sabato 3 marzo 2018

Il limite dei “Limiti”.


di Jacopo Simonetta

Ad oggi, purtroppo, il modello World3, cuore dello studio dei “Limiti della Crescita”, si è dimostrato di gran lunga il migliore fra i tanti modelli proposti nel tentativo di capire quello che ci sta accadendo.  La sua capacità previsionale si è infatti dimostrata ampiamente maggiore di quanto i suoi stessi autori non si aspettassero. Eppure contiene almeno un errore strutturale consistente: la teoria della “Transizione Demografica”.   Un errore trascurabile nella fasce ascendente delle curve, ma critico nella fase di declino e, forse,di  collasso del sistema socio-politico globale.

La teoria

L’idea alla base di questa teoria è che, aumentando il benessere, dapprima diminuiscano prima la mortalità e, successivamente, la natalità; così da ritrovare un relativo equilibrio ad un livello molto più alto di quello di partenza. Il corollario, è che non bisogna quindi preoccuparsi di controllare i parametri demografici (natalità, mortalità e saldo migratorio), bensì aumentare e diffondere il benessere economico,  “condizione necessaria e sufficiente” per la definitiva soluzione dei problemi umani.

La teoria, nata alla fine del XIX secolo, ha alcuni pregi e parecchi difetti.  
Il merito principale è di individuare una serie di fattori sociali e culturali che effettivamente danno un contributo importante alla dinamica di una popolazione umana.   Ad esempio, il livello di istruzione femminile, l’accesso ai contraccettivi moderni, l’accesso al mercato del lavoro per le donne, l’innalzamento dell’età matrimoniale, eccetera sono certamente elementi importanti; cruciali in determinati contesti.  E sono tutti fattori quasi sempre associati ad un aumento del reddito, almeno in età moderna.
Un primo importante difetto è invece quello di pretendere che una stessa dinamica debba necessariamente verificarsi dovunque e comunque.

Un secondo ed ancor maggiore difetto non è proprio della teoria in se, ma dei modelli da essa derivati ed ampiamente utilizzati dalle principali istituzioni mondiali (ma non da World3). Cioè dare per scontato che gli ecosistemi, di cui le popolazioni fanno parte, siano comunque in grado di sostenere la maggiore popolazione post-transizione.  Di conseguenza, sembra che le popolazioni umane possano solo crescere o stabilizzarsi, senza mai diminuire se non, eventualmente, in conseguenza di proprie dinamiche interne. Politicamente molto corretto, ma scientificamente del tutto irrealistico.

Il terzo e principale difetto è che il modello è reversibile nel tempo.  In pratica, la teoria prevede che, quando una popolazione viene colpita da una crisi economica, aumentino sia la mortalità, sia la natalità. Considerando il solo livello globale, i flussi migratori sono considerati indifferenti. Per quanto riguarda la mortalità, la previsione è corretta, ma gli effetti sulla natalità sono molto più complessi.  Vediamo quindi una serie di casi reali (ovviamente, visti i limiti di spazio, si farà cenno solo a quei dettagli che sono utili in questa sede).

Casi reali.

Senza pretesa di condurre un’analisi sistematica, ci limiteremo qui ad una carrellata di casi emblematici, con attenzione agli indizi utili per delineare scenari demografici sia pur minimamente realistici.  Fermo restando che la realtà sarà sempre diversa da come la abbiamo immaginata. 

Cina


Il doppio picco, negativo delle nascite e positivo delle morti, seguito da un brusco rimbalzo della natalità è un fenomeno molto frequente che ritroveremo anche in altri esempi.  Si verifica quasi sempre quando una popolazione viene colpita da una improvvisa calamità, molto violenta, ma di breve durata come una guerra ad alta intensità o una grave epidemia.  Molto più interessante è quello che è accaduto dopo.  Infatti, malgrado le politiche decisamente nataliste di Mao, le nascite sono calate con estrema rapidità ben prima del “miracolo cinese”. Da notare anche che la legge sul figlio unico è stata introdotta quando la natalità era già poco al di sopra dell’1,5% e, dall'andamento successivo della curba, si direbbe che abbia svolto un ruolo determinante nel prevenire un picco riproduttivo analogo a quello avvenuto in Italia negli anni ’60 (v. seguito).   Viceversa, il successivo livellamento, fra l’1 e lo 0,5 %, è probabilmente dovuto ad altri fattori, tanto è vero che la modifica della legge (adesso sono consentiti due figli per coppia) non ha per adesso modificato sensibilmente la curva.

Per quanto riguarda la correlazione con la crescita economica, è da notare che il “miracolo cinese” è avvenuto dopo che la natalità era già sostanzialmente scesa.  Oggi, in una fase di brusco rallentamento, se non di stagnazione, dell’economia cinese, i provvedimenti per rilanciare la natalità stanno avendo risultati deludenti.   La natalità è tuttora in calo.

Un fattore che sicuramente sta giocando un ruolo è la prospettiva di un futuro senza crescita economica in un paese in cui è stato fatto un massiccio sforzo per l’istruzione di base alle bambine, l’industrializzazione e il lavoro femminile. Tutti fattori che hanno contribuito molto a scardinare la famiglia confuciana tradizionale, a tutto detrimento della natalità. Cioè esattamente il contrario di quanto all'epoca si riprometteva il governo maoista che pure avviò questi provvedimenti.

India.

Contrariamente alla Cina, durante gli anni ’70 e primi anni ’80 l’India fu il paese che più di ogni altro si prodigò per contenere il “baby boom”, giungendo addirittura a praticare sterilizzazioni forzate in maniera massiccia. Con tutto ciò, la natalità che continuò comunque a crescere inesorabile fino alla metà degli anni ‘80, per poi cominciare a declinare autonomamente e lentamente; restando comunque ben addentro al territorio positivo.  Un fatto questo non privo di conseguenze.
Qualcuno ricorderà di quando si parlava di “Cindia”: in parecchi vagheggiavano un’alleanza strutturale fra questi due giganti che, uniti, avrebbero dominato il mondo.   Partiti praticamente insieme nel 1980, i due paesi più popolosi del mondo hanno invece seguito strade assai diverse e, ad oggi, la Cina ha vinto la corsa.   

Vari fattori vi hanno giocato, ma certamente la precoce riduzione della natalità ha consentito ai cinesi un sensibile aumento del reddito pro capite già prima del 2001 e, quando la Cina entrò nel WTO, la sua popolazione era già quasi stabilizzata, seppure complessivamente giovane.   Una condizione ottimale per approfittare della situazione con il più fantastico tasso di crescita economica mai visto nella storia umana.

Viceversa, la crescita demografica indiana continua tuttora ad assorbire parte della crescita economica, con un aumento del potere d’acquisto del cittadino medio che è meno della metà di quello dei cinesi. Di conseguenza, mentre milioni di famiglie cinesi hanno potuto investire e/o risparmiare, la maggior parte delle famiglie indiane si devono accontentare della sopravvivenza.

Nigeria.

La Nigeria è il paese che più di tutti si presta ad illustrare l’esplosione repentina delle “bomba demografica”.  In soli 50 anni la sua popolazione è triplicata e continua a crescere ad un vertiginoso tasso vicino al 3% annuo (tempo di raddoppio circa 25 anni).

Le conseguenze sono complesse.  Anche se molti acclamano il vertiginoso aumento del PIL del paese, la devastazione pressoché totale degli ecosistemi ha provocato la disintegrazione degli equilibri sociali e delle culture tradizionali, con un tasso di inurbamento fantastico sia per dimensione che per velocità. Guerre tribali e religiose, terrorismo, corruzione ad ogni livello, disoccupazione alle stelle e molto altro completano un quadro che sta già contribuendo a destabilizzare una bella fetta di mondo. Come se non bastasse, una situazione politico-sociale molto instabile all’interno di un paese ricco di risorse minerarie non può che essere un potente attrattore per speculatori privi di scrupoli di tutto il mondo.

Particolarmente interessante è che i oggi due terzi della popolazione vive in completa miseria, ma ciò non impedisce alla stragrande maggioranza delle persone di essere molto ottimiste.  Oggi, in Nigeria, quasi tutti hanno progetti per un futuro che immaginano molto migliore del presente. Questa è probabilmente una delle due principali ragioni per un calo così lento della natalità, malgrado un ambiente così ostile per la grande maggioranza dei cittadini.  L’altro motivo probabile è che la larghissima maggioranza dei nigeriani sono cattolici o mussulmani: molto convinti e credenti in entrambi i casi.

Impossibile dire come andrà, ma di sicuro la proiezione demografica ufficiale (circa 500 milioni di persone al 2050) è la meno probabile di tutte. Anche tenendo conto che l’impronta ecologica è un parametro parziale, non c’è dubbio che la popolazione attuale abbia già ampiamente superato la capacità di carico del Paese. Qualunque cosa fermerà un simile impulso sarà dunque qualcosa di “bilico” che coinvolgerà il mondo intero. 

Russia.

La Russia si trova in una condizione opposta quella della Nigeria. Raggiunse il massimo di crescita demografica alla fine del XIX secolo, per poi gradualmente declinare, anche a causa delle due guerre mondiali, parimenti disastrose sul piano demografico, ancorché di segno opposto su quello geopolitico.   La prima segnò infatti la fine dell’Impero Russo, la seconda la nascita di quello Sovietico.

Per quanto riguarda il secondo dopoguerra, è da notare che proprio nel periodo della massima potenza sovietica, il tasso di natalità calava rapidamente, a fronte di un tasso di mortalità in diminuzione fino alla metà degli anni ’60, per poi tornare a crescere leggermente. Dal nostro punto di vista, è però ancora più interessante ciò che è accaduto dopo.  Il collasso dello stato sovietico e la gravissima crisi economica che lo ha caratterizzato iniziò infatti alla metà degli anni ’80, puntualmente accompagnato non solo da un balzo della mortalità (come c’era da aspettarsi), ma soprattutto con un ulteriore sdrucciolone della natalità, che raggiunse il minimo storico durante il decennio 1995-2005.  Per poi riprendersi, ma solo in parte, a fronte di una migliorata situazione economica e di una maggiore stabilità politica.

Un fatto questo molto importante perché ulteriormente confermato negli ultimi anni, ma diametralmente opposto alle previsioni fatte in base alla teoria demografica dominante. 

Italia.



A prima vista l’Italia si presenta come un caso paradigmatico di “transizione demografica”; ma ad uno sguardo più attento forse non del tutto.  Dal 1900, la mortalità è andata diminuendo, mentre la natalità cresceva.  Poi ci fu il duplice disastro della “grande guerra” e, subito dopo, della “spagnola”.   Da notare che in questo, come in moltissimi altri casi, durante la fase acuta delle moria anche la natalità è crollata, per rimbalzare subito dopo ad un livello leggermente superiore a quello precedente.  Interessante è anche osservare che, analogamente a quanto visto per la Cina di Mao, le politiche demografiche di Mussolini non impedirono un calo sensibile della natalità durante il “ventennio”.

Quindi ci fu un picco di natalità a cavallo del nuovo disastro rappresentato dalla 2a Guerra Mondiale (che fece molte più distruzioni, ma meno morti della prima, malgrado i bombardamenti, l’olocausto, le rappresaglie, ecc.). Poi, e questo è molto interessante, una netta depressione durante gli anni ’50 e quindi un ripido picco in corrispondenza col il periodo più ottimista della nostra storia: quei mitici anni ’60 che ancora ci ossessionano.  Infine, il graduale calo fino a quota di mantenimento alla metà degli anni ’90 e poi sotto.  Infine, la crisi mai finita del 2008 si è finora accompagnata sia ad un lieve aumento della mortalità, sia una lieve diminuzione della natalità. Sicuramente è presto per dire se sarà una tendenza duratura e diversi fattori concorrono a questo risultato, ma è interessante perché analogo a quanto già visto in Russia ed in molti altri paesi.

Tirando le somme.

La carrellata di cui sopra è molto parziale, ma significativa. Direi che si possono trarre le seguenti conclusioni, certamente parziali, ma interessanti:

1 - La bomba demografica ci sta scoppiando sotto il naso proprio ora ed ha appena cominciato a farci male. Il “meglio” deve arrivare ed arriverà. Non possiamo sapere quanto tempo ci vorrà per tornare a densità umane compatibili con la sopravvivenza della Biosfera, ma sappiamo che, se non accadesse, l’estinzione della nostra specie diventerebbe una prospettiva molto realistica.  

2 - La “transizione demografica” descrive abbastanza bene quello che succede durante le fasi di rapida crescita, ma trascura completamente il ruolo complesso dei Ritorni Decrescenti  e dei limiti su tutti i fenomeni fisici di crescita, comprese la crescita economica e quella demografica.  Di conseguenza, risulta del tutto inadeguata per delineare scenari realistici per i prossimi decenni.  Questa tara rende assai poco affidabili gli scenari delineati da Word3 successivi al 2030-2040.

3 - Gli interventi governativi a favore della  natalità hanno di solito un impatto marginale, mentre quelli volti a ridurre la mortalità possono avere effetti spettacolari, a condizione di disporre dei mezzi economici necessari.  Anche gli interventi governativi di contrasto della natalità si sono dimostrati poco efficaci, tranne nel caso della Cina; cioè in un paese dove anche solo parlare di “diritti individuali” costituisce un reato grave

4 - Catastrofi improvvise come guerre ad elevata intensità o gravi epidemie hanno effetti molto brevi nel tempo perché, subito dopo, la società recupera la tendenza precedente.  Sono quindi del tutto inefficaci per controllare popolazioni in fase di rapida crescita, mentre possono avere effetti enormi su popolazioni che sono già in calo per altri fattori.  Ma simili shock potrebbero anche avere l’effetto di rilanciare la natalità.  Diciamo che le conseguenze a medio e lungo termine delle gravi calamità sono imprevedibili.

5 – Perlomeno nelle odierne  società reduci da periodi di “boom” economico, il peggioramento delle condizioni economiche, o anche il solo rallentamento della crescita, provoca una riduzione della natalità, a fronte di un incremento sia della mortalità che dell’emigrazione. Quindi riduzioni relativamente rapide della popolazione, anche in assenza di fatti particolarmente drammatici.

6 – In tutti i paesi del mondo il tasso di natalità sta diminuendo, ma l’inerzia intrinseca di popolazioni longeve come le nostre fa si che, in assenza di limiti, effettivamente la popolazione tenderebbe a crescere ancora per tutto il secolo in corso, secondo le proiezioni dell’ONU (circa 12 miliardi di persone per il 2100).   Il problema è che i limiti invece ci sono.

 Il limite dei “Limiti”.

Secondo World3, ben entro il 2050, la popolazione mondiale non tenderà a stabilizzarsi, bensì a diminuire.  La fine della crescita demografica globale per il 2030 è uno scenario reso molto credibile dalla dimostrata validità del modello.

Ma se questo si è dimostrato estremamente affidabile in fase di crescita, non lo sarà per la fase di decrescita.  Per i motivi visti, c’è infatti da aspettarsi che il decremento demografico sarà molto più rapido di quanto indicato dal modello, pur senza bisogno alcuno di immaginare scene raccapriccianti. Per fare solo un’ipotesi, un decremento del 3% annuo significherebbe dimezzamento della popolazione in circa 25 anni, pur senza bisogno di fosse comuni e monatti.

Un secondo punto, completamente assente dalle analisi di World3, sono le dinamiche regionali.  La flessione demografica, come tutti gli altri fattori in gioco, non sarà uniforme. Al contrario, ci saranno realtà molto diverse, ad esempio con aree in calo relativamente rapido, altre in relativo equilibrio ed altre ancora in rapida crescita.

Questo accentuerà le pressioni già presenti in materia di grandi flussi migratori che sono ampiamente in grado di cambiare drasticamente il quadro . 
Per citare un solo esempio, abbiamo visto che l'Italia ha un saldo naturale negativo, ma ciò nondimeno vive da oltre 10 anni il periodo di massima crescita demografica della sua storia. 


Altri fattori, come il clima, le guerre, le carestie eccetera contribuiranno a delineare un quadro imprevedibile nei suoi dettagli.

Questo crea contemporaneamente rischi ed opportunità.  Da una parte, infatti, la possibilità di importare gente dall'estero sarà senz'altro un’opportunità, ma solo ed esclusivamente se i flussi saranno controllati in modo da rispettare almeno due parametri: 1- rallentare, ma non fermare il decremento demografico; 2 – rispettare un livello di integrazione tale da prevenire conflitti gravi con gli autoctoni.
In caso contrario, una crescente conflittualità sarà inevitabile, con conseguenze probabilmente devastanti su economie e società già fortemente fragilizzate da altri fattori.