giovedì 27 agosto 2015

Come ridurre le dimensioni dell'economia senza distruggerla: un piano in dieci punti

Da15/15/15”. Traduzione di MR (via Antonio Turiel)

Di Richard Heinberg

L'economia umana attualmente è troppo grande per essere sostenibile. Lo sappiamo perché il Global Footprint Network, che metodicamente monitorizza i dati, ci informa che l'umanità attualmente sta usando risorse equivalenti ad una Terra e mezzo. Possiamo usare temporaneamente le risorse più rapidamente di quanto la Terra le rigeneri unicamente prendendole in prestito alla produttività futura del pianeta, lasciando di meno per i nostri discendenti. Ma non possiamo farlo molto a lungo. In un modo o nell'altro, l'economia (e qui stiamo parlando principalmente delle economie dei paesi industrializzati) deve ridursi fino a combaciare con ciò che la Terra può provvedere a lungo termine. Dire “in un modo o nell'altro” implica che questo processo può avvenire tanto in forma volontaria come involontaria. Vale a dire, se non restringiamo l'economia deliberatamente, si contrarrà da sola una volta raggiunti i limiti non negoziabili.




Come ho spiegato nel mio libro La fine della crescita, ci sono ragioni per pensare che quei limiti stanno iniziando a condizionarci. Di sicuro, la maggioranza delle economie industriali stanno frenando o trovando difficoltà a crescere ai ritmi che erano comuni durante la seconda metà del secolo scorso. L'economia moderna è stata concepita per richiedere crescita, così che la contrazione causa fallimenti e licenziamenti. La semplice mancanza di crescita viene percepita come un grave problema che richiede l'applicazione immediata di incentivi economici. Se non si fa niente per invertire la crescita o adattarsi in anticipo all'inevitabile stagnazione e contrazione dell'economia, il risultato più prevedibile sarà un processo intermittente, prolungato e caotico di collasso che si prolungherà per molti decenni o forse per secoli, con innumerevoli vittime umane e non umane. Questa può essere, di fatto, la nostra traiettoria più probabile. E' possibile, almeno in linea di principio, gestire il processo di contrazione economica in modo da evitare il collasso caotico? Un piano simile dovrebbe affrontare ostacoli impressionanti. Le imprese, i lavoratori e il governo, tutti richiedono più crescita col fine di aumentare gli introiti fiscali, creare più posti di lavoro e fornire ritorni agli investimenti. Non c'è nessun settore significativo dell'elettorato che difenda un processo di decrescita deliberata e guidata politicamente, mentre esistono interessi potenti che cercano di mantenere la crescita e negare l'evidenza del fatto che l'espansione non è già più fattibile. Tuttavia, una contrazione gestita dovrebbe, al di fuori praticamente da tutto il debito, offrire migliori risultati – per tutti, comprese le élite – di un collasso caotico. Se esiste un percorso teorico che conduce ad un'economia considerevolmente più piccola e che non attraversi l'orribile deserto del conflitto, del degrado e della dissoluzione, dovremmo cercare di identificarlo. L'umile piano in dieci punti che segue è un tentativo di fare una cosa del genere.

1.- Energia: limitarla, ridurla e razionarla

L'energia è ciò che fa funzionare l'economia e l'aumento del consumo di energia è ciò che la fa crescere. Gli scienziati del clima raccomandano di limitare e ridurre le emissioni di carbonio per evitare un disastro planetario e tagliare le emissioni di carbonio comporta inevitabilmente la riduzione dell'energia proveniente dai combustibili fossili. Tuttavia, se il nostro obbiettivo è ridurre la dimensione dell'economia, dovremmo contenere non solo l'energia fossile, ma tutto il consumo energetico. Il modo più giusto di farlo sarebbe, probabilmente, con quote di energia negoziabili (TEQs).

2.- Che sia rinnovabile

Come riduciamo il totale della produzione e del consumo di energia, dobbiamo ridurre rapidamente la percentuale della nostra energia di origine fossile mentre incrementiamo la percentuale di origine rinnovabile col fine di evitare il cambiamento climatico catastrofico – che, se si permette che segua il suo attuale corso, porterà di per sé come risultato un collasso economico caotico. Tuttavia, questo è un processo complicato. Non basterà scollegare semplicemente la spina di centrali termiche a carbone, collegare pannelli solari e continuare nei nostri affari come sempre: abbiamo costruito la nostra immensa infrastruttura industriale moderna di città, quartieri residenziali, autostrade, aeroporti e fabbriche perché sfruttassero delle caratteristiche e delle qualità uniche dei combustibili fossili. Pertanto, mentre transitiamo verso fonti di energia alternative, dovremo adattare – in modo che sarà spesso profondo – il modo in cui usiamo l'energia. Per esempio, il nostro sistema alimentare – che attualmente è in grandissima parte dipendente dai combustibili fossili per il trasporto, i fertilizzanti, i pesticidi e gli erbicidi – dovrà tornare ad essere molto più locale. In modo ideale, si dovrebbe transitare verso un'agricoltura ecologica a base perenne pensata a lungo termine

3.- Recuperare il bene comune

Come ha segnalato Karl Polanyi negli anni 40, è stata la mercificazione della terra, del lavoro e dei soldi che ha dato impulso alla “grande trasformazione” che ha condotto all'economia di mercato che conosciamo oggi. Senza crescita economica continua, l'economia di mercato probabilmente non può funzionare molto a lungo. Ciò suggerisce che dovremmo dirigere il processo di trasformazione in senso contrario, mediante la de-mercificazione della terra, del lavoro e dei soldi. La de-mercificazione si traduce nella pratica in una riduzione dell'uso dei soldi come mediatori nei rapporti umani. Possiamo de-mercificare il lavoro aiutando le persone a seguire attitudini e vocazioni, al posto di cercare lavoro (“la schiavitù degli acquisti a rate”) e promuovendo il fatto che le imprese siano di proprietà dei propri lavoratori. Come ha detto l'economista Henry George più di un secolo fa, la terra – che non è creata per il lavoro delle persone – dev'essere proprietà della comunità, non di individui o impresa. E deve essere garantito l'accesso alla stessa con attenzione alla necessità e al desiderio di usarla nell'interesse della comunità.

4.- Liberarsi del debito

De-mercificare i soldi significa lasciare che torni alla sua funzione come mezzo inerte di scambio e riserva di valore e ridurre o eliminare le aspettative secondo cui i soldi debbano produrre altri soldi di per sé. Trasformare l'investimento in un processo che, con la mediazione della comunità, diriga il capitale verso progetti di indiscutibile beneficio collettivo. Il primo passo: cancellare il debito esistente. In seguito, proibire i derivati finanziari e gravare e regolamentare rigidamente la compravendita di strumenti finanziari di qualsiasi tipo.

5.- Ripensare i soldi

Praticamente tutte le monete nazionali oggigiorno iniziano la loro esistenza come debito (di solito come prestiti da parte delle banche). I sistemi monetari basati sul debito presuppongono sia la necessità crescente dello stesso sia la capacità quasi universale di pagarlo con gli interessi, supposizioni queste relativamente certe in economie stabili e in espansione. Ma i soldi basati sul debito probabilmente non funzioneranno in un'economia in continua contrazione: mentre diminuisce il totale del debito pendente e aumenta il numero di insolvenze, diminuiscono anche le riserve di soldi, conducendo ad un collasso deflazionistico. Negli ultimi anni il panico di evitare questo tipo di collasso ha portato le banche centrali di Stati Uniti, Giappone, Cina e Regno Unito ad iniettare miliardi di dollari, yen, yuan, e sterline nelle loro rispettive economie nazionali. Tali misure estreme non possono essere mantenute all'infinito, né si può ricorrere ad esse in continuazione. Nazioni e comunità dovrebbero prepararsi sviluppando un ecosistema di monete che compiano funzioni supplementari, come raccomandano i teorici delle monete alternative come Thomas Greco e Michael Linton.

6.- Promuovere l'uguaglianza

In un'economia in contrazione, la disuguaglianza estrema è una bomba ad orologeria sociale la cui esplosione spesso assume la forma di ribellioni e rivolte. Ridurre la disuguaglianza economica richiede due linee d'azione concomitanti: primo, ridurre il surplus di coloro che hanno di più tassando la ricchezza ed istituendo un limite massimo ai redditi. Secondo, favorire l'insieme di coloro che hanno meno facilitando il fatto che le persone possano andare avanti con un uso minimo di soldi (impedire gli sfratti, sussidiare gli alimenti e facilitare il fatto che le persone li coltivino). L'esaltazione culturale generalizzata delle virtù della semplicità materiale può contribuire in questo sforzo (il contrario della maggior parte dei messaggi pubblicitari attuali).

7.- Ridurre la popolazione

Se l'economia si riduce ma la popolazione continua ad aumentare, ci sarà una torta più piccola da spartirsi fra più gente. D'altra parte, la contrazione economica implicherà meno penurie se la popolazione smette di crescere e comincia a diminuire. La crescita della popolazione porta al sovraffollamento e alla iper-competizione in ogni caso. Come ottenere la diminuzione della popolazione senza violare i diritti umani fondamentali? Promulgando politiche non coercitive che promuovano le famiglie piccole e la non riproduzione; impiegando per quanto possibile incentivi sociali al posto di quelli monetari.

8.- Ri-localizzare

Uno degli ostacoli della transizione alle energie rinnovabili è che i combustibili liquidi sono difficili da sostituire. Il petrolio alimenta attualmente quasi tutto il trasporto ed è molto poco probabile che i combustibili alternativi possano rendere possibile un qualcosa di simile agli attuali livelli di mobilità (gli aerei passeggeri e cargo elettrici sono un fallimento; la produzione massiccia di biocombustibili è pura fantasia). Ciò significa che le comunità otterranno meno forniture provenienti da luoghi lontani. Certo, il commercio continuerà in un modo o nell'altro: anche i cacciatori-raccoglitori commerciano. La rilocalizzazione invertirà semplicemente la recente tendenza al commercio mondializzato fino al punto che la maggior parte dei beni di prima necessità torneranno ad essere prodotti nelle vicinanze, di modo che noi – come i nostri antenati di un solo secolo fa [negli Stati Uniti, perché per altre zone industrializzate e conquistate dalla società dei consumi più di recente la cosa è molto più vicina nel tempo, nota del traduttore spagnolo] – ci ritroviamo di nuovo a conoscere le persone che fanno le nostre scarpe e coltivano il nostro cibo.

9. Ri-ruralizzare

L'espansione delle città è stata la tendenza demografica dominante del XX secolo, ma non è sostenibile. Di fatto, senza trasporti a buon mercato ed energia abbondante, le mega città funzioneranno sempre peggio. Allo stesso tempo, ci servono molti più agricoltori. Soluzione: dedicare più risorse sociali alle piccole città e villaggi, mettendo la terra a disposizione dei giovani agricoltori  e lavorare per rivitalizzare la cultura rurale.

10. Promuovere la ricerca di fonti di felicità interiori e sociali

Il consumismo è stata una soluzione al problema della sovrapproduzione. Portava con sé la modifica della psiche umana per farci diventare più individualisti e per richiedere sempre più stimoli materiali. Oltre un certo punto questo non ci rende più felici (esattamente l'opposto, di fatto) e non può continuare ancora per molto. Nella misura in cui svanisce la capacità dell'economia di produrre e fornire quei prodotti, si devono spingere le persone a godere di ricompense più tradizionali ed intrinsecamente soddisfacenti, comprese la contemplazione filosofica e la valorizzazione della natura. Musica, danza, arte, oratoria, poesia, sport partecipativi e teatro sono attività che si possono realizzare localmente e offrire in festival stagionali: un divertimento per tutta la famiglia!

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Senza dubbio, si possono aggiungere altre raccomandazioni, ma dieci è un belo numero rotondo. Sicuramente molti lettori si chiederanno: questo non significa semplicemente far fare marcia indietro al “progresso”? Sì, negli ultimi secoli ci siamo legati all'idea di progresso e siamo arrivati a definire il progresso quasi interamente in termini di innovazione tecnologica e crescita economica, due tendenze che stanno giungendo ad una strada senza uscita. Se vogliamo evitare la sofferenza cognitiva di dover rinunciare alla nostra radicata infatuazione per il progresso, potremmo ridefinire questa parola in termini sociali o ecologici. In modo analogo, molta gente che considera che la società sia troppo attaccata alla ricerca della crescita economica per poterla convincere ad abbandonarla, difende la ridefinizione di “crescita” in termini di aumento della felicità umana e della sostenibilità sociale. Tali tentativi di ridefinizione hanno un'utilità limitata. Sicuramente l'atto di autolimitazione collettiva che implica le riduzione deliberata dell'economia segnerebbe un nuovo livello di maturità come specie, che prevedibilmente si rifletterebbe su tutta la nostra cultura. Socialmente e spiritualmente, questo sarebbe un passo avanti che potremmo pertanto descrivere come progresso o crescita. Ma è difficile monopolizzare la ridefinizione di termini come “progresso” o “crescita”: ci sono già forti interessi che lavorano alacremente per vincolare nuovi significati del secondo ad ingegnose interpretazioni di dati manipolati e con la manicure fatta a PIL, impiego e mercato dei valori.

Potrebbe essere più onesto far riferimento al programma abbozzato sopra come a un semplice ritorno alla sanità mentale. E' anche la nostra migliore opportunità per conservare le più grandi conquiste scientifiche, culturali e tecnologiche della civiltà degli ultimi secoli, conquiste che potrebbero andare perdute completamente se la società collassa allo stesso modo in cui sono collassate le civiltà passate. Le raccomandazioni precedenti implicano la capacità e la volontà delle élite di far virare la barca di 180°. Ma tanto una come l'altra sono discutibili. Il nostro attuale sistema politico sembra progettato per impedire l'autolimitazione collettiva e anche per resistere ai tentativi seri di riforma. La misura più chiara della probabilità che il mio piano in dieci punti venga messo in pratica non la dà un semplice esercizio mentale: cercate di far il nome di un solo personaggio di rilievo della politica, della finanza o dell'industria che potrebbe proporre o raccomandare anche solo una piccola parte dello stesso. Eppure, qui c'è una profonda ironia. Anche se la decrescita non è appoggiata delle élite, molti, se non la maggioranza degli elementi del piano esposto hanno un sostegno molto ampio, reale o potenziale fra la popolazione in generale. Quanta gente non preferirebbe la vita in una comunità piccola e stabile all'esistenza in una mega città sovrappopolata e iper-competitiva; un mestiere ad un impiego; una vita libera dai debiti alle catene di pesanti obblighi finanziari? Può darsi che articolando questo piano e i suoi obbiettivi ed esplorando le implicazioni più dettagliatamente, possiamo aiutare fare in modo che i gruppi che potrebbero appoggiarlo si uniscano e crescano.

Discorso tenuto alla Conferenza sul Tecno-Utopismo e il destino della Terra, organizzato dal Forum Internazionale sulla Mondializzazione il 26 ottobre 2014 alla The Cooper Union, New York.

(Nota del traduttore. Ho cercato l'articolo originale in inglese, senza rendermi conto del link in fondo all'articolo spagnolo e stranamente non risultava nel mio file. La traduzione, quindi, potrebbe avere qualche sfumatura diversa, dovuto alla doppia traduzione, ma credo che il senso generale sia intatto)



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