giovedì 27 febbraio 2014

Big Oil scommette; noi tutti perdiamo

Da “Recharge” (pdf non in rete). Traduzione di MR


Di Jeremy Leggett

“Stiamo scommettendo la nostra intera vita economica nazionale nella speranza – di fatto nell'aspettativa – che il boom del fracking continuerà fino agli anni 20 inoltrati del 2000 e che, a un tasso e ad un costo che desideriamo, quantità significative di petrolio “ancora da scoprire” saranno in qualche modo trovate per soddisfare la domanda. Se una qualsiasi di queste cose si dimostra sbagliata non abbiamo un piano, nessuna alternativa e non abbiamo pensato per niente a come risponderemmo in un caso simile”.

Chi parla è l'esperto di sicurezza nazionale il Tenente Colonnello Daniel Davis, il veterano di 4 turni di servizio in Iraq e Afghanistan. Non sono un militare, ma ma mi preoccupo della sicurezza energetica del mio paese allo stesso modo in cui lui lo fa del suo. Nel Regno Unito, il governo, il servizio civile e gran parte delle grandi aziende energetiche sembrano perfettamente soddisfatti di replicare il grande azzardo in corso negli Stati Uniti. Il 10 dicembre, il Tenente Comandante Davis ed io abbiamo convocato a Washington e Londra, in collegamento video, incontri di persone che condividono le nostre preoccupazioni sul rischio di una crisi petrolifera globale.

Abbiamo anche invitato persone chiave che non lo sono, ma che erano interessate a provare, al di là della propaganda, che il dibattito sulla politica energetica sembra attrarre in questi giorni. Fra coloro che si sono uniti a noi c'erano militari in pensione, ufficiali militari, esperti di sicurezza, alti dirigenti di un'ampia gamma di industrie e politici di tutti i principali partiti, compresi due ex ministri britannici. Abbiamo cominciato con una presentazione di Mark Lewis, un ex capo della ricerca energetica della Deutsche Bank. Con questo retroterra, ci si potrebbe aspettare che Lewis sia un discepolo della narrazione convenzionale dell'abbondanza di petrolio nei mercati. Molti dei suoi pari lo sono. Ma lui ha suggerito tre grandi segni di avvertimento nell'industria petrolifera che puntano ad una narrazione contraria di problemi incombenti per l'offerta: alti tassi di declino, impennata della spesa di capitale e crollo delle esportazioni. I tassi di declino di tutti i giacimenti di petrolio greggio convenzionale in produzione oggi sono spettacolari; la IEA prevede un crollo della produzione da 69 Mb/g di oggi a soli 28 Mb/g nel 2035. L'attuale produzione totale globale di tutti i tipi di petrolio è di circa 91 Mb/g.

Considerate la spesa necessaria per cercare di compensare quel divario. Gli investimenti per lo sviluppo di giacimenti petroliferi e per l'esplorazione sono quasi triplicati in termini reali dal 2000: da 250 miliardi di dollari a 700 miliardi di dollari nel 2012. L'industria sta spendendo sempre di più per sostenere la produzione e la sua redditività riflette questa tendenza, nonostante il perdurare del prezzo del petrolio alto. Nel frattempo, il consumo vola nei paesi del OPEC. Di conseguenza, le esportazioni globali di petrolio greggio sono declinate dal 2005. E' difficile confondere questi dati e non vedere una crisi petrolifera in arrivo, conclude Lewis. Che dire della recente aggiunta di 2 Mb/g di nuova produzione di petrolio, del boom che è stato lanciato come “ciò che cambia i giochi” e la strada verso“l'Arabia Saudita" da parte dei tifosi dell'industria? Il veterano di Geological Survey of Canada, David Hughes, che ha condotto l'analisi più dettagliata dello scisto Nord Americano al di fuori delle aziende di petrolio e gas, ha offerto alcuni punti di vista che fanno riflettere su questo. I suoi dati mostrano i tassi di declino prematuro spettacolarmente alti nei pozzi di gas e petrolio di scisto (più correttamente conosciuto come tight oil) significano che servono alti ritmi di trivellazione solo per mantenere la produzione. Questo problema è aggravato dal fatto che i “sweet spots” si esauriscono prima nello sviluppo dei giacimenti. Di conseguenza, la produzione di gas di scisto sta già calando in diverse regioni chiave di trivellazione e la produzione del tight oli nelle due regioni principali è probabile che raggiunga il picco fra il 2016 e il 2017. Queste due regioni, in Texas e Nord Dakota, permettono il 74% della produzione totale di tight oil statunitense.

Come Lewis, Hughes crede che l'industria del petrolio e del gas stia tirando per il naso il mondo verso una crisi energetica. Nel mio libro The Energy of Nations, descrivo come i think tank militari hanno avuto la tendenza di fiancheggiare l'industria, come Lewis e Hughes, che diffidano della narrazione cornucopiana della permanenza del petrolio. Uno studio del 2008 dell'esercito tedesco, la mette così: “Le barriere psicologiche fanno sì che fatti incontestabili vengano oscurati e portano quasi istintivamente al rifiuto di guardare in dettaglio all'interno di questo tema difficile. Il picco del petrolio, tuttavia, è inevitabile”. Questo oscuramento si estende ai media mainstream, che hanno entusiasticamente fatto eco ai mantra delle aziende petrolifere, fino al punto che le stesse parole “picco del petrolio” sono state ridotte a simbolo di un allarmismo senza fondamento. Non dovremmo mai dimenticare che nella corsa al collasso del credito, l'incombenza finanziaria ha schierato le stesse tattiche di pubbliche relazioni contro coloro che avvertivano sulla fragilità dei titoli garantiti da ipoteca.


Jeremy Leggett è il fondatore e presidente non esecutivo dell'azienda internazionale di fotovoltaico SolarcenturyIl suo nuovo libro, The Energy of Nations: Risk Blindness and the Road to Renaissanceè pubblicato da Routledge