giovedì 4 agosto 2016

Alcune riflessioni sul crepuscolo dell'era del petrolio – parte prima

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR




Guest post di Louis Arnoux

Questo post in tre parti è stato ispirato dal recente post di Ugo riguardo a “Un mondo 100% rinnovabile è possibile?” e dalla recente discussione nel gruppo di discussione di Ugo su come mai gli “Economisti ancora non capiscono?” Il post integra anche numerose discussioni e scambi che ho avuto con colleghi e partner d'affari negli ultimi tre anni.

Introduzione
Almeno dalla fine del 2014 c'è stata una confusione crescente su prezzi del petrolio, se il cosiddetto “picco del petrolio” si fosse già verificato o se si verificherà in futuro e quando, per questioni di valori di EROI (o EROEI) delle attuali fonti energetiche e delle alternative, cambiamento climatico e fantasmatico limite di riscaldamento di 2°C e riguardo alla fattibilità del passare rapidamente a fonti di energia rinnovabili o sostenibili. In generale, conta molto se un orizzonte temporale ragionevole per agire è, diciamo, di 50 anni, nel complesso i guai che stiamo contemplando si verificano ben oltre il 2050, o se siamo già in guai seri e il quadro temporale per cercare di tirarci fuori è di circa 10 anni. Rispondere a questo tipo di domanda richiede di fare molta attenzione alle definizioni di limite di sistema ed esaminare tutte le cose date per scontate.

Ci sono voluti oltre 50 anni perché i climatologi venissero ascoltati e che i politici raggiungessero l'Accordo di Parigi sul cambiamento climatico (CC) e la chiusura della COP21 l'anno scorso. Come senza dubbio potere cogliere dal titolo, io sono dell'idea che non abbiamo 50 anni per disperarci per il petrolio. Nelle tre sezioni di questo post per prima cosa esaminerò accuratamente dove ci troviamo in senso petrolifero; poi considererò in che modo questa situazione ci richieda di fare del nostro meglio per districarci dall'attuale confusione prevalente e pensare direttamente al nostro dilemma e nella terza parte offrirò alcune considerazioni a proposito del breve termine, i prossimi 10 anni – come affrontarlo, cosa non funzionerà e cosa potrebbe e l'urgenza di agire, senza ritardi.


Prima parte – Alice guarda il fondo del barile
Nel suo recente post, Ugo ha contrastato il punto di vista dei lettori di Doomstead Diner con quella degli esperti di energia a proposito della fattibilità della sostituzione dei combustibili fossili in un quadro temporale ragionevole. Dal mio punto di vista, gli ospiti di Doomstead avevano una percezione della situazione molto migliore di quella degli “esperti” del sondaggio di Ugo. Ad essere franchi, lungo le attuali linee prevalenti non ce la faremo. Qui non mi riferisco solo ai partiti del BAU (Business As Usual) che sostengono la bella vita basata su combustibili fossili e nucleare. Includo anche tutti gli attuali sforzi per implementare le alternative e combattere i CC. Ecco il perché.

Il costo della sostituzione di sistema
Ciò che un gran numero di specialisti di tecnologie energetiche non colgono sono le sfide della sostituzione di un intero sistema – passare da un basato sui combustibili fossili ad un 100% sostenibile in un dato periodo di tempo. Naturalmente, la prima domanda riguarda la necessità o meno di una sostituzione dell'intero sistema. Per coloro di noi che hanno già concluso che questa è una necessità urgente, se solo dovuta al CC, non c'è bisogno di discuterne qui. Per coloro che non hanno ancora chiarezza su questo punto, spero che la cosa diventerà molto più chiara fra qualche paragrafo.

Quindi tornando per ora alla sostituzione dell'intero sistema, la prima sfida ai quali molti rimangono ciechi è l'enorme costo energetico della sostituzione dell'intero sistema in termini di 1° Principio della Termodinamica (cioè quanta energia netta serve per sviluppare ed dispiegare un intero sistema alternativo, mentre quello vecchio deve essere mantenuto in funzione e progressivamente sostituito) e che riguarda anche il 2° Principio della Termodinamica (cioè, il calore di scarto implicato nel processo di sostituzione dell'intero sistema). I problemi implicati sono per prima cosa capire quanta energia primaria fossile richiede un tale passaggio, in aggiunta a quella richiesta dal BAU in corso e fino al momento in cui una qualsiasi alternativa sostenibile sia riuscita a diventare auto sostenuta, poi accertarsi da dove potrebbe provenire quest'energia addizionale.

La fine dell'era del petrolio è adesso
Se avessimo un intero secolo di fronte a noi per fare la transizione, sarebbe relativamente facile. Sfortunatamente, non abbiamo più quell'agio visto che la seconda sfida chiave è il quadro temporale rimanente per la sostituzione completa del sistema. Ciò che sfugge a molti è che la fine rapida dell'era del petrolio è iniziata nel 2012 e sarà finita entro 10 anni. Al meglio della mia conoscenza, il materiale più avanzato su questo argomento è l'analisi termodinamica dell'industria petrolifera (IP) come sistema complessivo intrapresa da The Hill's Group (THG) più o meno negli ultimi due anni (http://www.thehillsgroup.org). Il THG sono degli ingegneri petroliferi statunitensi con grande esperienza condotti da B.W. Hill. Trovo la sua analisi elegante e dura. Per esempio, una delle sue uscite riguarda i prezzi del petrolio. In un periodo di 56 anni, il suo fattore di correlazione coi dati storici è di 0,995. Di conseguenza, hanno cominciato ad avvertire circa il crollo del prezzo del petrolio che è iniziato nel 2014 già nel 2013 (vedete: http://www.thehillsgroup.org/depletion2_022.htm). In ciò che segue mi baso sul rapporto del THG e sul mio lavoro.

Tre figure che riassumono la situazione in cui ci troviamo piuttosto bene, dal mio punto di vista.



Figura 1 – Fine del gioco

Per ragioni puramente termodinamiche, l'energia netta consegnata al mondo industriale globalizzato (MIG) per barile dall'industria petrolifera (IP) sta rapidamente tendendo a zero. Per energia netta intendiamo qui ciò che la IP consegna al MIG, essenzialmente sotto forma di carburanti per il trasporto, dopo che è stata sottratta l'energia usata dall'IP per esplorazione, produzione, trasporto, raffinazione e consegna dei prodotti finali. Tuttavia, le cose precipitano ben prima di raggiungere “ground zero”, cioè, entro 10 anni l'IP come la conosciamo si sarà disintegrata. In realtà, diversi analisti di enti come Deloitte Chatham House, che fanno vaticini finanziari, stanno progressivamente raggiungendo lo stesso tipo di conclusione. [1] L'era del petroliosta finendo adesso, non in una lenta, dolce e lunga discesa dal “Picco del petrolio”, ma un in rapido esaurimento dell'energia netta. Questo ora si combina con cose come il cambiamento climatico e i problemi di debito pubblico per generare quella che chiamo un “tempesta perfetta”, grande abbastanza da mettere in ginocchio il MIG.


In un mondo come quello di Alice

Al momento, sotto il paradigma prevalente, non esiste alcun modo conosciuto per uscire dalla tempesta perfetta entro i limiti di tempo emergenti (il tempo disponibile si è contratto di un ordine di grandezza, da 100 a 10 anni). E' qui che penso che il lettori di Doomstead Diner prevedono bene. Molti lettori hanno senza dubbio famigliarità col cosiddetto effetto “Regina rossa”, illustrato nella figura 2 – dover correre forte per rimanere nello stesso punto ed ancora più forte per riuscire ad andare avanti. L'IP è pienamente alle prese con questo effetto.






Figura 2 – Bloccati su un binario che va verso il nulla


La parte alta della Figura 2 evidenzia che, a causa del declino dell'energia netta per barile, l'IP deve continuare a correre sempre più veloce (vedi pompare petrolio) per continuare ad alimentare il MIG con l'energia netta di cui necessita. Ciò che a molti sfugge è che a causa dello stesso rapido declino dell'energia netta per barile verso lo zero, l'IP non può continuare a “correre” per più di qualche anno – per esempio B.W. Hill considera che entro 10 anni il numero di pompe di benzina negli Stati Uniti si sarà ridotto del 75%...

Ciò che a sua volta molti trascurano, raffigurato nella parte bassa della Figura 2, è ciò che chiamo l'effetto regina rossa inverso (1/RR). Costruire un intero sistema alternativo richiede energia, che inizialmente deve provenire in larga parte dall'attuale sistema alimentato a combustibili fossili. Se il passaggio avviene troppo rapidamente, il drenaggio di energia netta uccide letteralmente il sistema BAU esistente. [2] Più il tempo della transizione è breve, più duro è l'effetto 1/RR.

Stimo che il tasso di crescita limite di tutto il sistema alternativo sia del 7% di crescita all'anno. In altre parole, gli attuali tassi di crescita del solare e dell'eolico, ben al di sopra del 20% e in alcuni casi oltre il 60, non sono praticabili globalmente. Tuttavia, il tipo di tassi di crescita necessari per una transizione molto breve nel quadro temporale della tempesta perfetta, nell'ordine del 35%, sono ancora meno praticabili – se ci atteniamo al paradigma prevalente, cioè. Come suggerisce la parte finale della Figura 2, c'è una via d'uscita concentrandosi sull'attuale enorme spreco di energia, ma attualmente questa strada non viene presa.

Sulla strada per Olduvai
Dal mio punto di vista, dato che quasi tutto all'interno del MIG richiede trasporto e che detto trasporto dipende ancora per circa il 94% da carburanti derivati dal petrolio, il rapido esaurimento dell'energia netta del petrolio deve essere considerata come l'evento che definisce il XXI secolo – governa la funzionalità di tutte le altre fonti di energia, così come quella dell'intero MIG. A questo proposito, il parametro cruciale da considerare non è la quantità assoluta di petrolio estratto (come fanno persino i “picchisti”), come i milioni di barili prodotti all'anno, ma l'energia netta proveniente dal petrolio pro capite della popolazione globale, visto che quando questa si avvicina troppo allo zero ci dobbiamo attendere un collasso sociale completo, globalmente.

Il quadro complessivo, come descritto nella Figura 3, è quello della “Madre di tutte le curve di Seneca” (per usare l'espressione di Ugo). Presenta l'energia netta pro capite della popolazione globale. [3] La Gola di Olduvai come sfondo è un ammiccamento allo scenario del dottor Richard Duncan (egli ha usato i barili di petrolio equivalenti, che è stato un errore) e utile a sottolineare le terribili conseguenze nel caso raggiungessimo “il fondo della gola” - una specie di destino da “cacciatori-raccoglitori postmoderni”.

Il petrolio è stato usato per migliaia di anni, in modo limitato nelle aree in cui questo sgorgava naturalmente o dove potevano essere scavati piccoli pozzi. Si è iniziato ad estrarre sabbie bituminose in maniera industriale nel 1745 a Merkwiller-Pechelbronn, nel nordest della Francia (il luogo di nascita di Schlumberger). Da tali inizi molto modesti ad un picco all'inizio degli anni 70, l'ascesa ha impiegato oltre 220 anni. La ricaduta verso lo zero impiegherà circa 50 anni. L'incredibile crescita economica nei tre decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale è stata di fatto alimentata da una crescita del 321% dell'energia netta pro capite. Il picco di 18 GJ a testa circa nel 1973 è stato in realtà di circa 40 GJ a testa per coloro che avevano accesso al petrolio in quel momento, cioè la parte industrializzata della popolazione globale.






Figura 3 – La “Madre di tutte le curve di Seneca”


Nel 2012 l'IP ha cominciato ad usare più energia per barile nei suoi processi (dall'esplorazione petrolifera al trasporto dei carburanti alle pompe di benzina) del netto che consegna al MIG. Ora ci troviamo al di sotto dei 4 GJ di energia a testa e diminuisce rapidamente.


In realtà è questo ora che governa i prezzi: dal 2014, tramite milioni di transazioni commerciali (che fungono da “mano invisibile” dei mercati), sta progressivamente filtrando la realtà secondo cui il MIG si può permettere solo prezzi del petrolio in proporzione alla quantità di crescita del PIL che può essere generato da un'energia netta consegnata per barile in rapida contrazione, che non è più molta. Presto sarà zero. Quindi i prezzi del petrolio sono in realtà in una tendenza al ribasso verso lo zero.


Per farvi fronte, l'IP ha cannibalizzato sé stessa dal 2012. Questa tendenza sta accelerando ma non può continuare molto a lungo. Persino gli analisti mainstream hanno cominciato a riconoscere che l'IP non sta più rifondendo le proprie riserve. Siamo entrati in tempi di svendita, come mostrato dai recenti annunci dell'Arabia Saudita (il cui giacimento principale, Ghawar, è probabilmente esaurito per oltre il 90%) per vendere parte della Aramco e fare un rapido passaggio da una dipendenza del 100% dal petrolio verso il “solare”.

Dato ciò che descrivono le Figure da 1 a 3, dovrebbe essere ovvio che riprendere la crescita lungo le linee del BAU non è più fattibile e che affrontare il CC come previsto alla COP21 di Parigi è a sua volta non fattibile e che esporsi ad ancora più debito che non potrà mai essere rimborsato non è più una soluzione, nemmeno sul breve termine.

E' tempo di “quagliare” e ciò richiede un cambiamento di paradigma in grado di evitare entrambi i limiti di gli effetti RR e 1/RR. Dopo quasi 45 anni di ricerca, i miei colleghi ed io pensiamo che questo sia ancora fattibile. A meno di questo, no, non ce la faremo, in termini di sostituzione delle risorse fossili con quelle rinnovabili all'interno del quadro temporale rimanente o in termini di sopravvivenza del MIG.


A seguire:


Parte seconda – Indagare l'appropriatezza della domanda

Parte terza - Trovarsi leggermente oltre il bordo del dirupo


[1] Vedete per esempio, Stevens, Paul, 2016, Società petrolifere internazionali: la morte del vecchio modello di business, Energia, saggio di ricerca, Energia, Ambiente e Risorse, Chatham House; England, John W., 2016, A corto di capitale? Il rischio di mancanza di investimento in petrolio e gas è amplificato dalle priorità di cassa in competizione, Deloitte Center for Energy Solutions, Deloitte LLP. La Banca di Inghilterra ha recentemente commentato: “L'industria del petrolio greggio e del gas naturale assediate hanno tagliato le spese di capitale fino ad un punto al di sotto dei livelli minimi necessari per sostituire le riserve – la sostituzione di riserve provate nel passato ha costituito circa l'80% della spesa dell'industria. Tuttavia, l'industria ha tagliato le sue spese di capitale di un totale del 50% nel 2015 e nel 2016. Secondo il nuovo studio di Deloitte [di cui si è parlato sopra], questa mancanza di investimento esaurirà rapidamente la disponibilità futura di riserve e di produzione”.

[2] Questo effetto viene anche definito “cannibalizzazione”. Vedete per esempio, J. M. Pearce, 2009, Strategie di mitigazione dei gas serra per sopprimere il cannibalismo energetico, Seconda conferenza sulla tecnologia del cambiamento climatico, 12-15, Hamilton, Ontario, Canada. Tuttavia, nell'industria petrolifere e più in generale nell'industria estrattiva, il cannibalismo di solito si riferisce a ciò che fanno le società quando stanno raggiungendo la fine delle riserve estraibili e tagliano sulla manutenzione, svendono beni o ne acquisiscono alcuni da società fallite per cercare di sopravvivere un po' più a lungo. Attualmente sono in corso molte cessioni di beni per rattoppare il petrolio e il gas di scisto, stessa cosa fra le major, Lukoil, BP, Shell, Chevron, etc… Fra i tagli di spesa e le cessioni di beni le quantità coinvolte sono nell'ordine di 1-2 trilioni di dollari.

[3] Questo grafico è basato sui dati di energia netta di THG, sui dati di produzione della BP e sui dati demografici dell'ONU.

lunedì 1 agosto 2016

Quanto effetto serra genera un bambino in più?



Da“OSU”.Traduzione di MR (via Bodhi Paul Chefurka)
31/07/2009


CORVALLIS, Oregon. – Alcune persone che sono serie riguardo al voler ridurre la propria “impronta di carbonio” sulla Terra hanno a disposizione una scelta che potrebbe fruttare un beneficio a lungo termine – avere un figlio di meno.

Uno studio degli statistici dell'Università di Stato dell'Oregon (USO) ha concluso che negli Stati Uniti, l'impatto e l'eredità di carbonio e gas serra di un figlio in più è quasi 20 volte più importante di alcune delle altre pratiche ambientali sensibili che le persone potrebbero impiegare per tutta la loro vita – cose come guidare una macchina che consuma poco, riciclare, o usare elettrodomestici energeticamente efficienti e lampadine a basso consumo.
La ricerca chiarisce anche che gli impatti potenziali del carbonio variano drammaticamente di paese in paese. L'impatto a lungo termine del carbonio di un bambino nato negli Stati uniti – insieme a tutti i suoi discendenti – è più di 160 colte l'impatto di un bambino nato in Bangladesh.
Nelle discussioni sul cambiamento climatico tendiamo a concentrarci sulle emissioni di carbonio individuali durante il suo ciclo di vita”, ha detto Paul Murtaugh, un professore di statistica della USO. “Quelli sono problemi importanti ed è essenziale che debbano essere considerate. Ma una sfida aggiuntiva di fronte a noi è la continua crescita della popolazione e l'aumento del consumo globale di risorse”.
In questo dibattito è stata prestata pochissima attenzione all'enorme importanza della scelta riproduttiva, ha detto Murtaugh said. Quando un individuo mette al mondo un bambino – e quel bambino potenzialmente metterà al mondo altri discendenti in futuro – l'effetto sull'ambiente può essere di molte volte l'impatto prodotto da una persona durante il proprio ciclo di vita.
Nelle condizioni attuali degli Stati uniti, per esempio, ogni bambino alla fine aggiunge 9.441 tonnellate di biossido di carbonio all'eredità di carbonio di un genitore medio – circa 5,7 volte le emissioni di un ciclo di vita di cui è responsabile, in media, una persona.

Ed anche se alcune nazioni in via di sviluppo hanno popolazioni molto maggiori e i tassi di crescita della popolazione maggiori di quelli degli Stati Uniti, il loro impatto complessivo sull'equazione globale viene spesso ridotto da aspettative di vita minori e da minore consumo. L'impatto a lungo termine di un bambino nato in una famiglia in Cina è meno di un quinto dell'impatto di un bambino nato negli Stati Uniti, ha scoperto lo studio.
Man mano che il mondo in via di sviluppo aumenta la sua popolazione e i suoi livelli di consumo, questo potrebbe cambiare.
La Cina e l'India ora stanno aumentando costantemente le loro emissioni di carbonio e lo sviluppo industriale ed altre nazioni in via di sviluppo potrebbero a loro volta continuare ad aumentare alla ricerca di standard di vita più alti”, ha detto Murtaugh.
Lo studio ha esaminato diversi scenari di cambiamento dei tassi di emissione, il più aggressivo dei quali è stato di una riduzione del 85% delle emissioni globali di carbonio da adesso al 2100. Ma le emissioni in Africa, che comprendono 34 dei 50 paesi meno sviluppati del mondo, stanno già più del doppio di quel livello.

I ricercatori chiariscono che non stanno sostenendo controlli governativi o l'intervento sui problemi della popolazione, ma dicono che vogliono semplicemente rendere le persone consapevoli delle conseguenze ambientali delle loro scelte riproduttive.
Molte persone sono inconsapevoli del potere della crescita esponenziale della popolazione”, ha detto Murtaugh. “La crescita futura amplifica le conseguenze delle scelte riproduttive dei oggi delle persone, allo stesso modo in cui l'interesse composto amplifica un saldo bancario”.
Murtaugh ha osservato che i loro calcoli sono rilevanti per altri impatti ambientali oltre alle emissioni di carbonio – per esempio, il consumo di acqua potabile, che molti credono stia già scarseggiando.


sabato 30 luglio 2016

Il confronto fra scienziati del clima e i loro detrattori: non c'è proprio partita



La società chimica italiana ha preso una netta posizione in favore della scienza del clima


Ho raccontato in un post precedente della figuraccia che ha fatto la società italiana di fisica rifiutandosi di firmare un documento condiviso da 14 società scientifiche italiane a sostegno della scienza del clima. Poi, hanno fatto anche di peggio con le giustificazioni che hanno dato. Non certamente una bella figura per la fisica italiana, il cui prestigio era già scosso dall'appoggio che il Dipartimento di Fisica dell'Università di Bologna aveva inizialmente dato alla storia del'E-Cat.

Al contrario, la società di chimica italiana ha preso una netta posizione in favore della scienza del clima. Nell'articolo riportato qui di seguito, "Saperescienza" racconta la storia, sfortunatamente dandone un'interpretazione un tantino semplificata, come se fosse una partita di calcio fra la società di chimica e quella di fisica. In realtà, nel campo della scienza del clima, se si mettono a confronto i veri scienziati e i loro detrattori, non c'è proprio partita. Per fortuna, l'articolo termina in modo corretto dicendo che " astensioni come quelle della Società Italiana di Fisica rischiano di alimentare lo scetticismo con gravi effetti sulle politiche ambientali di contenimento di un fenomeno che è tutt'altro che sottovalutabile."

(U.B.)

I cambiamenti climatici e l' "astensione" della Società Italiana di Fisica

13 Luglio 2016

I cambiamenti climatici sono un'emergenza da fronteggiare, determinata dall'attività umana? "Sì", per i chimici italiani, "ni" per i fisici. Almeno questo è quello che sembra emergere dalle prese di posizione della Società Chimica Italiana (SCI) e della Società Italiana di Fisica (SIF). O meglio, dalla non presa di posizione di quest'ultima.

Mentre la SCI, in un documento, riconosce infatti nei cambiamenti climatici una delle "principali minacce per lo sviluppo sostenibile" e si associa alla necessità, globalmente percepita, di ridurre le emissioni di gas serra e di adottare adeguati piani di adattamento agli impatti negativi previsti dagli attuali modelli climatici, la SIF preferisce non esprimersi in modo così netto.

Alla fine dell'anno scorso, dodici associazioni scientifiche italiane hanno sottoscritto la "Dichiarazione sui cambiamenti climatici" approvata alla vigilia della COP21 di Parigi, con la vistosa eccezione della SIF, che ha fatto togliere il suo logo. Pomo della discordia, una parola: "inequivocabile".

Nella dichiarazione, presentata in occasione dello "Science Symposium on Climate" che si è tenuto a Roma nella sede FAO, infatti, si trova questo passaggio: "l'influenza umana sul sistema climatico è inequivocabile ed è estremamente probabile che le attività umane siano la causa dominante del riscaldamento verificatosi a partire dalla metà del XX secolo". Ma, secondo la SIF, "alcune certezze non sono certezze, occorre fare attenzione" ha dichiarato la presidentessa Luisa Cifarelli, che continua: "non esistono le equazioni del clima. E io non mi trovo d'accordo con l'affermazione che il ruolo dell'uomo nel riscaldamento sia inequivocabile". La SIF avrebbe preferito parole come "verosimiglianza" o "probabilità", ma la proposta non è stata accolta dagli altri scienziati, anzi Cifarelli è stata, come riferisce lei stessa, "trattata male".

L'IPCC (Intergovernmental panel on climate change) organo ufficiale dell'ONU e autorità di riferimento in fatto di cambiamenti climatici, sostiene essere "molto probabile che l'influenza umana sia la causa dominante del riscaldamento osservato nel XX secolo", dove "molto probabile" corrisponde a una probabilità del 95 per cento. E' sufficiente per usare la parola "inequivocabile"?

Al di là della terminologia, la posizione della SIF è stata molto criticata ed è stata in alcuni casi definita "irresponsabile", per esempio da Ferdinando Boero, professore di biologia dell'università del Salento e dell'Istituto di scienze marine del Cnr. Quello che è sicuro è che i negazionismi sui cambiamenti climatici non sono certo stati superati e hanno un discreto peso, a livello scientifico e politico, e astensioni come quelle della Società Italiana di Fisica rischiano di alimentare lo scetticismo con gravi effetti sulle politiche ambientali di contenimento di un fenomeno che è tutt'altro che sottovalutabile.


lunedì 25 luglio 2016

Il fotovoltaico è una vera fonte energetica!

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Questo è un commento di Luis De Souza su un recente articolo di Ferroni e Hopkirk che hanno riportato un rendimento energetico negativo degli impianti fotovoltaici in Svizzera (in altre parole, un ritorno energetico, EROEI, minore di 1). E' un risultato anomalo, considerando che un'analisi complessiva del campo ha riportato valori di EROEI di 11-12 per la tecnologia fotovoltaica più comune. Quindi cosa c'è di sbagliato nell'articolo di Ferroni e Hopkirk? Molte cose, pare. Qui, De Souza mostra che il fotovoltaico è una fonte di energia, persino in un paese non molto soleggiato come la Svizzera. De Souza conclude che qualcosa è andato incredibilmente storto nella procedura di revisione della rivista che ha pubblicato l'articolo di F&H, “Energy Policy”. Questo sembra essere vero e potrebbe interessarvi di sapere che è stata preparata e sottoposta alla rivista una confutazione di quell'articolo da parte di un gruppo di ricercatori esperti nel campo dei calcoli energetici. La confutazione scopre molte cose sbagliate in più nell'articolo di F & H che in quelli identificati da De Souza. In breve, Energy Policy è riuscita a pubblicare uno studio pieno di errori che non avrebbe mai dovuto essere pubblicato in una rivista scientifica. Sfortunatamente è stato fatto ed ora un sacco di persone lo usano a supporto della guerra alle rinnovabili. (U.B.)




Il fotovoltaico non è uno spreco energetico in Svizzera

Di  Luis De Souza

Energy Policy ha di recente pubblicato uno studio condotto sul EROEI delle tecnologie fotovoltaiche (FV) installate in Svizzera. Il risultato finale è una cifra notevolmente bassa, cioè 0,8:1. Ben al di sotto di qualsiasi valutazione del EROEI mai condotta su questa tecnologia energetica.

Un tale valore ha naturalmente deliziato coloro che fanno campagne contro l'energia rinnovabile, che prende per oro colato qualsiasi indizio di prestazione negativa. Tuttavia, da questo studio emerge immediatamente un numero: il rendimento energetico medio del ciclo di vita di 106kWh/m2/a. A quanto pare, uno sguardo più ravvicinato a questo singolo valore è sufficiente a negare l'ipotesi che il fotovoltaico in Svizzera sia un pozzo energetico.

giovedì 21 luglio 2016

Uguaglianza e sostenibilità: possiamo averle entrambe?

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Di Diego Mantilla




Guest post di Diego Mantilla

Recentemente, in questo blog, Jacopo Simonetta ha sollevato una domanda molto importante: una più giusta distribuzione del reddito in tutto il mondo diminuirebbe il danno che gli esseri umani stanno facendo alla terra? La sua risposta, che non lo farebbe e in realtà renderebbe le cose molto peggiori, mi ha intrigato. Quindi ho deciso di guardare i dati migliori disponibili.

Simonetta ha guardato nello specifico alla questione del se una distribuzione piì giusta del reddito ridurrebbe le emissioni globali di CO2. Nel 2015, Lucas Chancel e Thomas Piketty (da ora in avanti C-P) hanno scritto un saggio ed hanno messo online una serie di dati relativi che hanno affrontato la distribuzione globale del consumo delle famiglie e le emissioni di CO2e (biossido di carbonio equivalente = CO2 ed altri gas serra) nel 2013. I dati non sono perfetti, ma sono i migliori che esistono. La serie di dati di C-P coglie i valori delle Household Final Consumption Expenditures – HFCE (spese finali delle famiglie per il consumo) forniti dalla Banca Mondiale, usando la distribuzione del reddito della serie di dati di Branko Milanovic (che riguardano il 99% di quelli bassi) e quella del World Wealth and Income Database (che riguardano l'1% di quelli alti). (Il reddito non equivale al consumo e C-P ipotizzano che la distribuzione del reddito sia la stessa di quella del consumo. Inoltre, ipotizzano che la stessa distribuzione del reddito che c'era nel 2008 esistesse anche nel 2013. Come ho detto, la serie di dati non è perfetta).

lunedì 18 luglio 2016

In punta di piedi nel campo minato dell'energia rinnovabile

Da “Post Carbon Institute”. Traduzione di MR

Di Richard Heinberg


Ho impiegato l'anno passato a lavorare con David Fridley e lo staff del Post Carbon Institute ad un libro appena pubblicato, Il nostro futuro rinnovabile. Il processo è stato un piacere: è stato un piacere lavorare con tutte le persone coinvolte (compresi i circa 20 esperti che abbiamo intervistato o consultato) e personalmente ho imparato moltissimo nel percorso. Ma abbiamo anche incontrato una sfida spinosa nell'elaborare un tono che informasse ma non alienasse il pubblico potenziale del libro.

giovedì 14 luglio 2016

La fine del “boom della popolazione”: il collasso di Seneca della popolazione irlandese durante la grande carestia

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

di Ugo Bardi

La storia della Grande Carestia in Irlanda è un chiaro esempio di “Collasso di Seneca”, cioè di un caso in cui il declino è più rapido della crescita. E' una cosa che ci aspetta a livello globale? (Fonte dell'immagine Rannpháirtí anaithnid - vecchio - presso la English Wikipedia) 


In un post precedente, ho sostenuto che molte proiezioni attuali sulla popolazione globale sono erroneamente basate sull'idea che la “transizione demografica” funzionerà al contrario. Cioè, spesso si ipotizza che le persone impoverite tendano a fare più figli e che quindi la popolazione mondiale continuerà a crescere anche nel bel mezzo delprofondo declino economico che potrebbe accompagnare una crisi di risorse e climatica (questa, per esempio, era l'ipotesi dello studio originale del 1972 “I limiti della crescita”).


Ho invece proposto che l'inizio di una grande crisi economica/climatica causerà una immediata riduzione dei tassi di nascite, in parte in conseguenza della salute in declino delle donne fertili e in parte di una reazione razionale da parte delle famiglie che capirebbero che possono prendersi cura solo di un numero limitato di bambini in una condizione di aumento di povertà in aumento.

Ovvero, non ci sarà un aumento della popolazione nel bel mezzo di una crisi e il declino dei tassi di nascite porterebbe immediatamente all'inizio di un declino mondiale della popolazione che potrebbe potrebbe anche assumere la forma di un vero e proprio “Collasso di Seneca”. Per sostenere la mia tesi, ho portato l'esempio della ex Unione Sovietica, la cui popolazione ha cominciato a declinare persino prima del collasso politico dell'Unione. Ho menzionato anche diversi esempi di altri paesi occidentali (vedi l'Italia) in cui i tassi di nascite sono scesi in parallelo col peggioramento delle condizioni economiche, al punto che stiamo cominciando a vedere un declino generale della popolazione.

Questa interpretazione è stata criticata nei commenti da alcuni che obbiettavano che sì, la mia idea potrebbe essere giusta per paesi relativamente moderni ed “Occidentalizzati”, ma non per le aree più povere come l'Africa e l'Asia. Questi commentatori hanno obbiettato che le persone di quelle aree continueranno a fare quanti più figli possibile a prescindere da cosa succede intorno a loro, apparentemente in conseguenza degli Imam che dicono loro di farlo (o a causa del malvagio dittatore Erdogan, o persone del genere).

Non credo che questa critica sia giusta e posso ribattere con un esempio. Conosciamo tutti la storia della carestia irlandese che ha avuto luogo fra il 1845 e il 1852 e che ha ucciso una grande percentuale della popolazione irlandese. Sappiamo qualcosa sul numero di morti e su quanti irlandesi sono emigrati, ma sappiamo relativamente poco sul modo in cui la carestia ha condizionato i tassi di nascite. Le donne irlandesi hanno cercato di compensare la mortalità più alta facendo più figli?

Su questo punto ho trovato uno studio completo fatto da Phelim P. Boyle e Cormac O Grada sul volume 23, n° 4 del novembre 1986 di “Demography”, pp. 543-562 (qui il link). Servono alcune ipotesi ed estrapolazioni per determinare i tassi di nascite irlandesi prima e dopo la carestia. Non riportano nemmeno dei grafici, ma solo tabelle. Tuttavia, la loro conclusione è chiara: il tasso di natalità è sceso con la carestia in Irlanda. In altre parole, le famiglie irlandesi non hanno cercato di compensare la loro maggiore mortalità facendo più figli, niente affatto.

Ciò è confermato da quello che sappiamo della popolazione irlandese nei decenni dopo la carestia. Anche se le forniture alimentari smisero di essere un problema, la popolazione continuava ancora a declinare o rimanere stabile ben oltre l'inizio del XX secolo. Gli irlandesi di allora non avevano buoni contraccettivi, ma sembra che ci siano riusciti principalmente ritardando l'età del matrimonio ed adottando uno stile di vita che scoraggiasse l'attività sessuale fra i giovani.

Ciò è rilevante per il caso di cui discuto qui. Nel XIX secolo, i contadini irlandesi erano cattolici (o, se preferite, “papisti”). La visione cattolica del matrimonio doveva essere allora (come è ancora oggi in alcune cerchie) quella per cui una coppia sposata debba avere quanti figli quanti gliene manda il Signore – cioè il maggior numero possibile. Dopo la carestia, gli irlandesi sono rimasti cattolici, ma hanno completamente trascurato il consiglio che potrebbero aver ricevuto dai loro preti. Si è trattato di una scelta del tutto razionale – gli irlandesi non erano stupidi.

Stiamo chiaramente discutendo di qualcosa di difficile da quantificare, ma tendo a pensare che la maggior parte delle persone su questo pianeta non siano così stupide come credono gli specialisti di pubbliche relazioni. Così, da questi esempi storici (Russia ed Irlanda) direi che una crisi economico/climatica futura sarà immediatamente accompagnata da un declino dei tassi di nascite e quindi della popolazione. Se questo succede, sarà una cosa buona in quanto la pressione sull'ecosistema verrà ridotta. Ciò non significa che avremo risolto tutti i problemi che abbiamo di fronte, ma perlomeno non dobbiamo preoccuparci del fatto che le persone peggiorino la situazione riproducendosi come conigli.