venerdì 30 aprile 2010

La leggenda dei climatologi imbroglioni


Un giorno, i cammellieri dei deserti della Padania continueranno a raccontarsi la leggenda dei climatologi imbroglioni. 


Pochi giorni fa, uno dei membri del gruppo di "Climalteranti" è stato invitato a parlare  in TV. Quando ha chiesto qualche dettaglio su cosa si sarebbe detto nella trasmissione, la giornalista ha risposto che la trasmissione sarà dedicata, fra le altre cose a rispondere alla domanda, "perchè alcuni climatologi hanno falsificato i dati, denunciando una situatione peggiore di quanto effettivamente sia?

Insomma, la giornalista non si chiede se i climatologi hanno veramente imbrogliato, ma soltanto perché lo hanno fatto. Per lei, l'imbroglio è cosa assodata, nonostante che tutte le varie commissioni di inchiesta abbiano scagionato gli scienziati da ogni accusa. Le leggende si sa, hanno una vita propria e rapidamente diventano indipendenti da dati e fatti. E' probabile che in giro ci sia ancora un bel po' di gente che crede veramente che le fogne di New York siano piene di coccodrilli ciechi.

A sgonfiare la leggenda dei climatologi imbroglioni ci provano Stefano Caserini e Carlo Barbante con il post che segue (tratto da "Climalteranti"). Ottimo post, ma gli autori sono decisamente troppo ottimisti quando dicono che "il caso del trucco dei dati è chiuso". Ahimé, questa cosa dei climatologi imbroglioni probabilmente si continuerà a raccontare anche quando ci saranno le carovane di cammelli nei deserti della Padania.

Comunque, il post vale la pena di leggerlo. Eccolo qui di seguito

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Perché si è sgonfiato il Climategate /1 – Il trucco che non c’era

In questo primo post si mostra come la notizia diffusa in seguito allo scandalo “Climategate”, secondo cui i dati del clima erano stati “truccati”, fosse infondata.



Sono passati 5 mesi da quando, il 20 novembre 2009, scoppiò in tutto il mondo il “Climategate”.

Come si ricorderà, il furto dai server di un’università inglese di migliaia di email private, scambiate in un decennio da alcuni fra i più importanti scienziati del clima, suscitò un putiferio, fece gridare allo scandalo, chiamato in seguito con molta enfasi “Climategate”.

Già in quei giorni avevamo scritto che, sulla base di quanto si poteva leggere, era estremamente improbabile che ci fosse della sostanza scientifica in quella vicenda, e che la ritenevamo “un’altra delle polemiche senza vera sostanza, utili per illuderci ancora un po’ che possiamo non preoccuparci del riscaldamento globale“.

La maggior parte dei giornali e delle televisioni italiane, nonché molti blog che si occupano di clima, scrissero articoli molto diversi, dando per buone molte delle favole raccontate dalla grancassa negazionista italiana e straniera.

Con calma, esaminando le carte, si può ora dire che avevamo visto giusto, e avevano visto sbagliato quanti avevano anteposto ai fatti e alle risultanze scientifiche la propria volontà di non credere alla crisi climatica.

È ormai chiaro, come mostreremo in questo e in altro post, come le email avessero spiegazioni del tutto innocue, che non prevedevano l’alterazione dei dati della scienza del clima e ancor di più non mettevano in discussione l’onestà e la buona fede degli scienziati.

Cominciamo in questo post da uno dei casi più citati, la presunta falsificazione dei dati sul clima.
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“I’ve just completed Mike’s Nature trick of adding in the real temps to each series for the last 20 years (ie from 1981 onwards) and from 1961 for Keith’s to hide the decline”

Ho appena utilizzato il trucchetto usato da Mike [Mann, ndr] nell’articolo pubblicato su Nature di aggiungere le temperature reali a ciascuna serie degli ultimi 20 anni (cioè a partire dal 1981) e dal 1961 per quelli di Keith [Briffa, ndr]. per nascondere il declino”.

Questa è la frase incriminata, proveniente da un’email scritta da Phil Jones, che ha fatto il giro del mondo ed è stata ripetuta e commentata con sdegno migliaia di volte.

Le parole “trick” (trucchetto) e “hide the decline” (nascondere il declino) sono inequivocabili”, ha scritto sul Foglio Pietro Vietti, autore di numerosi articoli in cui la falsificazione dei dati viene data come fatto acquisito.

Secondo Roberto Vacca nelle email Mann e Jones “discutevano i trucchi per negare che ci fu un periodo caldo medioevale e nascondere misure recenti di temperature in diminuzione” (Nova-IlSole 24 ore del 4/2/2010).

Federica Paci ha scritto su La Stampa che Phil Jones si era dimesso a dicembre “per lo scandalo delle email che mostravano come i ricercatori avessero falsificato alcuni dati“.

Se le mail fossero vere” (e lo erano, ndr), il problema è che “queste lisciatine ai dati abbiano spinto nella direzione di evidenziare un riscaldamento che in realtà potrebbe non esserci stato“, diceva a milioni di persone sul TG2 Teo Georgiadis.

Le bugie e i trucchi sul clima“, ha titolato a tutta pagina il Corriere della Sera, che in successivi articoli ha dato come fatto acquisito che dalla vicenda sia emerso che i dati sul clima erano stati truccati.

Non so descrivere il mio disgusto quando ho letto alcune lettere confidenziali in cui risulta inequivocabile un enorme misfatto perpetrato contro i più elementari canoni della scienza“, è scritto in un articolo di Mario Tomasino sul Giornale dell’Ingegnere.

Figure non proprio adamantine” dediti all’attività di “utilizzare metodi scientificamente poco corretti per produrre e/o enfatizzare dei dati scientifici“, è la sentenza che si può leggere nel recente libro “Riscaldamento globale: la fine” di Angelo Rubino e Davide Zanchettin.

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Il “trucco” di cui si parlava nella email fra Jones e Mann era semplicemente un modo di dire, slang scientifico per indicare un modo per risolvere le discrepanze fra due serie di dati: i dati delle temperature misurate, che mostravano un chiaro aumento negli ultimi tre decenni, e i dati ricavati da alcune proxy dendrometriche, che mostravano invece una diminuzione dopo il 1961, dovuta all’incapacità di queste variabili proxy di misurare il riscaldamento del pianeta dovuto in larga parte all’attività antropica. In pratica, non si voleva certo non considerare le temperature dei termometri, ma anzi Jones comunica nella mail di voler di usare quest’ultime, al posto delle temperature ricostruite dalle serie dendrometriche che erano state giudicate non adeguate, in un diagramma sulla ricostruzione delle temperature degli ultimi 1000 anni.

Il problema della divergenza era ben noto nella letteratura (si veda la figura a fianco, pubblicata qui); il metodo del non considerare i dati divergenti era stato pubblicato nella letteratura scientifica, spiegato alla luce del sole, e accettato fra gli esperti del settore come un modo adeguato di elaborare i dati.

Per chi volesse approfondire, la vicenda è ben spiegata qui.

Per chi non volesse approfondire autonomamente, può essere utile tener conto che per far luce sulla vicenda, quattro diverse organizzazioni hanno istituito gruppi e commissioni di indagine, composti da persone di diverse competenze e provenienze.

1) Il Parlamento inglese ha istituito una commissione che dopo varie audizioni ha scritto un rapporto finale;

2) L’University of East Anglia ha attivato un’inchiesta, affidandola a scienziati esterni ed indipendenti, il cui resoconto completo è chiamato anche “Rapporto  Oxburgh“;

3) L’Università della Pennsylvania ha indagato l’operato di uno dei suoi docenti, Micheal Mann, con un responso inequivocabile;

4) Cinque giornalisti dell’Associated Press hanno letto e riletto tutte le email e hanno concluso che le email mostrano che gli scienziati erano interessati solo a mostrare i dati nel modo più convincente possibile.

Da queste quattro indagini emerge in modo lampante che nessuno ha truccato dati, ne Philip Jones, ne Michael Mann, ne altri.

Le conclusioni del rapporto Rapporto Oxburgh, hanno messo in evidenza che i ricercatori hanno lavorato in modo rigoroso e secondo i canoni della ricerca scientifica, evidenziando chiaramente le metodologie utilizzate e le incertezze associate alle ricostruzioni delle temperature nel corso degli ultimi secoli. Non ci sono evidenze che i ricercatori abbiano manipolato i dati, cosa che sarebbe stata facile da scoprire dalla commissione di esperti. Anche gli strumenti statistici utilizzati, seppur migliorabili, hanno prodotto un record di temperature robusto.

La CRU ha inoltre dimostrato come le ricostruzioni delle temperature a scala globale ed emisferica siano insensibili sia al metodo di trattamento dei dati che al numero di serie temporali utilizzate.

Il rapporto Oxburgh contiene anche una critica velata all’IPCC, responsabile, secondo gli estensori, di non aver tenuto in debita considerazione nel quarto Assessment Report (AR4) la discrepanza tra i record di temperatura ricostruiti attraverso gli anelli di accrescimento degli alberi e le ricostruzioni strumentali della temperatura, come già spiegato qui sopra. Leggendo il Capitolo 6 dell’AR4-WG1 ci si rende conto invece di come questo argomento sia trattato con enfasi, tanto da essere anche ripreso nel rapporto tecnico. Non è stato ripreso nel sommario per i decisori politici, come tante altre cose importanti contenute nel primo rapporto di valutazione.
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A distanza di 5 mesi, a “bocce ferme” si quindi può ritenere senza ombra di dubbio che l’uso della parola “trucco” era del tutto innocuo, e non prevedeva affatto un’alterazione dei dati.

È questa una cosa assodata, che è persino stata riconosciuta nell’audizione alla Commissione Parlamentare inglese da uno dei più attivi e storici negazionisti inglesi, Nigel Lawson, che è stato un vero e proprio pupillo di uno dei principali centri italiani di disinformazione sulla tematica climatica: “trick” è un modo di dire accettabile e non sta a significare che i dati siano stati manipolati” (…).
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Insomma, il caso del “trucco” dei dati è chiuso.

Testo di Stefano Caserini e Carlo Barbante