si spera vedere presto elevato alla gloria degli altari: «La Chiesa deve tener conto delle potenze oscure che hanno sempre operato nella storia. Questo è anche il motivo per cui essa diffida di ogni propaganda pacifista nella quale si abusa della parola di pace per dissimulare scopi inconfessati».

In una lettera al Presidente del Senato Marcello Pera, il cardinale Ratzinger affermava: «Sul fatto che un pacifismo che non conosce più valori degni di essere difesi e assegna a ogni cosa lo stesso valore sia da rifiutare come non cristiano siamo d’accordo: un modo di “essere per la pace” così fondato, in realtà, significa anarchia; e nell’anarchia i fondamenti della libertà si sono persi». Tale concetto fu ribadito e precisato in un discorso pronunciato a Subiaco il 1° aprile 2005, poche settimane prima dell’elezione a Sommo Pontefice: «La pace e il diritto, la pace e la giustizia sono inseparabilmente interconnessi. Quando il diritto è distrutto, quando l’ingiustizia prende il potere, la pace è sempre minacciata ed è già, almeno in parte, compromessa. Certamente la difesa del diritto può e deve, in alcune circostanze, far ricorso a una forza commisurata. Un pacifismo assoluto, che neghi al diritto l’uso di qualunque mezzo coercitivo, si risolverebbe in una capitolazione davanti all’iniquità, ne sanzionerebbe la presa del potere e abbandonerebbe il mondo al diktat della violenza. (…) Negli ultimi decenni abbiamo visto ampiamente nelle nostre strade e sulle nostre piazze come il pacifismo possa deviare verso un anarchismo distruttivo e verso il terrorismo».

Vorrei mettere in luce questi elementi che sono emersi:

  • la liceità dell’uccidere senza sentirsi in colpa, o senza sentire di avere qualcosa da espiare (nel paganesimo non era così, si espia ANCHE il sangue degli animali). 
  • La disumanizzazione del nemico che quindi non ha diritto alcuno.

Lo stabilire la frattura fra due campi: il bene e il male assoluti, che nel paganesimo non esistevano proprio. Stabiliti questi, ogni guerra contro il male è lecita per chi rappresenta il bene. Omnia munda mundis (Paolo di tarso, epistola a Tito). Conseguenza: le uccisioni di massa. Anche i Romani risparmiavano i civili e si sa che risparmiavano chi si arrendeva e chi si rifugiava nei templi o sulle tombe; i cristiani non risparmiano nessuno.

Esempio:

La città di Beziérs (nel sud della Francia) venne rasa al suolo il 22 luglio 1209, tutti gli abitanti massacrati, compresi i cattolici, che avevano rifiutato l’estradizione degli eretici. Il numero dei morti viene stimato tra 20.000 e 70.000 (WW 179-181) (Sito UAAR: vittime della fede cristiana). Una bella differenza con i pagani che tendevano a risparmiare più vite possibile:

Carlo Ciullini (Tuttostoria.nei): Nei casi di Romolo, Cosso e Marcello impegnati a incrociar le spade coi sovrani nemici, si ha come la somma, in ciascuno dei duellanti, delle qualità, delle virtù, della forza collettiva dei rispettivi popoli: un unico uomo diventa così il braccio armato della nazione di cui si fa difensore, addossandosi l'onore e l'onere, con la vittoria o la sconfitta, d'indirizzare in termini positivi o contrari le sorti della propria gente. La scelta concordata di affidare a due campioni la supremazia di un intero esercito su un altro, ha risparmiato così la vita di migliaia di uomini. Niente a che vedere, dunque, con i generali dell'era moderna, che solo raramente abbandonano retrovie e Quartier Generali dai quali lanciare (a debita distanza...) gli ordini tattico-strategici.

E in nome di tutte queste premesse, tutto diventa lecito e giusto: Il generale Francisco Franco, per esempio, si giustificò di fronte alla Chiesa cattolico-romana (di cui era il campione e il difensore in Spagna) per il bombardamento a tappeto di Guernica, affermando che comunque esso era proporzionato al giusto fine di demoralizzare la popolazione ribelle e stabilire l'ordine nel Paese. « Resta il fatto che in nessuna delle guerre degli ultimi secoli il debito modo ha esercitato alcuna influenza sulle scelte dei governanti, e neppure sui giudizi che i cristiani – e le Chiese – hanno dato di tali scelte. Nessun governo è stato pubblicamente e solennemente condannato da alcuna Chiesa cristiana per il modo di condurre una guerra,” (Enrico Chiavacci)

E così ne è una diretta conseguenza il concetto di “asse del male”. L'espressione "asse del male" ("axis of evil") fu introdotta dal presidente degli Stati Uniti George W. Bush in occasione del suo discorso sullo stato dell'unione del 29 gennaio 2002. In Iraq Quella che si sta combattendo, ha detto Bush, è una battaglia «contro il male assoluto». E anche lui diceva di agire in nome di Dio (Emilio Gentile, La democrazia di Dio, Laterza).


Circa, infine, la iusta causa, bisogna dire che, lungo i secoli, come "giuste cause" furono addotti praticamente tutti i motivi immaginabili: la promozione della fede cattolica, l'apporto di un generico beneficio all'umanità, il libero commercio, e così via. Nessuna autorità ecclesiastica cattolica, per esempio, obiettò al preteso diritto dell'Italia ad avere più terre da coltivare (un “posto al sole”) come giusta causa per scatenare le guerre per le colonie.

C’è stato in verità qualche pronunciamento della chiesa contro la guerra, il primo è stato Giovanni XXIII nella sua enciclica Pacem in Terris che mise di fatto in discussione tutti e tre i principi della guerra giusta, affermando che, nell'era degli armamenti atomici, fosse addirittura « alienum a ratione bellum iam aptum esse ad violata iura sarcienda. » « estraneo alla ragione [ritenere] che la guerra possa essere uno strumento adatto per rivendicare dei diritti violati

In una conferenza, padre Bartolomeo Sorge, direttore di Civiltà cattolica, ribadisce che nell’era della guerra atomica la prospettiva di un conflitto non è più accettabile perché mancherebbe il debitus modus. Tuttavia nel giugno 1982, in una comunicazione inviata da Giovanni Paolo II alla sessione speciale dell’Assemblea dell’ONU sul disarmo, veniva affermava la liceità etica della dissuasione nucleare, in opposizione alla lettera “antinucleare” dei vescovi americani e a precisazione, almeno formale, di taluni principi della guerra giusta: la proporzionalità della violenza, la discriminazione fra combattenti e non combattenti, la giusta causa, la retta intenzione e la speranza di vittoria.


Insomma la chiesa ha rivisto le sue posizioni dall’era atomica, ma il punto chiave è che in 2000 anni di monopolio ideologico ha fatto entrare nella coscienza collettiva l’idea della guerra giusta; loro sono l’asse del bene, gli altri sono il male e dobbiamo difendere il bene. Non c’è un ripudio della guerra quale invece dovrebbe esserci. Questo è entrato profondamente nella mente degli occidentali; se dite “la guerra è terribile”, moltissimi rispondono “mah, d’altra parte, se loro ci minacciano…” “Però non possiamo mica permettere che…” Questa è la grossa responsabilità della chiesa e della sua dottrina della guerra giusta. E’ quello che sostengono molti studiosi. Guerra giusta e totale, pace ideale e distruzione dell’avversario (di Eduardo Zarelli)

Le Guerre Moderne

Le "guerre giuste" moderne, non rispettano alcuna limitazione e proporzionalità. Sotto questo profilo esse si ricollegano alle antiche "guerre sante" che, come si legge nella Bibbia, danno unzione divina allo sterminio del nemico. Coloro che conducono guerre di questo genere hanno l'obbligo di non risparmiare niente e nessuno. Poiché si ritiene che la vittoria confermi la superiorità della fede e della religione, il nemico viene del tutto naturalmente assimilato al Male, cioè a un nemico personale di Dio. Ogni riconciliazione con lui diventa impensabile.

L’educazione cattolica è stata infarcita, negli ultimi due secoli, di questa ideologia. In Italia, l’organizzazione giovanile più frequentata, anche perché non c’erano molte alternative, era la Gioventù cattolica. Nella GC (scrive Francesco Piva, Uccidere senza odio; pedagogia di guerra nella storia della gioventù cattolica italiana, ed. franco Angeli 2005) “fu costante l’esortazione a partecipare alle guerre decise dall’autorità costituita, ma al giovane cattolico fu soprattutto offerto un modello di eccellenza nel combattimento. Venne via via elaborata una strategia pedagogica per guidare i giovani non solo ad accettare il sacrificio con disciplina ed abbandono a dio, ma anche a non aver remore nell’infliggere violenza e morte. Questo era inglobato iin una teoria pedagogica volta a plasmare la personalità del militante: maschio, prestante, forte e pronto allo scontro fisico. Uno degli elementi fondanti era l’identificazione della vittoria della patria con la vittoria del cristianesimo. Siamo sempre lì. La guerra giusta. Uccidere senza odio e senza colpa.


Lo studio di Piva arriva fino al 1943. Con la seconda guerra mondiale si è aperta una nuova stagione. Dal punto di vista giuridico, infatti, sull’onda di una opinione favorevole all’abolizione della guerra, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, essa fu messa al bando e tale decisione fu ufficialmente formalizzata nella Carta delle Nazioni Unite del 26 giugno 1945. Pur tuttavia, anche se il termine guerra è stato messo al bando, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in una risoluzione consensuale del 14 dicembre 1974, ha lasciato aperta la possibilità di interventi militari contro quegli Stati “canaglia” che, potenzialmente o in atto, potessero macchiarsi di gravi crimini contro l’umanità. La Carta della Nazioni Unite, infatti, se da un lato sancisce il divieto dell’uso della forza nei rapporti internazionali, dall’altro demanda ad un organo delle Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza (cap. VII, art.39ss), la competenza a compiere le azioni necessarie per il mantenimento dell’ordine e della pace tra gli Stati e, in particolare, a usare la forza a fini di “polizia internazionale”.

In nome, quindi, della giustizia le grandi potenze democratiche al vertice del sistema internazionale, pur con accentuazioni diverse, non hanno evitato il ricorso all’uso della forza contro “sospetti” definiti non come nemici, ma come espressione delle forze del male. In poche parole, in nome della universalità dei diritti umani e attraverso una rinomizzazione eufemistica, le potenze occidentali hanno paradossalmente ridato vita alla “guerra giusta”; la guerra «è stata trasfigurata in sanzione collettiva, operazione di polizia internazionale, strumento per il mantenimento della pace, tanto che si potrebbe dire, paradossalmente, che oggi la guerra può figurare tanto meno come guerra quanto più si presenta come giusta».( A. Colombo, Ingerenza umanitaria, interventismo e guerra dopo il Novecento. Il discutibile trionfo della “guerra giusta”)

E‟ una maniera che consente ai nuovi conflitti di essere facilmente metabolizzati dalle società occidentali, che, anche per le poche perdite subite di vite umane, non comportano rotture o contraccolpi sociali. Ora, vuoi che prendano il nome di “interventi umanitari, vuoi che vengano chiamate “missioni di pace” o “operazioni di polizia”, nessuno potrà negare che nella realtà ci troviamo di fronte a vere e proprie operazioni di guerra, finalizzate, almeno sulla carta, alla riaffermazione della giustizia. Si ritorna, così, di conseguenza, all’ uso della forza non più con motivazioni strumentali, ma adducendo giustificazioni di carattere morale, ma, soprattutto per sostenere e diffondere i valori democratici e di libertà, qualora questi ultimi vengano seriamente messi in pericolo. Non più, dunque, un intervento militare basato su ambizioni territoriali, ma su valori assolutamente inalienabili. In questi conflitti si evince un tratto comune di non poca rilevanza: il ricorso a giustificazioni di tipo morale che li rendono più accettabili e legittimi sul piano internazionale. Il riferimento a motivazioni morali, sebbene quali la libertà e la sicurezza come giustificazioni di un intervento armato, consente di ottenere il favore dell’opinione pubblica; in secondo luogo, da un punto di vista internazionale, gli interventi motivati da cause umanitarie e per la difesa dei valori democratici e di libertà permettono più facilmente di ottenere legittimità sul piano internazionale. In poche parole, attraverso l’interventismo umanitario, si tenta di legittimare il fenomeno bellico, imbellettandolo come strumento di tutela e affermazione dei diritti umani.

Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito ad un cedimento dell’inibizione all’uso della forza da parte delle grandi potenze e a un continuo richiamo alla grammatica della “guerra giusta”, sia nelle nomizzazioni delle missioni militari che nelle strategie comunicative. In pratica, di fronte al Male assoluto, non c‟è tempo per cercare soluzioni alternative; e ci si basa sull‟assunto che, di fronte alle nuove minacce (terrorismo in testa) non è più possibile sapere quanto immediata sia la minaccia nemica – come richiederebbe il vecchio istituto della “legittima difesa preventiva” – e, quindi, non c‟è altro modo di togliersi il dubbio che attaccare in anticipo. (A. Colombo, Ingerenza umanitaria, interventismo e guerra dopo il Novecento. Il discutibile trionfo della “guerra giusta”, in G.Daverio Rocchi (a cura di), Dalla concordia dei greci al bellun justum dei moderni, Milano, Franco Angeli, 2013.cit., pag.209).
 
Oggi le tradizionali restrizioni dello Jus in bello, malgrado l’evoluzione tecnologica della guerra, che consente di distinguere con maggiore precisione i siti militari da quelli civili, sono state di fatto sospese in nome di una lotta globale al terrorismo. Se le forze alleate, come è avvenuto per esempio in Iraq, hanno, non diciamo la certezza, ma anche il sospetto che il nemico abbia nascosto parte del suo materiale bellico all‟interno di un centro abitato, si ritengono autorizzate a bombardarlo, considerandolo un legittimo obiettivo militare. Se l‟incursione aerea provoca centinaia di vittime civili, la questione viene subito liquidata come un semplice danno collaterale. Schmitt (Il Nomos della terra nel diritto internazionale dello “Jus publicum europaeum, Milano, Adelphi, 1991) sostiene che nel futuro sarà la superiorità militare a far sì che uno Stato possa arrogarsi l‟autorità di iniziare un conflitto per una “giusta causa” e di trattare il nemico come un criminale.

La guerra che si profila all‟orizzonte – a suo parere – non sarà soltanto una guerra globale, asimmetrica, “giusta” e “umanitaria”, ma sarà una guerra capace di una discriminazione abissale del nemico, poiché assumerà la forma di una permanente “operazione di polizia internazionale”, controllata dagli stati Uniti, che userà armi di distruzione di massa contro i “perturbatori della pace”, senza più alcuna distinzione fra truppe regolari e milizie irregolari, fra militari e civili. Non sarà, dunque, una guerra fra Stati, suscettibile di concludersi con un qualche trattato di pace, ma sarà una permanente “guerra civile mondiale”, condotta da una grande potenza per sottoporre a controllo poliziesco-militare l‟intero pianeta. (Schmitt C., Il nomos della terra nel diritto internazionale dello Jus publicum europaeum, Milano, Adelphi, 2005)

La prima guerra del Golfo, quella del Kosovo e, successivamente quella in Afghanistan, appaiono esemplari. In tutte e tre si registra, anche se in modo differente, l'eversione del diritto internazionale e, nel contempo, il riemergere della figura, originariamente teologica, della “guerra giusta”. Così, in nome di una sacra difesa dei valori occidentali, il “nuovo ordine mondiale”, attraverso “guerre umanitarie” o “operazioni di polizia” infinite, punisce i suoi oppositori, che di volta in volta rispondono ai nomi di Saddam Hussein, Milosevic e bin Laden, perpetrando massacri ai danni dei loro popoli. «è una vera regressione alle retoriche antiche di giustificazione della guerra, inclusi importanti elementi della dottrina etico-religiosa del bellum justum e del suo nocciolo sacrificale di ascendenza biblica: “la guerra santa obbligatoria” (milchemet mitzvà) come guerra di annientamento dei nemici del popolo di Dio».

La guerra moderna è la più radicale negazione dei diritti degli individui, a cominciare dal diritto alla vita. La guerra moderna, condotta con armi di distruzione di massa sempre più sofisticate e micidiali, è un evento incommensurabile con le categorie dell‟etica e del diritto.( D. Zolo, La giustizia dei vincitori, cit., pp.85-86; Idem: Chi dice umanità. Guerra, diritto e ordine globale, Torino, Einaudi, 2000, pp.124-68) E c’è una ulteriore aggravante. Se nel passato la potenza sovietica, indicata dall‟Occidente come l‟impero del male, era un nemico ben visibile e facilmente identificabile in uno spazio ben definito, il terrorismo è invece un nemico oscuro, tentacolare, mimetico e senza confini ben precisi. La qual cosa costituisce il passepartout ideologico per giustificare una guerra condotta senza limiti di spazio e di tempo e senza regole. Un terrorismo ubiquo significa la possibilità di intervenire militarmente ovunque: una situazione totalmente diversa dai tempi della guerra fredda, quando i rispettivi “campi” o le “sfere di influenza” erano delimitati. Noi siamo – ha dichiarato George Bush – in una guerra tra il Bene e il Male, e l‟America chiamerà il Male con il suo nome.

Si ritorna assolutamente alla guerra giusta. Questo pregiudizio (di essere il Bene) ha avuto la funzione latente, ma reale, di assolvere in anticipo i crimini europei su scala mondiale, in nome della salvezza religiosa di cui si sentivano portatori, con la Croce e i simboli della religione cristiana, i conquistatori e le loro truppe. A questo proposito è da notare uno strano paradosso: i massacratori razzisti in realtà agivano con rara ferocia ed efficienza proprio perché si sentivano chiamati ad assolvere ad un compito sacro, strumenti eletti di un superiore disegno provvidenziale…atti di ferocia, che, lungi dall‟essere ritenuti atrocità, erano concepiti ed attuati come doveri morali, missioni di civiltà, evangelizzazione dei popoli che non avevano avuto la fortuna di conoscere il messaggio divino del Cristo. Peccato che questo messaggio non fosse, troppo spesso, la “buona novella”, bensì la sistematica spogliazione e infine il genocidio e lo sterminio di intere civiltà.” ( F. Ferrarotti, La tentazione dell’oblio, Roma-Bari, Laterza, 1993, pag.52).

Nel nome di una guerra giusta si tratta, in realtà, di vere e proprie guerre di aggressione, che, come si è già visto, possono essere definite esse stesse terroristiche, sia per la violenza sanguinaria con cui sono state condotte e vengono tuttora condotte dalle potenze occidentali, sia perché esse stesse sono responsabili della replica terroristica da parte dei paesi aggrediti, martoriati e militarmente occupati. Siamo alla rinascita della guerra giusta, dunque, che il giudizio storico sembrava avere consegnato alla storia dell‟ideologia. La sola via percorribile per garantirsi una difesa capace e a lungo termine contro anarchia, guerre, terrorismo e violenza è quella del rafforzamento della democrazia.”( B.R. Barber, L’impero della paura. Potenza e impotenza dell’America nel nuovo millennio, Torino, Einaudi, 2004, pag.128)

Altrettanto importante è prendere le distanze dalla logica dello scontro delle civiltà, dal linguaggio della politica identitaria e dal rinnovato spirito di crociata cui sembrerebbero indulgere vasti settori dell’ opinione pubblica e della classe politica occidentale.” (Manuela Girgenti).