venerdì 10 aprile 2015

Il contesto del nostro collasso

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR



Cari lettori,

qualche giorno fa la rivista L'esprill (www.uv.es/lespill) ha pubblicato un articolo (nel numero 48) che ho scritto per loro qualche mese fa. Col loro permesso, pubblico qui la traduzione in castigliano (e quindi in italiano) dello stesso.

Saluti cordiali,
Antonio

Il contesto del nostro collasso

Antonio Turiel

Dopo quasi cinque anni a fare divulgazione sui gravi problemi di sostenibilità della nostra società, in particolare della crisi energetica, attraverso il blog The Oil Crash, le molteplici conferenze che tengo e alcune interviste che mi sono state richieste dai mezzi di comunicazione, ho osservato che c'è una domanda che la gente mi fa in continuazione. Molte volte sostengo che se non si prendono misure decise che rompano col paradigma irrazionale e suicida della nostra società dei consumi – unico modo per uscire da questa crisi economica senza fine - , questo impasse storico del nostro sistema economico causerà una disfunzionalità crescente della nostra società e alla fine ci porterà al collasso. L'idea del collasso, e ancora di più del collasso sociale, era un concetto per niente abituale nelle conversazioni di qualche anno fa, anche se ora si sta trasformando in un tema ricorrente, specialmente da quando la NASA (1) o grandi ditte di intermediazione finanziaria (2) pubblicano studi sul tema. Quando emerge questa parola, collasso, di solito si hanno due tipi di reazione, una minoritaria e l'altra maggioritaria. La minoranza mi chiede cosa sia un “collasso sociale”, nonostante che più o meno tutti abbiano un'immagine mentale di questo tipo di evento (non necessariamente tutti, comunque, hanno la stessa idea di cosa sia un collasso). La maggioranza mi chiede una cosa ben diversa, cioè quando sopraggiungerà questo collasso che prevedo.

Quando. Non tutti coloro che mi chiedono quando si verificherà il collasso hanno le stesse motivazioni, ma disgraziatamente quasi tutti giungono alla stessa conclusione: l'inazione.



Alcuni chiedono del momento del collasso per puro cinismo. Non riescono a credere alla veridicità implacabile dei dati che presento loro (la produzione di petrolio greggio convenzionale in caduta dal 2005 (3), la rovina del fracking (4), l'arrivo prossimo dello zenit delle altre materie prime energetiche non rinnovabili, le importanti limitazioni delle fonti rinnovabili (5), eccetera) ma sono troppo pigri per andarsi a controllare i dati e verificare la dura realtà. Confidano che qualche miracolo insperato ci debba salvare e preferiscono confortarsi coi sogni di abbondanza senza limiti in cui si prodigano, con sempre minor fondamento, i supplementi color salmone dei quotidiani domenicali. Vogliono una mia previsione, senza capire che io sono solo uno scienziato e non un chiromante o uno che fa i tarocchi. Non c'è nulla nella mia scienza che mi permetta di prevedere il futuro minuto per minuto. La scienza, tuttavia, mi permette di sapere cosa non è possibile e cosa non succederà. Allo stesso modo in cui una palla lanciata in aria ricadrà a terra, so per esempio che non tornerà ad esserci crescita economica sostenuta ma una caduta a gradini, che ogni piccola ripresa apparente del PIL durerà poco e verrà seguita da discese più forti. So anche che la disponibilità di risorse sarà, con alti e bassi, sempre minore. Tutto questo ai più cinici non fa differenza: loro, in fondo, vogliono che “mi sbagli” dando date esatte, perché così se alla fine le cose non succedono nel momento esatto “previsto”, anche se lo sfasamento temporale fosse di qualche mese, possano discreditare tutto quello che dico per quell'errore di previsione. O meglio, se le mie previsioni di collasso sono “molto” lontane nel tempo (“molto” in questo contesto può significare qualche decennio), possono non preoccuparsene perché, alla fine, “io non lo vedrò”.

Lasciando da parte i più cinici, bisogna dire che la maggioranza delle persone che chiedono quando si verificherà il collasso non dubitano dei miei dati. Accettano anche la relativa prossimità temporale di questo momento critico della nostra società. Vogliono sapere, ne hanno bisogno. Voglio saperlo perché, in fondo, non contemplano un cambiamento drastico nelle loro vite fino al momento in cui la realtà del collasso sia tanto evidente ed indubitabile per tutti che il costo sociale di intraprendere questo non sia grande. Cioè, non dover lottare con la famiglia, nella coppia, con gli amici e l'ambiente sociale e non dover passare per una persona eccentrica che si protegge eccessivamente da un pericolo sulla cui imminenza non c'è consenso sociale. Comprendo perfettamente questa posizione perché, in fondo, faccio la stessa cosa, perché la maggioranza sta facendo la stessa cosa. Chi dovrebbe rinunciare a un lavoro, a una carriera professionale, a un suolo, all'accettazione all'interno del nostro piccolo ambiente sociale, a delle aspettative di vita... per adattarsi ad una realtà nuova e più dura che alla fine dei conti nessuno sa come sarà? La posizione più ragionevole è, effettivamente, tenere conto degli avvertimenti ed essere consapevoli di ciò che può accadere, ma non fare cambiamenti, o perlomeno non importanti al punto che quello che si sta abbozzando non venga esibito del tutto apertamente.

Tuttavia, ci sono due problemi gravi in questo atteggiamento di “aspettare e guardare” il collasso.

Il primo è che la Storia ci insegna che un collasso non è un momento ma un processo, che non sempre è facile riconoscere finché non è troppo tardi perché le misure per fermarlo possano avere efficacia. I collassi dei grandi imperi della Storia sono stati processi che in alcuni casi sono durati secoli e persino in mezzo ai collassi più repentini ci sono voluti diversi decenni perché si rendesse evidente la discesa. Nonostante che nel nostro caso tutto indica che la discesa sarà relativamente rapida, non per questo non durerà diversi decenni duranti i quali sentiremo progressivamente di stare sempre peggio. La generazione dei nostri figli vivrà peggio di noi e quella dei nostri nipoti vivrà in modo completamente diverso da quello attuale. Il fatto che questo mondo sia un inferno o un luogo degno dipende completamente dalle decisioni che dobbiamo prendere noi in questo momento.

Il secondo problema che implica l'attesa del collasso è che in realtà stiamo già cominciando a collassare; sta collassando la nostra economia, il nostro habitat (e con esso la nostra ecologia), le nostre risorse e la nostra società. Il processo non è lento, in realtà, ma è sufficientemente progressivo perché la nostra psiche di primati poco evoluti non sia in grado di identificare il filo conduttore con un nesso esplicativo comune e ci conformiamo ad una moltitudine di spiegazioni parziali. In questa dissonanza influisce molto una delle sostanze più tossiche che l'Uomo abbia mai prodotto: la propaganda.

Vediamo le guerre civili e fra paesi, per le quali troviamo una pletora di spiegazioni sempre più complicate e ad hoc, e non vediamo, non vogliamo crederci, che lo sfondo dei conflitti in Egitto, Siria, Libia, Iraq, Sudan del sud, Nigeria, Ucraina e persino in Palestina, e prossimamente in Yemen, Algeria o Iran, è sempre una lotta nascosta per il controllo delle ultime risorse di petrolio e gas (6). Anche la conflittualità crescente in Venezuela, Brasile e Messico, ha alle sue origini il crollo ormai innegabile della produzione di petrolio in quei paesi e le difficoltà a mantenere un bilancio commerciale stabile che si basava sull'esportazione di oro nero. Preferiamo al contrario ogni sorta di spiegazioni basate su fattori culturali, sociali, etnici, politici... i quali evidentemente sono fattori che contribuiscono e in qualche caso scatenano i problemi descritti, ma il fattore di maggior peso e che è il vero filo conduttore della decadenza della nostra società globale è la fine del petrolio a buon mercato (eufemismo per far riferimento alla caduta della produzione del petrolio, perché se il petrolio è troppo caro, semplicemente non ce lo possiamo permettere (7)) e che ben presto succederà la stessa cosa col gas, il carbone e l'uranio. Queste quattro materie prime rappresentano il 92% dell'energia primaria che viene consumata oggi nel mondo, secondo il Rapporto Statistico Annuale della BP (8).

Sappiamo che ci sono problemi ecologici gravi e parliamo spesso di “salvare il pianeta”, senza tenere conto del fatto che non è il pianeta che è in pericolo, né lo è la continuità della vita sulla sua superficie; in realtà parliamo di salvare il nostro habitat, quello che rende possibile la nostra mera esistenza. Preferiamo pensare che siccome siamo tanto buoni e consapevoli, facciamo un atto altruistico per Madre Natura, quando in realtà, consapevolmente o meno, stiamo tentando di salvare le nostre vite e la nostra continuità come specie.

I problemi ecologici non sono solo il Cambiamento Climatico, che ora sembra accaparrarsi tutta l'attenzione del pubblico. Pur essendo grave, il Cambiamento Climatico è un effetto in più dell'a “esternalizzazione ambientale” dell'attività industriale, un eufemismo per definire l'inquinamento e il degrado degli habitat che per ragioni economiche vengono inflitti al nostro ambiente. Ma i problemi sono gravi e molteplici: l'aria che respiriamo è terribilmente contaminata (l?OMS di recente riconosceva che una morte su otto nel mondo è attribuibile alla contaminazione dell'aria (9) e questo solo per gli esseri umani), l'acqua potabile comincia a scarseggiare nel mondo (10) e i mari subiscono una pressione brutale, col prevedibile collasso di tutta la pesca in un lasso di tempo al massimo di qualche decennio (11), una forte contaminazione di metalli pesanti e plastiche, la formazione di veri e propri continenti di rifiuti in mezzo all'oceano, ecc. L'elenco delle aggressioni ambientali alla terra, all'acqua, all'aria e al resto degli esseri viventi sarebbe interminabile. Una delle grandi schizofrenie dell'industrializzazione è che ci ha fatto credere che siamo una cosa diversa dagli animali e che non abbiamo le stesse necessità naturali che hanno loro. Con questa alienazione inculcata da quando siamo molto piccoli, non vediamo il fatto che distruggere l'ambiente implica a lungo termine la nostra autodistruzione.

Le risorse stanno collassando, l'ambiente sta collassando e alcuni paesi stanno collassando. Dal punto di vista di un paese opulento del primo Mondo come la Spagna, tuttavia, i sintomi di questo collasso già in atto non sono tanto evidenti.

Stimato lettore, pensa davvero questo?

Concentriamoci sul caso della Spagna. Stiamo parlando di un paese che ha un tasso di disoccupazione che da un paio d'anni si trova intorno al 25% della popolazione attiva, tasso che arriva al 50% se parliamo dei più giovani. Un paese dove un quarto della popolazione si trova al di sotto della soglia di povertà o a rischio di esclusione sociale (12). Mentre scrivo queste righe (estate 2014), da parte del Governo dello Stato e dei mezzi di comunicazione si stanno creando grandi aspettative di una presunta ripresa economica già in corso e che starebbe cominciando a creare impiego, nonostante che dall'Europa non giungano notizie tanto buone. Di fatto, diversi indicatori economici avanzati indicano un rischio che si scateni una nuova ondata recessiva su scala globale in qualsiasi momento durante i prossimi mesi, mentre la ripresa spagnola sembra essere alimentata dall'aumento dell'indebitamento pubblico e dall'ultimo sforzo delle famiglie, che hanno voluto credere che alla fine sarebbe arrivata la ripresa ed hanno speso i loro ultimi risparmi per cercare di aiutare un famigliare perennemente disoccupato a mettere in piedi un piccolo negozio 8una panetteria, una caffetteria, un ferramenta) che lo possa tenere occupato. Deboli fondamenta di questa ripresa spagnola, che molto presto affonderà, lasciando una parte ancora più grande della vecchia classe media impoverita e vulnerabile.

Perché, insomma, è così che la maggior parte delle civiltà corre verso il collasso, così come è collassato l'Impero Romano, così probabilmente collasserà la nostra società occidentale, se non reagiamo presto. La gente tende a pensare che il collasso sia segnato da grandi catastrofi naturali o indotte dalla mano dell'uomo. Al contrario, in generale il corso del collasso è relativamente lento. Durante il collasso ci sono, certo, sporadici incidenti, eventi collettivamente traumatici: una guerra, un'invasione, un'epidemia... Pietre miliari che rimangono impressi a fuoco nella memoria collettiva dei popoli, ma che in sé stessi non spiegano il lento ed amaro declino. La maggioranza del tempo durante il collasso, ciò che succede è che le cose funzionano sempre peggio, Non è niente in concreto ed è tutto. Tutto cambia poco a poco senza che sappiamo il perché, fino a che un giorno guardiamo il volto del mondo e non li riconosciamo. E cosa sono queste cose che vanno cambiando? Cose inizialmente piccole che nel tempo diventano gravi: niente si ripara, niente funziona, non ci sono pezzi di ricambio, … gli stipendi dei funzionari arrivano in ritardo e smettono di arrivare, gli ospedali chiudono, le scuole anche, sanità e istruzione smettono di essere universali e gratuite... l'elettricità si trasforma in un lusso del quale si gode sporadicamente, mancano gli alimenti, ci sono carestie, la gente lotta per strada per un tozzo di pane, la politica diventa completamente inesistente, inetta, corrotta o inverosimilmente tutto insieme, lo Stato si trasforma in un ricordo lontano... la gente sopravvive praticando nuove occupazioni o imbrogliando e rubando, gli assalti alla fabbriche ora vuote sono continui, alla ricerca di qualsiasi oggetto di valore; la vita umana non vale più nulla, si uccide per niente o quasi... Non possiamo renderci conto nel momento in cui succede, ma ci sarà un giorno in cui prenderemo l'ultimo caffè, un giorno per l'ultimo analgesico, un giorno per l'ultimo antibiotico... prodotti che continueranno ad essere alla portata dei benestanti ma non della popolazione comune e che determinano il peggioramento e l'accorciamento della propria vita. Funziona così il collasso. Analogamente al modo in cui l'esplosiva crescita della popolazione è stato silenzioso e quasi inevitabile, il rapido declino della popolazione e del suo benessere sarà ugualmente quasi impercettibile durante il collasso, finché un giorno ci guarderemo indietro e penseremo: “Cosa siamo diventati...”.

La bruttezza del mondo durante il collasso ci sarebbe insopportabile se si presentasse di colpo, ma il suo arrivo lento fa in modo che ci adattiamo, che poco a poco finiremo per accettare cose alle quali 5 o 10 anni fa semplicemente ci saremmo opposti con forza. Nel mondo attuale sono frequenti, soprattutto al cinema, sogni di collassi rapidi e molto violenti, alla “Max Max”, il film di riferimento per quanto riguarda i collassi energetici degli anni 80 del secolo scorso. E data la grande forza dei mezzi di comunicazione, nel momento di modellare persino la nostra immaginazione, i nostri sogni, molta gente crede fermamente che è questo tipo di discesa drastica il prototipo di ciò che deve essere un collasso. Partendo da questa percezione erronea, tutti si immaginano come i protagonisti di uno di questi film, un eroe duro ma giusto che lotta senza sosta contro un mondo che impazzisce durante la caduta. Niente di più lontano dalla realtà. Non c'è un nemico contro cui lottare mentre collassiamo, solo rassegnazione, solo l'utilizzo di frasi fatte per cose fatte: è il “è questo quello che c'è”, di fronte ad una nuova perdita di diritti o di servizi; “Cosa vuoi? Non c'è niente da fare”, sotterrando un altro amico, mangiato dalla fame e dai germi. Il declino è triste e deprimente, è grigiore e fame, è agonia e disperazione. Non c'è la possibilità di niente di eroico nel collasso, non c'è spazio perché una persona versata all'individualismo egoista occidentale, il proto consumatore che è stato issato su un piedistallo dalla attuale società del consumo, possa uscire trionfante, semplicemente perché le sfide che ha di fronte non sono niente che possa descrivere, distruggere o dominare. Il capitalismo si inganna e ci inganna anche nell'immaginare la sua fine.

Il collasso è terribile, certo, ma non è obbligatorio. Non è inesorabile, non è la nostra destinazione finale forzata. Senza dubbio è dove andremo a parare se continuiamo senza tirare le redini della nostra società, se continuiamo a delegare ciecamente il nostro dovere inderogabile di vegliare sul nostro futuro e su quello dei nostri figli. A volte mi ritrovo che, spiegando i gravi problemi ai quali ci vediamo sottomessi a causa della nostra indolenza, alcune persone mi diano del catastrofista, di richiamare tempi infausti. E' esattamente il contrario. Coloro che si negano di pensare di fare cambiamenti non tanto necessari, quanto imprescindibili, coloro che pensano che non ci sia alternativa al modo distruttivo e folle in cui si comporta il capitalismo globale, coloro che negano i segnali evidenti del degrado e del declino riempendosi la bocca di scuse ad hoc per giustificare ogni sintomo del malato globale, sono esattamente quelli che spingono i conduttori della nostra società ad andare avanti ad ogni costo e a non pensare che di fronte abbiamo un dirupo. Denunciare le conseguenze prevedibili di questa corsa di pazzi, evidenziare con dati e fatti la falsità che si nasconde dietro a tante notizie che sono solo pubblicità pagata da interessi economici inconfessabili, educare la cittadinanza sulla realtà economica e ambientale del nostro mondo... insomma, allertare la società della strada verso il collasso che seguiamo assurdamente si è trasformato, per un pugno di accademici e tecnici fra i quali mi conto, in un dovere di cittadinanza ineludibile (per il quale non poche volte veniamo criticati crudelmente dagli stessi che ci fanno avanzare allegramente verso il dirupo). Ma noi vogliamo evitare l'arrivo del collasso e siamo convinti che lo possiamo evitare, se si informa con esattezza e obbiettività la società per che questa sia consapevole e possa prende re le decisioni logiche per determinare il proprio futuro.

Con questo spirito, nell'inverno del 2014 un piccolo gruppo di tecnici ed accademici di tutta la Spagna, poco più di una decina, abbiamo preparato e promosso un manifesto che è stato tradotto in molte lingue e in particolare in catalano (e in italiano, ndt). Questo manifesto si chiama “Ultima Chiamata”, in vista del fatto che, secondo noi, non c'è molto margine di tempo per evitare le conseguenze più indesiderabili del collasso in arrivo. Non c'è niente di radicalmente nuovo nel manifesto, si potrebbe dire che un “aggiornamento” al contesto spagnolo del manifesto che più di dieci anni fa ha promosso l'Unione degli Scienziati Preoccupati degli Stati Uniti (13). Non è nemmeno un testo tecnico, cosa che alcuni adepti incondizionati di questa religione che chiamiamo “neoliberismo” criticano, visto che vorrebbero giustificati e dettagliati i sintomi del collasso in questo testo, per potersi inerpicare nella discussione di dettagli assurdi e poter così sviare l'attenzione, come se i promotori del manifesto non avessero scritto già migliaia di pagine spiegando tutti i punti e le virgole dei numerosi problemi di sostenibilità che pesano sul nostro mondo. E per concludere, è un testo con alcuni limiti, frutto di un lavoro di consenso fra le sensibilità molto diverse dei suoi diversi promotori. Ma nonostante questo “Ultima Chiamata” è un testo con molta forza ed alcune semplici verità. E' tanto forte che in seguito ha ricevuto l'appoggio di numerose personalità politiche e professionisti, cosicché il giorno in cui i mezzi di comunicazione hanno cominciato a farsene eco, questo contava già centinaia di adesioni, che ora sono migliaia.

Il nostro futuro non è scritto, ma lo è il nostro passato e il nostro passato ci mostra che alcune civiltà, superbe nella loro magnificenza, hanno disprezzato la possibilità di un collasso e sono collassate. La Storia ci mostra anche l'esempio di altre civiltà che sono state capaci di invertire il declino quando sono apparsi i primi segnali del declino imminente, fermando e facendo marcia indietro rispetto alle loro pratiche autodistruttive. Pertanto il collasso non è un colpo impossibile da parare, ma bisogna affrontarlo e serve metterci buon senso. Ci è già arrivato l'avviso, ci mettiamo all'opera?

Bibliografia

1) Safa Motesharrei, Jorger Rivas & Eugenia Kalnay, 2014: «Human and nature dynamics (HANDY): Modeling inequality and use of resources in the collapse or sustainability of societies», Ecological Economics 101, 92-102: http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0921800914000615
2) Tim Morgan, 2013: «Perfect storm - energy, finance and the end of growth». Tullet Prebon Strategy Insights, numero 9: http://www.tullettprebon.com/Documents/strategyinsights/TPSI_009_Perfect_Storm_009.pdf
3) Antonio Turiel, 2012: «WEO 2012: la IEA riconosce il declino della produzione di petrolio greggio». http://ugobardi.blogspot.it/2012/12/weo-2012-la-iea-riconosce-il-declino.html 
4) Dave Huges, 2013: «Trivella, ragazzo, trivella!», Post Carbon Institute Editions:  http://assets-production-webvanta-com.s3-us-west-2.amazonaws.com/000000/03/97/original/reports/Perfora%20Chico%20Perfora_FINAL.pdf
5) Antonio Turiel, 2013: «La verità in faccia».
http://ugobardi.blogspot.it/2013/05/la-verita-in-faccia.html
6) Antonio Turiel, 2014: «Guerre in prestito».
http://ugobardi.blogspot.it/2014/02/guerre-in-prestito.html
7) Antonio Turiel, 2010, «Diciamocelo Forte e Chiaro: questa crisi non finirà mai!». http://ugobardi.blogspot.it/2011/12/diciamocelo-forte-e-chiaro-questa-crisi.html
8) BP Annual Statistical Review, 2014: http://www.bp.com/content/dam/bp/pdf/Energy-economics/statistical-review-2014/BP-statistical-review-of-world-energy-2014-full-report.pdf
9) OMS, 2014: «7 milioni di morti ogni anno dovuti all'inquinamento atmosferico», Comunicato stampa: http://www.who.int/mediacentre/news/releases/2014/air-pollution/es/
10) Peakwater.org
11) FAO, 2012: «The state of World fisheries and aquaculture»: http://www.fao.org/docrep/016/i2727e/i2727e.pdf
12) Rete Europea di Lotta alla Povertà e all'Esclusione Sociale, http://eapn.es/
13) Union of Concerned Scientists, 1992: «Warning to Humanity»: http://www.ucsusa.org/about/1992-world-scientists.html