domenica 12 gennaio 2014

Michael Klare: il picco del petrolio è morto, lunga vita al picco del petrolio!

Da “Tomdispatch”. Traduzione di MR

Eccoci qua in un “vortice polare” da record con le Everglades della Florida che stanno per congelare e il Minnesota che registra venti freddi di -60°F. Questi sistemi meteorologici più estremi, che dovrebbero scaldare i cuori dei negazionisti climatici, potrebbero di fatto risultare essere collegati al cambiamento climatico (grazie ad un Artico in fusione che si scalda il doppio più velocemente del resto del pianeta – vedi video della Casa Bianca). Nel frattempo, dall'altra parte del mondo, l'Australia ha vissuto un'impressionante ondata di calore, essendo appena uscita da un anno che ha avuto il giorno, la settimana e il mese più caldi e la media generale più alta mai registrata in quel continente. Tuttavia, diamo ai negazionisti climatici ciò che è loro dovuto. E' da tanto che dichiarano che la scienza del clima sia, al massimo, un'attività incline all'errore. E' un punto col quale il professor Steven Sherwood è d'accordo. Risulta che sia l'autore di uno studio appena apparso sulla rivista Nature focalizzato sulla copertura nuvolosa e sul cambiamento climatico futuri. Lo studio conclude che il pianeta si scalderà più rapidamente di quanto previsto, come minimo raggiungendo i +4°C per il 2100 (il che, naturalmente, significherebbe una catastrofe inimmaginabile). Ecco il suo modo di dare ai negazionisti ciò che è loro dovuto: “Agli scettici del clima piace criticare i modelli climatici perché interpretano male le cose e noi siamo i primi ad ammettere che non sono perfetti, ma quello che stiamo scoprendo è che gli errori vengono fatti da quei modelli che prevedono meno riscaldamento, non da quelli che ne prevedono di più”.

Nel frattempo, l'anno appena trascorso è stato generalmente un anno monotono nella nuova era del cambiamento climatico. Anche se i risultati finali non saranno disponibili fino a marzo, sarà fra i 10 anni più caldi da quando sono state registrate per la prima volta le temperature, più o meno fra il quarto e il settimo. (A proposito, i 10 anni più caldi sono stati tutti dal 1998, nove nell'ultimo decennio). Per la prima volta nella storia, il pianeta ha brevemente e minacciosamente raggiunto le 400 ppm di CO2 atmosferico; gli oceani diventano più acidi; le siccità e gli incendi si sono rafforzati; le tempeste hanno imperversato, anche se solo una ha raggiunto proporzioni epiche, il Tifone Haiyan nelle Filippine; il ghiaccio marino estivo dell'Artico ha avuto una grande fusione (significativamente al di sopra dei livelli del ventesimo secolo, ma meno del 2012); la copertura dei media sul cambiamento climatico è aumentata in modo modesto per la prima volta in anni e ed uno dei maggiori cavalli di battaglia del movimento del negazionismo climatico – la supposta “pausa del riscaldamento” che sta attraversando il pianeta – è finita nel cesso. Nel frattempo, le previsioni stanno cominciando ad arrivare e suggeriscono che – se si sviluppa un fenomeno de El Niño nell'Oceano Pacifico, come credono alcuni scienziati – il 2014 potrebbe rivelarsi da guinness dei primati. Con l'inizio dell'anno sappiamo di più su cosa ci riserva il futuro in qualche modo con maggiore certezza e, parlando in generale, visto che continuano ad essere immesse quantità record di biossido di carbonio nell'atmosfera, facciamo decisamente poco per questo. Per adattare quell'esempio classico sui limiti della libertà di espressione, immaginate che una grande squadra di scienziati ora stia continuamente gridando “Al fuoco!” nel cinema globale e, come risultato, più piromani con fiamme ossidriche stiano arrivando in continuazione. Dopotutto, di quelli che non fanno niente per il cambiamento climatico, nessuno ne sta facendo di più delle compagnie petrolifere e delle nazioni – dall'Arabia Saudita alla Russia – che sono di fatto gigantesche compagnie petrolifere. Come indica Michael Klare nel suo ultimo post, l'urgenza dei giganti petroliferi e dei loro sostenitori di dichiarare che non ci sono limiti al futuro dell'estrazione di petrolio e gas naturale è, perlomeno, agghiacciante, in un pianeta che si scalda. Sembrano intenti a dare alla frase “Il limite è il cielo” un nuovo, torvo significato. Per fortuna, come il nostro esperto interno di energia evidenzia, potrebbero avere una sorpresa o due nel percorso. Tom

Forse il necrologio per il picco del petrolio potrebbe essere arrivato troppo presto


Di Michael T. Klare

Fra le grandi storie sull'energia del 2013, il “picco del petrolio” - la nozione un tempo popolare secondo al quale il produzione mondiale avrebbe presto raggiunto un livello massimo e sarebbe iniziato un declino irreversibile – è stata completamente screditata. Lo sviluppo esplosivo del petrolio da scisto ed di altri combustibili non convenzionali negli Stati Uniti ha aiutato a deporlo nella sua tomba.

Mentre l'anno andava avanti, i necrologi si sono susseguiti in modo rapido e furioso. “Oggi, è probabilmente sicuro dire che abbiamo ucciso il 'picco del petrolio' una volta per tutte, grazie alla combinazione di nuove tecniche di produzione di petrolio e gas da scisto”, ha dichiarato Rob Wile, un giornalista energetico ed economico di Business Insider. Commenti analoghi di esperti energetici sono stati comuni, portando a un titolo da requiem su Time.com , annunciando che “Il picco del petrolio è morto”.

Non così in fretta, però. L'attuale giro di necrologi ricordano la famosa frase di Mark Twain: “La notizia della mia morte è stata fortemente esagerata”. Prime che i necrologi per la teoria del picco del petrolio si ammucchino troppo, diamo uno sguardo accurato a queste asserzioni. Fortunatamente, la International Energy Agency (IEA), il braccio armato della grandi potenze industrializzate con sede a Parigi, di recente lo ha fatto – e i risultati sono stati inattesi. Pur non reinsediando il picco del petrolio nel suo trono, ha reso chiaro che gran parte del parlare del pozzo petrolifero perpetuo del petrolio di scisto americano è ampiamente esagerato. Lo sfruttamento di quelle riserve di scisto potrebbero ritardare l'inizio del picco del petrolio pr un anno o giù di lì, osservano gli esperti dell'agenzia, ma il quadro a lungo termine “non è cambiato granché con l'arrivo del [petrolio di scisto]”.

Il punto di vista della IEA su questo tema e particolarmente degno di nota a perché le sue affermazioni di solo un anno fa, secondo le quali gli Stati Uniti avrebbero superato l'Arabia Saudita diventando i principali produttori di petrolio, hanno inizialmente scatenato il diluvio del “picco del petrolio è morto”. Scrivendo nell'edizione del 2012 del suo World Energy Outlook, l'agenzia ha dichiarato non solo che “è previsto che gli Stati Uniti diventino i più grandi produttori di petrolio al mondo” circa nel 2020, ma anche che con la produzione da scisto degli Stati Uniti e delle sabbie bituminose canadesi che entrano in produzione, “il Nord America diventa un esportatore netto di petrolio nel 2030”.

Quello stesso rapporto del novembre del 2012 sottolineava di tecnologie di produzione avanzate – cioè la perforazione orizzontale e la fratturazione idraulica (“fracking”) - per estrarre petrolio e gas naturale dalla roccia un tempo inaccessibile, specialmente lo scisto. Il rapporto copriva anche lo sfruttamento progressivo del bitume canadese (sabbie bituminose o sabbie petrolifere), un'altra risorsa ritenuta precedentemente troppo proibitiva per essere economica da sviluppare. Con la produzione di questi ad altri combustibili "non convenzionali" pronti ad esplodere nei prossimi anni, suggeriva il rapporto, il lungamente atteso picco della produzione mondiale di petrolio poteva essere rimandata a lungo nel futuro.

La pubblicazione dell'edizione del 2012 del World Energy Outlook ha innescato una frenesia globale di segnalazioni speculativa, gran parte della quale annunciava una nuova era di abbondanza energetica per l'America. “America Saudita” è stato il titolo su un osanna del genere del Wall Street Journal. Citando il nuovo studio della IEA, quel saggio annunciava “un boom energetico per gli Stati Uniti” portato dalla “innovazione tecnologica e dal rischio d'impresa finanziato da capitale privato”. Da quel momento in poigli analisti americani dell'energia hanno parlato entusiasticamente delle capacità di una serie di nuove tecnologie estrattive, in particolare del fracking, di liberare il petrolio e il gas naturale da formazioni di scisto fino a quel momento inaccessibili. “Questa è una vera rivoluzione energetica”, proclamava il quotidiano.

Ma questo è successo allora. L'edizione più recente del World Energy Outlook, pubblicata lo scorso novembre, è stata molto più circospetta. Sì, il petrolio di scisto, le sabbie bituminose ed altri combustibili non convenzionali si aggiungeranno alle forniture globali nei prossimi anni e, sì, la tecnologia aiuterà a prolungare la vita del petrolio. Ciononostante, è facile dimenticare che stiamo anche assistendo all'esaurimento in blocco dei giacimenti mondiali esistenti e quindi tutti questi aumenti nella produzione da scisto deve essere controbilanciata dai declini della produzione convenzionale. In circostanze ideali – alti livelli di investimento, continui progressi tecnologici, domanda e prezzi adeguati – potrebbe essere possibile evitare un imminente picco della produzione mondiale, ma l'ultimo rapporto della IEA chiarisce, non c'è alcuna garanzia che questo avverrà.

Approssimarsi gradatamente al picco

Prima di immergerci in profondità nella valutazione della IEA, diamo uno sguardo rapido alla teoria del picco del petrolio in sé.

Per come è stata sviluppata negli anni 50 dal geologo petrolifero M. King Hubbert, la teoria del picco del petrolio sostiene che ogni singolo giacimento petrolifero (o paese produttore di petrolio) sperimenterà un alto tasso di crescita della produzione durante lo sviluppo iniziale, quando le perforazioni vengono introdotte per la prima volta in una riserva che contiene petrolio. In seguito, la crescita rallenterà, in quanto le risorse più prontamente accessibili sono state estratte e dev'essere fatto affidamento su depositi meno produttivi. A questo punto – di solito quando sono state estratte metà delle risorse di un giacimento (o di un paese) – la produzione quotidiana raggiunge un livello massimo, o “picco”, e poi comincia a calare, Naturalmente, il giacimento o i giacimenti continueranno a produrre anche dopo il picco, ma saranno richiesti sempre più sforzi e spese per estrarre ciò che rimane. Alla fine, il costo di produzione eccederà i proventi delle vendite e l'estrazione sarà conclusa.

Per Hubbert ed i suoi seguaci, l'ascesa e il declino dei giacimenti petroliferi è una conseguenza inevitabile di forze naturali: il petrolio si trova in giacimenti sotterranei pressurizzati e quindi verrà spinto verso la superficie quando viene fatta una perforazione nel terreno. Tuttavia, una volta che una parte significativa delle risorse in quel giacimento sono state estratte, la pressione del giacimento scenderà e serviranno mezzi artificiali – acqua, gas, o inserimenti artificiali – per ripristinare la pressione e sostenere la produzione. Prima o poi, tali mezzi diventano costosi in modo proibitivo.

La teoria del picco del petrolio sostiene che ciò che è vero per un singolo giacimento, o serie di giacimenti, sia vero per il mondo nel suo insieme. Fino a circa il 2005, sembrava infatti che il mondo stesse finendo sempre più vicino ad un picco della produzione giornaliera di petrolio, come i seguaci di Hubbert avevano a lungo previsto. (Hubbert è morto nel 1989). Diversi sviluppi recenti hanno, tuttavia, sollevato domande sulla precisione della teoria. In particolare le grandi compagnie petrolifere private hanno preso ad impiegare tecnologie avanzate per aumentare la produzione dei giacimenti sotto il loro controllo, allungando la vita dei giacimenti esistenti attraverso l'uso di ciò che viene chiamato “maggior recupero di petrolio” (o EOR, nell'acronimo inglese). Le compagnie hanno anche usato nuovi metodi per sfruttare i giacimenti un tempo considerati inaccessibili in luoghi come l'Artico e le profonde acque oceaniche, aprendo così la possibilità di un futuro meno Hubbertiano.

Sviluppando queste nuove tecnologie, le “compagnie petrolifere internazionali” (IOC) di proprietà privata cercavano di superare il loro principale handicap: gran parte del “petrolio facile” del mondo – la cosa sulla quale si è concentrato Hubbert e che sgorga ogni qualvolta vien fatta una perforazione – è già stata consumata o è controllata da “compagnie petrolifere nazionali” (NOC) di proprietà dello stato, comprese la saudita Aramco, la Compagnia Petrolifera Nazionale Iraniana e la kuwaitiana Compagnia Petrolifera Nazionale, fra le altre. Secondo la IEA, queste compagnie di stato controllano circa l'80% delle riserve conosciute mondiali di petrolio, lasciando relativamente poco da sfruttare alle IOC.

Per aumentare la produzione dalle riserve limitate ancora sotto il loro controllo – principalmente dislocate in Nord America, nell'Artico e nelle acque adiacenti – le ditte private hanno lavorato sodo per sviluppare tecniche di sfruttamento del “petrolio difficile”. In questo, hanno avuto un grande successo: ora stanno portando nuovi flussi di petrolio nel mercato e, facendo questo, hanno scosso le fondamenta della teoria del picco del petrolio.

Coloro che dicono che il “picco del petrolio è morto” citano proprio questa combinazione di fattori. Allungando la vita dei giacimenti esistenti attraverso l'EOR e aggiungendo intere nuove fonti di petrolio, l'offerta globale può essere estesa all'infinito. Di conseguenza, dicono, il mondo possiede una “fornitura relativamente infinita” di petrolio (e gas naturale). Questo, per esempio, è stato il modo in cui Barry Smitherman della Commissione Ferroviaria del Texas (che regola l'industria petrolifera di stato) ha descritto la situazione globale ad un recente incontro della Società dei Geofisici di Esplorativi.

Il picco della tecnologia

Al posto del picco del petrolio, quindi, c'è una nuova teoria che non ha ancora un nome, ma che si potrebbe chiamare tecno dinamismo. Non c'è limite fisico, sostiene questa teoria, all'offerta globale di petrolio finché l'industria petrolifera è preparata, e gli viene consentito, ad applicare la propria stregoneria allo scopo di trovare e produrne di più. Daniel Yergin, autore dei classici dell'industria Il premio e La ricerca, è un sostenitore chiave di questa teoria. Ha recentemente riassunto la situazione in questo modo: “I miglioramenti tecnologici raggiungono risorse che non erano fisicamente accessibili e le trasformano in riserve recuperabili”. Di conseguenza, ha aggiunto, “le stime della riserva globale di petrolio continuano a crescere”.

Da questo punto di vista, l'offerta mondiale di petrolio è essenzialmente sconfinata. In aggiunta al petrolio “convenzionale” - quello che sgorga dal terreno – la IEA identifica 6 flussi potenziali di liquidi petroliferi: liquidi del gas naturale; sabbie bituminose e petrolio super pesante; petrolio da cherogene (solidi petroliferi derivati dallo scisto che devono essere fusi per diventare utilizzabili); petrolio di scisto; liquidi da carbone (CTL) e  liquidi da gas (GTL). Insieme, questi flussi “non convenzionali” potrebbero teoricamente aggiungere diversi trilioni di barili di petrolio potenzialmente recuperabile all'offerta globale, estendendo plausibilmente l'era del petrolio per centinaia di anni (e nel processo, attraverso il cambiamento climatico, trasformando il pianeta in un deserto inabitabile).

Ma proprio come il picco del petrolio aveva delle serie limitazioni, così le ha anche il tecno dinamismo. Al suo centro c'è la convinzione che la domanda mondiale di petrolio in aumento continuerà ad alimentare gli investimenti sempre più costosi nelle nuove tecnologie richieste per sfruttare le risorse di petrolio difficili da ottenere che rimangono. Come suggerito nell'edizione del 2013 del World Energy Outlook della IEA, tuttavia, questa convinzione dovrebbe essere trattata con un considerevole scetticismo.
Fra le sfide principali a questa teoria ci sono:

1. Aumento dei costi tecnologici: Mentre i costi per sviluppare una risorsa normalmente declinano nel corso del tempo mentre l'industria acquisisce esperienza con le tecnologie coinvolte, La legge di Hubbert dell'esaurimento non se ne va. In altre parole, le ditte petrolifere sviluppano invariabilmente le risorse di “petrolio difficile” più facili, lasciando le più difficili (e più costose) per dopo. Per esempio, lo sfruttamento delle sabbie bituminose del Canada è cominciato con la fascia mineraria di depositi vicini alla superficie. Siccome questi si stanno esaurendo, tuttavia, le ditte energetiche ora stanno inseguendo le riserve sotterranee profonde usando tecnologie di gran lunga più costose. Analogamente, molti dei depositi più abbondanti di petrolio di scisto in Nord Dakota ora sono stati esauriti, richiedendo un aumentato ritmo di trivellazioni per mantenere i livelli di produzione. Di conseguenza, riporta la IEA, il costo dello sviluppo di nuove risorse petrolifere aumenteranno continuamente: fino a 80 dollari al barile per il petrolio ottenuto usando tecniche avanzate di EOR, 90 dollari al barile per le sabbie bituminose e il petrolio extra pesante, 100 dollari o più per il cherogene o il petrolio Artico e 110 dollari per CTL e GTL. Il mercato potrebbe non essere in grado, tuttavia, di sostenere livelli così alti, mettendo in dubbio tali investimenti.

2. Crescente rischio politico e ambientale: Per definizione, le riserve di petrolio difficile sono dislocate in aree problematiche. Per esempio, un 13% stimato del petrolio mondiale non scoperto si trova nell'Artico, insieme al 30% del gas naturale non sfruttato. I rischi ambientali associati al loro sfruttamento nelle peggiori condizioni meteorologiche immaginabili diventeranno rapidamente più evidenti – e quindi, di fronte all'aumento del potenziale di sversamenti catastrofici in un Artico in fusione, aspettiamoci un aumento relativo dell'opposizione politica a tali perforazioni. Infatti, un recente aumento ha scatenato le proteste sia in Alaska sia in Russia, compreso il pluri-pubblicizzato tentativo del settembre 2013 degli attivisti di Greenpeace di scalare una piattaforma petrolifera russa in mare. Analogamente, l'espansione delle operazioni di fracking hanno provocato un aumento costante dell'attivismo anti-fracking. In risposta a tali proteste e ad altri fattori, le ditte petrolifere sono state costrette ad adottare norme di protezione ambientale sempre più stringenti, facendo aumentare ulteriormente il costo di produzione.

3. Riduzione della domanda legata al clima: Lo sguardo tecno-ottimista presume che la domanda di petrolio continuerà a salire, spingendo gli investitori a fornire i finanziamenti aggiuntivi necessari a sviluppare le tecnologie richieste. Tuttavia, mentre gli effetti di un cambiamento climatico dilagante accelerano, e probabile che sempre più entità politiche cerchino di imporre freni di un qualche tipo alla combustione di petrolio, sopprimendo la domanda – e scoraggiando così gli investimenti. Questo sta già accadendo negli Stati Uniti, dove aumenti obbligatori nell'efficienza degli standard di efficienza dei combustibili dei veicoli si prevede che riducano significativamente la domanda. La futura “distruzione della domanda” di questo tipo è destinata a imporre una pressione verso il basso sui prezzi del petrolio, diminuendo l'inclinazione degli investitori al finanziamento di nuovi e costosi progetti di sviluppo.

Combinate questi 3 fattori ed è possibile concepire un “picco della tecnologia”, non dissimile dal picco della produzione di petrolio originariamente immaginato da M. King Hubbert. Un tale tecno picco è probabile che accada quando le fonti “facili” di petrolio “difficile” siano state esaurite, gli oppositori del fracking e di altre sgradevoli forme di produzione abbiano imposto regolamenti ambientali restrittivi (e costosi) sulle operazioni di perforazione e la domanda globale sia diminuita sotto un livello sufficiente da giustificare investimenti in costose operazioni estrattive. A quel punto, la produzione globale di petrolio declinerà anche se le forniture son “sconfinate” e la tecnologia è ancora in grado di sbloccare più petrolio ogni anno.

Il picco del petrolio riconsiderato

La teoria del picco del petrolio, come concepita originariamente da Hubbert e dai suoi seguaci, era ampiamente governata da forze naturali. Come abbiamo visto, tuttavia, queste possono essere sopraffatte dall'applicazione di tecnologie sempre più sofisticate. Le riserve di energia un tempo considerate inaccessibili possono essere messe in produzione ed altre un tempo ritenute esaurite possono tornare in produzione; piuttosto che essere finite, le basi petrolifere mondiali ora sembrano virtualmente inesauribili.

Questo significa che la produzione globale di petrolio continuerà a salire, anno dopo anno, senza raggiungere un picco? Ciò appare improbabile. Quello che sembra di gran lunga più probabile è che assisteremo ad un lento assottigliamento della produzione nel prossimo decennio o due mentre i costi di produzione crescono e il cambiamento climatico – insieme all'opposizione alla strada scelta dai giganti dell'energia – prendono slancio. Alla fine, le forze che tendono a ridurre la disponibilità sovrasteranno quelle che favoriscono una maggiore produzione ed un picco della produzione stessa ne sarà il risultato, anche se non dovuto alle sole forze naturali.

Un tale risultato, infatti, è previsto in uno dei 3 possibili scenari energetici che gli esperti mainstream della IEA hanno tracciato nell'ultima edizione del World Energy Outlook. Il primo non prevede alcun cambiamento nelle politiche di governo nei prossimi 25 anni e vede la fornitura mondiale di petrolio salire da 87 a 110 milioni di barili al giorno per il 2035; il secondo prevede qualche tentativo di frenare le emissioni di carbonio e proietta quindi una produzione che raggiunge “solo” 101 milioni di barili al giorno per la fine del periodo di indagine.

E' la terza traiettoria, lo “Scenario 450”, che dovrebbe far sollevare le ciglia. Questo scenario prevede che si sviluppi uno slancio per un'azione globale per mantenere le emissioni di gas serra al di sotto delle 450 parti per milione – il livello massimo al quale sarebbe possibile evitare che le temperature medie globali salgano di 2°C (causando effetti climatici catastrofici). Di conseguenza, prevede un picco della produzione globale di petrolio intorno al 2020 a circa 91 milioni di barili al giorno, con un declino a 78 milioni di barili per il 2035.

Sarebbe prematuro suggerire che lo “Scenario 450” sarebbe il tracciato immediato per l'umanità, visto che è abbastanza chiaro che, al momento, ci troviamo su un'autostrada per l'inferno che si combina bene coi primi 2 scenari della IEA. Tenete in mente, inoltre, che molti scienziati credono che anche un aumento della temperatura di 2°C sarebbe sufficiente a produrre effetti climatici catastrofici. Ma mentre gli effetti del cambiamento climatico diventano più pronunciati nelle nostre vite, contate su una cosa: il clamore per un'azione da parte del governo diventerà più intenso e quindi alla fine è probabile che assisteremo a una qualche variante dello scenario 450 che prende forma. Nel processo, la domanda mondiale di petrolio sarà fortemente limitata, eliminando l'incentivo all'investimento in costosi nuovi schemi di produzione.

La linea di fondo: il picco globale del petrolio rimane nel nostro futuro, anche se non puramente per le ragioni date da Hubbert e dai suoi seguaci. Con la graduale sparizione del petrolio “facile”, le grandi ditte private sono costrette a sfruttare riserve sempre più difficili e fuori portata, portando quindi i costi di produzione ad aumentare e a scoraggiare potenzialmente nuovi investimenti in un tempo in cui il cambiamento climatico e l'attivismo ambientale sono in crescita.

Il picco del petrolio è morto! Lunga vita al picco del petrolio!

Michael T. Klare, un frequentatore regolare di TomDispatch, è un professore di studi sulla pace e la sicurezza mondiale al Hampshire College ed è autore, più di recente, de “La corsa a quel che è rimasto”, Una versione in forma di documentario del suo libro, “Sangue e petrolio” è disponibile presso il Media Education Foundation.