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sabato 1 giugno 2019

Ma i Giapponesi sono più intelligenti degli Italiani?

Giapponesi molto intelligenti


In questi giorni, mi è capitato davanti un qualcosa abbastanza allucinante, Un rapporto OCSE di cui vi passo qualche dato qui di seguito.


Allora, quello che vedete sono i punteggi ottenuti ai test da italiani e da giapponesi a seconda dei vari livelli scolastici; "secondary" sta per "scuole medie", mentre "tertiary" significa "università"

Vedete come i giapponesi con un titolo di studio liceale hanno un livello medio di alfabetizzazione leggermente superiore di quello dei laureati italiani. Questo mi spiega, fra le tante cose, la ragione di certe esperienze allucinanti che ho avuto con i miei studenti. In ogni caso, è solo uno dei dettagli del rapporto OCSE, dove l'Italia ne esce con le ossa rotte non solo in confronto con il Giappone. Ovviamente, questo non vuol dire che gli Italiani siano più stupidi dei Giapponesi o di altri, però l'intelligenza deve essere accoppiata con un certo grado di cultura e di competenza, altrimenti serve a poco.


In sostanza, niente di nuovo: la scuola italiana è un disastro e lo sappiamo tutti. Non credo che ci siano colpe particolari in questa vicenda, è solamente la combinazione di un certo numero di fattori che si auto-rinforzano. Un paese economicamente debole, strangolato dalla burocrazia e governato da una classe di parassiti ignoranti si trova in difficoltà in una situazione di competizione internazionale sempre più dura.

Ne consegue che l'economia va male e i nostri studenti non trovano che studiare sia un buon investimento del loro tempo. Come dico spesso, prendersi una Laurea oggi vuol dire cinque anni di sofferenze in cambio di una vita di disoccupazione. I migliori se ne vanno a lavorare all'estero, lasciando qui i meno bravi che diventano politici o insegnanti. La scuola ne risente in termini di qualità, quelli che cercano di far qualcosa per migliorare si trovano di fronte a un muro di burocrazia che impedisce di fare qualsiasi cosa.

Ma, consoliamoci, in qualsiasi cosa si può sempre peggiorare. Dopo che qualcuno ha parlato di ritornare al grembiulino per le elementari, qualcuno potrebbe proporre seriamente di tornare al Minculpop. Oppure, potrebbe piovere.












domenica 7 agosto 2011

Il cuculo che non voleva cantare. Sostenibilità e cultura giapponese


Parecchi elementi della cultura giapponese ormai hanno fatto presa stabile in occidente. Uno è il Judo (la foto qui sopra raffigura Kano Jigoro, il fondatore del Judo moderno) ma ce ne sono molti ancora nelle arti figurative, in letteratura, in filosofia e in altri campi. In questo post discuto su cosa possiamo apprendere dalla cultura giapponese in termini di sostenibilità, con particolare riferimento al “periodo Edo” (più o meno dal 1600 d.C. a metà del 19° secolo). La società giapponese di quel periodo è uno dei pochi esempi storici che abbiamo di “economia di stato stazionario”. Come fecero i giapponesi a raggiungerlo? Qui suggerisco una spiegazione, basandomi sull’antico racconto giapponese del “cuculo che non voleva cantare”.

Questa è la versione di un discorso che ho tenuto al “Kosen Dojo” a Firenze il 26 marzo 2011. Non è una trascrizione letterale, piuttosto è un testo scritto a memoria in cui cerco di mantenere lo stile di una presentazione orale. Questo post è apparso in inglese su "Cassandra's Legacy" il 6 Aprile 2011. Traduzione in Italiano di Girolamo Dininno. 


Signore e signori, prima di tutto lasciatemi dire che nella mia carriera ho tenuto molte presentazioni su energia e sostenibilità, ma questa è la prima volta che mi capita di farlo seduto a gambe incrociate a terra su un tappeto giapponese, un tatami. Però, lasciatemi aggiungere che è un vero piacere farlo, ed è un piacere speciale farlo in un dojo, ai piedi del ritratto di Kano Jigoro, il fondatore del Judo moderno. Effettivamente sono stato anch’io un judoka, anche se devo dire che non pratico da un po’. Insomma questo posto mi ricorda moltissimo il Giappone, dove ho vissuto e sono stato molto bene, anni fa; e come sapete i recenti avvenimenti di Fukushima hanno sollevato il problema dell’energia e della sostenibilità in Giappone e nel mondo intero.

Il popolo giapponese ha subito più sofferenze di qualunque altro a causa della nostra cattiva gestione dell’energia atomica. Quella del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, nel 1945, è triste storia. Magari qualcuno di voi ha avuto la possibilità di visitare queste città – io le ho visitate entrambe, e vi posso dire che la memoria di quegli eventi non è qualcosa che si riesce a ignorare facilmente. Ovviamente, al confronto l’incidente nucleare di Fukushima è stato cosa da poco. Ma rimane che è difficile per noi – intendo noi umanità – gestire l’energia nucleare. Forse è semplicemente una cosa troppo grande e complessa.

Comunque, lasciamo perdere i pro e i contro dell’energia atomica; non è di questo che voglio discutere con voi oggi. Piuttosto, credo che possiate essere interessati a parlare un po’ della cultura giapponese. Il semplice fatto che siamo tutti seduti sul pavimento su un tatami giapponese vuol dire che la cultura del Giappone ha un’influenza su di noi, proprio come ha avuto influenza sulla cultura occidentale in molti campi – pensate solo ai manga! Perciò, quello che vorrei fare oggi è discutere di ciò che possiamo imparare dal Giappone in termini di sostenibilità.

Lasciatemi cominciare con qualche parola sulla storia del Giappone. Conoscete sicuramente il periodo “Heian” o “Imperiale”, iniziato tanto tempo fa: questo fu il periodo “classico” della storia giapponese. Il periodo Heian ha poi lasciato il campo a un’età di guerre civili: il sengoku jidai, l’epoca dei Samurai. Diversi film l’hanno dipinto come un’epoca romantica, ma sono sicuro che la gente che ci viveva non la trovava molto romantica; era un periodo di continue battaglie, e doveva essere parecchio dura per tutti. Ad ogni modo, questa fase storica finì quando Tokugawa Ieyasu emerse da vincitore delle guerre e divenne shogun, reggente di tutto il Giappone. Questo succedeva intorno all’anno 1600, e cominciò allora il periodo “Edo”, che fu molto più tranquillo. Il periodo Edo durò finché il Commodoro Perry non arrivò con le sue “navi nere” a metà del 19° secolo, il che diede inizio all’età moderna.

Ora, i due secoli e mezzo del periodo Edo sono molto interessanti dal punto di vista della sostenibilità. Non fu solo un periodo di pace; fu anche un’epoca di economia stabile e popolazione stabile. In effetti, non è del tutto vero, perché la popolazione del Giappone aumentò nella prima parte del periodo Edo; ma arrivata a 30 milioni restò quasi costante per circa due secoli. Non ho notizia di altre società nella storia che hanno vissuto un simile periodo di stabilità. Era un esempio di quel che oggi chiamiamo “economia di stato stazionario”.

Il motivo per cui la maggior parte delle civiltà non riescono a raggiungere uno stato stazionario è che è troppo facile sovrasfruttare l’ambiente. E’ qualcosa che non ha a che fare solo con i combustibili fossili: è tipico anche delle società agricole. Se tagliate troppi alberi, il suolo fertile viene lavato via dalla pioggia. E poi, senza terra fertile da coltivare, la gente muore di fame. Il risultato è il collasso – una caratteristica comune di gran parte delle civiltà del passato. Qualche anno fa, sull’argomento Jared Diamond ha scritto un libro, intitolato proprio “Collasso”.

C’è un punto interessante di Diamond a riguardo delle isole. In un’isola, dice Diamond, ci sono risorse limitate – molto più limitate che sul continente – e le opzioni a disposizione sono limitate di conseguenza. Quando sei a corto di risorse, mettiamo di terreno fertile, non puoi emigrare e non puoi attaccare i vicini per ottenere risorse da loro. Puoi solo adattarti, o perire. Diamond cita diversi casi di piccole isole nell’oceano Pacifico in cui l’adattamento era molto difficile ed i risultati sono stati drammatici, come nel caso dell’isola di Pasqua. In alcune isole davvero piccole, adattarsi è risultato talmente difficile che gli esseri umani sono semplicemente scomparsi. Sono morti tutti, e basta.

Il che ci porta al caso del Giappone: che è un’isola, naturalmente, anche se grande. Ma alcuni dei problemi che si avevano con le risorse dovevano essere gli stessi di tutte le isole. Il Giappone non possiede molto in termini di risorse naturali. Moltissima pioggia, per lo più, ma poco altro, e la pioggia può fare molti danni se le foreste non sono ben amministrate. E ovviamente in Giappone lo spazio è limitato, il che significa che c’è un limite alla popolazione; almeno finché essa dipende dalle risorse locali. Io credo che a un certo punto nel corso della storia i giapponesi abbiano raggiunto il limite massimo di quel che potevano fare con lo spazio a disposizione. Ovviamente ci volle del tempo: il ciclo è stato molto più lungo che su una piccola isola come l’isola di Pasqua. Ma potrebbe perfettamente essere che le guerre civili furono una conseguenza del fatto che la società avesse raggiunto un limite. Quando non c’è abbastanza per tutti, le persone tendono a combattere fra di loro, ma è ovvio che non sia questo il modo migliore per gestire la scarsità di risorse. Perciò, a un certo punto i giapponesi dovettero smettere di lottare, dovevano adattarsi o morire – e si adattarono alle risorse che avevano. Era l’inizio del periodo Edo.

Per arrivare a uno stato stazionario, i giapponesi dovevano gestire al meglio le risorse a disposizione, ed evitare di sprecarle. Una cosa che fecero fu liberarsi degli eserciti del periodo delle guerre. La guerra è semplicemente troppo costosa per una società a stato stazionario. Poi, fecero grossi sforzi per mantenere le foreste ed incrementarle. Potete leggere qualcosa a riguardo nel libro di Diamond. Il carbone di Kyushu forse aiutò un po’ a risparmiare gli alberi, ma il carbone da solo non sarebbe stato abbastanza – fu la gestione delle foreste a fare la differenza. Il governo amministrava i boschi a livello di singola pianta: un’impresa notevole. Infine, i giapponesi riuscirono a gestire la popolazione. Probabilmente fu questa la parte più difficile, in un tempo che non conosceva contraccettivi. Da quel che ho letto, ho capito che i poveri erano obbligati a praticare più che altro l’infanticidio, e questo doveva essere atroce per i giapponesi, come sarebbe per noi oggi. Ma le conseguenze del lasciar crescere la popolazione senza controllo sarebbero state terribili: per cui, erano costretti a farlo.

Noi tendiamo a vedere l’economia a stato stazionario come qualcosa di molto simile alla nostra società, solo un po’ più tranquilla. Ma il periodo Edo del Giappone era molto diverso. Di certo non era il paradiso in terra. Era una società estremamente regolata e gerarchica, in cui sarebbe stato difficile trovare – o anche solo immaginare – qualcosa come “la democrazia” o “i diritti umani”. Nonostante ciò, il periodo Edo fu una realizzazione notevole, una società molto raffinata e ricchissima di cultura. Una civiltà di artigiani, poeti, artisti e filosofi. Creò alcuni dei tesori d’arte che possiamo ammirare ancora oggi, dalle spade katana alla poesia di Basho.

Insomma, i giapponesi ce la fecero a creare una società estremamente raffinata che riuscì a esistere in uno stato stabile per più di due secoli. Non credo che nella storia ci siano molti casi paragonabili. Perché il Giappone ebbe successo dove molte altre civiltà nella storia avevano fallito? Be’, penso che il fatto di essere un’isola fosse un enorme vantaggio. Questo proteggeva da gran parte delle ambizioni dei popoli confinanti, e anche dalla tentazione che potevano avere gli stessi giapponesi di invadere i loro vicini. E se non hai una terribile paura di essere invaso (e non hai intenzioni di invadere nessuno), allora non hai motivo di mantenere un grosso esercito, né di far crescere la popolazione. Puoi concentrarti sulla sostenibilità e sulla gestione di quel che hai a disposizione. Poi, naturalmente, quando il Commodoro Perry e le sue navi nere arrivarono, il Giappone non fu più un’isola, nel senso che smise di essere isolato dal resto del mondo. Così la crescita ripartì. Ma, finché il Giappone restò isolato, l’economia rimase in uno stato stazionario e, come ho detto, questa era una conquista straordinaria.

Però non credo che il fatto di essere un’isola spieghi tutto del periodo Edo. Io penso che esso non sarebbe stato possibile senza un certo grado di saggezza. O forse un termine più corretto in questo caso è “sapienza”.

La saggezza o la sapienza non sono cose che si possano quantificare o attribuire a persone specifiche. Ma io ritengo che il Giappone, nella sua interezza, aveva raggiunto un certo livello di – diciamo così – “illuminazione”. Comprendetemi: mi riferisco al periodo Edo. So bene che oggi il Giappone è pieno di posti orribili come la maggior parte dei luoghi del mondo occidentale: inquinato, sovraffollato e pieno di costruzioni bruttissime. Però nel periodo Edo si era sviluppato un modo di guardare il mondo che ancora ammiriamo oggi, e che è secondo me ben rappresentato dalla poesia giapponese: un prodigio di luminosità, di percezione dei dettagli, di amore per le piccole e delicate cose del mondo càduco. Ma non è solo la poesia: pensate al Judo secondo il maestro Kano. E’ un modo di vivere: una filosofia, una maniera di acquisire saggezza. Il Judo è un’idea moderna, ovviamente, ma ha le sue origini nel periodo Edo. Per quello che posso capire, l’approccio giapponese di quell’epoca era quanto di più lontano può esserci dall’atteggiamento orrendo che abbiamo noi oggi, quello del golem chiamato homo economicus che pensa seriamente che un albero non abbia valore a meno che non sia abbattuto. Se è questo il modo con cui guardiamo il mondo, allora meritiamo di collassare e scomparire. La saggezza probabilmente non è una risorsa non rinnovabile, ma sembra che siamo comunque riusciti a restarne senza.

Vorrei raccontarvi una storia proveniente dalla saggezza giapponese; ha a che fare con l’epoca delle guerre civili ma fu sicuramente inventata durante il più tranquillo periodo Edo. Probabilmente conoscete i nomi dei principali condottieri dell’ultima fase delle guerre civili in Giappone: Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu. Alla fine, fu Ieyasu a diventare shogun e guida dell’intero paese. Sul come ci riuscì, c’è questa storiella che esiste in forma di senryu, una poesia breve. Racconta che un giorno Nobunaga, Hideyoshi e Ieyasu si incontrarono e videro un cuculo che non cantava. Nobunaga disse: “Se non canta, lo uccido”. Hideyoshi disse: “No, io lo convincerò a cantare”. E Ieyasu disse: “Io aspetterò, finché non canterà”.

Penso che questo racconto sia un’ottima rappresentazione di come la gente del periodo Edo razionalizzava gli eventi che portarono alla loro età. Ci dice che la strategia vincente non è la violenza, e nemmeno la furbizia: bensì è l’adattamento. I giapponesi avevano capito che non potevano forzare o persuadere la loro isola a comportarsi come essi desideravano, proprio come non si può forzare o convincere un cuculo a cantare. Dovevano adattarsi, e lo fecero. Questa, io credo, è saggezza.

Ora, una caratteristica della saggezza è che si può applicare a diverse situazioni, diversi luoghi, diversi tempi. Vediamo un po’ come possiamo interpretare il racconto nella nostra epoca. Abbiamo enormi problemi ovviamente: non abbiamo abbastanza petrolio, non abbiamo abbastanza risorse minerali, né abbastanza acqua, né atmosfera per assorbire i residui della combustione. Come reagiamo allora? Be’, un po’ come Nobunaga. Siamo propensi a usare la violenza, non solo in termini di “guerre per il petrolio”. Cerchiamo di forzare il pianeta a produrre quel che desideriamo. In un certo senso, è come dire all’uccello “canta, o ti ammazzo”. Insomma, è il “drill, baby drill!”, è la volontà di fare di tutto e con qualunque mezzo per produrre i combustibili liquidi di cui siamo convinti di avere assoluto bisogno, anche se così distruggeremo la terra e l’atmosfera. Vogliamo costruire centrali atomiche, incuranti dei rischi connessi, e fare un mucchio di altre cose per forzare il pianeta a produrre ciò di cui crediamo avere la necessità.

Poi c’è un diverso atteggiamento in apparenza più civile: è l’efficienza. Esso dice che, se riusciamo a convincere la gente ad usare le risorse in maniera più efficiente, possiamo continuare ad avere tutto quello cui siamo abituati ed in più salvare il pianeta. Le lampade a risparmio energetico e le auto di dimensioni più piccole di certo appaiono molto meglio, come idea, del “drill, baby, drill”; ma in fondo il concetto non è tanto diverso, nel senso che non vogliamo cambiare rispetto a ciò che pensiamo sia per noi indispensabile. Il modello di vita americano resta apparentemente non negoziabile: solo il modo di ottenerlo potrebbe forse esserlo. Questa strategia potrebbe addirittura funzionare – almeno per un po’. Ma riusciremo davvero a trovare delle soluzioni tecnologiche per avere, tutti, tutto quello cui siamo abituati? Il recente disastro di Fukushima dovrebbe averci insegnato che non siamo così furbi come possiamo pensare.

Non siamo ancora giunti al punto in cui scopriremo che la strategia vincente non è forzare né persuadere la Terra a dare più di quanto possa. La strategia vincente consiste nell’adattamento. Abbiamo la necessità di ritarare i nostri bisogni in base a quanto il pianeta può offrire. E’ quello che i giapponesi fecero sulla loro isola; e in fondo tutti noi viviamo su un’isola, un’isola gigante, sferica e blu che vaga nell’oscurità dello spazio. Sta a noi gestire i doni che riceviamo dalla Terra e creare qualcosa di bello come la civiltà Edo in Giappone; certamente con metodi migliori e più dolci per il controllo della popolazione.

Se l’esempio storico del Giappone conta qualcosa, forse siamo nella giusta direzione, e l’età delle guerre civili planetarie potrà finire prima o poi. Allora, se riusciamo ad aspettare abbastanza, un giorno anche noi potremo sentire il cuculo cantare.



Ringraziamenti: grazie a Jacopo Visani e Niccolò Giannetti per l’organizzazione dell’incontro al Kosen Dojo dove ho tenuto questo discorso.

domenica 20 marzo 2011

Giappone, gli Hopi, e la terra fuori equilibrio



Non lo so se questo video viene dagli Hopi, ma è bellissimo. Se avete cinque minuti, guardatelo. Il testo è in inglese, ma si capisce abbastanza bene.

sabato 19 marzo 2011

Martingala nucleare



Il metodo del "raddoppio" o "martingala"(*) è un vecchissimo schema per giocare alla roulette. E' semplice, seducente, promettente ed è anche una ricetta sicura per il disastro. La catastrofe nucleare di Fukushima potrebbe essere il risultato dello stesso modo di pensare. Una martingala nucleare.


E' incredibile quanta gente ancora oggi continua a credere che si possano fare soldi alla roulette usando il vecchio metodo del "raddoppio" chiamato anche "martingala". Funziona così: si punta su qualcosa che abbia il 50% di probabilità di uscire; rosso/nero o pari/dispari, e si raddoppia ad ogni perdita. In questo modo, quando si vince, si recuperano le perdite e si fa un profitto. O, perlomeno, questa è la teoria.

Nella pratica, la martingala è un metodo sicuro per il disastro. Nella migliore delle ipotesi, non da risultati migliori che giocare puramente a caso. Ma è peggio: la martigala da una buona probabilità di rovinarsi cercando di raddoppiare "un'ultima volta". Per fortuna, per i giocatori, la maggioranza dei Casinò, hanno dei limiti sulle puntate. I gestori vogliono che i giocatori perdano dei soldi ma non così tanti da ammazzarsi e poi buttarsi dalla finestra. 

La strategia della martingala è correlata a quello che Nassim Taleb ha chiamato il "Cigno Nero", un evento improbabile ma catastrofico. Un cigno nero non è soltanto un momento di jella, è qualcosa che uno crea con una serie di scelte sbagliate fatte con le migliori intenzioni. E' l'idea della martingala, una specie di gioco dell'autoscontro dei film americani nel quale due giocatori si lanciano in auto uno contro l'altro. In un certo senso, chi sceglie questa strategia cerca di intimidire la realtà alzando la posta; come quando si raddoppia la scommessa alla roulette. Ma anche se in questo modo si possono ottenere dei modesti successi, la realtà non si fa facilmente intimidire e si ripresenta nella forma del cigno nero; più grande e più catastrofico più uno aveva cercato di evitarlo.

Schemi di tipo martingala sono tipici, per esempio, del mondo finanziario. Il collasso dei mutui subprime, che era cominciato nel 2007, è un buon'esempio di questa strategia, come ha notato Nassim Taleb. Molti schemi finanziari sembrano essere basati su idee simili. In questi casi, purtroppo, non ci sono gestori del Casinò che impediscono alla gente di cadere nella trappola della martingala e rovinarsi.

Il disastro nucleare di Fukushima sembra dirci che c'è un meccanismo simile in azione con la tecnologia in generale. Quando progettiamo apparecchiature pericolose e delicate, tentiamo di ridurre i rischi per mezzo di regole, specifiche, e controllo centralizzato. Ovviamente, queste sono strategie costose e di conseguenza sono convenienti da realizzare su larga scala. Così, alziamo la posta costruendo sistemi sempre più grandi e costosi per diminuire il rischio di disastri. Nel caso dell'energia nucleare, il risultato è la concentrazione dei sistemi di produzione in un piccolo numero di grandi impianti. E' una strategia che sembra funzionare; entro certi limiti. Nella media, il record della sicurezza della maggior parte delle centrali nucleari è abbastanza buono. Ma quando qualcosa va storto con un impianto nucleare, tende ad andare storto in modo massiccio, come è successo con Chernobyl e Fukushima.

Quindi, ci stiamo proteggendo da piccoli problemi al costo di rischiare grandi problemi? In questo caso, staremmo giocando la martingala su una scala veramente massiccia. Il problema non è specifico della tecnologia nucleare; tendiamo a proteggerci dai rischi con tutte le tecnologie al costo di rischiare vere e proprie catastrofi.

Prendiamo il carbone come un esempio. Sappiamo che bruciare il carbone in impianti elettrici ha dei rischi. In aggiunta all'inquinamento locale, il carbone è un fattore importante nel riscaldamento planetario a causa dell'effetto serra associato con il biossido di carbonio (CO2) generato nella combustione. Contro questo rischio, stiamo programmando uno sforzo importante in termini di "cattura e sequestro del carbone" (CCS), una tecnologia chiamata di solito "Carbone Pulito". L'idea è che il CO2 si può immagazzinare sottoterra in depositi geologici che ne impediscono il rilascio nell'atmosfera.

E' probabile che questa idea sia una forma di strategia della martingala. Immaginiamo che la tecnologia venga usata su larga scala e che si arrivi ad usare il "carbone pulito" per una frazione importante della produzione di energia elettrica mondiale. In questo caso, avremmo agito "alzando la posta" verso il rischio del riscaldamento globale avendo investito soldi e risorse su una specifica tecnologia. Probabilmente, questa tecnologia sarebbe in grado di ridurre l'inquinamento locale e la quantità di CO2 emessa nell'atmosfera. Ma ne sappiamo abbastanza della fisica del processo di sequestro geologico da poter garantire che il CO2 immagazzinato starà tranquillo dove lo abbiamo messo? Come si può garantire che questo CO2 non ritornerà nell'atmosfera tutto insieme e molto prima di quando ce lo aspettavamo?

Come cigno nero, questo è un evento quasi inimmaginabile. Forse si può dire che è un evento improbabile, certo, ma sarebbe molto più improbabile se, semplicemente, smettessimo di bruciare carbone.

Ma non sembra che siamo in grado di ragionare in questo modo. Tendiamo sempre a cercare la soluzione tecnologica più grande e più sofisticata e questo porta dei rischi enormi. Forse sono rischi improbabili, ma non impossibili. Soffriamo di assuefazione alla tecnologia (come ha notato George Mobus) e non sembra che riusciamo a capire che oltre un certo limite la tecnologia comincia a mostrare ritorni decrescenti (come ha notato Joseph Tainter ).

Forse quello che stiamo facendo con la civiltà è un giocare la martingala. Ci stiamo proteggendo da piccoli rischi sviluppando tecnologie, regolazioni, leggi e controlli; tutto per tenere insieme la società. Ma il rischio è l'improbabile, ma in fin dei conti inevitabile, collasso totale. Il cigno nero più grande di tutti.


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(*)  Nella teoria della probailità, il termine "Martingala" si riferisce a processi di tipo "random walk". La sua origine è oscura, ma una discussione sul suo significato si può trovare qui