lunedì 16 gennaio 2017

Arpaia e il fantaclima: il coraggio di dire certe cose




Un romanzo duro e difficile questo di Bruno Arpaia che si svolge in un futuro devastato dal cambiamento climatico. Ma un romanzo che cerca di trasmettere delle idee e di percorrere nuove strade.



C'è stata un epoca, fino a qualche decennio fa, in cui i romanzi avevano un peso su quello che la gente pensava e faceva. Vi ricordate della grande stagione dei romanzi di Fantascienza? Pensate all'importanza dei romanzi russi nel periodo Sovietico: Dudintsev, Grossman, Solzhenitsyn con il suo "Arcipelago Gulag" del 1973. Anche in Italia, abbiamo avuto scrittori influenti sulla cultura, Calvino, Pavese, Buzzati, e tanti altri. E se volete un romanzo che ha avuto un profondo significato politico e culturale a livello mondiale, potete prendere la trilogia dell'anello, di Tolkien, pubblicata negli anni 1950.

Poi, con gli anni, tutto si è acquietato. A partire dagli anni 1980, più o meno, in tutto il mondo la letteratura è diventata una cosa irrilevante, banale, vuota. Potete citare qualche grande romanzo pubblicato negli ultimi due-tre decenni? Molto difficile; perlomeno per me è impossibile. Oggi diciamo che è colpa di Internet, ma la cosa è cominciata molto prima. E' successo un po' quello che è successo alla letteratura Latina: dopo la grande stagione dei vari Virgilio, Orazio, Tacito, Terenzio, eccetera, non c'è stato più un autore degno di essere ricordato. E a quel tempo l'Internet non c'era. 

Io credo che la sparizione della letteratura non sia tanto colpa di Internet, quanto del fatto che gli scrittori che non hanno più niente da dire. E non hanno più niente da dire perché la società non ha più niente da sentirsi dire. Non abbiamo più sogni, soltanto incubi. Non abbiamo più desideri, soltanto la sopravvivenza. Non abbiamo più un futuro, soltanto il presente. E la letteratura è sempre a proposito dei sogni, degli obbiettivi, e del futuro. 

Ma il futuro arriva comunque, anche se uno cerca di ignorarlo. Il futuro di questo pianeta devastato ci sta arrivando addosso a una velocità spaventosa. E qualcuno comincia ad accorgersene. Lo spazio del futuro è sempre uno spazio narrativo. Al momento in cui il futuro diventa visibile, diventa una storia. La nostra società, oggi, è così povera di storie perché non vede il futuro, ne ha soltanto paura. 

Qualcuno, tuttavia, si sta accorgendo di questo futuro che ci si para davanti, così minaccioso e terribile. Il risultato è una nuova narrativa del futuro, quello che in inglese si chiama "Climate Fiction," che potremmo tradurre come "Fantaclima", equivalente della "Fantascienza." 

E' un genere ancora embrionale, ma che cerca di fornire un'immagine narrativa del futuro. E' un idea che va oltre la povera, stentata, farraginosa narrazione che gli scienziati hanno cercato di fornire e che nessuno ha veramente capito. Il futuro è una questione di narrativa, e sulla narrativa di oggi ci stiamo giocando il futuro di domani. Un gioco che somiglia a una roulette russa dove ci giochiamo la sopravvivenza della specie umana. 

In Italia, Bruno Arpaia prova a costruire una narrativa del futuro basata sui risultati della scienza del Clima, con "Qualcosa là Fuori" (*), un primo ingresso della letteratura italiana nel genere Climate Fiction. Ne viene fuori un romanzo durissimo e spietato. Una storia del futuro basata su un destino di stile siriano della penisola italiana i cui cittadini si ritrovano in un paese devastato dalla siccità, trasformati in nuovi profughi alla ricerca della sopravvivenza nelle regioni del Nord Europa. Pur non essendo uno scienziato, Arpaia conosce bene i risultati della scienza del clima e li interpreta in modo sostanzialmente corretto. Lo scenario che dipinge può essere pessimista, ma è ampiamente entro i limiti di quello che i modelli climatici ci presentano come possibile. 

"Qualcosa là Fuori" è un romanzo che non concede quasi niente alla speranza, ma che non chiude completamente la porta alla sopravvivenza non solo degli esseri umani come specie, ma anche della cultura, della scienza, e dell'amore reciproco. Non so che successo potrà avere un romanzo così duro in un mondo dove tutti sono ormai anestetizzati di fronte alla TV o sui social del Web. Ma per chi si cimenta nella lettura, il romanzo di Arpaia fa il mestiere che deve fare: ti mette di fronte a un futuro diverso, ti costringe a pensare. 




(*) Per una personale critica di tipo letterario di questo romanzo, le sue cose buone sono il ritmo serrato, le scene epiche dell'esodo della colonna dei profughi, l'interazione fra i protagonisti in fuga. Si sente che il romanzo è scritto da un professionista che ha bene in mano l'arte di costruire il racconto. Peraltro, io ci ho trovato anche dei difetti. In particolare, l'uso della tecnica del "flahsback" che, a mio parere, Arpaia usa in modo eccessivo, spezzettando il flusso narrativo e venendo fuori anche occasionalmente in scene un po' gratuite. Ma un romanzo è come una persona (vi ricordate le "persone-libro" di Ray Bradbury in "Fahreneit 451"?). E nessuna persona è perfetta ed è così che deve essere.