martedì 25 agosto 2015

Rileggendo Spinoza.

Di Jacopo Simonetta

Una delle calamità che hanno colpito l’umanità, a mio avviso, è stato il divorzio fra scienza, filosofia e teologia.   Ognuna di queste branche del sapere, infatti, da sola si è come smarrita, con conseguenze spesso terribili, sia pure in maniera indiretta.
Senza volermi auto-nominare professore di filosofia, penso che possa quindi essere interessante andare a ripescare dalle nebbie del nostro passato liceale alcuni personaggi che hanno avuto un ruolo importante nel periodo in cui tale divorzio maturò.   Ovviamente, i primi nomi che vengono in mente sono Galilei, Bacone, Cartesio e gli altri “padri” della rivoluzione scientifica del XVII secolo.

Tuttavia, vorrei proporre qui alcune riflessioni “postpicco” sull'opera di Baruch de Spinoza (1632 – 1677).   Un tipico “cane sciolto” che non ha avuto l’influenza di altri pensatori, ma la cui filosofia presenta aspetti particolarmente interessanti alla luce delle più recenti scoperte scientifiche e della piega che hanno preso le vicende umane.

Il concetto a mio avviso centrale nel modello di Spinoza è quello di “Necessità”, a mio avviso mediato da Giordano Bruno e dall’Ananke platonica.    Nella sua concezione, la realtà e la divinità erano sinonimi; un’idea riassunta nel motto “Deus sive Natura” (Dio, o piuttosto Natura).   Il Dio di Spinoza è infatti l’insieme di tutto ciò che esiste, di tutte le relazioni che legano anche indirettamente ciò che esiste e le imprescindibili leggi che governano il divenire della natura.   Leggi che sono strutturate con l’assoluta precisione e determinatezza della geometria.   Tradotto in termini contemporanei: Dio è sinonimo di Realtà: cioè materia, energia, complessità e leggi fisiche (in senso lato).

La realtà è dunque perfetta.   Non nel senso stupido illustrato nel Candide da Voltaire (sempre molto abile nel deridere ciò che non capiva); bensì nel senso che ciò che accade è l’unica cosa che avrebbe potuto accadere.    Una realtà perfetta non è una realtà in cui va tutto bene, evidentemente, bensì una realtà che non potrebbe essere diversa da com'è.   Dunque ciò che accade è necessario che accada esattamente così come avviene.

Per fare un esempio di attualità, nella ristretta cerchia degli ambientalisti e dei "picchisti" è frequente lagnarsi del fatto che i punti essenziali circa lo sconvolgimento climatico ad opera delle emissioni antropogeniche erano già sufficientemente noti e sicuri agli inizi degli anni ’70.   Ci sarebbe quindi stato tutto il tempo per ridurre le emissioni ed evitare la tragedia che appare oggi inevitabile.
Ebbene, a mio avviso, no.

Di alterazione del clima, limiti dello sviluppo eccetera se ne parlava molto all'epoca, ma solo nel mondo occidentale.   In Unione Sovietica qualunque deroga al culto del progresso infinito del popolo era punito col carcere.   Di conseguenza, solo in occidente, teoricamente, si sarebbero potuti prendere dei provvedimenti efficaci.   Provvedimenti che avrebbero certamente giovato al Pianeta, ma che avrebbero fatto pendere la bilancia geo-politica a favore dell’URSS, con conseguenze facili da immaginare.   Di conseguenza, quand'anche fosse stato possibile soperchiare le enormi resistenze di imprenditori e consumatori, non era possibile che i governi occidentali optassero per una politica che avrebbe si ridotto i rischi climatici a lungo termine, ma a costo di aumentare quelli bellici e politici immediati.

Una seconda finestra di possibilità si poteva aprire negli anni ’90, quando gli USA erano in grado di imporre la propria volontà praticamente al mondo intero.   Ma avrebbero potuto, gli americani collettivamente, optare per uno stile di vita monastico e, contemporaneamente, impegnarsi per impedire qualunque sviluppo industriale fuori dai confini propri o dei satelliti più fidati?   Una simile politica avrebbe scontentato contemporaneamente destra e sinistra, finanzieri e missionari, ricchi e poveri, altruisti ed egoisti.    Per non parlare del fatto che, con ogni probabilità, una simile politica avrebbe ridotto il potere degli USA sul mondo, vanificando lo sforzo.
Spinoza avrebbe detto che se non è accaduto, non c’era la possibilità che accadesse.

Sulla base della Necessità, Spinoza giunge ad una serie di conclusioni particolarmente interessanti per noi.   Per lui non ha infatti senso attribuire alcun primato all'uomo sul resto della Natura, dal momento che noi siamo una parte di essa e siamo quindi soggetti esattamente alle stesse leggi che governano gli altri esseri viventi.   E’ assurdo cercare una finalità nel divenire della storia, dal momento che ciò che accade è semplicemente un’inevitabile evoluzione del passato.   E’ futile cercare di distinguere le cause dagli effetti, giacché gli effetti sono a loro volta cause, e così via all'infinito.    E’ sciocco pensare che le cose avrebbero potuto andare diversamente da come stanno andando e non ha neppure senso attribuire alla Sacre Scritture un valore altro da quello di indurre gli uomini a rispettare delle norme di civile coabitazione e buon comportamento.

A questo proposito, vorrei per inciso ricordare che Spinoza scrisse subito dopo la Guerra dei Trent'anni: il periodo più nero delle persecuzioni religiose e della caccia alle streghe.   Probabilmente non fu bruciato e se la cavò con una maledizione perché era un marrano nato in Olanda; ma ad ogni buon conto pubblicò anonime le sue opere principali.

Comunque, lo scoglio su cui lo spinozismo si incagliò fu proprio questo determinismo assoluto che eliminava qualunque spazio di scelta e qualunque margine di incertezza.   Un problema fondamentale che si sforzò di risolvere trattando della libertà umana, senza però giungere a conclusioni molto convincenti, se non per il fatto che lo Stato aveva il dovere di assicurare libertà di pensiero e di parola ai cittadini.

Mi diverte immaginare la felicità che avrebbero dato a Spinoza concetti attuali come le strutture dissipative, i sistemi a retroazione ed i principi della termodinamica.   Ma forse il punto su cui la scienza contemporanea potrebbe meglio incontrarsi con lo spinozismo è proprio quello di una possibile conciliazione fra l’assoluto determinismo delle leggi naturali (nientedimeno che Dio, secondo Spinoza) e l’irriducibile indeterminatezza della realtà (anche’essa Dio, non dimentichiamolo).

L’apparente paradosso scompare, infatti, non appena si cessa di pensare in termini geometrici e si inizia a pensare in termini di dinamica dei sistemi complessi.   Una cosa che lui non poteva fare, ma noi si.

Forse la maggiore scoperta del XX secolo è stata infatti quella dei sistemi caotici: sistemi cioè regolati da una serie di leggi, ognuna delle quali strettamente deterministica, ma il cui effetto complessivo è, viceversa, imprevedibile ed incontrollabile.   Perfino quando si tratta di sistemi interamente teorici in cui si ha quindi una conoscenza perfetta di tutte le variabili in gioco.

Questi sistemi sono fondamentali  in Natura (il clima è forse il più noto fra i sistemi caotici) ed hanno molte caratteristiche peculiari.    La prima è che il livello di indeterminatezza dipende dal livello di complessità del sistema (numero di variabili e di relazioni in gioco) e dalla velocità con cui avvengono i fenomeni (ad es. il passaggio da un flusso lineare ad un flusso turbolento).   Un’altra peculiarità è che una variazione minima in un determinato punto spazio-temporale può modificare l’evoluzione del sistema in modo crescente, portando a conseguenze enormi in un altro punto spazio-temporale.    E’ il famoso paradosso della farfalla che può scatenare un uragano, ma anche no.

In altre parole, oggi sappiamo che Spinoza aveva ragione:  la Natura è perfetta e tutto ciò che accade è determinato da leggi inviolabili come funzioni matematiche, ma ciò non impedisce agli esseri viventi di scegliere fra una gamma variabile di possibilità, con conseguenze imprevedibili.   Applicato alle civiltà umane, il concetto si può riassumere nei seguenti termini: ogni civiltà è destinata certamente a dissolversi, ma i modi ed i tempi con cui un tale fato si compie sono tanti quanti le civiltà stesse.

Ma non solo.   All'interno di una civiltà in collasso, niente impedisce che singoli individui o gruppi trovino il modo di vivere bene, talvolta anche meglio di prima.   La storia degli imperi succedutisi in Cina è forse l’esempio più calzante che si possa fare a questo proposito.

Insomma, senza essere filosofo, credo che lo spinozismo potrebbe essere un buon punto di partenza per ricucire quello strappo fra scienza, filosofia e teologia cui accennavo in apertura.   Un lavoro considerevole che potrebbe allontanarci da quello “scientismo” che, nipote della rivoluzione scientifica del XVII secolo, è degenerato col tempo in una malattia mentale grave, per usare le parole di Konrad Lorenz.   La certezza che il progresso tecnologico possa risolvere ogni problema che affligge l’umanità è infatti diventata una vera e propria superstizione che ha non poca parte nel mantenerci nell'impasse in cui ci troviamo.   Ognuno ha la sua tecnologia del cuore.   Reale, come l’elettricità fotovoltaica, o presunta, come la fusione fredda, ma quasi tutti concordano che una o più invenzioni porteranno il benessere per tutti.

Indicatori evidenti di questa sorta di fede son ben evidenti in tutte le rubriche e le istituzioni dedicate a “scienza e tecnica”, in cui gli aspetti prettamente ingegneristici ed industriali fanno ampiamente aggio sulla cosiddetta “scienza di base”.   Per non parlare delle questioni filosofiche, scomparse o ridotte al lumicino.

La Teologia è oramai da tempo una specie di fossile conservato nei seminari.
Per citare un esempio importante di questa evoluzione, si pensi a Leonardo da Vinci che, in vita, fu rinomato come artista e, secondariamente, per le sue ricerche scientifiche.   I trabiccoli che disegnava sui suoi quaderni erano, viceversa, considerati con sufficienza, se non con sospetto, dai suoi mecenati.   Viceversa, se oggi visitiamo un sito internet od una mostra su Leonardo, nella quasi totalità dei casi l’enfasi è posta sulla sua genialità inventiva.   Secondariamente sul suo talento artistico, mentre le sue ricerche, ad esempio in fisica ed anatomia, le ricordano solo gli specialisti.


Una parabola in qualche modo analoga la hanno compiuta anche altri personaggi, magari più lontani dai libri di scuola, ma più vicini al cuore ed alla mente degli scolari.   Ad esempio Archimede Pitagorico, nato dalla matita di Barks con il nome assai meno impegnativo di Gyro Gearloose.   In origine, era un personaggio buffo e pasticcione, sempre intento ad aggeggiare marchingegni che non funzionano, o peggio.    Col tempo, è invece diventato uno scienziato, capace di risolvere qualunque problema con una geniale invenzione.   Se un fallimento talvolta sopravviene, è solo per l’avidità di Paperone, non per i limiti che la realtà pone all'ingegno.

Forse, l’evoluzione del pensiero occidentale ha sbagliato strada da qualche parte lungo la parabola che ci ha condotti da Spinoza ad Archimede Pitagorico.


Ringraziamenti:  per questo post devo ringraziare Luca Pardi che non ha alcuna responsabilità sulle eventuali sciocchezze che vi si possono trovare, ma che mi ha dato ottimi suggerimenti su come affrontare la questione senza cadere nelle mie solite geremiadi.