venerdì 24 maggio 2013

Dall'idea all'azione

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR




Di Antonio Turiel

Cari lettori,

la settimana passata ho vissuto una curiosa sinergia di conversazioni, tutte provenienti da ambiti più o meno scollegati ma che finiscono per convergere sullo stesso punto: la necessità imperiosa di favorire un cambiamento, soprattutto nella percezione, nella nostra società, come unico modo di evitare il collasso. I miei interlocutori non si sono messi d'accordo fra loro per  porre questo problema e, nonostante questo, i loro pensieri sono coincisi in tempi e scenari, anche se non nel modo di presentare le proprie idee. E giustamente una delle prime difficoltà sorge in questo modo e nel sapere fino a che punto uno sia disposto a puntare sul cambiamento di cui abbiamo bisogno.

I primi a pormi la questione sono stati dei buoni e vecchi amici di León, una coppia che conosco da tanto tempo che quasi mi vergogno a dire quanto. Ci siamo visti la settimana scorsa durante un giorno di riposo in cui ho approfittato per andare a trovare la mia famiglia. Con una famiglia grande come quella che ho io mi risulta difficile trovare un po' di tempo per andare a trovare gli amici di tutta una vita, così siamo riusciti solo a prendere un caffè. Questi amici hanno una ditta di medie dimensioni che fino ad ora era riuscita a resistere alla crisi con dignità e senza shock. Tuttavia, le prospettive a medio termine sembrano funeste. In cinque minuti mi hanno passato in rassegna i fatti più rilevanti per il futuro e non potevo che essere d'accordo sul fatto che le cose non si presentano per niente bene per loro. Subito mi hanno chiesto la mia opinione sul futuro prossimo, cosa che ho fatto e che poi abbiamo analizzato insieme. Alla fine entrambi mi hanno posto la necessità di creare un forum di discussione per León per definire il nuovo sistema, il nuovo paradigma di cui abbiamo bisogno. Stavamo parlando di creare una nuova base per lo sviluppo economico della zona, ma ci siamo subito concentrati sulla necessità di poter contare su filosofi, pensatori, con gente che potesse enunciare i nuovi valori sui quali si deve basare la nuova società, di come si deve fare una proposta valida per la società ed spingerla a coinvolgersi in questo progetto vitale.

Qualche giorno dopo Ugo Bardi mi ha fatto partecipe, insieme a molti altri, di un documento di discussione molto interessante sul perché la presa di coscienza sul cambiamento climatico non riesce a penetrare nella società, quali sono le barriere che si identificano e come dobbiamo fare per superarle (anche il suo ultimo post parla di questo). Uno degli aspetti chiave della discussione era come evitare che la gente che è in grado di comprendere il concetto (perché quadra con la sua struttura mentale precedente) cada nella negazione passiva del problema se non vede soluzioni fattibili alla propria portata. Per questo, c'è bisogno di una narrazione che mobiliti, possibilista, che promuova l'azione, che convinca il soggetto recettore del fatto che egli possa essere attore e motore del cambiamento, che di fatto tale cambiamento sarà possibile se molti come lui si mettono in marcia. Il documento in seguito sviluppa il come configurare tale narrazione.

Praticamente nello stesso momento ho cominciato a ricevere messaggi di un gruppo di discussione al quali mi sono iscritto quasi per caso da poco, che comprende personalità rilevanti come Ted Trainer e Saral Sarkar. La discussione particolareggiata è appassionante: un'analisi dettagliata dei diversi gruppi che hanno provato o provano a promuovere cambiamenti sostanziali nella nostra società e perché hanno fallito. La difficoltà maggiore identificata in questo documento è quella che pochi individui conoscono e integrano nel proprio discorso tutti gli aspetti coinvolti in questa crisi sistemica (dai limiti fisici alla crescita fino all'impossibilità di promuovere un cambiamento del sistema da dentro), per cui la trasmissione di questo messaggio si fa ardua, perché in più va a sbattere contro le barriere percettive della maggioranza della popolazione (cosa che, dalla mia modesta trincea, conosco abbastanza bene).

L'ultima di queste conversazioni sinergiche ha avuto luogo ieri su Facebook, fra i partecipanti abituali del programma Radioactividad. Juan Carlos Barba ci riportava una domanda di un ascoltatore: perché gli sforzi di divulgazione della realtà della crisi energetica arrivano solo a pochi, perché in realtà parliamo sempre agli stessi mentre la maggioranza in realtà non ci ascolta? Da qui è nato un piccolo dibattito dalle tinte maggiormente pessimiste, più centrato sul perché del nostro impegno divulgativo (volontà di servizio, interesse al bene comune) piuttosto che sul perché della nostra magra situazione. Nuovamente, il problema delle barriere percettive emerge con forza.

Il nesso comune delle quattro conversazioni erano sempre le barriere percettive della maggior parte della popolazione. La difficoltà (a volte enunciata direttamente come l'impossibilità dai miei interlocutori) di far capire un discorso che è in aperto conflitto con il discorso dominante e con le aspettative create nella maggior parte delle persone rispetto al loro futuro.

Di cosa abbiamo bisogno allora?

Ci serve un nuovo discorso. Ci serve una narrazione chiara, eroica, che converta la maggioranza della popolazione, che vede sé stessa come massa indifesa e sottomessa, in protagonista entusiasta del proprio futuro. Prima di discutere questioni tecniche sullo sfruttamento dell'energia e dei materiali, dell'uso dell'acqua, della disponibilità degli alimenti, del livello di popolazione adeguato in un pianeta che in definitiva è finito... prima di tutto questo abbiamo bisogno di dire una serie di cose ben chiare e abbiamo bisogno di dirle in modo tale che alla gente risulti evidente che debbano puntare su un progetto di vita e di futuro ed abbandonarne uno di morte e passato

Facile a dirsi, estremamente difficile a farsi. Cominciamo con l'enunciare una serie di verità semplici che sono state discusse in lungo e in largo su questo blog.




  • L'intenzione di prolungare artificialmente la vita di questo sistema agonizzante può causare solo sofferenza e morte. Non c'è vita nel sistema attuale, si sta uccidendo e con le sue code distruggerà tutte le cose che ci circondano e che crediamo garantite a vita. Le misure di austerità che si attuano oggigiorno sempre in più paesi occidentali non cercano di riattivare l'economia, ma di garantire il pagamento del debito ai grandi creditori internazionali e si sta spostando abusivamente questo debito, che è per la maggior parte debito privato, verso il debito pubblico che viene caricato sulle spalle di tutti. Questo processo di imputazione illegittima del debito non finirà spontaneamente, posto che il livello del debito è semplicemente insostenibile e si continuerà a caricarlo sugli Stati fino al loro fallimento e ancora, fino alla loro distruzione totale, in una logica economica che non ha senso in un mondo di risorse che non sono già scarse, ma sono in diminuzione. Mantenere il paradigma attuale obbligherà la popolazione a diminuire nello stesso modo, causando un'enorme mortalità, che sia indirettamente mediante fame e rivolte, o direttamente mediante guerre. E una tale cosa non succederà, come era abituale, soltanto nei paesi poveri del Terzo Mondo, ma anche nel tuo paese, caro lettore, che sia questo la Spagna, la Francia, la Germania o gli Stati Uniti (o l'Italia).  

  • Non si tratta soltanto di ottenere un cambiamento politico: certamente, c'è un livello di corruzione nella vita pubblica dei nostri paesi che grida al cielo, ma questa corruzione è prevalentemente un effetto e non la causa: non dobbiamo guardare il dito, ma la Luna. Se cambiamo i nostri sistemi politici e manteniamo quello economico, siccome le nostre risorse saranno in diminuzione, il potere economico tornerà ugualmente a corrompere il potere politico e le cose torneranno al punto di partenza. Finché non capiamo che quello che ci manca è la riforma del sistema economico (ed anche quello politico, sicuramente) non andremo avanti di mezzo millimetro. 

  • Non è sicuro che non ci siano alternative al sistema attuale. Si che ci sono e non sono – come tante volte si presume nelle discussioni – i sistemi comunisti falliti dei paesi dell'Est del ventesimo secolo. Sono sistemi economici basati sulla non crescita, sulla stabilità e sulla sostenibilità. Sono i paradigmi sviluppati dall'Economia Ecologica, o la scuola dell'Economia dello Stato Stazionario, o tante altre. C'è ancora molto da imparare, ma i fondamenti teorici sono chiari: l'economia è parte dell'ecologia, del mondo fisico nel quale ci muoviamo e tanti input come esternalità devono essere opportunamente tenuti in conto. 

  • Non è sicuro che non possiamo cambiare le cose: in ultima istanza, le molle ultime di tutto, dalla produzione dei beni economici alle istituzioni pubbliche e private, sono le persone. Persone che, come tu e io, vogliono una vita degna per sé e per i propri discendenti. Se comprendiamo che non c'è vita possibile nel sistema attuale, tutti agiremo per cercare un'alternativa ragionevole, dal banchiere di Wall Street al macellaio del tuo quartiere. 

  • Ci serve un cambiamento:  non possiamo permettere che il nostro vicino ed i suoi figli finiscano a cercare da mangiare nella spazzatura o si dedichino al furto. Domani potrebbero essere i nostri amici, i nostri fratelli o noi stessi. Non ha senso attaccarci a qualcosa che ci trascina verso il fondo di una palude sporca e fredda. Ci serve un cambiamento. Abbiamo bisogno di vivere senza questo stress di non sapere se l'anno prossimo avremo lavoro o potremo pagare l'ipoteca. Abbiamo bisogno di vivere, essere felici, sorridere. Abbiamo bisogno di essere umani. 


E' questo il quadro. Ora, a partire da esso, dobbiamo costruire la storia. La nostra storia, La tua storia, caro lettore. Perché se vogliamo costruire il futuro, se crediamo che il cambiamento e il futuro siano possibili, dobbiamo uscire tutti, anche tu, là fuori e dirlo a voce alta. Spegni il computer, alzati dalla sedia, esci là fuori e costruisci, costruiamo, la nostra Storia.


Saluti.
AMT