domenica 15 giugno 2014

Una proposta di futuro

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR (Bentornato Antonio)



Di Antonio Turiel

Cari lettori,

vengo rimproverato con una certa frequenza del fatto che le analisi dei diversi tipi di risorse naturali che facciamo qui (fondamentalmente quelle di tipo energetico, sia rinnovabili che non rinnovabili) finiscono per concludere che nessuna fonte di energia in sé o in combinazione con le altre potrà produrre in un futuro (per nulla lontano) una quantità di energia simile alla attuale, ma una quantità di molto inferiore. Questo blog è tacciato di essere disfattista ed apocalittico perché la mera analisi fattuale e spassionata dei dati nudi e crudi ci mostra che l'unica strada possibile oggigiorno è quella della decrescita energetica. Per mia formazione scientifica, il mio proposito è di mostrare la realtà nel modo più oggettivo possibile, lasciando da parte le mie possibili preferenze o desideri, disgraziatamente, nulla ci ciò che viene proposto o ricercato in questo momento promette alcuna uscita dall'attuale pantano e, peggio ancora, il corso degli eventi da quando il blog ha iniziato (gennaio 2010) confermano che il nostro cammino inesorabile continua ad essere la decrescita energetica. Vedo spesso alcuni post commentati in diversi forum e c'è sempre una certa quantità di commenti che dicono che mi sbaglio perché non ho considerato questo o quel miracolo energetico che in realtà è già stato analizzato qui in altri post dimostrando che si tratta di un fiasco. Alla fine, il mio atteggiamento da guastafeste, del “non funziona niente” disturba tanto che viene considerato socialmente inaccettabile da alcuni e molte persone finiscono per concludere che se dico quello che dico è perché ho un programma (politico) pregiudiziale, una visione contorta delle cose e che semplicemente non sto bene di testa. Qualsiasi cosa pur di non avvicinarsi ai dati e vedere ciò che mostrano, o di guardarsi intorno e vedere che in nostro soccorso non sta accorrendo alcun miracolo energetico, dopo che sono passati 7 anni di questa crisi che non finirà mai.

Poco tempo fa una persona mi chiedeva una nota di ottimismo, che dessi una qualche alternativa, che proponessi qualcosa che potesse funzionare. Abbiamo già discusso che questo in realtà non è il mio compito, anche se è certo che in realtà posso proporre misure efficaci e che ci offrirebbero un futuro che meriterebbe di essere vissuto ( e non il futuro di esclusione e neo-feudalesimo nel quale potremmo ritrovarci se continuiamo sulla strada attuale). Posso proporle perché sono misure semplici, di buon senso, una volta accettata la semplice diagnosi di ciò che sta accadendo. Allo stesso tempo, non sono misure realmente tecniche, perlomeno non collegate alla ricerca di nuove fonti e ad aumentare la produzione di energia. Tuttavia, sono misure inaccettabili socialmente perché comportano la rotture di un paradigma sociale ed economico che viene considerato insostituibile e immutabile, nonostante abbia meno di 200 anni. E il fatto è che queste misure comportano la necessaria e prioritaria modifica del nostro sistema economico e finanziario.

Casualmente, i compagni di Véspera de Nada hanno passato questi giorni a raccogliere idee sulle misure per aumentare la nostra resilienza e proporle al nuovo Parlamento Europeo che voteremo fra qualche giorno. La maggior parte delle misure che sono state proposte sono quelle logiche, provenendo da associazioni di carattere tecnico centrate sul problema delle risorse: migliorare l'efficienza, incentivare le rinnovabili, porre fine all'obsolescenza programmata, evitare la mercificazione dell'acqua... Da parte mia, riflettendo su ciò che si dovrebbe proporre, ho introdotto questo elemento di dibattito, quello per cui il cambiamento necessario e che deve avvenire per primo sia quello del sistema economico e finanziario. Un tema insolito, ma se si guarda con attenzione è il più logico di tutti.

Introduzione: il problema della crescita

La cosa è semplice. Il nostro sistema finanziario funziona sulla base del credito. Quando qualcuno presta 100 euro con un interesse del 5% crede (credito proviene dal latino credere) che la persona alla quale viene concesso sarà in grado non solo di produrre valore pari ai 100 euro che ha investito, ma anche per gli altri 5 euro di interesse. Cioè, un capitale di 100 euro diventerà di 105, al di fuori del beneficio aggiuntivo che questo possa lasciare a colui che ha richiesto il credito. Tutti considerano normale oggigiorno che quando si prestano dei soldi questi vengano restituiti con un interesse percentuale. Tuttavia, questa non era assolutamente la visione dominante fino a pochi secoli fa. Per esempio, fino al 18° secolo la Chiesa Cattolica condannava il prestito con interesse, che veniva definito genericamente come usura (pecunia pecunima parere non potest, i soldi non possono partorire soldi, diceva San Tommaso D'Aquino). Ed è logico che durante la maggior parte della storia dell'Umanità il credito con interesse fosse visto come nocivo. Pensate che se il capitale venisse prestato a un interesse di soltanto un 5% all'anno, e una volta recuperato venisse prestato all'infinito, questo capitale crescerebbe a un ritmo esponenziale. In soli 14 anni il capitale raddoppierebbe, in 28 anni verrebbe moltiplicato per 4, in 42 per 8, in 56 per 16... In un solo secolo quel capitale sarebbe 131 volte più grande e in duecento anni 17.161 volte. In un solo millennio il capitale aumenterebbe di un fattore astronomico a 21 cifre, quasi paragonabile al numero di stelle che ci sono nell'Universo e nei 10.000 anni di storia dell'Umanità si dovrebbe moltiplicare per una quantità con 211 cifre, molto di più del numero di atomi del Sistema Solare.

Naturalmente tale crescita è impossibile (non possono esserci più euro che atomi) e naturalmente alcuni investimenti falliscono e il ritmo di crescita non è mai tanto veloce, ma in ogni caso la logica del nostro sistema è quella della crescita continua, illimitata, la quale prima o poi dovrà fermarsi per la semplice ragione che il pianeta è finito. Durante la maggior parte della Storia dell'Umanità, gli uomini hanno convissuto coi limiti: di risorse, di popolazione, di velocità dei trasporti... e così la crescita era scarsa o inesistente e tipicamente avveniva dopo di una catastrofe di popolazione e di qualche evento che permetteva di superare i limiti precedenti (qualche miglioramento sociale o tecnico, o la colonizzazione di nuovi territori – per esempio, l'espansione Occidentale in America o in Africa). Gli antichi hanno compreso che la logica dell'interesse composto spingeva gli uomini ad un ricrca di più ricchezza che era semplicemente impossibile (in media; c'è sempre chi si arricchisce) in un mondo con dei limiti e così le diverse chiese condannavano il prestito con interesse, che in alcuni paesi era perseguito come delitto.

Ma è arrivata la Prima Rivoluzione Industriale, con l'introduzione del carbone e poi la Seconda, con l'introduzione dell'elettricità e del petrolio, e improvvisamente le possibilità si sono moltiplicate. Il mondo ha potuto espandersi, e con esso il capitale, a ritmi sconosciuti per secoli. In quel momento si sono poste le basi della teoria economica attualmente vigente, la quale non ha dato il valore economico corretto alle risorse e, in particolare, all'energia, questo fluido potente ed invisibile che ha reso possibile questa rapida espansione. Sono passati quasi due secoli, non ci sono più economisti di vecchio stampo ed il ricordo di un modo diverso di fare le cose è andato praticamente perduto. Tutti accettano acriticamente che per uscire dalla crisi ciò di cui abbiamo bisogno è la crescita e non si pensa ad altre alternative. Ed ora che alcune voci dicono che la disponibilità di energia è giunta al suo massimo e che la quantità di energia che consumiamo ogni anno, seppur enorme, non crescerà più sensibilmente e addirittura che alcune fonti come il petrolio stanno cominciando a retrocedere, ad essere disponibile ogni anno in quantità minore, gli economisti formati in questi decenni di iper-abbondanza insistono sul fatto che l'energia e le risorse non sono e non saranno un problema, dicendolo per convinzione dogmatica, visto che né si fermano a guardare i dati in maniera oggettiva anziché parlare per sentito dire, né cercano di capire la geologia, la fisica e la biologia che stanno alla base all'economia, pensando che questa disciplina sia regina e sovrana anziché suddita e subordinata alla Natura.

Rispetto al primo, troppe volte mi sono ritrovato col tipico “esperto in economia” che fa affermazioni ridicole e facili da confutare, come per esempio esagerare l'importanza dei movimenti a breve termine del prezzo del petrolio (per esempio dire enfaticamente che “il prezzo del petrolio è appena crollato” perché è diminuito di 2 o 3 dollari che poi recupera nel giro di un paio di giorni) o che la produzione di petrolio continua ad aumentare senza problemi (come sempre, confondendo petrolio greggio coi cattivi succedanei coi quali completiamo la categoria di “tutti i liquidi del petrolio”). La realtà è che la produzione di tutti i liquidi del petrolio aumenta a malapena quella del petrolio greggio convenzionale diminuisce dal 2005 e il prezzo si conserva in modo abbastanza stabile ai massimi storici, come mostra questo grafico di un articolo di qualche mesa fa di Gail Tverberg:


Altre volte, nel loro tentativo di negare il problema col petrolio, evocano la chimera degli Stati Uniti energeticamente indipendenti (travisando un'informazione contenuta nell'edizione del 2012 del rapporto annuale della IEA), basandosi sull'operazione mediatica montata per promuovere la bolla finanziaria del fracking (e che ha già iniziato a sgonfiarsi). E se questo fallisce si attaccano a nuove prospezioni e ad altre fonti miracolose delle quali si parla da anni senza che si arrivi mai a materializzarle pienamente. Tale livello di autoinganno è pericoloso perché gli anni passano senza che il problema energetico migliori, anzi, al contrario, si va aggravando e perché a volte porta persino a movimenti geopoliticamente assurdi (come gli appelli degli Stati Uniti a esportare gas naturale in Europa perché questa superi la propria dipendenza dalla Russia, quando in realtà non possono fare un cosa del genere nemmeno nei loro sogni migliori e su scala più locale i patetici tentativi della Spagna di proporsi come distributrice di gas algerino senza tenere conto dei problemi crescenti della nazione africana, che ha già superato il suo picco nazionale di petrolio e gas). E questo senza tenere conto del fatto che la crescita ad oltranza porterebbe anche a conseguenze assurde e pericolose quando si traduce in domanda di energia.

Rispetto al secondo, per il pensiero economico dominante, l'evoluzione della produzione di qualsiasi materia è questione semplicemente di investimento e se è necessario di sostituzione, la quale viene considerata sempre possibile. L'accettazione acritica di questi dogmi impedisce di capire che in realtà, come dice il rapporto di Tullett Prebon, “In ultima istanza l'economia è – ed è sempre stata – un'equazione di eccedenze energetiche, governata dalle leggi della termodinamica e non da quelle del mercato” (pagina 11). Il concetto chiave del rendimento energetico, cristallizzato nel cosiddetto EROEI, è completamente alieno all'economista tradizionale, che dimostra una perseverante incapacità di comprenderlo. Alcuni economisti tuttavia si rendono conto che effettivamente può esserci un problema con l'energia, per cui evocano la smaterializzazione dell'economia, quando non c'è alcuna prova storica del fatto che l'economia possa crescere senza che aumenti il consumo di energia, per quanto ci auto-inganniamo coi miglioramenti dell'intensità energetica che hanno raggiunto i paesi occidentali, sulla base dell'esternalizzazione delle attività industriali più fondamentali in altri paesi per poi importare i beni prodotti (aumentando così il consumo energetico pro capite anziché ridurlo, in realtà). Di fatto, le prove indicano che non si può slegare l'energia dal PIL in nessun modo.

Come non risolvere il problema

Il modo in cui non si otterrà assolutamente nulla è quello di concentrarsi sugli aspetti tecnici, cercando nuove fonti energetiche e metodi migliori di sfruttamento. Lo so che il fatto che dica questo è scioccante, visto che so che secondo alcuni (casualmente, di orientamento economicista in maggioranza) l'analisi meramente tecnica dell'energia dovrebbe essere l'unico obbiettivo di questo blog. Tuttavia, migliorare l'efficienza o incentivare il risparmio, cose di per sé desiderabili, non portano ad una riduzione del consumo di energia, in virtù del Paradosso di Jevons: il consumo di energia ha sempre un senso economico (se io consumo più energia potrò produrre più beni o servizi e pertanto guadagnare più soldi). In un sistema in cui si deve sempre crescere, non si possono disdegnare opportunità di investimento e di crescita, così che non si smetterà mai di consumare un'energia disponibile finché ce la possiamo permettere. Al contrario: se ora si riduce il consumo di energia in Occidente è proprio perché non possiamo pagarla, con le note conseguenze di contrazione dell'economia e di disoccupazione crescente.

Ancora peggio: non servono assolutamente a nulla tutte le campagne destinate a incrementare la consapevolezza dei cittadini e incentivare il risparmio di energia (qui un link che lo spiega molto bene). Calmano le coscienze inquiete, certo, ma i risparmi prodotti, sempre piuttosto marginali, sono su una percentuale del consumo di tutta la società che è sempre abbastanza inferiore del consumo dell'industria. E l'industria non fa nessuno sforzo per consumare meno energia; può farlo, se gli risulta economicamente attraente, consumandola in modo più efficiente, ma non di meno, perché deve crescere, crescere e crescere e, insisto, se si consuma meno è per necessità, non per volontà. Con lo sforzo dei cittadini questi riducono le proprie bollette energetiche e lasciano più energia a disposizione dell'industria, ma alla fine il risparmio energetico non si traduce in risparmio economico nel lungo termine. Pensate al caso della Spagna, per quanto riguarda l'energia elettrica – che anche se è una frazione minoritaria di tutta l'energia consumata, è significativa – le aziende elettriche hanno modificato le bollette domestiche aumentando il fisso e diminuendo quella variabile, per cui alla fine la gente paga di più anche se consuma di meno. Così che la strada per la consapevolezza ed il risparmio volontario spinge la popolazione verso una frugalità necessaria, preambolo alla Grande Esclusione.

E' questa contraddizione fra l'obbiettivo della nostra industria, il nostro sistema economico e il nostro sistema finanziario (la crescita infinita) e la necessità di superare la scarsità crescente di risorse e gli effetti ambientali di tanto spreco (non solo il cambiamento climatico, ma tutto l'inquinamento gettato senza sosta nella Natura) ciò che porta al fatto che non si faccia nulla o praticamente nulla per risolvere questi problemi. E' indifferente quello che si dice in faccia alla gente: non si prendono misure perché non si trova il modo di evitare il loro grande impatto economico e, in ultima istanza, la necessità di mettere fine alla crescita. Frutto di questa contraddizione insormontabile sono i discorsi assurdi, schizofrenici, che sono trasversali a tutta la nostra società ed evidenziano la nostra confusione. Come si spiegano altrimenti tutte le campagne finanziate da una moltitudine di think tanks creati ad hoc per fabbricare e diffondere il dubbio sul cambiamento climatico che buttano via il lavoro di migliaia di scienziati specialisti di tutto il pianeta? Da dove viene il discorso ricorrente sul fatto che si può fare una transizione ad una economia verde (sottintendendo anche in crescita) basata sulle energie rinnovabili, nonostante la moltitudine di prove (1,2,3,4,5,6,7) del fatto che lo sfruttamento dell'energia rinnovabile è molto minore di quello che consumiamo attualmente di energia non rinnovabile? O che l'energia nucleare è un'energia che ha un futuro, nonostante l'uranio sia giunto al suo limite, il MOX ha un riutilizzo limitato, i reattori commerciali di IV generazione non arrivano dopo 60 anni di sperimentazione con gli stessi e il mitico reattore a fusione si trova in un futuro lontano (sempre che esista da qualche parte)? Per non parlare delle infinite promesse mai mantenute dei biocombustibili di seconda generazione, degli idrati di metano, delle nuove fonti di idrocarburi, della transizione al gas naturale o all'auto elettrica o all'idrogeno, o al carbone pulito o, all'estremo più folle, le promesse assurde delle energie libere. Bugie che si ripetono anno dopo anno, decennio dopo decennio, senza alcun progresso perché questo non è fisicamente possibile; autoinganni di una società malata che nega a sé stessa di accettare la cosa più semplice (che non si può crescere all'infinito in un pianeta finito) e per questo accampa scuse della cosa più complicata (un'infinità di soluzioni miracolose che non si materializzeranno mai).

La nostra società sembra un uomo molto obeso che si inganna da sé sul suo stato di salute e che non adotta un fine fermo di cambiamento di abitudini finché non gli viene un infarto. Disgraziatamente è questa la strada che abbiamo intrapreso, accettando la mercificazione degli ultimi beni indispensabili (ieri la terra, oggi l'acqua, forse domani l'aria) come un'evoluzione logica del capitalismo che si rifiuta di cambiare e che ci porta di un passo più vicino all'esclusione sociale di massa. E questo infarto della società sarà una grande distruzione, un'interruzione repentina di molti servizi essenziali, una mancanza repentina di mercanzie che oggi diamo per scontate, compresi gli alimenti... E siamo a questo punto, in attesa dell'inevitabile infarto di questo sistema ipertrofizzato e insostenibile, nel desiderio che il danno che causa non sia letale, che dopo che sia arrivato si possa fare tabula rasa e finalmente metterci a dieta, finalmente imparare a vivere entro i limiti ecologici della biosfera che ci sostiene.

Una proposta di futuro

Sedersi ad aspettare un grave fallimento del nostro sistema produttivo con conseguenze serie sulla vita delle persone, che dipendono molto dal buon funzionamento di questo sistema non è, ovviamente, la risposta migliore ai nostri problemi. Di fatto è la più sciocca, la più stupida. Coloro che tacciano di catastrofismo questo blog dovrebbero capire che, se quanto detto sopra è sicuro (ed è per questo che ho dedicato tanto tempo all'esposizione iniziale), allora l'inazione è l'atteggiamento catastrofista, quello che ci porta irrimediabilmente verso lo scenario indesiderabile, persino apocalittico. Ma io sono ottimista, perché  credo che ancora possiamo cambiare. E tornando a ciò che mi diceva la persona che mi ha chiesto una nota ottimista: cosa possiamo fare per migliorare? Ecco qua la mia proposta:


  • Annullamento degli attuali debiti: forse alcuni si potrebbero restituire, ma in generale sarà impossibile ripagarne la grande maggioranza, per non parlare di pagare gli interessi. Il mondo sta cambiando, si sta trasformando, e le regole che lo definiscono devono a loro volta cambiare. Non si può cominciare con un fardello pesante che probabilmente non si potrebbe risalire. 
  • Riforma radicale del sistema finanziario: non si può sperare di continuare a chiedere interessi per il prestito di denaro. Se il settore finanziario è cruciale per il buon funzionamento della società (e lo sarà durante il periodo di transizione), non si può affidare alla gestione privata (che tende a privatizzare i guadagni e a socializzare le perdite, che a partire da adesso saranno crescenti e inevitabili), come minimo orientata alla crescita. 
  • Ridefinizione dei soldi: la politica monetaria non può essere espansiva e in un primo momento sarà piuttosto in contrazione. I soldi sono una rappresentazione del valore, non il valore in sé e la loro gestione dev'essere controllata dai settori direttamente coinvolti: produttori, commercianti, consumatori... Le persone tenderanno a usare monete locali prima della moneta nazionale, per la maggior difficoltà di garantire il valore di quest'ultima in una società che collassa. Le monete locali non possono essere controllate da interessi speculativi esteri e pertanto non può essere permesso che vengano messe a tesoro o si capitalizzino (l'analisi economica classica ci dirà che in questo modo si perdono opportunità di investimento e di crescita). 
  • Riforma degli Stati: dalla loro nascita, gli Stati e il capitalismo hanno condiviso obbiettivi e sono stati complementari, con grande efficacia sociale decenni fa in alcuni paesi (lo Stato del Benessere p un buon esempio) ma inevitabilmente lo Stato-nazione entra anche in crisi quando il capitalismo smette di essere sostenibile. E' necessario rilocalizzare i centri decisionali e avvicinare la gestione agli amministrati, ma realmente, non a parole. La gestione deve essere prima di tutto municipale più che locale, prima di tutto locale che regionale, prima di tutto regionale più che nazionale. La mancanza di energia porterà ad una logica di rilocalizzazione che tenderà gradualmente a rendere gli ambiti amministrativi sempre più locali, ma durante la transizione l'inefficienza di un potere amministrativo nazionale ipertrofizzato può porre troppi legacci, soprattutto di tipo legale. 
  • Definizione di piani di transizione locali: ogni popolazione deve determinare quali siano i suoi maggiori problemi e deve investire risorse per controllarli. In alcune comunità mancherà l'acqua, in altre il problema sarà la mancanza di suolo fertile, in altre l'eccesso di popolazione, l'inquinamento o la scarsità di risorse fondamentali... Si deve analizzare la situazione attentamente, comprendendo che non vivremo una continuazione del sistema attuale, ma un cambiamento radicale. Una volta identificati i punti sensibili si devono investire risorse e sforzi per modellarli per rendere possibile la transizione, anche se da un punto di vista capitalistico attuale tale investimento non sia redditizio. Questo sarà uno dei grandi ostacoli, anche se sufficientemente minore della cancellazione dei debiti e dell'interesse composto.
  • Preservare i servizi fondamentali: proprio questa sarà una delle difficoltà maggiori della transizione: all'opposizione del capitale al fatto di perdere i suoi privilegi si unirà la difficoltà di mantenere un afflusso di risorse sufficiente a permettersi certi privilegi. A seconda del grado di scarsità al quale si veda sottoposta ogni località, si potranno mantenere più o meno servizi. I più fondamentali sono l'educazione, la sanità e l'assistenza alle persone più anziane e bisognose. Per poter conservare questi servizi fondamentali ogni località dovrà decidere che sistema di finanziamento impiegherà, se per mezzo di tasse o con il lavoro volontario dei cittadini. Il poter offrire più servizi dipenderà dalla ricchezza relativa di ogni luogo. 


Nessuna di queste misure parla esplicitamente di energia ma di organizzazione sociale; tuttavia, tutte hanno implicazioni a lungo raggio sull'uso e la disponibilità di energia. Di fatto, sono le misure che hanno più impatto energetico, molto di più delle modeste misure di risparmio ed efficienza che vengono abitualmente proposte. Inoltre, le misure sopra abbozzate sono le uniche che hanno senso in una situazione di decrescita energetica.

Ciò che propongo è fattibile? Oggi come oggi no. Qualsiasi economista o politico che lo legga lo considererà utopico perché eccessivamente radicale. Forse lo può essere un domani se si fa sufficiente pedagogia, se la gente impara ad accettare la verità detta in faccia. Ma è fondamentale fare questa pedagogia. L'alternativa è aspettare questa grande distruzione, questo infarto forse fatale per la nostra società.

Saluti.
AMT