venerdì 11 aprile 2014

Il picco del petrolio non è morto, puzza così di suo

Questo articolo è dell'anno scorso ed è stato generato dall'annuncio della chiusura di "The Oil Drum", uno dei siti più importanti e conosciuti dedicati al picco del petrolio. Ci sembra il caso di proporlo qui in traduzione dato che è ancora validissimo e spiega molte cose di quello che sta succedendo (U.B.)
 

Da “Smartplanet”. Traduzione di MR

L'analista energetico Chris Nelder risponde agli ultimi commenti infondati sul picco del petrolio



The Oil Drum, un sito Web dedicato alla discussione informata sul picco del petrolio e sull'energia, ha annunciato il 3 luglio 2013 che sta chiudendo. (Per una breve introduzione sul picco del petrolio vedi la mia conversazione con Brad Plumer sul Washington Post). Coloro che odiano la storia del picco del petrolio non si sono preoccupati di nascondere la loro gioia alla notizia. Alcuni hanno persino visto l'occasione per dichiarare la vittoria della loro parte nel 'dibattito' sul futuro dei combustibili fossili. “Potremmo dire 'Ve l'avevamo detto', non come epiteto da campetto scolastico, ma semplicemente come un fatto”, ha trionfato Mark Mills, co-autore di un libricino intitolato Il pozzo senza fondo, che Publishers Weekly ha descritto come “Lungo in retorica Nietzscheana ma breve su alcune specifiche cruciali”.

David Blackmon, un consulente con sede a Houston con una carriera di 33 anni nell'industria del petrolio e del gas che è uno dei 1.300 "collaboratori" redazionali di Forbes’ ha chiamato The Oil Drum “un sito dedicato ad una teoria basata sulla mancanza di immaginazione ed una irrilevanza crescente” nel suo articolo da pallonaro.

L'economista Karl Smith, un altro collaboratore di Forbes, si è fatto beffe della distinzione cruciale fra petrolio greggio e “tutti i liquidi” nella sua confusa insalata di parole, asserendo che “liquidi come il butano, il propano e l'etano sono importanti prodotti del petrolio” senza spiegare perché dovrebbero essere conteggiato come petrolio greggio, quando invece non lo sono.

Imbaldanziti dalla recente esuberanza sul fracking negli Stati Uniti, questi esperti ora dichiarano che la sola cosa che ha raggiunto il picco “è stata la capacità di discutere sul fatto che l'era del petrolio, e degli idrocarburi, fosse finita”.

Non uno di loro ha detto una sola parola sul tasso globale di produzione, che è l'essenza della questione del picco del petrolio. Perché inoltrarsi nei dati quando il mero lancio di fango sugli avversari e proclamare la tua fede funziona?

Un pugno di altri scrittori hanno offerto punti di vista meno ideologici. Matt Yglesias ha confessato di aver “sempre trovato il dibattito sul 'picco del petrolio' un po' confuso” ma ha riconosciuto che c'è stata una profonda rivoluzione dei prezzi: “I bei giorni passati dei combustibili liquidi realmente abbondanti sembrano essere alle nostre spalle”, ha scritto. Noah Smith ha scritto il post più informato del lotto, notando che la transizione al petrolio non convenzionale è una grossa parte del perché i prezzi sono saliti e che “non c'è sostituto all'orizzonte” per il buon vecchio greggio. Ma nemmeno loro hanno menzionato il tasso di produzione di petrolio.

Keith Kloor ha preso in prestito un grafico della EIA della produzione statunitense da un articolo della BBC che ripeteva tutti i punti di discussione preferiti dell'industria su come la nuova tecnologia ha prodotto “una nuova corsa al petrolio”. Apparentemente, né Kloor né l'autore della BBC si sono resi conto che il grafico rappresentava la produzione di “tutti i liquidi” negli Stati Uniti, non solo il petrolio greggio, né si sono disturbati ad esaminare i dati dettagliati della EIA da soli, né hanno cercato di spiegare in che modo questo recente boom della produzione statunitense possa respingere lo spettro di un picco globale. Kloor ha concluso che The Oil Drum stava chiudendo perché “i numeri non sono in vostro favore adesso”. Ma come gli altri, non ha realmente menzionato alcun numero.

In breve, tutti questi autori hanno usato la notizia di The Oil Drum per commentare sul dibattito sul picco del petrolio – le previsioni imprecise, l'atteggiamento demagogico e eccessivamente ottimista e gli insulti, che hanno macchiato entrambe le parti della questione, bisogna dire la verità – ma nessuno di loro ha discusso di picco del petrolio. Non pensavo davvero di dover dire dirlo di nuovo, ma il picco del petrolio è questione di dati, specialmente di dati sul tasso di produzione del petrolio. Se si vuol dichiarare che il picco del petrolio è morto (o vivo), bisogna parlare di dati sui tassi di produzione. Non c'è altro modo per discuterne.

Tanto per la cronaca

Che cosa sta realmente succedendo allora?

Primo, ciò che è successo a The Oil Drum è stata una chiusura volontaria, una diminuzione del traffico di visitatori e un flusso insufficiente di lavoro originale di alta qualità e di collaboratori. E' una sfortuna, perché negli ultimi 8 anni The Oil Drum è stato il sito gratuito migliore sul Web per del buon lavoro rigoroso e per la discussione informata sui dati dell'energia. Ho col sito un grosso debito per l'educazione, i contatti e la visibilità che ho acquisito attraverso di esso.

Ho appreso della sua chiusura lo stesso giorno della morte di Randy Udall. E' stata davvero un giorno triste e buio per i picchisti, uno di quei momenti spartiacque che è sembrato un vero e proprio punto di svolta nella discussione sul picco del petrolio. Usare questa occasione per ballare sulla loro tomba, come hanno fatto alcuni oppositori del picco del petrolio, è stato un colpo basso.

Ma la ragione per cui The Oil Drum era carente di contenuti originali non era che aveva perduto la discussione e non c'era altro da dire. Lungi da questo. Il flusso di contenuti si è semplicemente spostato dove i buoni analisti e scrittori sul tema potessero essere pagati per il proprio lavoro. Questo era inevitabile, perché un modello di pubblicazione che si affida ad un flusso costante di articoli gratuiti la cui redazione richiede giorni, settimane o persino mesi di lavoro duro e altamente qualificato, non era semplicemente sostenibile. Gli scrittori freelance come me sono passati a pubblicazioni che pagano come SmartPlanet dove ci si può guadagnare da vivere. Consulenti e fondi speculativi hanno cominciato a restringere il proprio lavoro ai loro clienti privati ed abbonati, forse con un teaser di materiali gratuito postato nei propri blog e newsletter. Gli investitori e le compagnie di petrolio e gas assumono analisti competenti per fare il loro lavoro in forma privata, dopo aver fatto parte per molti anni  dell'intelligenza collettiva su The Oil Drum (e scambiandola in modo molto redditizio, aggiungerei) gratuitamente. I volontari che hanno dato così tanto tempo al sito in tutti questi anni, hanno scoperto che dovevano spendere le proprie energie altrove. E la gente si è abituata a prezzi più alti, quindi i media hanno smesso di parlare di picco del petrolio, il che ha portato ad un crollo del traffico. Oh, questo è lo show biz.

E' anche vero che molti di noi, avendo fatto la nostra prima esperienza sui dati e la discussione su The Oil Drum, sono passati ad altro. Una volta che si è imparato qualcosa, non c'è bisogno di continuare a reimpararla. Parlando per me, io sono passato a cimentarmi con le soluzione al problema del picco del petrolio: aumenti di efficienza, finanziamento, problemi di policy, paradigmi di trasporto e la transizione alle rinnovabili. Rivisitare semplicemente il problema del picco del petrolio non mi sembrava un buon uso del mio tempo, anche se ho continuato a scriverne come contesto. So che altri ex collaboratori del sito hanno cambiato le loro linee di condotta in modo analogo.

Secondo, la mania del fracking è stata piuttosto ben confinata agli Stati Uniti, perché è lì che si sta manifestando. Uscite dagli Stati Uniti per un po', come ho fatto io quest'anno, e scoprirete rapidamente che la gente è ancora preoccupata dal futuro di petrolio e gas. Probabilmente perché i prezzi del loro petrolio e gas non sono scesi e le loro riserve non sono aumentate. Non ci sono assolutamente prove che il fracking produrrà volumi significanti di petrolio al di fuori degli Stati Uniti in tempi brevi.

Terzo – e so che questo farà male a qualche scrittore là fuori, ma va detto – pochissime persone che hanno scritto del picco del petrolio al di fuori di siti come The Oil Drum, non hanno mai compiuto il duro studio richiesto per comprenderlo realmente. Hanno semplicemente preso una parte, di solito su basi di appartenenza o ideologiche, ed hanno cominciato a difenderla. Molti di loro non hanno un'idea, persino ora, di quale differenza ci sia, diciamo, fra riserve provate e risorse, o cosa sia un rapporto riserve/produzione, o cosa rappresenti realmente una stima P50, o i costi di produzione e il contenuto energetico di liquidi non-greggio. Nemmeno un'idea. Sarei disposto a scommettere che il 95% di loro non ha mai fatto un foglio elettronico dei dati di petrolio e gas e cercato di analizzarlo.

Gran parte di quanto avete letto sul picco del petrolio nella stampa generica è stato scritto da giornalisti generici. E' un tema follemente complicato che richiede davvero migliaia di ore di studio per comprenderlo. Ma gran parte di loro non ha compiuto questo studio e gran parte di quello che scrivono è sbagliato. Di solito si limitano a riscrivere il riassunto di un rapporto tecnico e lungo scritto da qualcuno dell'industria. Non leggono la cosa per intero; non hanno tempo, oppure potrebbero non avere gli strumenti per capirlo. Non fanno analisi originali o controllo dei fatti. E troppo spesso sembrano non capire il contesto dei dati, quindi non ve ne danno. Cosa significano 7, 19 o 91 milioni di barili al giorno per la persona media? Niente. Quindi non ne parlano. Ma possono sicuramente scrivere la centesima variazione di una storia sulla incipiente “indipendenza energetica” degli Stati Uniti e come questo sconvolgerà la geopolitica, bla, bla, bla, mentre giocano coi miti dell'eccezionalità americana, senza capire i dati.

Analogamente, è facile speculare sul fatto che la soluzione du jour, etanolo, biocombustibili dalle alghe, “l'economia dell'idrogeno”, l'energia solare nello spazio, le celle a combustibile, gli idrati di metano e così via – ci salveranno, se non si scava realmente fra i dati. I giornalisti generici amano farlo. Quegli articoli generano un sacco di traffico e nessuno li riterrà mai responsabili per aver scritto di una fantasia popolare.

In realtà, sono generoso qui attribuendo la loro inattenzione al fatto di essere generici in tempi stretti. Dopo un decennio di queste innumerevoli sciocchezze, ho cominciato a sospettare o del disinteresse o della pigrizia, o peggio. Specialmente da parte degli scrittori di scienza ed economia che chiaramente hanno gli strumenti per ricercare e capire i dati. Come Robert Bea, un esperto che ha studiato uno dei più grandi disastri ingegneristici civili della storia recente, ha recentemente osservato, il fallimento di solito è il risultato di tracotanza, miopia e indolenza, non dell'ingegneria. Il nostro fallimento nel preparare per il picco del petrolio non è diverso.

La sola cosa che gran parte degli scrittori sembra aver afferrato è la dura realtà del prezzo. Questo è abbastanza semplice, viene pubblicato tutti i giorni da diverse agenzie. Una rapida ricerca su Google lo troverà. Non richiede alcun studio. Tutti se ne interessano. E' la torta. Quando i prezzi sono alti, come lo sono ora, coloro che capiscono solo il prezzo lo vedono come prova del fatto che la spiegazione del picco del petrolio ha qualche merito. Ma il prezzo è mutevole. Quando i prezzi sono crollati a 30 dollari al barile alla fine del 2008, tutti scrivevano di come questo fosse la prova che la teoria del picco del petrolio fosse sbagliata.

Coloro che capiscono gli aspetti tecnici dei dati sono generalmente all'interno dell'industria del petrolio e del gas. La maggior parte non parla di questo perché i dati raccontano una storia che non vogliono che venga raccontata. Quindi cercano di spostare il focus lontano dai dati verso gli atteggiamenti di chi partecipa al dibattito. O parlano solo dei dati che favoriscono il loro punto di vista, come le risorse tecnicamente recuperabili in aumento e il boom della produzione in Nord Dakota e Texas. Il più delle volte lo stratagemma funziona.

Quindi lo sfiancante “dibattito” sul picco del petrolio va avanti, ripetuto come un teatro Kabuki senza fine di Malthusiani contro Cornucopiani, ignorando i dati a favore di altre mille parole sugli atteggiamenti e le credenze.

E in mezzo, cari lettori, ci siete voi. Presi fra innumerevoli giornalisti imprudenti da un lato e da una propaganda accuratamente costruita da coloro che “promuovono i loro libri” dall'altro. Pagare 4 dollari a gallone per la benzina un giorno, quindi 2 il mese successivo, poi ancora 4 dollari quattro anni dopo. Non sapete il perché, perché la stampa non ve lo spiega mai veramente, l'industria cerca deliberatamente di confondervi e i politici vi dicono qualsiasi cosa pur di prendere il vostro voto.

Tutto ciò che posso dire su questo è: mi dispiace. E' triste. Ho cercato di far emergere i fatti per anni. Non sembra che sia di aiuto.

I dati

Ora parliamo di qualche dato.
Il mondo attualmente produce circa 91 milioni di barili al giorno (mb/d) di 'petrolio', nella definizione della IEA che sta per tutti i liquidi. Negli ultimi due anni, la produzione reale di greggio (che comprende il condensato lease nella definizione della EIA) si è aggira sui 75 mb/g su base annuale, appena poco sopra il plateau di 74 mb/g stabilito nel 2005.

Il momento della verità per il picco del petrolio sarà quando il declino dei vecchi giacimenti alla fine sopravanzerà le aggiunte di nuova produzione e l'offerta globale comincia a scendere verso sud. (Un'alternativa di moda è che raggiungeremo prima il “picco della domanda”, in cui il petrolio sostituito da altri combustibili e la domanda crollano a causa di una maggiore efficienza, ma al momento trovo le prove che questo si avvenuto, o che avverrà, non convincenti).

Quel momento della verità non è ancora arrivato. Il fracking, insieme a tutti gli altri metodi che il mondo sta usando per strizzare un po' più di petrolio dalla Terra, ha a malapena spostato la produzione globale di petrolio. Ecco il grafico:


Grafico: Peak Fish. Dati: EIA

Cosa ci vedete? La fine ignominiosa di una storia senza fantasia perpetrata da cani sciolti con interessi personali che cercano di incrementare i loro profili e vendere qualche libro, o un plateau di produzione che è appena aumentato negli ultimi due anni dopo uno sforzo assolutamente eroico che ha richiesto centinaia di miliardi di dollari di investimento ed una quadruplicazione dei prezzi del petrolio?
Ora guardiamo la produzione non OPEC, senza la produzione americana:


Fonte: Peak Fish

Vedete come la produzione è scesa negli ultimi anni? Ciò accade perché il tasso aggregato di declino di tutti i giacimenti è intorno al 5% all'anno. In altre parole, il mondo perde circa da 3,0 a 3,8 mb/g di produzione ogni anno (a seconda dei numeri che si usano). Gran parte della “ondata di marea di petrolio” di 2 mb/g proveniente dal fracking degli Stati Uniti è stata assorbita dal declino nel resto dei paesi non OPEC, come si può vedere dalla produzione aggregata non OPEC in questo grafico:


Fonte: Peak Fish

La domanda non è “Può il fracking salvare il mondo dal picco del petrolio?” ma “Per quanto tempo l'America può mascherare il declino nel resto del mondo?” La risposta probabilmente è non ancora per molto. Il tasso di crescita della produzione del tight oil si è considerevolmente raffreddato negli ultimi anni e la produzione per pozzo sta crollando. 

Ora, guardiamo la produzione degli Stati Uniti da sola. Ecco il grafico di “tutti i liquidi” che Kloor ha ristampato, presumibilmente senza rendersi conto che non era solo per il petrolio:


Eccezionale, vero? Un enorme inversione di tendenza. Siamo tornati ai livelli del 1985! 
Ora guardiamo il grafico della reale produzione statunitense di greggio e condensato, senza tutti i liquidi del gas naturale, i biocombustibili ed i miglioramenti di raffinazione:


Fonte: EIA

Oh, ma che è successo a quell'enorme picco di produzione che ci aveva riportati ai livelli del 1985?

Ora guardate l'articolo dove ho spiegato la differenza fra quei numeri e perché i numeri di “tutti i liquidi” esagerano l'offerta vera di petrolio degli Stati Uniti di circa un terzo. Credete ancora a Karl Smith, che non ha spiegato di tutto questo e che non ha fornito dati ma ha semplicemente asserito che “ 'liquidi' non è un termine subdolo” e che dovremmo contare ugualmente tutti i liquidi “perché iniziano le Primarie Presidenziali in Iowa”?

Alcuni altri dati sul petrolio statunitense, visto che è stata disseminata così tanta confusione su questo negli ultimi mesi: l'America consuma 19,5 mb/g di petrolio e ne produce 7,4. Su base annuale, per tutto il 2012 è stata la più grande importatrice di petrolio del mondo, ma è stata probabilmente superata da allora dalla Cina su base mensile. Esporta più prodotti raffinati come benzina e diesel di quanti ne importi, ma questo è semplicemente perché ha un complesso di raffinazione molto ampio e una domanda interna in diminuzione, non perché è sulla strada dell'indipendenza energetica. Gli Stati Uniti non saranno mai degli esportatori netti di petrolio, né supereranno l'Arabia Saudita nella produzione di petrolio, a prescindere da quanto potreste aver letto sull'America “Saudita”.

Ora parliamo del prezzo. Dal 2003, chi prevede meglio il riprezzamento globale del petrolio, i picchisti che ipotizzavano un picco record dei prezzi o i Cornucopiani che coerentemente prevedevano che i prezzi del petrolio sarebbero tornati ai livelli storici? La risposta è indiscutibile: i picchisti. 

Per il decennio passato, i Cornucopiani ci hanno raccontato che stava arrivando una nuova abbondanza dal petrolio di alto mare, dalle sabbie bituminose, dal miglioramento del recupero di petrolio, dai biocombustibili e da altre fonti non convenzionali. La produzione globale di petrolio sarebbe aumentata fino a 120 mb/g e i prezzo sarebbero tornati ai 20 o 30 dollari a barile. Quelle storie erano completamente sbagliate. I picchisti lo avevano detto.

Ecco cos'è accaduto: il petrolio è stato riprezzato in risposta alla scarsità. I prezzi a tre cifre sono stati responsabili del nuovo afflusso di produzione non convenzionale. Quella produzione, compreso il fracking per il tight oil negli Stati Uniti, aumenta i prezzi, non li diminuisce. Negli ultimi sei anni, abbiamo raggiunto il prezzo tollerabile dai consumatori e siamo tornati indietro ripetutamente. 

Per un'ultima parte di dati, guardate questa previsione dall'ultimo post che l'ingegnere petrolifero Jean Lahèrrere ha scritto per The Oil Drum:


(Ho usato un altro grafico di Laherrère nel mio post di marzo)*

Laherrère conclude: “Coi pochi dati disponibili oggi, sembra che la produzione di petrolio mondiale (tutti i liquidi) raggiungerà il picco prima del 2020, nei paesi non-OPEC molto presto a in quelli OPEC intorno al 2020. l'OPEC smetterà di esportare petrolio greggio prima del 2050”. 

Guardando da vicino i dati di Laherrère, sembra essenzialmente in linea con la mia visione secondo la quale in altri 18 mesi o giù di lì avremo il segnale che il petrolio dev'essere riprezzato ancora di più per mantenere ancora la produzione. Questo sarà molto difficile da digerire per i consumatori di Stati Uniti ed Europa. Se il riprezzamento porterà più petrolio nel mercato, o ucciderà semplicemente la domanda, rimane da vedere. 

Questo è ciò che i dati – non le credenze o la retorica – mi dicono. 

Qual è la vostra scommessa?

Quindi ecco ciò che sappiamo.
Il petrolio greggio di valore alto – la roba buona con 5,8 BTU per barile che possiamo trasformare in diesel, benzina ed un milione di altre cose – è stato generalmente mantenuto in un plateau produttivo dal 2004. La produzione globale diminuirà quando il declino dei giacimenti vecchi subisserà le nuove aggiunte. Quando, precisamente, questo accadrà, nessuno può dirlo per certo. Ma è quasi sicuramente prima del 2020. 

Gran parte dei liquidi non-greggio non equivalgono al greggio. A parte le sabbie bituminose e il petrolio pesante, questi contengono meno energia e sono di gran lunga meno utili. Alcuni non possono essere trasformati in benzina e diesel. Ma con la produzione regolare di greggio intrappolata a 75 mb/g, questi altri liquidi devono soddisfare tutti i futuri aumenti della domanda di petrolio. Mentre occupano una quota in aumento del mercato dei combustibili liquidi, aumentano gradualmente il prezzo del “petrolio”. Niente di visibile all'orizzonte cambierà questo. 

Alla fine, il prezzo diventerà troppo alto e avremo il “picco della domanda”, bene, ma sarà principalmente a causa del prezzo, non dei guadagni in efficienza e porterà ala contrazione economica, non alla crescita. Quel prezzo lo dovremo alle prospettive sempre più marginali e difficili – quindi care. In quel senso, è un problema dal lato dell'offerta, un concetto che è al centro del picco del petrolio. E' chiaro perché l'argomentazione “picco della domanda” contro “picco dell'offerta” non sia poi così interessante?

Se i consumatori statunitensi sono in grado di tollerare, diciamo, 5-7 dollari a gallone per la benzina nel 2020, allora è possibile che il plateau produttivo si possa estendere un po' di più e mia ipotesi che l'offerta globale comincerà a slittare verso il 2015 potrebbe essere sbagliata. Non sarà sbagliata di molto e nel grande schema di cosa significhi questo per l'economia globale, un anno o tre in più o in meno sono di fatto irrilevanti. Ma anche se mi sbagliassi di sei mesi, potete stare sicuri che i miei detrattori usciranno allo scoperto per dire che ho detto una cavolata e che la produzione sta andando alle stelle.  

Ma la mia scommessa è che i consumatori di Stati Uniti ed Europa non possano tollerare prezzi significativamente più alti. La tolleranza di prezzo è qualcosa di cui i Cornucopiani non parlano mai, quindi non sentirete queste argomentazioni da loro. Se ho ragione su questo punto, allora la produzione avrà un declino quando i prezzi diventano intollerabili. In virtù della sua pressione verso l'alto sul prezzo, la produzione di petrolio non convenzionale contribuisce al picco del petrolio, non lo cura. 

Mi aspetto che la produzione mondiale di petrolio aumenti, debolmente, per altri due anni, più o meno, mentre l'America cade in un sonno più profondo credendo che il fracking abbia curato tutto. I media rinforzeranno quella credenza. E quando arriverà, il campanello d'allarme sarà severo. Nel frattempo aspetteremo la battuta finale.

Quindi, per coloro che possono comprendere i dati, ecco il mio pensiero finale: come prepararsi per La Grande Contrazione? Probabilmente rimangono due anni buoni di business as usual e forse altri tre o quattro ancora prima che le cose diventino davvero difficili. Vi esorto ad usarli bene e fate quello che potete per rendervi resilienti ed autosufficienti. Cosa farete fra 10 anni se il prezzo della benzina è di 10 dollari a gallone?

Sì, dobbiamo parlare seriamente dei nostri valori, speranza, credenze, mitologie e ambizioni; del paradigma atavico della crescita, dell'abisso del debito e della teoria economica in un'era di ritorni marginali decrescenti. Quelle sono tutte discussioni importanti. Ma facciamole dopo aver capito lo stato di fatto dell'energia. Non prima.  

Qualsiasi cosa facciate, non pensate che il picco del petrolio sia morto solo perché qualche tipo che non sa di cosa parla lo ha detto in un post senza dati. Sta arrivando. Più tardi di quanto qualcuno aveva pensato, ma prima di quanto pensiate. 

Foto: Mark Rain (AZRainman/Flickr)

*Correzione del 25 luglio 2013: nella versione originale di questo post, ho detto che il grafico di Laherrère “lascia fuori i volumi del petrolio super pesante che potrebbe materializzarsi o meno dal Venezuela e dal Canada”. Laherrère ha risposto che questo grafico di fatto include i volumi di petrolio pesante. Il testo è stato corretto di conseguenza.

giovedì 10 aprile 2014

L'inizio della fine? Le compagnie petrolifere tagliano gli investimenti

Un post importantissimo ed esauriente di Gail Tverberg che spiega esattamente come e perché siamo in guai grossi con il petrolio, ma veramente molto grossi. Prendetevi una mezz'ora per leggervelo, perché sembra proprio che stiamo raggiungendo il punto di non ritorno: l'inizio della fine. (U.B.)


Da “Our finite world”. Traduzione di MR 

Di Gail Tverberg

Steve Kopits ha recentemente fatto una presentazione spiegando il nostro attuale dilemma: il costo dell'estrazione del petrolio è cresciuto rapidamente (10,9% all'anno) ma i prezzi del petrolio sono rimasti stabili. Le grandi compagnie petrolifere si ritrovano i propri profitti strizzati e di recente hanno annunciato piani di vendita di parte dei loro beni per avere fondi per pagare i dividendi. Un tale approccio è probabile che porti ad una eventuale diminuzione della produzione di petrolio. Ho parlato di cose del genere in precedenza (qui e qui), ma Kopits aggiunge alcune prospettive addizionali che mi ha dato il permesso di condividere coi miei lettori. Esorto i lettori a guardare la presentazione originale di un'ora alla Columbia University, se ne hanno il tempo.

La controversia: il petrolio dipende dalla “crescita dell'offerta” o dalla “crescita della domanda”?

La prima sezione della presentazione è dedicata alla connessione fra crescita del PIL e crescita dell'offerta di petrolio rispetto alla crescita della domanda di petrolio. In questo scritto ometto una parte considerevole di questa discussione.
Gli economisti e le compagnie petrolifere, quando fanno le loro proiezioni, quasi sempre le fanno dipendere dalla “crescita della domanda” - la quantità che la gente e le imprese vogliono. Questa crescita della domanda viene vista come in crescita indefinita nel futuro. Non ha niente a che fare con l'accessibilità o se i consumatori potenziali abbiano realmente il lavoro per comprare i prodotti petroliferi. Kopits presenta il seguente elenco di assunti di previsione limitata dalla domanda. (IOC sono le “Compagnie Petrolifere Indipendenti” - Independent Oil Companies” - come Shell ed Exxon Mobil, contrapposte alle compagnie di proprietà governativa che sono prevalenti fra gli esportatori di petrolio).


Così, è il punto di vista di previsione limitato dalla domanda che da adito alla visione secondo cui l'OPEC abbia un'enorme effetto di leva. Viene fatto l'assunto secondo cui l'OPEC possa aggiungere o sottrarre a sua scelta tutta l'offerta che vuole. Kopits fornisce le prove che di fatto il punto di vista della domanda oggi non è più applicabile, quindi tutta questa storia è sbagliata. Un elemento di prova del fatto che il modello della domanda sia sbagliato è il fatto che la produzione del petrolio greggio mondiale (compreso il condensato lease) è stata pressoché piatta dal 2004, in un periodo in cui la Cina ed altre economie orientali in crescita hanno cercato di motorizzarsi. In confronto, c'è stato un aumento del 2,7% all'anno quando l'Occidente, con una popolazione analoga, stava cercando di motorizzarsi.


Kopits evidenzia che la grande fonte di approvvigionamento di petrolio della Cina è stata la via principale per gli Stati Uniti: la Cina ordina la propria fornitura di petrolio portandola via agli Stati Uniti, per soddisfare i propri bisogni. E' questo il modo in cui i mercati hanno reso disponibile il petrolio alla Cina, nel momento in cui l'offerta mondiale non sta crescendo granché. E' parte del motivo per cui i prezzi del petrolio sono aumentati. Un altro elemento di prova che il modello della domanda è sbagliato è collegato all'assunto che i gusti sociali siano semplicemente cambiati, portando ad una diminuzione del consumpo di petrolio negli Stati Uniti. Kopits mostra il seguente grafico, indicando che il motivo principale per cui i giovani non hanno l'automobile è perché non hanno lavori a tempo pieno.



Kopits fa un confronto fra il ruolo del petrolio nella crescita del PIL e il ruolo dell'acqua nella crescita delle piante nel deserto. Senza petrolio c'è meno crescita del PIL, come senz'acqua un deserto è affamato dell'elemento di cui ha bisogno per la crescita delle piante. La mancanza di petrolio può essere considerata un legame vincolante alla crescita del PIL. (La disponibilità di lavoro potrebbe essere un vincolo, ma non sarebbe un legame vincolante, perché ci sono un sacco di persone disoccupate che potrebbero lavorare se la domanda aumentasse). Quando è disponibile più petrolio ad un prezzo leggermente inferiore, viene rapidamente assorbito dai mercati. 

Il fattore limitante negli ultimi anni è la “crescita dell'offerta”, perché la quantità di estrazione sta crescendo solo lentamente a causa di limiti geologici e del fatto che il numero di utenti è aumentato al punto che c'è una carenza. 

L'esperienza delle grandi compagnie produttrici di petrolio

Kopits presenta dati che mostrano quanto siano mal messe le grandi compagnie petrolifere quotate in borsa. Si rivolge a due parti dell'informazione:  
  • “Capex” – “Spese di Capitale” – Quanto stanno spendendo le compagnie in cose come esplorazione, trivellazione e costruzione di nuove piattaforme offshore
  • “Produzione di petrolio greggio” - Normalmente ci si aspetterebbe che la produzione di petrolio greggio aumenti con l'aumentare del Capex, ma Kopits mostra che di fatto dal 2006 il Capex ha continuato ad aumentare, ma la produzione di petrolio greggio è diminuita. 

L'informazione di cui sopra è mondiale, non per i soli Stati Uniti. Ad un certo punto ci si aspetterebbe che le compagnie comincino a sentirsi frustrate – spendono sempre di più, ma non vanno granché avanti nell'estrazione di petrolio. 

Kopits mostra quindi un'altra versione della storia del Capex più una previsione (stavolta le quantità sono etichettate “Upstream”, quindi le spese sono chiaramente per esplorazione e perforazione, piuttosto che legate a raffinerie od oleodotti).


Le quantità questa volta sono per l'industria nel suo complesso, comprendendo le NOC (National Oil Companies, ndt.), che sono di proprietà dei governi (nazionali) così come le IOC, sia grandi che piccole. Kopits osserva che le previsioni mostrate sono state fatte solo sei mesi fa. Quando parla della slide qui sopra Koptis dice: 

Le persone nell'industria hanno pensato “il Capex è andato sempre più su. Continuerà ad andare benissimo. Siamo stati in questa traiettoria da sempre e continueremo semplicemente a guadagnare dei soldi da questo”.
Ora perché è così? La ragione è che in un modello limitato dalla domanda, per coloro fra voi che hanno studiato economia, il prezzo equivale al costo marginale. Giusto? Quindi se i miei costi aumentano, il prezzo aumenterà a sua volta. Giusto? Questo è il modello limitato dalla domanda. Quindi se mi costa di più ottenre il petrolio, non c'è problema, il mercato lo riconoscerà a un certo punto in un modello limitato dalla domanda. 

Non in un modello limitato dall'offerta! In un modello limitato dall'offerta, il prezzo sale ad un livello che è molto simile al prezzo di monopolio, dopo di che non può più essere aumentato, perché quei consumatori marginale preferiranno fare con meno piuttosto che pagare di più. Non riconosceranno [pagheranno] il vostro costo marginale. In quel modello, si arriva a un prezzo e, dopo quel prezzo, c'è una resistenza significativa da parte dei consumatori a passare ad un prezzo maggiore. Questo è il “prezzo limitato dall'offerta”. Se i vostri costi continuano a sforare, i consumatori non lo riconosceranno”. 

La previsione di rapido aumento del Capex è implicitamente una previsione limitata dalla domanda. Dice certo, il Capex più salire a tre trilioni di dollari all'anno. Possiamo spendere tre trilioni di dollari all'anno per cercare petrolio e gas. L'economia globale lo accetterà. 

Cito questo perché non sono sicura di avere spiegato la situazione esattamente in quel modo. Forse ho detto che la domanda deve essere collegata a ciò che i consumatori possono permettersi. Gli stipendi non aumentano magicamente da soli (anche se gli economisti pensano che lo possano fare). 

Secondo Koptis, il costo dell'estrazione di petrolio è cresciuto negli ultimi anni del 10,9% all'anno dal 1999 (CAGR significa “compound annual growth rate” - tasso di crescita composto annuo).


I prezzi del petrolio sono rimasti piatti, allo stesso tempo. Sul grafico sopra, “E&P Capex per barile” è praticamente lo stesso tipo di spese  mostrate nei due grafici precedenti. E&P significa Esplorazione e Produzione.

Kopits spiega che l'industria ha bisogno di prezzi al di sopra dei 100 dollari al barile. 


La versione del grafico che ho messo sopra è troppo piccola perché si possano leggere i nomi delle singole compagnie. Se desiderate un grafico coi nomi scritti più in grande, potete scaricare la presentazione originale.

Storicamente, le compagnie petrolifere hanno usato un approccio di flussi di cassa attualizzati per capire se sul lungo periodo i prezzi di un particolare giacimento sarebbero stati redditizi. Sfortunatamente, questo approccio “standard” non ha funzionato bene di recente. Le spese sono aumentate troppo rapidamente e ci sono stati troppi siti di trivellazione che hanno prodotto al di sotto delle aspettative. Ciò che kopits mostra nelle slide sopra sono i prezzi di cui le compagnie hanno bisogno su una base diversa – una base di “flusso di cassa” - di modo che ogni anno le compagnie abbiano abbastanza denaro per pagare le spese di capitale di oggi, più le spese di oggi, più i dividendi di oggi. La ragione dell'uso dell'approccio del flusso di cassa è che le compagnie si sono ritrovate alle strette: hanno scoperto che dopo aver pagato le spese di capitale ed altre spese come le tasse, non hanno abbastanza denaro rimasto per pagare i dividendi, a meno che non prendano soldi in prestito o svendano beni. Le compagnie petrolifere devono pagare i dividendi perché i piani pensionistici ed altri acquirenti delle loro azioni si aspettano di ricevere dividendi regolari in pagamento dei loro investimenti azionari. I dividendi sono importanti per i piani pensionistici. All'ultimo punto dell'elenco della slide, Kopits ci dice che su questa base, gran parte delle compagnie petrolifere americane hanno bisogno di un prezzo di 130 dollari al barile o di più. Ho notato che la brasiliana Petrobras ha bisogno di un prezzo di oltre 150 dollari al barile (la OSX, la seconda compagnia petrolifera brasiliana, ha recentemente fatto bancarotta). Nella slide sotto, Kopits mostra come il petrolio della Shell risponde alla situazione di basso flusso di cassa delle grandi compagnie petrolifere, sulla base di recenti annunci.  


Fondamentalmente, la Shell sta tagliando. Non dirà più agli investitori quanto pianifichi di produrre in futuro. Piuttosto, si concentrerà sulla generazione di flusso di cassa, almeno in parte svendendo gli attuali programmi. Infatti, Kopits riporta che tutte le grandi  compagnie petrolifere stanno riportando programmi di disinvestimento. Vendere beni risolve davvero i problemi delle compagnie petrolifere? Ciò che piacerebbe fare davvero alle compagnie petrolifere è alzare i propri prezzi, ma non possono farlo, perché non lo stabiliscono loro, lo fa il mercato – e i prezzi non sono sufficientemente alti. E le compagnie petrolifere non possono davvero tagliare i costi. Quindi vendono invece i beni per pagare i dividendi, o forse solo per uscire dall'affare. Ma questo è sostenibile?


La slide sopra mostra che la produzione di petrolio convenzionale ha raggiunto il picco nel 2005La linea in alto rappresenta la produzione totale convenzionale di petrolio (calcolata come produzione mondiale di petrolio, meno i liquidi del gas naturale, meno il petrolio di scisto americano e meno le sabbie bituminose canadesi). Per ottenere la sua stima di “normale declino del petrolio greggio”, Kopits usa l'immagine allo specchio dell'aumento della produzione di petrolio convenzionale prima del 2005. Mostra anche una voce separata per l'aumento della produzione di petrolio in Iraq dal 2005. La parte gialla, chiamata “produzione di greggio a termine” è quindi la linea più alta, meno le altre due voci. Ci sono voluti 2,5 trilioni di dollari per aggiungere questo nuovo blocco giallo. Ora questa strategia ha fatto il suo corso (sulla base dei cattivi risultati che stanno riportando le compagnie dalle recenti trivellazioni), quindi cosa faranno ora le compagnie?


Sopra, Kopits mostra le prove che molte compagnie negli ultimi mesi hanno tagliato i loro bilanci. Si tratta di grandi riduzioni – miliardi e miliardi di dollari.


Sul grafico sopra, Kopits cerca di stimare la forma della curva discendente nelle spese di capitale. Questo grafico non vale per tutte le compagnie. Esclude le compagnie più piccole e le compagnie petrolifere nazionali, quindi riguarda un terzo del mercato. La linea grigia orizzontale in alto è il consenso dell'industria a ottobre. Le altre linee rappresentano le stime più recenti di come il Capex stia declinando. Il declino più netto è la previsione basata sull'annuncio di Hess. Quella più netta a seguire (la linea grigia punteggiata) è la previsione basata sui tagli della Shell. I tagli per la parte del mercato non mostrati nel grafico è probabile che siano diversi. 

Petrolio e crescita economica

Kopits offre il suo punto di vista di quanta efficienza si possa guadagnare in un dato anno, nella slide sotto:


Dal suo punto di vista, l'aumento massimo sostenibile di efficienza è del 2,5% in un periodo non recessivo, ma un aumento più normale è del 1% all'anno. Agli attuali livelli di crescita dell'offerta petrolifera, la crescita del PIL dell'OCSE è ridotta al 1-2%. L'effetto dell'offerta di petrolio limitata è quello di ridurre il PIL dell'OCSE dal 1 al 2%. 

Conclusioni


Mentre i modelli limitati dalla domanda dominano il pensiero, di fatto un modello limitato dall'offerta è più appropriato negli ultimi anni. Sembra che siamo a corto di petrolio. Quantunque ci sia petrolio extra sul mercato, questo viene rapidamente risucchiato. I prezzi del petrolio non sono collassati. Nessuno è inquieto riguardo ad un collasso del prezzo.

Di recente la Cina ha posto una piccola pressione sul prezzo nel mercato – la sua domanda di recente è meno alta. Kopits pensa che la Cina alla fine tornerà nel mercato, facendo pressione sui prezzi del petrolio. Così, le pressioni sul prezzo del petrolio è probabile che ritornino ad un certo punto. 

Osservazioni di Gail

Un punto ovvio, che penso di aver sentito quando ho assistito alla presentazione la prima volta, ma che non ho sentito la seconda, è “Chi comprerà tutti questi beni sul mercato e a quale prezzo?” La Cina sembrerebbe la possibile compratrice, se se ne deve trovare una. Ma quando diverse compagnie vogliono vendere allo stesso tempo, ci si chiede quali prezzi saranno disponibili. La nuova strategia è, in effetti, quella di mantenere i dividendi restituendo parte del capitale. Chiaramente non si tratta di una strategia sostenibile. 

Ci vorrà un po' perché questi tagli nelle spese Capex abbiano i loro effetti sulla produzione di petrolio, ma questo potrebbe cominciare entro un anno o due. Questo è inquietante. Ciò cui stiamo assistendo ora è un taglio a ciò che le compagnie considerano “petrolio economicamente estraibile” - una cosa che non viene riportata esattamente dalle compagnie. Mi aspetto che ciò che viene svenduto principalmente non includa le “riserve provate”. 

In questa presentazione, sembra che la mancanza di sufficiente investimento sia pronta per tirare giù il sistema. Si tratta fondamentalmente del limite previsto dai Limiti dello Sviluppo. In teoria, se un'espansione della domanda di petrolio della Cina riporta ancora su i prezzi del petrolio, questo potrebbe incoraggiare un'attività di perforazione. Ma è dubbio il fatto che le economie possano sostenere i prezzi alti – stanbno già avendo problemi con l'attuale livello dei prezzi , considerata la necessita continua di Alleggerimento Quantitativo per mantenere bassi i tassi di interesse. 

Una notizia recente era intitolata:  I Ministri delle Finanze del G20 concordano di alzare l'obbiettivo della crescita globale. Secondo quell'articolo, 

"Il signor Hockey ha detto che raggiungere l'obbiettivo richiederebbe un aumento dell'investimento, ma che potrebbe creare “decine di milioni di nuovi posti di lavoro”. 

I tagli nell'investimento delle compagnie petrolifere sono esattamente nella direzione sbagliata se si intendono per continuare nell'attuale paradigma. Se questi tagli agiscono come taglio delle futura estrazione di petrolio, faranno scendere ulteriormente la crescita.



mercoledì 9 aprile 2014

Il solito Club di Roma

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR


Il commento di Nafeez Ahmed sul “Saggio finanziato dalla NASA” (un termine diventato virale) sul collasso della società è stato seguito da un dibattito acceso. In un mio precedente post, ho commentato come stavamo vedendo ancora una volta il dibattito che ha avuto luogo dopo la pubblicazione del primo studio de “I Limiti dello Sviluppo” del 1972. Infatti, è lo stesso dibattito, completo degli errori e delle interpretazioni sbagliate di allora.

Allora, vediamo di esaminare la contestazione del post di Ahmed pubblicata da Keith Kloor. Kloor cerca appoggio alle proprie argomentazioni su diverse opinioni esterne. Per esempio, cita Mark Sagoff dichiarando:

“A un certo punto, ieri ho dato un'occhiata l'articolo ed ho visto che si trattava ancora una volta del Club di Roma – il computer che urlava al lupo al lupo. [...] Non c'è niente qui [nel saggio] che non sia stato presentato negli anni 60 e 70 da Paul Ehrlich e da altre “Cassandre” come chiamano sé stessi. I loro punti di vista, ripetuti in questo articolo e studio [del Guardian], sono stati completamente screditati. […] Nessuno impara niente o si prende la briga di farlo".

Direi che, prima di criticare un saggio, bisognerebbe esaminarlo un po' più a fondo che semplicemente “dargli uno sguardo”. Infatti, qui Sagoff giustifica la sua posizione semplicemente sulla base di vecchie leggende che dicono che i punti di vista del Club di Roma “sono stati completamente screditati”.

E' curioso notare che il termine “Club di Roma” è ancora così spesso associato con l'idea che lo studio de “I Limiti dello Sviluppo” sia stato completamente screditato. Non è così e c'è una ampia letteratura che mostra che i risultati dello studio sono risultati essere validi per descrivere la situazione attuale. Il “computer che gridava al lupo” è solo una delle tante leggende che sono diventate virali ed infettano ancora il cyberspazio. Infatti, la dichiarazione di Sagoff “Nessuno impara niente o si prende la briga di farlo” descrive meglio i critici dello studio che non i suoi sostenitori.

Un altro autore che Kloor cita a sostegno della sua tesi è Vaclav Smil. Kloor non riporta ciò che gli ha detto Smil, ma possiamo trovare l'opinione di Smil su questa materia in un saggio apparso sulla “Rivista della Popolazione e dello Sviluppo” nel 2005, dove ha criticato “I Limiti dello Sviluppo” principalmente sulla base di dichiarazioni di scetticismo e sul fatto che il modello è “troppo semplice” per descrivere il mondo reale. Per darvi un'idea del tono e della sostanza delle argomentazioni di Smil, considerate la seguente frase:

[Nel modello] il declino del terreno arabile continua a diminuire la produzione di cibo, mentre nel mondo reale c'è, globalmente, un surplus osceno di cibo, visto che epidemie di obesità colpiscono sempre più paesi.

Riuscite a vedere il problema qui? Smil scambia un parametro per il modello. “Il terreno arabile” è un parametro del modello. NON è il modello. E, naturalmente, il declino del terreno arabile come parametro ha l'effetto di diminuire la produzione di cibo: come potrebbe essere altrimenti? Ma il modello ha altri parametri relativi alla produzione di cibo: energia, fertilizzanti, tecnologia ed altro. Il risultato è che la produzione di cibo può continuare ad aumentare nonostante il declino del terreno arabile. Quindi, il modello descrive correttamente il comportamento del mondo reale (ahimè, fino ad ora; cosa succederà in futuro è tutto da vedere).

Questo è lo stesso errore che ha fatto William Nordhaus nel 1973 quando ha criticato un modello simile a quello usato per I Limiti dello Sviluppo, prendendo una singola equazione dal modello e mostrando che l'equazione – di per sé – non poteva riprodurre il comportamento del mondo reale. Ovvia: tagliate una zampa ad una rana e osservate che la zampa, da sola, non salta. Quindi concludete che le rane non saltano. Logica impeccabile (vedi “I Limiti dello Sviluppo Rivisitati” per i dettagli di questa storia).

C'è molto di più da dire sullo “studio finanziato dalla NASA” ed è del tutto possibile criticarlo per motivi validi. Sfortunatamente, tuttavia, i “dibattiti” su questo tema sembrano mostrarci più che altro il potere delle leggende di condizionare le menti umane. E vedremo sempre la stessa posizione: visto che non ci piave il risultato del modello, allora il modello non può essere vero. Non riusciamo a capire che i modelli sono soltanto strumenti, mai delle profezie.




(*)
The Limits to Growth Revisited
Looking back on the limits to growth
The World model controversy
Revisiting the limits to growth
...e molti altri

Clima di intimidazione: La gaffe di “Frontiers” su “Recursive Fury”

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR

Nota: su queste mie dimissioni si sta scatenando una notevole polemica sui blog in lingua inglese. Beh, me lo aspettavo. Certo, però, è dura...... (UB)


Dopo gli eventi recenti nella saga del saggio intitolato “Recursive Fury” (Furia ricorrente) di  Lewandowsky et al., dichiaro il mio disappunto dimettendomi da Editore Capo di Specialità della rivista Frontiers 


Avrete probabilmente seguito la storia di “Recursive Fury”, il saggio di Stephan Lewandowsky ed altri che la rivista “Frontiers” aveva pubblicato nel 2013. Il saggio riportava i riultati di un'inchiesta che mostrava che il rifiuto della scienza del clima era spesso accompagnato da una mentalità simile in altre aree scientifiche. Quindi si è scoperto che gli “scettici del clima” rifiutano anche il concetto che l'AIDS sia causato del virus HIV e che fumare provochi il cancro. Un risultato niente affatto sorprendente per coloro fra noi che seguono il dibattito sul clima in dettaglio.

Come ci si poteva aspettare, dopo la pubblicazione è stata scatenata una tempesta di commenti negativi contro gli autori di “Recursive Fury” e contro la rivista. Ciò che non ci si aspettava, invece, è stata la decisione di ritirare il saggio, decisione presa dalla redazione di Frontiers.

Ho trovato il comportamento dell'editore già molto sgradevole in questa parte. Tuttavia, potevo ancora capirlo (anche se non essere d'accordo). Ha dichiarato che “le ricerche [di Frontier] non hanno identificato nessun problema con aspetti di tipo accademico o etico dello studio. Si è tuttavia venuto a determinare che il contesto legale non è sufficientemente chiaro, pertanto Frontiers desidera ritirare l'articolo pubblicato”. Gli autori stessi sembravano condividere questa opinione quando hanno detto: “Gli autori capiscono questa decisione, pur difendendo il loro articolo”.

Sfortunatamente, ora Frontiers ha pubblicato una nuova nota dove fa retromarcia dalla precedente dichiarazione e sembra indicare di aver trovato problemi sostanziali nel saggio. La nuova nota di Frontiers è discussa in dettaglio dallo stesso Lewandowsky in un post dal titolo: “rivedere una ritrattazione”.

Non è compito mio discutere qui i meriti e i demeriti di questo saggio, né i problemi legali che comporta (rilevo, tuttavia, che l'Università dell'Australia Occidentale non ha avuto problemi ad ospitarlo nel proprio sito). Tuttavia, la mia opinione è che, con l'ultima dichiarazione e la sua decisione di ritirare il saggio, Frontiers non abbia mostrato rispetto per gli autori né per i loro revisori designati ed editori. Ma il problema principale è che qui abbiamo un altro esempio del clima di intimidazione che si sta sviluppando intorno al problema del clima.

Sta diventando comune per gli scienziati ricevere attacchi personali (comprese minacce di morte) per aver dichiarato le loro posizioni sul problema del clima. Questa reazione violenta spesso assume la forma di campagne di mail dirette alle istituzioni degli scienziati presi di mira. Ci sono molti esempi di questo fenomeno: qui sarà sufficiente citare il caso più recente, quello del professor Lawrence Torcello, che è stato recentemente preso di mira da una campagna di odio violento, basata sulla falsa dichiarazione secondo la quale avrebbe proposto la galera per gli scettici. Per fortuna, l'istituzione di Torcello (l'Istituto Rochester per la Tecnologia) ha sostenuto la libertà di espressione. In altri casi analoghi, le università hanno sostenuto i diritti dei membri della propria facoltà. Hanno fatto esattamente ciò che non ha fatto Frontiers (ma che avrebbe dovuto fare) per il saggio di Lewandowsky et al.

Il clima di intimidazione che si sta sviluppando oggigiorno rischia di fare un grande danno alla scienza del clima e alla scienza in generale. Credo che la situazione rischi di deteriorarsi ulteriormente se noi tutti non prendiamo una posizione forte su questo tema. Quindi, intraprendo l'azione più forte che possa intraprendere, cioè, mi dimetto da Editore Capo di Specialità di Frontiers per protesta contro il comportamento della rivista nel caso “Recursive Fury”. Oggi ho spedito una lettera agli editori, dichiarando la mia intenzione di dimettermi.

Non sono contento di aver dovuto prendere questa decisione, perché ho lavorato duramente e con serietà alla rivista speciale di Frontiers dal titolo “Energy Systems and Policy”. Ma penso che fosse la cosa giusta da fare. Constato anche che questa gaffe da parte di “Frontiers” è anche un colpo al concetto di editoria “open access”, che era la caratteristica principale della sua serie di riviste. Ma credo ancora che l'editoria open access sia la strada per il futuro. Questo è solo un contrattempo temporaneo per una buona idea che sta facendo il suo cammino.


martedì 8 aprile 2014

L'assurdità delle esportazioni del gas naturale statunitense

Comunque, sono tutti talmente convinti che con la rivoluzione dello shale il gas sarà abbondante nei secoli dei secoli, che non c'è proprio verso di farli ragionare....  (UB)


Da “Our Finite World”. Traduzione di MR

Di Gail Tverberg

Quiz:

1. Quanto gas naturale stanno attualmente estraendo gli Stati Uniti?

(a) A malapena sufficiente per soddisfare i propri bisogni
(b) Abbastanza da permettere molte esportazioni
(c) Abbastanza da permettere un po' di esportazioni
(d) Gli Stati Uniti sono importatori di gas naturale

Risposta: (d) Gli Stati Uniti sono importatori di gas naturale e lo sono da molti anni. La EIA prevede che per il 2017 saremo finalmente in grado di soddisfare le nostre necessità di gas naturale.


Figura 1. Storia recente del gas naturale statunitense e previsione, basate sulla Panoramica della Prima Pubblicazione della Prospettiva Annuale sull'Energia della EIA del 2014

Infatti, quest'ultimo anno, con un inverno più freddo, abbiamo avuto il problema dell'eccessivo quantità di prelievo dai depositi.


Figura 2. Grafico della EIA che mostra il gas naturale in deposito, confrontato con la media su cinque anni, da Rapporto settimanale sui depositi di gas naturale.

Si discute persino del fatto che al livello basso di deposito e agli attuali tassi di produzione, potrebbe non essere possibile sostituire completamente il gas naturale nei depositi prima del prossimo autunno.

2. Quanto gas naturale pensano di esportare gli Stati Uniti?

(a) Una piccola quantità, meno del 5% di quanto viene attualmente prodotto.
(b) Circa il 20% di quanto viene attualmente prodotto.
(c) Circa il 40% di quanto viene attualmente prodotto.
(d) Oltre il 60% di quanto viene attualmente prodotto.

La risposta esatta è (d). Oltre il 60% di quanto viene attualmente prodotto. Se guardiamo le richieste di esportazioni di gas naturale trovate sul sito Web energy.Gov, scopriamo che le richieste per le esportazioni totalizzano 42 miliardi di piedi cubici al giorno (1 piede cubico = 0.028317 m³), gran parte delle quali sono state già approvate.* Questo in confronto alla produzione di gas naturale degli Stati Uniti del 2013 di 67 miliardi di piedi cubici al giorno. Infatti, se le compagnie che si sono presentate per le esportazioni costruissero gli impianti in, diciamo, 3 anni e venisse aumentata leggermente la produzione di gas naturale, potremmo essere lasciati con meno della metà dell'attuale produzione di gas naturale per il nostro uso interno.

*Questo è il mio calcolo della somma, uguale a 38,51 miliardi di piedi cubici al giorno per le richieste della Free Trade Association (e richieste combinate) e 3,25 per le richieste non a libero mercato.

3. Di quanto è previsto che cresca il fabbisogno di gas naturale degli Stati Uniti per il 2030?

a. Nessuna crescita
b. 12%
c. 50%
d. 150%

Se crediamo che alla EIA, ci si aspetta che il fabbisogno di gas naturale degli Stati Uniti sia crescita di solo il 12% fra il 2013 e il 2030 (risposta (b)). Per il 2040 ci si aspetta che il consumo di gas naturale sarà del 23% più alto che nel 2013. Questo è leggermente sorprendente per diverse ragioni. La prima; stiamo parlando di ridimensionare l'uso del carbone per fare elettricità ed usiamo quasi tanto carbone quanto gas naturale. Il gas naturale è un'alternativa al carbone per questo scopo. Inoltre, la EIA si aspetta che la produzione di petrolio degli Stati Uniti cominci a calare dal 2020 (Figura 3, sotto), quindi logicamente, potremmo volere usare il gas naturale anche come combustibile per il trasporto.


Figura 3. Edizione anticipata della previsione petrolifera della Panoramica Energetica Annuale degli Stati Uniti del 2014.

Attualmente usiamo più petrolio che gas naturale, quindi questo cambiamento potrebbe teoricamente portare ad un aumento dell'uso del gas naturale del 100% o più. Molti impianti nucleari che abbiamo ora in servizio dovranno essere sostituiti nei prossimi 20 anni. Se li sostituiamo col gas naturale anche in questo settore, questo spedirebbe ulteriormente l'uso del gas naturale da parte degli Stati Uniti. Quindi, le previsioni della EIA per il fabbisogno di gas naturale degli Stati Uniti appaiono essere un po' “leggere”.

4. Come si accorda la crescita di produzione di gas naturale con la crescita di altri combustibili degli Stati Uniti secondo la EIA?

(a) Il gas naturale è il solo combustibile che mostra una crescita
(b) Le rinnovabili crescono molto di più del gas naturale
(c) Tutti i combustibili stanno crescendo

La risposta è (a). Il gas naturale è il solo combustibile che mostra una crescita di produzione da adesso al 2040. La figura 4 sotto mostra il grafico della EIA dalla sua edizione anticipata della Panoramica Energetica Annuale che mostra la produzione attesa per tutti i tipi di combustibile.


Figura 4. Previsione di produzione per fonte degli Stati Uniti, dall'edizione anticipata della Panoramica Energetica Annuale della EIA del 2014.

Il gas naturale è praticamente la sola area di crescita, che cresce dal 31% dell'energia totale prodotta nel 2012 al 38% del totale della produzione energetica degli Stati Uniti del 2040. Le rinnovabili sono attese in crescita dal 11% al 12% del totale della produzione energetica degli Stati Uniti (probabilmente perché per la maggioranza è idroelettrico e questo non cresce gran ché). Tutti gli altri combustibili, compreso il petrolio, sono attesi in contrazione come percentuale della produzione totale di energia fra il 2012 e il 2040.

5. Qual è il percorso previsto dei prezzi del gas naturale?

(a) In lieve crescita
(b) In aumento rapido
(c) Dipende a chi chiedete

Dipende a chi chiedete: Risposta (c). Secondo la EIA, i prezzi del gas naturale dovrebbero rimanere molto bassi. La EIA fornisce una previsione dei prezzi del gas naturale per i produttori di elettricità, da cui possiamo stimare i prezzi stimati attesi alla bocca di pozzo (Figura 5).


Figura 5. Previsione della EIA dei prezzi del gas naturale usato per produrre elettricità dall'edizione anticipata della Panoramica Energetica Annuale della EIA del 2014, insieme alle mie previsioni di prezzi alla bocca di pozzo corrispondenti (quelle del 2011 e del 2012 sono le quantità reali, non delle previsioni).

In questa previsione, i prezzi alla bocca di pozzo rimangono al di sotto dei 5, 00 dollari fino al 2028. Le compagnie elettriche guardano a queste previsioni di prezzi bassi e ipotizzano di dover pianificare un aumento della produzione di elettricità da gas naturale.

La trappola – e la ragione di tutte le esportazioni di gas naturale – è che gran parte dei produttori di gas di scisto non possono produrre gas naturale ai recenti livelli di prezzo. Hanno bisogno di livelli di prezzi molto più alti per fare soldi col gas naturale. Vediamo un articolo dopo l'altro su questo tema: da Rivista del petrolio e del gas naturale; da Bloomberg; dal Financial Times. Il Wall Street Journal ha citato Rex Tillerson della Exxon che diceva “Stiamo perdendo tutti anche le mutande oggi. Non facciamo un soldo. E' tutto in rosso”.

Perché tutte queste esportazioni di gas naturale se non abbiamo tanto gas naturale e la parte del gas di scisto (che è la sola parte con molto potenziale di crescita) è così poco redditizia? La ragione di tutte queste esportazioni è quella di spingere in alto i prezzi che i produttori di gas di scisto possono ottenere per il loro gas. Questo deriva in parte dall'idea di alzare i prezzi negli Stati Uniti inviandone una parte eccessiva oltremare) e in parte cercando di avvantaggiarsi dei prezzi più alti in Europa e Giappone.


Figura 6. Confronto dei prezzi del gas naturale basato su dati del “Foglio Rosa” della Banca Mondiale.  Include anche il Foglio Rosa del prezzo mondiale del petrolio su basi analoghe.

Ci sono diversi trucchi in tutto questo. Buttare enormi quantità di gas naturale sul mercato mondiale dell'esportazione è probabile faccia precipitare il prezzo di vendita del gas naturale oltreoceano, proprio come buttare gas di scisto nei mercati statunitensi ha fatto precipitare i prezzi qui (e fuorviato alcune persone, facendo sembrare che la produzione di gas di scisto sia economica). La quantità di capacità di esportazione dl gas naturale che è in via di approvazione è enorme: 42 miliardi di piedi cubici al giorno. L'Unione Europea importa soltanto circa 30 miliardi di piedi cubici al giorno da tutte le fonti. Questa quantità non è aumentata dal 2005, anche se la produzione di gas naturale della UE è diminuita. Le importazioni del Giappone ammontavano a 12 miliardi di piedi cubici al giorno di gas naturale nel 2012, quelle della Cina a circa 4 miliardi di piedi cubici. Quindi, in teoria, se ci proviamo con molta forza, potrebbe esserci posto per dar via i 42 miliardi di piedi cubici al giorno di gas naturale – ma ci vorrebbe uno sforzo enorme.

Ci sono anche altri problemi coinvolti. I paesi che importano enormi quantità di gas naturale costoso non se la passano bene finanziariamente. Non saranno in grado di permettersi di importare molto altro gas naturale costoso. Infatti, una grande parte della ragione per cui non se la passano bene finanziariamente è perché pagano tanto per il gas (e il petrolio) che importano. Se gli Stati Uniti dovesse pagare quei prezzi alti per il gas naturale (anche se se lo produce da sé), non se la passerebbero tanto bene finanziariamente nemmeno loro. In particolare, le aziende che producono beni con l'elettricità da gas naturale costoso troveranno che i beni che producono non sono competitivi coi beni fatti con combustibili più economici (carbone, nucleare o idroelettrico) nel mercato mondiale. Questo è un problema, che il paese produca da solo il gas naturale costoso o che lo importi. Quindi il problema non è un problema di importazione del combustibile; è un problema di combustibile costoso.

Un altro problema è che con il gas di scisto siamo dei produttori cari. C'è molta produzione di gas naturale nel mondo, in particolare in Medio Oriente, che è più economica. Se aggiungiamo il nostro alto costo del gas di scisto all'alto costo dell'inviare via nave a lunga distanza il Gas Naturale Liquefatto (GNL) attraverso l'Atlantico o il Pacifico, saremo sicuramente i produttori più cari. Altri produttori con costi inferiori (anche produttori di gas di scisto locali) possono tagliare i nostri prezzi. Così al massimo quelli che spediranno oltremare il GNL è probabile che facciano profitti mediocri. E sembrerebbe esserci una grande tentazione di creare problemi, di incoraggiare l'Europa a comprare le nostre esportazioni di gas naturale, piuttosto che quelle della Russia. Naturalmente, la nostra capacità di fornire questo gas naturale non è del tutto chiara. Costituisce una bella storia con un bel po' di “se” coinvolti: “Se possiamo realmente estrarre questo gas naturale. Se il prezzo può davvero salire e rimanere alto. Se si può aspettare abbastanza a lungo”. La storia fa sembrare gli Stati Uniti più ricchi e potenti di quanto siano realmente. Possiamo persino fingere di offrire aiuto all'Ucraina. Forse la conseguenza migliore sarebbe se praticamente niente di questa capacità di esportazione del gas naturale venga mai costituita – approvazione o non approvazione. Se è davvero possibile tirar fuori il gas naturale, ne abbiamo bisogno qui, piuttosto. Oppure lasciatelo nel sottosuolo.



lunedì 7 aprile 2014

Il dibattito inutile: la relativizzazione dei fatti.

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


di Antonio Turiel

Cari lettori,

già da qualche tempo mi incontro con una critica ricorrente a questo blog. Ad alcune persone sembra cosa buona che faccia un'analisi tecnica (la parola che usano di solito è “scientifica”) di aspetti concreti della crisi energetica, particolarmente quelli associati alla produzione di materie prime, della redditività energetica ed economica che hanno, ecc. Tuttavia, a queste persone di solito dà fastidio quando tratto altri temi di indole più sociale, nonostante il fatto che io usi le stesse tecniche analitiche quando parlo di esclusione sociale che quando parlo di fornitura di idrocarburi. Credono che un blog tecnico (“scientifico”) non dovrebbe toccare temi che, concettualmente sono più di opinione che di fatto. A volte si dice persino che sono “troppo politici” (vero in particolare se parlo della Catalogna).

Al contrario, credo di essere abbastanza coerente con la mia linea editoriale (che interrompo soltanto quando pubblico articoli di altri, articoli coi quali non sono sicuramente sempre d'accordo, ma che diffondo qui nell'interesse di una pluralità che non sono solito trovare in altri posti). I temi che affronto li tratto (o cerco di trattarli nei limiti delle mie possibilità) da un punto di vista più tecnico ed obbiettivo possibile, inoltre i temi trattati sono pertinenti, persino fondamentali, nella discussione di questo blog. Tuttavia, capisco che mi vengano fatte queste critiche a partire da dove iniziamo, visto che oggigiorno i mezzi di comunicazione in generale, e la stampa scritta in particolare, hanno in assoluto un modo del tutto diverso di discutere queste questioni.

Oggigiorno, nei mezzi di comunicazione si è imposta una sorta di falsa equidistanza: di fronte ad ogni tema di dibattito nella società, che sia la legge sull'aborto o la produzione di idrocarburi, vengono raccolte le opinioni dei diversi settori e presentate tali e quali, lasciando che sia il lettore ad elaborare le proprie conclusioni. Si dice che un tale modo di presentare le discussioni sia imparziale, visto che non si prendono le parti di nessuno dei settori implicati. Tale strategia, che sicuramente potrebbe avere senso (anche se applicato ad alcune eccezioni che illustro più avanti) per la discussione di questioni di opinione, è completamente assurda e nociva quando si discutono questioni di fatto. E' che i fatti non ammettono discussione: possono essere più difficili o più facili da conoscere – ed è legittimo centrare lì il dibattito in alcuni casi – ma una volta conosciuti non sono opinabili. Peggio ancora, nell'interesse di una presunta rappresentatività equilibrata di tutte le opinioni, in realtà si dà un peso eccessivo alle opinioni più ripetute, le quali (grazie ai soldi) sono le più rappresentate. E' da anni che le grandi aziende hanno capito che questa approccio al giornalismo le favoriva, visto che creando fondazioni, centri sudi, ecc., oltre ai propri uffici stampa e mezzi politici affini, potevano far ascoltare l'opinione che favoriva i loro interessi al di sopra di qualsiasi altra, per questo attaccano con fierezza quando in un mezzo di comunicazione non c'è quella che chiamano una “rappresentazione proporzionata di tutte le opinioni” - cioè, che i loro slogan non vengono ripetuti varie volte dalle loro diverse antenne.

Questo tipo di giornalismo che si limita a raccogliere e trascrivere le opinioni, e che abbonda oggigiorno, è indiscutibilmente un segno di negligenza del giornalista rispetto al suo compito principale: informare. Informare non è fare una relazione delle opinioni come se si facesse un inventario; informare è cercare la verità e presentarla correttamente ai lettori. E quella che una volta chiamavano “giornalismo investigativo”; l'altro non è più di una mera cronaca o bollettino, quando non è direttamente uno spot. Ed è possibile che la decadenza dei mezzi di comunicazione tradizionali sia in parte dovuto a questa mancanza di impegno per la verità, a volte per l'influenza diretta dei grandi interessi economici, ma altre volte per la mancanza di ricerca della verità di cui parliamo, che è ciò fa sì che sempre più persone cerchino in rete mezzi alternativi sui quali trovare una vera elaborazione a partire dai fatti, un vero tentativo di giungere alla verità.

La prima cosa da comprendere è che non si può fare allo stesso modo una cronaca della società e la discussione di fatti misurabili e osservabili. Non c'è equidistanza possibile fra fatto ed opinione. E meno ancora se parliamo di fenomeni naturali: la Natura non tratta e se ne frega della nostra opinione. Tuttavia spesso trovi che questa visione di relatività dei fatti, questo mondo dove tutto è relativo impregna tutti i discorsi, al punto che c'è una mancanza totale ed assoluta di pratica nella discussione dei fatti. Molte volte mi sono trovato che, dopo aver fatto un'esposizione di fatti qualcuno mi dica: “Molte grazie per la sua opinione”. La presentazione dei fatti è talmente svilita che la gente non distingue il fatto dall'opinione, perché è abituata al fatto che parlando di un tema concreto i “fatti” dipendano completamente da chi li trasmette. In fondo è un problema di decadenza morale della nostra società: nei dibattiti pubblici si dovrebbe esigere che le parti agiscano con onestà, presentando i fatti in modo non parziale ed obbiettiva, al posto di presentare una visione particolare che favorisca una certa visione. Tuttavia, l'opinione pubblica trova del tutto accettabile che la presentazione dei fatti sia manipolata per favorire interessi privati e a questo punto il fatto è indistinguibile dall'opinione.

Questa manipolazione dei fatti si manifesta in molti modi. Quando un tema colpisce grandi interessi economici e frequente trovarsi di fronte a campagne di confusione deliberate nelle quali si fa una selezione interessata dei fatti – cherry picking – per far vedere le cose con una lente del tutto distorta. A mo' di esempio, è normale trovare fra i portavoce del fracking certi argomenti, come per esempio che la produzione di petrolio di scisto negli Stati Uniti si è moltiplicata per 18 negli ultimi 10 anni (senza dire che 10 anni fa era praticamente insignificante) e scrivere ciò abilmente in una frase in cui si dice che gli Stati Uniti sono già energeticamente indipendenti (cosa radicalmente falsa oggi e che non sarà vera nemmeno in futuro) e senza dirlo esplicitamente, dando da intendere che una cosa abbia portato l'altra. Quando si legge frequentemente ciò che dice questa gente si rileva la frode di mischiare mezze verità e bugie, perché le frasi sono sempre identiche (e il fatto è che l'inganno funziona soltanto con determinate frasi costruite specificamente per questo, che pertanto vanno ripetute in modo praticamente letterale), ma al lettore ignaro possono sembrare cose vere, e questo è proprio l'obbiettivo di tali disinformazioni. Siccome per giunta queste opinioni costruite con la presentazione parziale di fatti scelti è rappresentata in modo diffuso nei mezzi di comunicazione, si ottiene il risultato di offuscare il dibattito e che la verità non venga mai conosciuta.

La verità, quello che crediamo sia la verità oggettiva delle cose, non è, naturalmente, mai completamente oggettiva: le inclinazioni cognitive proprie della persona che la cerca e la trasmette, le sue preferenze, influiscono in ciò che questa considera “la verità”. Ma questa soggettività inevitabile nella presentazione dei fatti non può farci precipitare in uno scetticismo recalcitrante: io dico sempre che una certa dose di scetticismo è conveniente, ma un eccesso dello stesso è puro cinismo. Quello che si deve fare è semplicemente concentrarsi sui fatti. La presentazione degli stessi può essere volontariamente o involontariamente prevenuta, ma almeno si tratta di fatti. Ciò che deve fare il lettore critico è cercare altri fatti che corroborino o integrino nel suo caso la parte della verità che gli era stata presentata. Per questo è importante che il lettore sia parte attiva e critica di ciò che legge. Un'altra grande deficienza del nostro tempo è che i lettori e gli spettatori sono passivi e apatici e fondamentalmente si bevono più o meno acriticamente tutto ciò viene dato loro da bere, senza cercare di ragionare, senza confrontare con informazioni precedenti, senza cercare le incongruenze. Insomma, senza essere critici e responsabili, come dovrebbe essere un buon cittadino.

Il massimo dell'assurdo, i pochi giornalisti che comprendono che bisogna andare oltre ed informare veramente, coloro che realmente cercano la verità e la presentano basata sui fatti e non nelle dichiarazioni degli uni o degli altri, vengono solitamente definiti “attivisti”, come se la loro obbiettività si vedesse offuscata proprio dalla loro ricerca dei fatti e della verità. Questo tipo di giornalista di solito ha problemi coi mezzi di comunicazione per i quali lavora, a prescindere da quale sia il loro orientamento politico formale, visto che alla fine sono tutti in mano al grande capitale.

Una delle cose che accadono quando ci si concentra sui fatti, quando ci si concentra sulla verità, è che si viene accusati di mettersi in discussioni politiche anche se si sta parlando di scienza, che sia di risorse naturali o di clima. E c'è sempre chi ti rimprovera che questo è inadeguato ed improprio per uno che si definisce scienziato, visto che gli scienziati devono rimanere puri, imparziali. Questa critica in particolare è particolarmente assurda. Risulta che gli studi scientifici sull'ambiente e sulle risorse naturali, come in realtà quelli su qualsiasi altra materia, siano essenzialmente ed irrinunciabilmente politici. Poiché per definizione la politica è la discussione degli assunti che interessano i cittadini. Come ho detto molte volte, questo blog, tutto ciò di cui vi si discute, è politico, perché si tratta di cose che interessano i cittadini. Ciò che non è, e non deve essere, è l'essere partitico: non si può, da un punto di vista meramente tecnico, prendere partito per un'opzione o per l'altra, fra le altre cose perché le dinamiche di partito di solito portano presto o tardi a sacrificare certe idee in nome del pragmatismo.

Deve quindi la scienza cercare di dare risposta a questioni politiche? La risposta è sì è in realtà è sempre stato così. La scienza tenta di dare risposta a problemi che preoccupano l'uomo e che spesso condizionano l'organizzazione sociale, cioè gli aspetti politici.

Lo scienziato non è colui che prende le decisioni di come gestire questa conoscenza, ma è colui che deve decidere quello che c'è che può funzionare e quello che non può in base alle proprie conoscenze. Conoscenze incomplete e sempre provvisorie, naturalmente, ma che sono la sola cosa che abbiamo in ogni determinato momento e che costituiscono una guida migliore di interessi molto più falsi in base ai quali si prendono tanto spesso decisioni con conseguenze deplorevoli.

L'opinione pubblica è talmente poco educata al dibattito dei fatti, al dibattito scientifico, che ogni volta che si affronta da un punto di vista scientifico un determinato tema causa sorpresa ciò che viene considerata un'eccessiva rotondità. Succede che il dibattito di opinioni è sempre soggettivo e pertanto le regole di cortesia implicano che gli interlocutori devono essere disposti a concedere un certo beneficio del dubbio al punto di vista contrario: chi non fa così viene considerato un maleducato o un bruto. Tuttavia, nel dibattito dei fatti non ci sono né mezze misure o considerazioni: il dibattito scientifico in questo senso è implacabile visto che è interessato solo alla verità. Non molto tempo fa ho trovato, discutendo con una persona su Internet, che dopo essere andato a presentare fatto dopo fatto, articolo dopo articolo, nonostante essere sempre stato educato nel tono, l'altro mi ha risposto in modo un po' rude: “Hai tutte le risposte”. E' che in un dibattito di opinioni non è ammissibile essere convincenti. Tuttavia, parliamo di fatti. Come gli ho detto, la questione era semplice: leggi i miei fatti e confutameli con dei dati, se credi che non siano corretti. E' così che si discute di scienza. La scienza, diciamocelo ancora una volta, non è opinabile. Non possiamo sottoporre a votazione il risultato di due più due: dovrà fare sempre quattro, e farà sempre quattro, indipendentemente dalle nostre preferenze o opinioni al riguardo.

L'enorme confusione su cosa è un fatto e cosa è un'opinione, il colossale e cinico relativismo morale della nostra epoca , è quello che porta ad alcune aberrazioni logiche, come per esempio quelle che discutiamo in questo blog parlando di precauzione e garanzia. A mo' di aneddoto, ricordo di aver letto tempo fa un articolo sull'infausto e-CAT (che il tempo si incaricato di dimostrare che fosse una truffa). Chi lo scriveva presumeva che ciò che dicevano gli “inventori” fosse sicuro per un “Principio di innocenza scientifica”. Naturalmente nella scienza non esiste tale principio: i fatti si discutono per quelli che sono, implacabilmente; le critiche sono sempre affilate, precise, chirurgiche: si cerca verità, senza concessioni. Non esiste presunzione di innocenza, ci sono fatti da provare, mostrare, confutare. A volte trovo anche, nella discussione della “magufatadi turno, che c'è chi mi dice che “la critica deve sempre essere costruttiva” e di nuovo la affermazione è erronea. La critica alle persone deve essere sempre costruttiva, visto che una persona non la possiamo scartare ed iniziare con un'altra: bisogna tentare di migliorarla a partire da quello che c'è, pertanto la critica deve essere diretta a costruire, non a distruggere. Tuttavia, la critica alle ipotesi, alle idee, deve essere cruda, implacabile, logica, feroce. E se le ipotesi non sono controfirmate da dati, se la teoria risulta falsata, la si butta per intero e se ne cerca una nuova. E' così che progredisce la conoscenza.

La ragione di tale confusione, di mancanza di comprensione degli aspetti fondamentali della scienza e la loro elaborazione, provengono da una parte dall'eccesso di peso di alcuni settori specifici delle scienze umane (concretamente, il Diritto e le Scienze Economiche tradizionali) nella direzione della società, ma in maggior misura dal grande interesse del governo del nostro sistema economico nell'alimentare una confusione che serve meglio i loro interessi. Il primo passo per poter costruire una società più equilibrata e meno cinica è recuperare il rispetto per il dibattito scientifico ed applicare una imparzialità implacabile nella discussione dei fatti. E' necessario per comprendere appieno dove siamo e dove possiamo dirigerci ed è imprescindibile per recuperare la nostra dignità come esseri umani.

Saluti.
AMT