martedì 22 aprile 2014

“Furia recursiva”: le ragioni del passo falso di "Frontiers"

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

di Ugo Bardi

Come probabilmente sapete, l'editore scientifico “Frontiers” ha recentemente deciso di ritirare un saggio già approvato e pubblicato (“Recursive Fury”, Furia recursiva) sul tema degli atteggiamenti cospirazionisti nel dibattito sul cambiamento climatico. Questo gesto ha provocato le dimissioni di alcuni editori di Frontiers, compreso me stesso, come ho descritto in un post precedente. Qui torno sul tema più in dettaglio.


Quando sono stato contattato dallo staff di “Frontiers” e mi è stato chiesto di diventare “editore capo” con loro, ho pensato che fosse un'eccellente idea. Ero attratto, principalmente, dal fatto che la rivista fosse completamente “open access”, un'idea che ho sempre appoggiato (sono stato probabilmente uno dei primi a sperimentare con l'editoria open access in chimica). Così ho accettato l'offerta con considerevole entusiasmo ed ho cominciato a lavorare su una rivista (in realtà una sezione di una rivista) dal nome “Frontiers in Energy Systems and Policy".

Una volta diventato editore, ho scoperto la struttura peculiare del sistema di Frontiers. E' un enorme schema piramidale in cui ogni rivista ha delle sotto-riviste (chiamate “specialties” nel gergo di Frontiers). La piramide si estende alle persone coinvolte: comincia con i “capi editori”, che supervisionano i “capi editori di specialità”, che supervisionano gli “editori associati”, che supervisionano i “revisori”. Visto che ogni passaggio coinvolge una crescita di un fattore 10-20 nel numero di persone coinvolte, potete capire che ogni rivista della serie di Frontiers può coinvolgere diverse migliaia di scienziati. L'intero sistema potrebbe contare, probabilmente, decine di migliaia di scienziati.

Perché questa struttura barocca? La spiegazione ufficiale è che questo rende il processo della revisione più rapido. In questo, la struttura piramidale di Frontiers sembra apparentata in qualche modo a un sistema militare di “comando e controllo” che è, di fatto, progettato per accelerare il processo di comunicazione/azione. Naturalmente, se sei arruolato come editore su Frontiers, non ti vengono dati ordini dai livelli superiori; ciononostante vieni continuamente tormentato da comunicazioni e reminder su quello che devi fare e devi passare queste comunicazioni ai livelli inferiori al tuo. Tutti questi messaggi tendono a stimolarti a completare i tuoi compiti.

Ma la mia impressione è che la struttura piramidale di Frontiers non è stata creata solo per la velocità, aveva un obbiettivo di marketing. Di sicuro, coinvolgendo così tanti scienziati nel processo crea un'atmosfera di partecipazione che li incoraggia a sottoporre i loro saggi alla rivista ed è qui che gli editori fanno soldi, naturalmente. Non posso provare che la struttura di Frontiers si stata concepita in questi termini dall'inizio ma, apparentemente, non sono alieni all'uso di tattiche di promozione aggressive per i loro affari.

Come potete immaginare, un sistema così complesso porta molti problemi. Primo, la pletora di sotto-riviste rende l'intero sistema di Frontiers simile all' “Emporio Celeste della Conoscenza Benevola” descritto da Borges – in breve, un casino. Poi, in caso di sistemi molto grandi, il problema del controllo è praticamente irrisolvibile: vedi il caso delle “Guerre Stellari” di Reagan come esempio. Forse Frontiers non è così complesso come la vecchia iniziativa di difesa strategica americana (SDI), ma i problemi sono gli stessi. Il loro sito internet dovrebbe gestire l'attività di migliaia (o forse decine di migliaia) di scienziati ma, nella mia esperienza, non ha mai funzionato decentemente bene. E gestire tutto il sistema deve richiedere un considerevole staff permanente. Di conseguenza, pubblicare con Frontiers non è a buon mercato.

Così, dopo quasi un anno di lavoro con Frontiers, sono diventato sempre più perplesso. Ho avuto la sensazione di essere solo un ingranaggio in una gigantesca macchina che non funzionava molto bene e che aveva il solo scopo di fare soldi per i livelli alti della piramide. Per favore, non mi fraintendete. Non sto dicendo che ci sia qualcosa di sbagliato nell'idea di fare soldi nel business dell'editoria: assolutamente no. E' chiaro anche che se gli editori sono un'impresa commerciale, allora loro un suo diritto decidere cosa pubblicare e cosa non pubblicare. Il modo in cui Frontiers si è comportato con “Recursive Fury” mostra questo atteggiamento in modo cristallino. Il loro management ha ascoltato solo i loro avvocati ed ha preso una decisione che ha comportato il rischio finanziario minore per loro. Non è stata solo una gaffe occasionale, è stata la conseguenza della struttura decisionale dell'editore.

Una volta chiarito questo punto, mi è sembrato anche chiaro quale fosse il problema: dato per scontato che un editore commerciale può pubblicare quello che vuole, chi difende la scienza (e in particolare la scienza del clima) dai gruppi di interesse, dalle lobby dai gruppi assortiti contro la scienza e dai vari pazzoidi individuali? Non si può chiederlo a un'impresa commerciale che è (correttamente) concentrata sul profitto. Ma si può chiedere perché così tanti scienziati dovrebbero regalare il proprio tempo e il loro lavoro ad un'impresa commerciale che non sembra essere realmente interessata a difendere la scienza. A questo punto, la mia scelta era ovvia. Mi sono dimesso come editore di Frontiers. Altri hanno fatto lo stesso per ragioni analoghe.

Spero che queste righe aiutino a chiarire la mia posizione in questa storia. Come ho detto nel mio commento precedente, le mie dimissioni non avevano niente a che fare con le virtù (o i difetti) del saggio intitolato “Recursive Fury”. Non sono qualificato per giudicare in quel campo e, comunque, non è questo il punto. Il punto che ho voluto sostenere – e spero che si sia compreso – è che dobbiamo reagire al clima di intimidazione che sta fagocitando la scienza. Questo clima di intimidazione assume molte forme e il caso di “Recursive Fury” mostra che ora ha raggiunto anche l'editoria scientifica. Il problema, qui, non è di uno specifico editore. E' che siamo bloccati da un modello vecchio di un secolo di comunicazione: costoso, inefficace e, peggio ancora, facilmente sovvertito dai gruppi di interesse particolare (su questo punto, vedete per esempio questo post di Dana Nuccitelli).

Quindi, cosa possiamo fare? All'inizio l'open access mi sembrava una buona idea per migliorare il processo editoriale, ma è diventato sempre più chiaro che potrebbe causare più danni che guadagni. In aggiunta all'aver generato centinaia di “riviste predatorie” di bassa qualità, gli editori tradizionali se ne sono appropriati e l'hanno trasformato in un modo per estrarre ancora altro denaro dai bilanci della ricerca scientifica.

Credo ancora nell'editoria open access, ma credo che ci sia molto lavoro da fare se vogliamo che diventi la rivoluzione della comunicazione scientifica che speravamo diventasse. Per questo ci vorrà tempo e, al momento, siamo bloccati in un sistema basato sull'editoria commerciale che non è necessariamente desiderosa di difendere la scienza in questo momento difficile. Ma possiamo almeno combattere astenendoci dal pubblicare con riviste che non difendono la scienza e possiamo anche andarcene come editori, come ho fatto con Frontiers. Questo dovrebbe dar loro almeno una spinta nella giusta direzione.